PRIMI SEGNI E PRODIGI DI GESÙ (LC 4,31-44)
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PRIMI SEGNI E PRODIGI DI GESÙ (LC 4,31-44)
Carlo Cravero
Si delinea un profilo del ministero di Gesù caratterizzato dai tratti del profeta liberatore. Essendo tale azione di Gesù possibile sotto l’azione dello Spirito, si sottolinea la sua qualità di guaritore della totalità della persona umana e non soltanto di taumaturgo. Ecco dunque perché, secondo Luca, la chiamata di Pietro è successiva a questa serie di miracoli. Quando Gesù manderà i discepoli a svolgere la loro prima missione, egli darà loro autorità di compiere gli stessi prodigi di esorcismo e guarigione, ma sempre in relazione con l’annuncio del regno di Dio (Lc 9,20).
Il profilo di Gesù presentato in questi episodi motiva e convalida il messaggio del Messia e la sua identità profetica, rendendo visibile come Dio attraverso queste opere visita il suo popolo (Lc 24,19; At 2,22). Inoltre, si sviluppa un nesso specifico tra sabato e santità, già chiaro nel Decalogo (Es 20,9.11; Dt 5,12). Esorcizzando il demonio e liberando l’uomo dalla possessione, Gesù si avvicina all’opera di Dio che fece uscire il popolo dalla schiavitù dell’Egitto «con mano potente e braccio teso» (Dt 7,19). Facendo le opere di Dio, Gesù manifesta la sua santità (v. 34) a cominciare dal silenzio imposto al nemico, che rappresenta tutte le forze ostili all’uomo.
Che c’è fra te e noi, Gesù nazareno? (4,31-37)
Dopo l’inaugurazione del ministero a Nàzaret Gesù discende a Cafarnao e Luca sintetizza in modo magistrale il ministero del Messia in gesti e parole: alla potenza e autorità della sua parola segue l’efficacia dei suoi gesti; il miracolo è parola in azione. Questi primi due miracoli, l’esorcismo e la febbre, hanno come referenti un uomo e una donna, segno eloquente dell’universalità dell’azione di Gesù; la salvezza portata da Cristo non fa distinzione di sessi.
Gesù scende a Cafarnao (4,31); precisando che è una città della Galilea, Luca localizza l’annuncio della parola. Essa avviene di sabato, il giorno del riposo della creazione. La venuta di Gesù nel sabato esprime così l’aurora del sabato definitivo, l’ottavo giorno della festa, in cui l’eternità di Dio ha fatto irruzione nel mondo: Gesù è l’eterno divenuto oggi.
La predicazione di Gesù in questo contesto vede il riconoscimento quale parola di autorità, senza alcun riferimento agli scribi. La reazione della gente a tale parola è segnalata dallo stupore[3]. Questo non indica necessariamente la fede, ma apre le porte a un cammino di ricerca; non sempre infatti questo stupore porta al riconoscimento dell’identità di Gesù, come già mostra l’episodio della sinagoga di Nàzaret.
L’indemoniato rappresenta al meglio la situazione dell’uomo alienato, completamente in balia dell’avversario e del male, e privo della sua libertà[4]. Questa situazione di dolore viene collocata dentro la sinagoga: nessun ambiente può dirsi al sicuro dal male, nessuno è salvo per meriti personali. Questa impurità, che si cela nei luoghi propri dell’ascolta della Parola e della vita della comunità riunita in preghiera, si rivela minacciosa di fronte alla santità di Gesù ed esplode in un alto grido di terrore, di chi vuole mettere paura. Il demonio conosce bene Gesù dalla frase che gli dice contro, ma conosce anche molto bene che Gesù è il più forte; per questo, non potendo vincerlo, non gli resta che urlare.
L’espressione «che c’è tra noi e te» impone uno stacco e un abisso assoluto tra il potere delle tenebre e del male rispetto a Gesù; è un’opposizione tra forze, resa ancora più eloquente dal forte utilizzo dei pronomi «noi» e «tu», quali rappresentanti accreditati di forze opposte. Il «noi» si contrappone al «Santo». Così il primo esorcismo già contiene in sé tutte le caratteriste dell’agire di Gesù. Ma nelle stesse parole del demonio è anche contenuto l’esito dell’incontro-scontro con il Cristo: non si può resistere a lui, ogni tentativo è vano, