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IL CROCIFISSO: LE ORIGINI – (STORIA E SIMBOLI)

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IL CROCIFISSO:  LE ORIGINI – (STORIA E SIMBOLI)  

Il mese di aprile offre  lo spunto favorevole alla ricerca sulle origini dell’immagine diventata simbolo della nostra fede e della nostra cultura: la Crocifissione e la Risurrezione. L’annuncio gioioso  di Pietro a Pentecoste:  “Cristo è stato crocifisso ma Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni” (At.2,32)  viene espresso nel simboli catacombali della fede delle origini  tuttavia, nelle forme artistiche delle prime comunità, non troviamo rappresentazioni figurative di questi temi; in particolare non troviamo  la Crocifissione.  Forse questa constatazione può aver indotto alcuni a negare  la realtà  della morte in croce di Gesù  avvenuta sotto Tiberio,  probabilmente il 7 aprile dell’anno 30  e confermata dai dati  degli storici romani ed ebrei del tempo.  Il tema della Crocifissione  rimane  sconosciuto all’iconografia delle origini  sino al sec. IV allorchè Teodosio il Grande soppresse questa pena e il segno non suscitò più associazioni negative. La raffigurazione del  Messia crocifisso “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”( I° Cor. 1,23) poteva infatti scandalizzare gli ebrei e intimorire i neofiti, nonché suscitare  l’ironia dei pagani che raffigurarono  il fatto, nel graffito sul Palatino, con l’immagine di un asino crocifisso adorato da un proselito.  

I SIMBOLI Se la Crocifissione non era esplicitamente raffigurata,  essa era  ampiamente espressa  – nascosta e camuffata – nei simboli che gli iniziati conoscevano. E’ il caso dell’ANCORA il simbolo della Croce più diffuso dal II al IV secolo. Secondo il Wilpert ne esistono almeno 200 esemplari nelle catacombe. Questa immagine, a differenza di altri simboli  catacombali, non ha riscontro in altre civiltà, è propria del cristianesimo, quale segno della speranza nella salvezza eterna meritata da Cristo in croce. In un graffito del cimitero di Domitilla, l’ancora cruciforme è ben leggibile, sormontata dal cerchio, simbolo di vita; ad essa  sono attaccati frontalmente, due pesciolini: i cristiani che si aggrappano alla speranza della Croce. Diceva Giustino nel II secolo, “La nostra speranza è sospesa a Cristo crocifisso” La croce è poi camuffata nell’albero della nave  simbolo della Chiesa e nel  “T” (tau) inserito nei nomi propri  IRETNE  o  ITCQUS. . Un croce commissa (tau) è  stata trovata a Pompei,  anteriore al ’70, data dell’ eruzione del Vesuvio. I simboli dei primi secoli che alludono alla morte di Cristo sono sempre segno di vittoria: “Cristo crocifisso ha vinto la morte e ci ha donato la  vita“. Il segno del  Monogramma è diffusissimo: la vittoria della morte di Cristo in croce è l’asse dell’universo nel cui centro tutto converge (Col.1,20) Spesso, in numerosi dipinti catacombali, la Passione viene prefigurata nel Sacrificio d’Isacco; l’ariete,  sacrificato in luogo d’Isacco, diventerà  figura di Cristo, Agnello immolato  vittorioso (Ap.5,12), e sarà frequentemente raffigurato nell’arte Paleocristiana. 

 IL SEGNO DELLA CROCE appare  già  talvolta sin dal III secolo come appare nell’epigrafe di  Rufina  in S. Callisto e nell’iscrizione di Victoria nel cimitero di Domitilla, dove la croce è graffita  accanto alla palma.

I SARCOFAGI Nei sarcofagi si sviluppa  invece una traduzione simbolica della Passione: nel sarcofago di Domitilla ora in Vaticano, vediamo la croce centrale sormontata  dal Monogramma di Cristo  con la corona della vittoria; a lato i soldati di guardia, a destra la scena di Pilato,  a sinistra l’incoronazione, non di spine, ma di alloro:  il discorso della Passione continua ad essere presente, ma dissimulato  nel trionfo della Croce  come Risurrezione.   La PRIMA CROCIFISSIONE si trova su un pannello della porta di S.Sabina del 432 a Roma e in un avorio che si trova al British Museum di Londra.  Cristo con il perizoma all’occidentale, appare vivente con  gli occhi aperti,  vittorioso sulla morte, risorto. Le braccia sono aperte nella posizione dell’Orante. La  stessa iconografia ci mostra tra il VI e l’VIII secolo il Cristo che per influsso orientale, veste il colobium l’abito liturgico dei primi monaci, come  nel Crocifisso di S.Maria Antigua  ai Fori romani. Questa tipologia si svilupperà nell’ iconografia del “Christus Triunphans”  del sec. XII, la Croce di  S.Francesco a  S.Damiano d’Assisi,  ne è l’esempio più noto. Come possiamo notare, i documenti artistici dei primi secoli presentano la croce nella forma comunemente intesa, costituita cioè dalla trave verticale e dal patibulum (trave orizzontale) secondo le testimonianze degli storici e dei Padri  del II e III secolo. Constatiamo inoltre come nei primi secoli non c’è distinzione tra il momento della Crocifissione e quello della Risurrezione e quando  la Risurrezione   verrà raffigurata come nell’avorio del Museo di Monaco  del V secolo,  presenterà il fatto delle Pie donne al sepolcro, dove il sepolcro è il primo tempio costantiniano costruito sul sepolcro di Cristo a Gerusalemme  e distrutto nel 1009 dal Califfo Al Hakim. Nei secoli  successivi l’Editto di Costantino, si sviluppa un’altra iconografia della morte  come apoteosi, la troviamo a Roma nell’abside di S.Stefano Rotondo e nell’abside della Basilica di S.Giovanni in Laterano. La croce  – “albero della vita”-  è senza il corpo di Cristo e appare tempestata di gemme, su di essa,  in  un clipeo, il busto di Cristo.  L’iconografia deriva dalla croce gemmata sormontata dal busto di Cristo che Costantino aveva fatto erigere sul Golgota e si riallaccia alla tradizione del  rinnovamento della vera Croce da parte di Elena  madre di Costantino  e quindi al culto della S.Croce.

La CROCE GEMMATA.  In epoca paleocristiana e nell’arte ravennate è molto frequente l’immagine  della “croce gemmata” che allude all’apoteosi di Cristo e rimanda all’annuncio della  Parusia (Mt. 24,30): “Comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo”. La troviamo nelle prime  Basiliche paleocristiane e specialmente a Ravenna come nella splendida cupola del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna dove la Croce è al centro di una incredibile decorazione stellare che ordinatamente ruota intorno ad essa.   ALBERO DELLA VITA  Frequente è anche  l’iconografia della croce come “albero della vita”  innalzato al centro della terra dove Adamo muore. Possiamo trovarne un   mirabile esempio nella splendida  composizione aurea del  catino absidale della Basilica  superiore di S.Clemente  a Roma Quella che vediamo è del XII sec., ma venne realizzata sul modello di quella che si trovava nella precedente basilica del IV secolo. NEL MEDIOEVO All’inizio del secondo millennio, accanto all’iconografia bizantina del “Christus Triunphans”  si sviluppa, per influsso  del movimento francescano che esalta il sentimento,  l’umana  l’iconografia del “christus patiens”(sofferente)). Il capo di Gesù  agonizzante è ripiegato sulla spalla, mentre il corpo  illividito è teso nella tragica curva  del dolore offerto alla compassione del popolo: “O voi che passate guardate se c’è un dolore simile al mio” (Lam. 1,12) Tra le maggiori espressioni quelle dei crocifissi di Giunta Pisano e Cimabue  Nel 1400 e’ il momento iconograficamente  e teologicamente più alto della raffigurazione della Croce, quello che trova nella  Trinità di Masaccio in S.Maria Novella a Firenze. Nell’immagine,  che  esprime la relazione  d’amore in Dio Trinità,  “le tre Persone  sono unite nell’infinito dolore del Figlio, che pende dalla croce, tra le braccia  dal Padre” (Bruno Forte).    I secoli successivi  hanno prodotto immagini  diverse della  Redenzione: da Giovanni Bellini a Grunewald,  da El Greco a Chagall,  sino al nostro tempo,  caratterizzato da un ritorno all’essenzialità  e alla sintesi  di un  segno pieno di comunicazione.  Nella  Croce di Armando Testa (1990) le linee oblique della croce senza il Cristo,  presentano l’ultimo atto del supremo abbandono del Crocifisso che grida: “Tutto è compiuto”. Ma anche in questa croce moderna  appare l’antica sintesi: la forma è quella della sofferenza, ma il  colore  azzurro e oro  rimanda alla Risurrezione; risuona anche qui il gioioso e sconvolgente annuncio : “Cristo morto è  risorto, ora vive per sempre”.   CORRIERE DI SALUZZO  7 aprile 2000  

Publié dans:Crocifisso (il), Papa Benedetto XVI |on 20 février, 2014 |Pas de commentaires »

Professore ebreo difende il crocifisso davanti alla Corte di Strasburgo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-23040?l=italian

Professore ebreo difende il crocifisso davanti alla Corte di Strasburgo

La tolleranza non può portare all’intolleranza verso i simboli di una cultura

di Jesús Colina

STRASBURGO, mercoledì, 30 giugno 2010 (ZENIT.org).- Joseph Weiler, professore ebreo di Diritto presso la New York University School of Law, ha difeso questo mercoledì il crocifisso davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani.

La sua difesa è stata ascoltata da 17 giudici, tra cui Jean-Paul Costa, presidente della Corte, durante un’udienza straordinaria sul “Caso italiano del crocifisso”, Lautsi v. Italia, riferito al diritto dell’Italia di esporre crocifissi nelle aule delle scuole pubbliche.

Weiler, che è anche professore onorario presso la London University, ha rappresentato nell’udienza i Governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Federazione Russa e San Marino, che si sono presentati come “parti terze”.

La Corte di Strasburgo aveva stabilito in una sentenza dello scorso 3 novembre che la presenza del crocifisso in questi spazi costituisce un attentato alla libertà di coscienza e al diritto del singolo di ricevere una formazione conforme ai suoi convincimenti religiosi o filosofici.

In questo modo, aveva dato ragione a una cittadina italiana originaria della Finlandia, Soile Lautsi, che aveva chiesto nel 2002 che le croci fossero tolte dalle scuole frequentate dai suoi figli ad Abano Terme, in provincia di Padova.

Il professor Weiler ha spiegato in primo luogo che in Europa non esiste un unico modello nelle relazioni Chiesa-Stato: basta vedere le differenze tra la laicità, in Francia o anche in Gran Bretagna, dove la regina è capo della Chiesa anglicana. Altri casi sono quelli di Svezia, Danimarca o Grecia.

“In molti di questi Stati non laici, ampie fasce della popolazione, forse perfino una maggioranza, non sono più religiose – ha dichiarato il professore –. E tuttavia il continuo coinvolgimento di simboli religiosi negli spazi pubblici e da parte dello Stato viene accettato dalla popolazione secolare come parte dell’identità nazionale e come atto di tolleranza nei confronti dei propri connazionali”.

“Può essere che un giorno il popolo britannico, esercitando la sua sovranità costituzionale, si sbarazzerà della Chiesa d’Inghilterra, come hanno fatto gli svedesi. Ma questo vale per loro, non per questa Corte, e sicuramente la Convenzione non è mai stata intesa nel senso di forzarli a fare questo”, ha dichiarato.

“Nell’Europa attuale, i Paesi hanno aperto le proprie porte a molti nuovi residenti e cittadini. Dobbiamo loro tutte le garanzie della Convenzione. Dobbiamo il decoro e il benvenuto, e la non discriminazione, ma il messaggio di tolleranza verso l’altro non dovrebbe essere tradotto in un messaggio di intolleranza verso la propria identità”, ha aggiunto Weiler.

Nella sua arringa di fronte ai giudici, il rappresentante per lo Stato italiano, Nicola Lettieri, ha spiegato che “non c’è alcun pregiudizio reale in questa questione. Se uno Stato intrattiene un rapporto privilegiato con una religione, se sposa dei simboli religiosi, ciò non è affatto contrario alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo. L’unico limite da non varcare è il perseguire l’indottrinamento o il proselitismo”.

“Se il crocifisso è presente nelle aule, il motivo non è l’indottrinamento, ma si tratta dell’espressione di un sentimento popolare che è alla base dell’identità nazionale”, ha aggiunto.

Il rappresentante legale di Soile Lautsi, Nicolò Paoletti, il primo a esporre le proprie argomentazioni, ha considerato da parte sua che “non si può considerare il crocifisso come un simbolo muto e passivo. I bambini (di Soile Lautsi) hanno vissuto una situazione di marginalizzazione, si sono sentiti in una posizione minoritaria”.

Per questo motivo, il legale della Lautsi ha denunciato il rischio di una “tirannia della maggioranza”.

Nell’udienza è stato coinvolto Gregor Puppinck, direttore dello European Centre for Law and Justice (ECLJ), perché questa istituzione si è posta ufficialmente parte terza con 79 membri dei Parlamenti europei.

In alcune dichiarazioni concesse a ZENIT, Puppinck ha confessato che “lo European Centre for Law and Justice ripone grande speranza nel fatto che la Corte abbia capito che il diritto dei non credenti di non credere non può eclissare i diritti dei credenti”.

“L’ECLJ spera anche che la Corte capisca che non può e non dovrebbe richiedere a uno Stato di rinunciare alla propria identità profonda nel nome della tolleranza e della filosofia dei diritti umani”, ha proseguito.

“Il vero pluralismo inizia con il rispetto tra i Paesi”, sostiene Puppinck. “Contrariamente a quanto sostiene il consulente legale della signora Lautsi, la ‘laïcité’ non è una richiesta della Convenzione”.

La decisione della Corte non verrà resa nota fino all’autunno, o perfino al periodo natalizio.

E’ interessante notare che in totale sono stati 14 gli Stati membri del Consiglio d’Europa che si sono opposti alla decisione originaria sostenendo l’Italia, ha considerato Puppinck.

Oltre ai dieci Paesi rappresentati da Weiler, che partecipano ufficialmente alla causa, altri hanno dato il proprio sostegno ufficiale al crocifisso, tra cui Ucraina, Moldova, Albania e Serbia.

La partecipazione degli Stati è senza precedenti, a dimostrazione dell’importanza della questione per tutta l’Europa.

Publié dans:Crocifisso (il) |on 1 juillet, 2010 |Pas de commentaires »

Sul crocifisso, 10 Paesi sostengono l’Italia davanti al Tribunale Europeo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-22692?l=italian

Sul crocifisso, 10 Paesi sostengono l’Italia davanti al Tribunale Europeo

Nell’elenco figura anche la Russia

di Jesús Colina

STRASBURGO, martedì, 1 giugno 2010 (ZENIT.org).- Per la prima volta nella storia della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, dieci Stati membri, tra cui la Russia, si sono dichiarati « amicus curiae », cioè parte terza, davanti alla sentenza emessa contro lo Stato italiano che proibisce l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e che sarà vagliata dalla Gran Camera di questo Tribunale il 30 giugno prossimo.

Il Tribunale ha comunicato questo martedì allo European Centre for Law and Justice (ECLJ) la lista dei membri che si sono schierati in difesa dell’Italia: Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, San Marino, Romania e Federazione Russa.

Questi dieci Stati, che fanno parte delle 47 nazioni del Consiglio d’Europa, hanno chiesto formalmente al Tribunale di potersi presentare ufficialmente come « parte terza » quando verrà istruito il processo davanti alla Gran Camera. La condizione di « parte terza » permette agli Stati di poter presentare in forma ufficiale al Tribunale osservazioni scritte e orali.

Questi paesi intendono intervenire in appoggio dello Stato italiano che sta facendo di tutto per far annullare la sentenza del mese di novembre scorso che proibisce i crocifissi nelle scuole pubbliche. Allo stesso tempo, dodici organizzazioni non governative (ONG) sono state ammesse dal Tribunale come « parte terza ». Finora nessuno Stato o ONG è intervenuto a sostegno della sentenza.

Oltre a questi dieci Stati membri, altri Stati si sono pronunciati contro la sentenza del 3 novembre 2009, come l’Austria o la Polonia che hanno rilasciato dichirazioni politiche rispettivamente il 19 novembre e il 3 dicembre 2009.

« Si tratta di un precedente importante per la vita del Tribunale, perché in generale gli Stati membri si astengono dall’intervenire o intervengono solo quando il caso colpisce un cittadino del proprio Stato », ha spiegato a ZENIT Gregor Puppinck, direttore dello European Centre for Law and Justice.

« Il ‘caso del Crocifisso’ è unico e non ha precedenti. Dieci Stati hanno deciso di spiegare alla Corte qual è il limite della sua giurisdizione e qual è il limite della sua capacità di creare nuovi ‘diritti’ contro la volontà degli Stati membri. In tutto ciò si può scorgere un controbilanciamento del suo potere », ha aggiunto Puppinck in alcune dichiarazioni a ZENIT.

Il « caso del Crocifisso”, noto anche come “caso Lautsi”, è stato rimesso alla Gran Camera del Tribunale dopo che il Governo italiano aveva presentato ricorso il 28 gennaio scorso contro la sentenza emessa dalla Sezione Seconda del Tribunale il 3 novembre 2009.

In questa prima istanza, il Tribunale si era espresso affermando che la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche è “contraria al diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e con il diritto dei bambini alla libertà di religione”, perché gli studenti potrebbero avvertire “di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione”.

Il Tribunale ha continuato con l’affermare che la presenza del crocifisso poteva risultare “sconvolgente emotivamente” per il figlio della signora Lautsi (colei che ha presentato il ricorso) e che non avrebbe permesso di “insegnare agli allievi un pensiero critico” o quel “pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica”.

Il Tribunale concluse che si trattava di una violazione dell’articolo 2 del Protocollo numero 1 (Diritto all’educazione), come dell’articolo 9 (libertà religiosa) della Convenzione.

Questa decisione è stata duramente criticata da parte di esperti politici e giuristi di vari Stati europei e giudicata come un’imposizione del « laicismo ». In concreto, è stato detto che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non prevede che lo Stato “è tenuto alla neutralità confessionale nel quadro dell’istruzione pubblica obbligatoria” o in qualunque altro settore pubblico.

In realtà, vari Stati membri del Consiglio d’Europa sono « Stati confessionali », nel senso che hanno una religione ufficiale o riconoscono Dio nelle loro leggi e costituzioni.

Nel demandare lo scorso 2 marzo alla Gran Camera la decisione sul “caso Lautsi”, il Tribunale ha riconosciuto che la sentenza del novembre scorso solleva gravi problemi legali e deve essere riconsiderata per la formazione del tribunale.

Lo scorso 29 aprile, il Governo italiano ha presentato il suo memorandum al Tribunale spiegando che i giudici di Strasburgo non hanno competenze per imporre il laicismo ad un paese, in particolare all’Italia, una nazione caratterizzata in maggioranza da fedeli che praticano e si identificano nella religione cattolica.

La decisione del Tribunale, successiva all’udienza pubblica della Gran Camera che si terrà il 30 giugno, sarà pubblicata alla fine dell’anno.

Publié dans:Crocifisso (il) |on 2 juin, 2010 |Pas de commentaires »

La Croce: Realtà teologia simbolo

dal sito:

http://www.teclise.it/la_parola/Sito.La%20Parola.6.la%20croce.doc

LA CROCE
Realtà teologia simbolo

 Se vogliamo caratterizzare come cristiano un luogo o un oggetto lo contrassegniamo con una croce. Già questo fatto ci indica che la croce costituisce il fondamento, il nucleo e la rivelazione della vita cristiana. Il mistero della croce di Gesù è una realtà vivente e tuttora operante.
 Uno sguardo sommario ad alcuni scritti del Nuovo Testamento ci aiuterà a capirne la portata.

Il Crocefisso nell’annuncio della chiesa primitiva o Kerygma

 Il nucleo fondamentale del mistero di Cristo lo troviamo nella prima predicazione degli apostoli, sintetizzata in quello che viene definito il Kerygma, attestato da Paolo nella prima lettera ai Corinti (1 Cor 15,3-5) e nei discorsi di Pietro negli Atti degli Apostoli (i discorsi ai quali ci si riferisce sono quelli di Pietro il giorno della Pentecoste (At 2,14-40), dopo la guarigione dello storpio: At 3,12-26; davanti al Sinedrio: At 4,8-12; davanti al Sinedrio, assieme agli apostoli: At 5,29-32; a Cornelio: At 10,34-43; il discorso di Paolo ad Antiochia: At 13,16-41.
Nei discorsi degli Atti degli Apostoli il kerygma è articolato attorno ad un nucleo costituito dal binomio: « Voi l’avete ucciso – Dio lo ha risuscitato » (cf. At 2,23s.32; 3,13-15; 4,10; 5,30s; 10,39). Della morte di Gesù è detto solamente che fu « secondo il piano e la prescienza di Dio » (At 2,23). In quello che viene definito il kerygma paolino (1 Cor 15,3-5) è specificato che Gesù è morto per i nostri peccati: non solo i peccati sono stati la causa della morte di Cristo, ma egli si è offerto alla morte al fine di espiarli e cancellarli (cf. Ga 1,4; Ro 3,25; 4,25; 8,3).
 
Il Crocefisso nel messaggio dei vangeli

 Il racconto della passione è l’apice e la parte più sviluppata della narrazione dei vangeli. Non è solamente la conclusione, ma è soprattutto il momento nel quale la missione di Gesù trova il suo compimento e la sua pienezza.

Marco
 In Marco, ritenuto il più antico nella sua redazione, fin dall’inizio tutto il Vangelo è teso verso la passione: « verranno giorni in cui lo sposo verrà tolto » (Mc 2,19s); subito incominciano le cospirazioni per toglierlo di mezzo (Mc 3,6) e Gesù entra in un progressivo isolamento. E’ soprattutto la triplice predizione della passione, nella seconda parte del vangelo, a segnare le tappe progressive che portano alla croce (cf. Mc 8,31; 9,31; 10,32-34). Specialmente la prima e la terza, sono legate al motivo della sequela, cioè, parlando del suo viaggio verso la croce Gesù invita i discepoli a seguirlo; ma tutte restano incomprese, cioè, non entrano nei parametri di una logica umana.
 E’ soprattutto il rapporto con la professione di fede di Pietro (Mc 8,29) che illumina tutto il contesto della prima predizione della passione: l’accettazione del mistero della croce fa parte della retta professione di fede. Risulta così chiara l’intenzione di Marco in tutto questo brano: egli unisce la confessione di fede di Pietro, la predizione della passione e il motivo della sequela per dirci che la professione di fede che emette la chiesa dopo la pasqua può trovare un inciampo o essere incompresa o offuscata se non si accetta la croce; la via della croce deve essere proclamata « apertamente » (Mc 8,32). Pietro, che non accetta la predizione di Gesù, viene definito « satana ». La riluttanza di Pietro è comprensibile, perché la via di Gesù diventa anche la via del discepolo.
 Nel racconto della passione di Marco risaltano evidenti alcune sottolineature.
 Nella croce si rivela chi è realmente quel Gesù sul quale durante la vita terrena era calato come un velo che ne nascondeva la vera natura (Gesù era avvolto da quello che viene definito « il segreto messianico »); durante la passione, invece, ci è detto che Gesù è il Messia, figlio del Benedetto (Mc 14,61), il re dei giudei (Mc 15,2), il Figlio di Dio (15,39).
 La via della croce di Gesù è la via di ogni discepolo, che lo deve seguire non da lontano, come Pietro (cf. Mc 14,54), ma fino alla croce, come le donne (cf. Mc 15,40s).
 La croce segna la fine di ogni attesa messianica temporale, e l’accesso diretto a Dio di tutti, compresi i pagani; infatti, si squarcia il velo di separazione del tempio (cf. Mc 15,38) ed è proprio un soldato pagano che emette la prima e autentica professione di fede alla quale tende tutto il vangelo: « costui era veramente il figlio di Dio » (Mc 15,39).

Matteo
 Matteo accentua più di Marco l’unità fra la passione e la risurrezione di Gesù: la passione, più che una rivelazione di Gesù è un passaggio verso la sua intronizzazione (cf. Mt 28,16-20).
 Nel racconto della passione Matteo inserisce con maggiore evidenza la passione nel piano di Dio rivelato nelle Scritture, introducendo citazioni scritturistiche riferite anche a singoli particolari della narrazione (cf. Mt 26,54.56; 26,15; 27,9s e Zac 11,12; 27,34 e Sal 69,22; 27,43 e Sal 22,9; Sap 2,17-20).
 Durante la passione, Gesù è anche un esempio per i suoi discepoli, sia nella preghiera obbediente (Mt 26,39-41) che nella adesione a Dio da adottare invece della violenza (Mt 26,52).

Luca
 Luca inserisce il racconto e la teologia della passione al centro della sua opera, concepita come un grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme (Vangelo), proseguito dalla chiesa che parte da Gerusalemme per arrivare fino ai confini della terra (Atti degli Apostoli). Perciò, Gerusalemme è al centro dell’interesse di Luca. In Gerusalemme si compie il mistero della morte, risurrezione e ascensione di Gesù e il dono dello Spirito Santo. All’interno di questo grande quadro geografico e teologico, la morte di Gesù acquista una posizione centrale: la vita di Gesù, dal versetto 51 del capitolo 9 del Vangelo, è un cammino verso la croce (cf. Lc 9,53; 13,33s; 17,11; 18,31; 19,11). Ma per Luca, in coerenza con un interesse mostrato pure altrove, il cammino di Gesù è anche il cammino del discepolo, per cui il maestro, incamminato verso Gerusalemme, invita subito chi vuole stare con lui a seguirlo in quel cammino (Lc 9,57-62).
 Gesù muore in perfetta adesione e donazione al Padre. La sua preghiera sulla croce non è il grido di chi si sente abbandonato (cf. Mc 15,34), ma invocazione dell’amore che perdona (Lc 23,34), promessa di salvezza (Lc 23,43) e abbandono filiale al Padre (Lc 23,46).
 La croce, però, non è la conclusione della vita di Gesù, ma la via all’esaltazione: « Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? » (Lc 24,26).
 Per penetrare nel mistero di Gesù il discepolo deve contemplare la croce. La contemplazione è l’atteggiamento di chi segue Gesù e fonte di conversione: mentre i capi scherniscono Gesù, il popolo sta a contemplare (Lc 23,35.48); alla contemplazione della croce il popolo se ne ritorna percotendosi il petto (Lc 23,48); il centurione romano contemplando l’accaduto glorifica Dio (Lc 23,47); tutta la narrazione della passione termina con la nota delle donne contemplanti (Lc 23,49).
 La contemplazione della croce è fonte di salvezza.

Giovanni
 Fra i Vangeli, Giovanni presenta una visione tutta particolare della croce, in sintonia con la tematica e le caratteristiche generali del Vangelo.
La croce di Gesù, in quanto rivelazione suprema dell’amore e dell’unità di vita di Gesù con il Padre, è intesa in termini di glorificazione: « E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto » (Gv 12,23s).
 La passione e la croce sono l’apice della rivelazione di Gesù: « Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che io sono … » (Gv 8,28s).
Nessuna meraviglia, quindi, se le fasi decisive del racconto della passione sono presentate come momenti di una intronizzazione regale che va dal processo davanti a  Pilato fino alla crocifissione.
 Da questa intronizzazione regale nascono i frutti della salvezza, sintetizzati al Calvario in 5 scene simboliche, da contemplarsi come 5 quadri indipendenti, senza successione cronologica: nella prima scena, con la tabella affissa sulla croce sopra il capo di Gesù  abbiamo la proclamazione della regalità universale di Gesù e la reazione dei giudei (Gv 19,19-22); nella seconda, l’azione dei soldati che non vogliono scindere la tunica inconsutile sottolinea l’unità della comunità di Gesù (Gv 19,23-24); nella terza, con l’affidamento della Madre al discepolo che sta ai piedi della croce è raffigurata la costituzione della nuova comunità messianica (Gv 19,25-27); nella quarta, è raffigurato il compimento dell’opera di Gesù, con l’emissione dello Spirito (Gv 19,28-30); nella quinta, con la salvaguardia delle ossa che non vengono spezzate e con l’uscita di acqua e sangue dal costato sono raffigurati i doni della redenzione (Gv 19,31-37).
 Si può comprendere, allora, perché Giovanni vede nella croce il trono regale della glorificazione di Gesù: essa è la rivelazione di Gesù Figlio unigenito del Padre, che dalla croce esercita la sua signoria sui credenti comunicando loro lo Spirito e la vita (cf. At 2,34-36; Fil 2,11); nella croce Giovanni vede già presenti i frutti della salvezza operata da Gesù.

Paolo

 La riflessione sulla croce viene sviluppata in maniera particolare da S. Paolo il quale vede concentrata nella morte di Cristo tutta la forza dell’amore travolgente e rinnovatore di Dio per gli uomini. E’ solo nella croce di Gesù Cristo che gli uomini possono sperare, e non nelle loro opere. E’ un messaggio di speranza, quello di Paolo, perché basa la salvezza non tanto sulla osservanza, più o meno perfetta, della legge manifestata da Dio, quanto sulla carica di amore che Dio ha manifestato per noi proprio nella croce di Cristo (Ro 5,7-10). Naturalmente, per essere efficace, l’amore deve coinvolgere, e quindi trasformare l’intimità del cuore.
La vera liberazione, per Paolo, non sta nell’eliminazione delle tante trasgressioni, ma nel superare e togliere la forza maligna che è nel cuore dell’uomo, sostituendola con una forza superiore, cioè l’amore, dono dello Spirito. Con la sua morte Cristo ci ha liberati dal peccato (Ro 6,22).
Ma la croce è diventata anche nuovo criterio di valutazione e di scelta, è la « sapienza di Dio » e del cristiano, cioè, ci offre il criterio di giudizio e di comportamento: questo criterio è Gesù stesso, che è il Messia, ma non nel suo aspetto potente e prodigioso, bensì in quanto crocifisso, svuotato di ogni forza e pretesa umana e carico solo di amore, di donazione di sé e di adesione a Dio. Questa sapienza diventa la logica della vita cristiana. Il che significa che il cristiano si lascia illuminare e condurre dall’amore di Cristo che ha donato la vita per lui.
Il discorso della croce e della morte di Cristo diventa un discorso di vita cristiana. L’evento unico e irripetibile del Calvario sfocia in un divenire continuo, contemporaneo a tutti gli uomini e interno a ciascun uomo: « Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova » (Ro 6,3-12). Il cristiano rivive il mistero della morte di Gesù Cristo.
La croce, così, capovolge ogni impostazione e valutazione puramente umana della vita, ponendo l’amore di Dio in Gesù Cristo al centro di ogni aspirazione e regolando anche il comportamento nei confronti dei fratelli (1 Cor 8,11; Ro 14,15).

La croce come simbolo

 Nella chiesa primitiva le riflessioni teologiche hanno presto  assunto una multiforme simbologia, collegandosi a immagini e testi dell’Antico Testamento, oppure a concezioni cosmiche o antropologiche che impregnavano la cultura del primi secoli cristiani. Questa simbologia si è sviluppata prevalentemente in ambienti giudeo-cristiani.
 
Simbologia tratta dalla bibbia
In ambiente giudeo-cristiano è spontaneo l’accostamento della croce a immagini o testi conosciuti attraverso l’Antico Testamento.
Per indicare la croce come sorgente di vita si fa riferimento all’albero della vita e all’albero della conoscenza del bene e del male descritti in Gen 2; così negli ossuari la croce viene rappresentata come una piantina terminante in forma di croce. Questa simbologia è utilizzata da scrittori come Ignazio, Giustino, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino.
La croce come legno di salvezza è illustrata anche con il riferimento all’arca di Noè (Gen 6-9): la croce viene così raffigurata come una nave galleggiante nell’acqua, con un palo verticale e un apice obliquo che sostiene la vela. Anche questo simbolo, oltre che da graffiti, è applicato da alcuni autori come Minucio Felice, Tertulliano, Girolamo.
Al ciclo dei Patriarchi e dell’Esodo si ispira il simbolo della croce come bastone, richiamando il bastone di Giacobbe, quello di Mosè e la verga di Davide. Sempre all’esodo si ispira la croce come lintello, stipite spalmato col sangue dell’agnello pasquale (cf. Es 12,22s) che assicura la protezione di Dio per chi entra ed esce per quella porta. Girolamo afferma che il sangue spalmato sugli stipiti degli ebrei in Egitto aveva la forma di Tau.
Sempre ispirato dal ciclo dell’esodo, è il simbolo del serpente, già adottato da Giovanni nel suo vangelo: « E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna » (Gv 3, 14s). Per Ireneo, Tertulliano e Cirillo il serpente e il palo furono tipi del Crocifisso e della croce. Tale raffigurazione è testimoniata soprattutto dagli ossuari del Dominus Flevit, a Gerusalemme.
Anche la croce formata dalle braccia aperte si ispira a scene bibliche che parlano dell’estensione delle mani come in Giacobbe (Gn 49,8), Mosè (Dt 33,3): con tale rappresentazione si voleva ricordare l’opera pacificatrice del Crocifisso, che ha riunito gli ebrei con i gentili. Tale raffigurazione è presente nelle catacombe ed è ricordata nella Lettera di Barnaba, nella Didaché, in Giustino, Ireneo.

Simbologia ispirata dalle concezioni culturali del tempo
 Per esprimere la propria visione teologica la chiesa primitiva si riferì anche alla cultura del tempo, che ispirò anche la simbologia della croce, dandole una dimensione cosmica. Ciò avvenne soprattutto nella componente di provenienza gentile ellenistica.
 Forse la più conosciuta e diffusa è la croce cosmica, formata da una X inclusa in un cerchio. Questa croce è considerata l’anima dell’universo che collega con il tronco verticale il cielo e la terra e con quello orizzontale gli ebrei e i gentili, già divisi da un muro di separazione (cf. Col 1,20; Ef 2,14). Questa croce costituisce il tessuto connettivo del cosmo, legando in unità tutte le realtà esistenti.
 Altro modello è quello della croce dei venti: forse ispirata da Ef 3,18s e fondata sul concetto della forma quadrata del mondo, è iscritta dentro un quadrato e vuole significare l’unione dei quattro punti cardinali e la riunione dei due popoli, ebrei e gentili.

Simbologia legata alla forma della croce
 La forma della croce suggerisce altri simboli. Fra gli altri, la croce come pianta cosmica che, radicata sulla terra, svetta fino al cielo; è un albero dalle dimensioni celesti, sostegno dell’universo e di tutta la terra abitata. La croce è raffigurata anche come scala cosmica, fondata sulla visione di Giacobbe (Gen 28,12) e sul vangelo di Giovanni (Gv 1,51): essa è la via per salire al cielo, come sottolineano Giustino e Ireneo.

Simbologia legata agli effetti della croce
 Molti simboli vogliono sottolineare la potenza e l’efficacia salvifica della croce. Questa forza è stata espressa mediante il simbolo del corno. Così, si trovano croci con uno, due, tre, sei, sette, otto corni, a seconda della simbologia legata ai numeri.
 La croce come aratro, testimoniata da graffiti e da testi di Ireneo, Minucio Felice, Massimo di Torino, è intesa con una molteplice simbologia: prepara il terreno per la semina della grazia, è simbolo della pacificazione mediante la trasformazione delle spade in vomeri (Is 2,4), ha la forma di una croce formata dal timone attraversato dal giogo, rompe la terra per ridarle nuova vita.
 Da ricordare anche la croce in forma di ascia. Formata da legno e ferro, indica l’unione ipostatica del Verbo con la natura umana; è pegno di salvezza dopo la caduta, in quanto il legno tiene a galla il ferro …
 Sempre per esprimere l’efficacia salvifica della croce per tutti gli uomini, attorno al luogo della crocifissione si sviluppò il ciclo di Adamo, Melchisedech e Abramo. Una tradizione ebraica collocava sul monte Moria la creazione, la vita e la morte di Adamo, come pure il sacrificio  di Abramo che si appresta a immolare il figlio Isacco. Una tradizione cristiana trasferisce al Golgota i motivi legati al monte Moria, per cui nasce la leggenda teologica secondo la quale Adamo fu sepolto in una grotta sul Golgota; sopra quella grotta fu issata la croce di Gesù il cui sangue, sceso attraverso le fessure della roccia, bagnò le ossa di Adamo, redimendo lui e tutta la sua discendenza; da questa leggenda nasce la tradizione di raffigurare un cranio sotto i piedi del Crocifisso.
 Fondata sulla teologia degli scritti del Nuovo Testamento, la simbologia della croce toccò il suo apice nel II secolo. Ma anche nella grande chiesa che si sviluppa dopo la quasi estinzione della componente giudeo cristiana la simbologia della croce registra una grande evoluzione. Letta alla luce della risurrezione, la croce da supplizio infamante (« Fra tutte le morti non ce n’era una peggiore di quella della croce »: S. Agostino) si trasforma in trofeo di vittoria: « Niente era allora così insopportabile nella carne, niente è adesso così glorioso sulla fronte come il segno della croce » (S. Agostino).
 Fra la ricchezza della simbologia si può ricordare l’immagine usata da Cromazio di Aquileia: « La luce dell’incarnazione brilla alta sul candelabro! Si tratta della luce posta sul candelabro della croce: necessariamente rende splendidamente illuminata tutta la casa, cioè la chiesa »: l’incarnazione è la lucerna, la croce è il candelabro, la chiesa è la casa dove brilla la luce di Dio.
 In tutte queste immagini è evidente l’influsso della teologia di Giovanni che vede la croce come esaltazione del Figlio di Dio. Anche l’iconografia concorre a diffondere questa immagine della croce gloriosa. La basilica di S. Apollinare in classe a Ravenna rappresenta il trionfo della croce in un campo stellare che riempie le dimensioni del cosmo, con al centro Cristo, la gemma più preziosa. Sempre a Ravenna, nel battistero degli ariani, la croce è intronizzata su un cuscino di porpora collocato su un seggio regale. Nel mosaico medievale che riempie il catino absidale della basilica di S. Clemente a Roma vediamo Cristo glorioso dolcemente posato sulla croce, al centro di un campo rigoglioso di vegetazione e di simboli di vita, sotto il segno della mano del Padre che si accinge a incoronarlo.

 La croce, luogo in cui Cristo ha offerto la sua vita e ha manifestato il suo amore per noi, attraverso l’approfondimento teologico operato dai Vangeli e da San Paolo e la lettura simbolica trasmessa dai cristiani di tutte le epoche, continua ad essere fermento vivo e tuttora operante in tutti coloro che si aprono alla sua forza e al suo messaggio vivificanti.
          Tecle Vetrali

Publié dans:Crocifisso (il), Teologia |on 5 mars, 2010 |Pas de commentaires »

San Michele, l’angelo della Croce

dal sito:

http://www.zenit.org/article-20210?l=italian

San Michele, l’angelo della Croce

di don Marcello Stanzione*

ROMA, venerdì, 6 novembre 2009 (ZENIT.org).- E’ di questi giorni la sentenza della Corte europea che ha intimato all’Italia di togliere i crocifissi dai luoghi pubblici. E’ un ennesimo attacco cristofobico di una sparuta minoranza atea ed oscurantista al sentire comune di una nazione che vede nella croce la radice della propria civiltà.

La liturgia della Chiesa ha definito san Michele come il porta-stendardo di Cristo. “Egli è, ella proclamava nella liturgia tridentina della liturgia delle ore nel giorno della sua festa, Quel vincitore che dispiega lo stendardo della salvezza, la Croce”.

Una leggenda dice che Costantino imperatore, fedele seguace del credo monoteistico del “Sol Invictus”, passò alla nuova confessione cristiana dopo la lotta con Massenzio, nel corso della quale gli apparve nell’aria una croce luminosa recante la scritta: “In hoc signo vinces, cioè In questo segno vincerai”, che gli assicurava la vittoria contro il numero preponderante di nemici.

Successivamente secondo la leggenda in un sogno fatto da Costantino, l’arcangelo Michele si manifestò come il “Signore delle milizie celesti” ed il “Campione della dottrina della Chiesa attribuendo a se stesso il merito del trionfo”.

Da quel momento Costantino fu molto legato all’immagine dell’archistratega, tanto che il tempio in onore di Vesta da lui fatto costruire nella città di Costantinopoli venne da lui stesso chiamato con il nome di “Michaelium” perché si credeva che lì si fosse mostrato San Michele.

Nell’opera d’arte “Trittico di San Michele” di Gerard David del 1510 circa, custodita al Kunsthistoriches Museum, lo scudo di san Michele porta l’immagine della Croce, lo stesso vessillo della resurrezione di Cristo, segno della vittoria sulla morte e sul male.

La lancia di San Michele, l’arma con cui combatte e sconfigge il demonio è una croce astile: un raro ma significativo motivo iconografico. Sotto i piedi dell’Arcangelo una serie di figure mostruose rappresentano il demonio e il male che esso porta nel mondo.

Sullo sfondo le schiere dell’esercito celeste comandato da san Michele combattono contro gli angeli ribelli, gli angeli del diavolo e li precipitano a terra. Afferma un teologo domenicano: “Il principio fondamentale della vittoria su satana è la croce di Cristo per la potenza dello Spirito e l’intercessione della Madonna; ma la forza che immediatamente viene applicata, il potere, per così dire esecutivo di Cristo e della sua Santissima Madre è, come satana, una creatura angelica, e – secondo la Tradizione cristiana – il capo di tutti gli angeli sani e fedeli a Dio: San Michele Arcangelo”.

“Il culto verso questa creatura angelica, santa e sublime, è antichissimo, comune alla Chiesa Occidentale e a quella Orientale. Tale culto ha recentemente subito un notevole declino proprio in concomitanza – non è un caso – con la diminuita importanza che si da alla lotta contro il demonio. Ma ciò non giova affatto ad un vero progresso né in campo ecclesiale né in quello della vita interiore delle singole anime” (G. CAVALCOLI, La buona battaglia, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1986, p. 55).

Tutto nella religione cattolica si fa attraverso la Croce. L’umiliazione di Gesù sulla Croce fu il motivo della sua esaltazione nella resurrezione. A lui viene affidato il regno sugli uomini, mentre satana viene detronizzato dall’impero che aveva ottenuto sull’umanità con la disobbedienza di Adamo. Dal momento della resurrezione di Gesù scoppia una guerra in terra, a somiglianza della guerra avvenuta in cielo tra Michele e i suoi angeli e il drago e i suoi angeli. Il diavolo si scaraventa furioso contro i seguaci di Gesù, suscitando contro di loro e la Chiesa tutte quelle straordinarie potenze religiose, economiche, ideologiche e politiche su cui domina.

Attraverso il segno della croce il cristiano è battezzato, è fortificato nella legge, è benedetto e purificato durante la sua vita ed al momento della sua morte. Infine, è all’ombra di questo segno protettore ch’egli riposa nella tomba. Tutto in lui è marcato da questo segno divino, tutto nel suo essere deve portarlo, la sua fronte, come un’impronta gloriosa; il suo cuore, come uno scudo invincibile.

La Croce ha dunque un grande posto nella vita dell’uomo. E’ così da quando Gesù l’ha lasciata al mondo come memoriale delle sue sofferenze e la prova del suo amore ineffabile.

Ma, lasciandola, egli ha dovuto affidarla ad uno dei suoi angeli. Quest’incarico toccava a san Michele, poiché san Michele, secondo numerosi teologi del passato, era stato il suo consolatore nell’orto dell’agonia, e l’aveva assistito durante le tre ore mortali dove era rimasto sospeso a questo sacro legno.

San Michele è quindi l’angelo della Croce. Come già abbiamo notato, egli la mostrò in visione a Costantino che divenne il primo imperatore cristiano. La Tradizione crede, in effetti, che sia stato san Michele che venne a presentare il Labarum a Costantino ed alle sue truppe.

Sempre secondo la leggenda sarebbe su sua ispirazione che la madre dell’imperatore, santa Elena trovò il posto del legno sacro, e fu col suo aiuto che più tardi l’imperatore Eraclio trionfò sui Persiani e potè recuperare la vera Croce caduta nelle loro mani.

San Michele è l’angelo della Croce. E’ attraverso i raggi d’una croce splendente che si mostrava a San Francesco d’Assisi, quando gli impresse nella sua carne le stimmate del Salvatore. E’ questo lo stendardo che è stato dispiegato al fronte dagli eserciti cristiani, come fecero i Portoghesi contro i Mori nel XII secolo. Egli lo dispiega sempre a protezione delle anime per mettere in fuga i loro nemici infernali.

San Michele è l’angelo della Croce. Molti uomini politici del nostro tempo non possono sopportare la vista di questo segno divino. Essi vogliono distruggerlo. I loro sforzi per strappare questo legno benedetto saranno vani: quando tutto marcisce e secca, esso è sempre verde; quando tutto invecchia, rimane sempre giovane; quando tutto muore, è sempre vivente. Quando le tempeste hanno soffiato dalla terra e dall’inferno, essa, sfidando i loro sforzi impotenti, è rimasta in piedi sotto la custodia di san Michele.

Amiamo il simbolo della Croce. A ranghi serrati, raggruppiamoci intorno ad essa, vicino a san Michele. Un giorno essa apparirà in cielo. E’ san Michele che la presenterà ai popoli della terra. Noi ci ritroveremo allora nel raggio della sua gloria, vicino all’arcangelo, per l’eterno trionfo nel Paradiso.

———–

* Don Marcello Stanzione è il Presidente dell’Associazione Milizia di San Michele Arcangelo

Publié dans:Arcangeli, Crocifisso (il) |on 6 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Il Crocifisso e San Francesco: questo è il rapporto del Patrono d’Italia con il crocifisso (ci chiederanno di cambiare Patrono?)

dal sito:

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20001117_tom-da-celano_it.html

Il Crocifisso di S. Damiano

10. « Era già del tutto mutato nel cuore e prossimo a divenirlo anche nel corpo, quando, un giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti. Condotto dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è così profondamente commosso, all’improvviso – cosa da sempre inaudita! (Gv 9,32) – l’immagine di Cristo crocifisso, dal dipinto gli parla, movendo le labbra. «Francesco, – gli dice chiamandolo per nome (Cfr Is 40,26) – va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». Francesco è tremante e pieno di stupore, e quasi perde i sensi a queste parole. Ma subito si dispone ad obbedire e si concentra tutto su questo invito. Ma, a dir vero, poiché neppure lui riuscì mai ad esprimere la ineffabile trasformazione che percepì in se stesso, conviene anche a noi coprirla con un velo di silenzio.
Da quel momento si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può piamente ritenere, le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore.

11. Cosa meravigliosa, mai udita! chi non è colpito da meraviglia? E chi, o quando mai ha udito qualcosa di simile? Nessuno potrà dubitare che Francesco, prossimo a tornare alla sua patria, sia apparso realmente crocifisso, visto che con nuovo e incredibile miracolo Cristo gli ha parlato dal legno della Croce, quando – almeno all’esterno – non aveva ancora del tutto rinunciato al mondo! Da quel momento, appena gli giunsero le parole del Diletto, il suo animo venne meno (Cfr. Ct 5,6). Più tardi, l’amore del cuore si rese palese mediante le piaghe del corpo. Inoltre, da allora, non riesce più a trattenere le lacrime e piange anche ad alta voce la passione di Cristo, che gli sta sempre davanti agli occhi. Riempie di gemiti le vie, rifiutando di essere consolato al ricordo delle piaghe di Cristo. Incontrò un giorno, un suo intimo amico, ed avendogli manifestato la causa del dolore, subito anche questi proruppe in lacrime amare.

Intanto si prese cura di quella immagine, e si accinse, con ogni diligenza, ad eseguirne il comando. Subito offrì denaro ad un sacerdote, perché provvedesse una lampada e l’olio, e la sacra immagine non rimanesse priva, neppure per un istante, dell’onore, doveroso, di un lume. Poi, si dedicò con impegno al resto, lavorando con intenso zelo a riparare la chiesa. Perché, quantunque il comando del Signore si riferisse alla Chiesa acquistata da Cristo col proprio sangue (At 20,28), non volle di colpo giungere alla perfezione dell’opera, ma passare a grado a grado dalla carne allo spirito. »

Tommaso da Celano, Vita seconda di San Francesco d’Assisi, nn. 593-594 

Preghiera:

O Dio, che hai impresso nel cuore e nel corpo di San Francesco i segni della tua passione e sei apparso a lui nella sofferenza della croce chiedendo il suo aiuto, trasforma anche noi nel profondo perché diventiamo sempre più simili al Signore Gesù e, conformandoci alla sua croce, annunciamo a tutti la gioia della resurrezione. Rinnova, Padre buono, la tua Chiesa, perché sia testimone del tuo amore fino agli estremi confini della terra, Te lo chiediamo per Gesù Cristo, Tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Si sveglia l’Europa cristiana: reazioni alla sentenza sul crocefisso

voglio dire qualcosa prima di postare questo articolo, questa – purtroppo – non è politica, ma indica il pericolo di un’estremo degrado morale nella identità dell’Europa oltre che dell’Italia, dal sito:

http://www.zenit.org/article-20178?l=italian

Si sveglia l’Europa cristiana: reazioni alla sentenza sul crocefisso

Viene così negato un simbolo della storia e della cultura italiana

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 4 novembre 2009 (ZENIT.org).- La sentenza con cui la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo chiede la rimozione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane ha scatenato una indignazione popolare.
Il caso è stato sollevato dalla signora Soile Lautsi, cittadina italiana originaria della Finlandia la quale nel 2002 chiese di togliere i crocefissi dall’aula dell’Istituto statale « Vittorino da Feltre » di Abano Terme, frequentato dai suoi due figli.

La direzione della scuola le comunicò che i crocefissi sarebbero restati al loro posto.  La signora Lautsi iniziò una battaglia legale denunciando la scuola al Tar del Veneto, poi presso la Corte Costituzionale, davanti al Consiglio di Stato ed alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

In tutti i gradi di giudizio in Italia le autorità giudiziarie italiane risposero che i crocefissi dovevano restare al loro posto perchè, ha scritto tra l’altro il Consiglio di Stato “in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana”.

Ora la Corte Europea sostiene che i crocefissi dovranno essere rimossi dalle aule delle scuole italiane perchè tale presenza costituisce « una violazione dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni » e una violazione alla « libertà di religione degli alunni ».

La sentenza emessa dal tribunale europeo, la prima in assoluto in materia di esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche, ha anche previsto che il governo italiano dovrà pagare alla donna un risarcimento di cinquemila euro per danni morali.

Mentre « il governo ha già presentato ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo », in Italia, sulla rete e nei mezzi di comunicazione di massa si sta assistendo ad una vera e propria rivolta popolare in difesa del crocefisso.

Francesco Belletti, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari. ha affermato che il crocefisso è “il riconoscimento delle propria identità, e quindi delle radici cristiane della società italiana ed europea” che parla nel nostro Paese di una stragrande maggioranza degli studenti e delle famiglie che scelgono l’insegnamento della religione cattolica.

Stefano Aviani Barbacci, presidente del Movimento per la Vita di Viterbo, intervistato da ZENIT ha ricordato che “i crocifissi si trovano sui muri delle aule italiane fin dai tempi di Cavour” e la sentenza di Stasburgo “contraddice e sovverte i precedenti pronunciamenti del Tar del Veneto e del Consiglio di Stato che avevano invece riconosciuto nel crocefisso un simbolo della storia e della cultura italiana, un richiamo a quei principi di eguaglianza, libertà, tolleranza e laicità che proprio nel cristianesimo trovano il loro fondamento storico e che hanno impregnato di sé tradizioni, modi di vivere e cultura del popolo italiano ».

Il dott. Aviani rileva lo scarto gravissimo tra “l’Unione Europea dei trattati e delle regole e l’Europa della nostra storia, della nostra fede, della nostra cultura. Le due cose sempre meno coincidono ed il rischio è che la prima serva a seppellire la seconda”.

“Il rischio – ha sottolineato il presidente del MpV di Viterbo – è che la UE sia consapevolmente utilizzata da alcune elite economiche e culturali per demolire un’identità cristiana che l’organocrazia dirigista e tecnocratica che guida il continente reputa ormai un intralcio da rimuovere se non addirittura uno scandalo non più tollerabile”.

Secondo Massimo Introvigne del Cesnur la sentenza Lautsi c. Italie della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo “segna il passaggio della cristianofobia dalla fase indiretta a una diretta”.

“Non ci si limita più a colpire il cristianesimo attraverso l’invenzione di ‘nuovi diritti’ che, proclamando il loro normale insegnamento morale, le Chiese e comunità cristiane non potranno non violare, ma si attacca la fede cristiana al suo cuore, la croce”, ha sottolineato.

Osserva Introvigne che ove tornasse in Finlandia, la signora Lautsi dovrebbe chiedere al suo Paese natale di cambiare la bandiera nazionale, dove come è noto figura una croce, questo per capire che “la croce a scuola o sulla bandiera non è uno strumento di proselitismo religioso ma il simbolo di una storia plurisecolare”.

Innumerevoli le reazioni dei Vescovi, monsignor Elio Tinti, Vescovo di Carpi, si è detto sconcertato perchè la sentenza di Strasburgo esprime una errata concezione di laicità dello Stato.

“Il rischio reale è che – ha sottolineato -, non riconoscendo il senso autentico ed universale del crocifisso, si diventi ‘insignificanti’, perdendo in umanità. Così si va smarrendo il significato delle nostre radici, i valori che ci uniscono nel presente e le ragioni di speranza per costruire il futuro”.

I sondaggi effettuati da quasi tutti i quotidiani mostrano che tra il 75 e l’80 per cento degli interpellati rifiuta la sentenza di Strasburgo e vuole il crocefisso nelle aule scolastiche.

Publié dans:Crocifisso (il) |on 5 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Il Cardinal Bertone: togliere il crocifisso, una vera perdita

voglio dire qualcosa prima di postare questo articolo, questa – purtroppo – non è politica, ma indica il pericolo di un’estremo degrado morale nella identità dell’Europa oltre che dell’Italia, dal sito:

http://www.zenit.org/article-20184?l=italian

Il Cardinal Bertone: togliere il crocifisso, una vera perdita

Commento alla sentenza della Corte di Strasburgo

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 4 novembre 2009 (ZENIT.org).- “Questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute e ci toglie i simboli più cari”. Lo ha affermato il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in un commento pubblicato da “L’Osservatore Romano” sulla sentenza della Corte di Strasburgo sul crocifisso nelle aule scolastiche.

“Questa è veramente una perdita – ha aggiunto –. Dobbiamo cercare con tutte le forze di conservare i segni della nostra fede per chi crede e per chi non crede”.

Dopo aver espresso “apprezzamento” per l’iniziativa del Governo italiano, che ha annunciato il ricorso contro la decisione dei giudici europei, il porporato ha ricordato che il crocifisso “è simbolo di amore universale, non di esclusione ma di accoglienza”.

“Mi domando se questa sentenza sia un segno di ragionevolezza oppure no”, ha osservato.

Dal canto suo monsignor Aldo Giordano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, ha commentato la vicenda alla “Radio Vaticana” affermando che si riscontra “un certo atteggiamento ideologico” e “nel nome di certe idee si vuole forzare la realtà o si vogliono imporre delle cose alla realtà”.

“Io credo invece che l’Europa abbia estremamente bisogno di un rispetto delle realtà dei popoli, delle tradizioni”, ha dichiarato. “Se noi continuiamo a corrodere l’identità, cominciamo a non avere più visione per il futuro”.

“Invece di un’Europa che sia al servizio delle persone, al servizio dei popoli, al servizio dell’identità e quindi sappia prendere l’identità, metterla in una comunione dove le identità siano valorizzate, sembra invece che abbiamo paura delle identità, abbiamo paura delle tradizioni”, ha aggiunto.

A suo avviso, la sentenza della Corte europea usa “una concezione di laicità in senso esclusivista: cioè, una laicità che tenda ad escludere, quindi una laicità che crea spazio vuoto”.

Al posto di una laicità di questo tipo, che è “pericolosa” e “non attira”, c’è bisogno di “una laicità che crea spazio per tutti i contributi positivi, per il sociale, per l’uomo, per affrontare i grossi problemi dell’umanità”, ha dichiarato monsignor Giordano.

In questo senso, la sentenza “non esprime ciò che la gente in Europa comincia veramente a sentire e a voler vivere e che qualche Nazione comincia già a percepire”.

“Mi sembra che siamo rimasti un po’ nel vecchio, nel sorpassato”, ha concluso.

Publié dans:Crocifisso (il) |on 5 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Il crocifisso e Lévi-Strauss

dal sito:

http://www.zenit.org/article-20180?l=italian

Il crocifisso e Lévi-Strauss

ROMA, mercoledì, 4 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo a firma di Michele Zanzucchi apparso su “Città nuova” on-line in merito alla sentenza della Corte Europea sul crocifisso nelle aule scolastiche.

* * *

Una coincidenza, pochi l’hanno notata. Il 3 novembre la Corte europea di Strasburgo, accogliendo la richiesta di una coppia veneto-finlandese, ha deciso di dichiarare contraria al diritto alla libertà religiosa l’affissione nelle aule delle scuole italiane del crocifisso. Contemporaneamente a Parigi se n’è andato, alla veneranda età di 101 anni, Claude Lévi-Strauss, l’antropologo per eccellenza, il fondatore dello strutturalismo e il paladino di una cultura radicalmente illuministica.

Curioso: nello stesso giorno muore l’uomo che più di ogni altro ha studiato i simboli, demitizzandoli e relativizzandoli, e nel contempo una delle istituzioni più rappresentative del convivere europeo stabilisce che il simbolo cristiano per eccellenza, il crocifisso, deve essere demitizzato e relativizzato per legge. Le polemiche, ovviamente, vanno per la maggiore, anche se, a parte qualche posizione estrema, in Italia si riscontra un certo consenso nello stigmatizzare la decisione di Strasburgo.

Va sottolineato come la più citata argomentazione contro la decisione di Strasburgo sia semplice: il crocifisso non sarebbe solo un simbolo religioso, ma anche un simbolo culturale. C’è chi si spinge più in là, coscientemente o meno, dicendo che la croce è “semplicemente” un simbolo culturale. Ora, se fosse così, in fondo avrebbe ragione Lévi-Strauss: il crocifisso sarebbe un simbolo culturale, nient’altro che culturale, e quindi relativizzabile, come tutti gli altri simboli della stessa natura.

Ma attenzione: a furia di cancellare i simboli di una cultura, si finirebbe col cancellare anche la cultura che li ha prodotti. E questo è un male, un attentato alla vita civile di un luogo e di un popolo. Non bisogna togliere i simboli, culturali o religiosi che siano, ma semmai aumentarli! La diversità è infatti una ricchezza per una società laica e democratica: essere “laici” e “democratici” a nostro parere non significa appiattire la società e togliere alle persone ogni loro simbologia (ogni simbolo ha dietro di sé uno o più valori!), quanto garantire una convivenza e una integrazione pacifica e arricchente delle diversità, rispettando la storia e la tradizione dei popoli: non si può negare che il crocifisso “abbia fatto” e “faccia” le nostre società europee.

Detto questo, se guardiamo le cose da un altro punto di vista, bisogna costatare come i simboli religiosi, e cristiani in particolare, abbiano una “qualità” supplementare, che ci interpella non poco: anche se li si cancellano esteriormente, restano presentissimi nella vita dei cristiani, «crocifissi che parlano e camminano», diceva Thomas Merton. Lo testimoniano i cristiani di Nagasaki, che per secoli hanno continuato a professare la loro fede nelle montagne, pur senza nessuna manifestazione pubblica. Lo testimoniano le babuske russe che sotto il comunismo hanno perpetuato la fede cristiana pur in mezzo alla trasformazione delle chiese in magazzini per il grano. Lo testimoniano i cristiani come Bonhoeffer che, sotto il nazismo, hanno saputo rendere pregnante la loro fede. Il fatto è che il problema “culturale” nel fondo nasconde il problema della (scarsa) testimonianza dei cristiani europei: «C’è bisogno di crocifissi vivi», come diceva Madre Teresa di Calcutta, non di «crocifissi anneriti in fondo ad un armadio», come scriveva Margherite Yourcenar.

p.s. Ci scrive stamani con arguzia e con ragione un nostro lettore, Ciro Rossi: «Mi domando se la signora di origini finlandesi che ha chiesto la rimozione del crocifisso da una scuola italiana abbia chiesto al governo del suo Paese di togliere il simbolo della croce dalla bandiera nazionale».

Publié dans:Crocifisso (il) |on 4 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

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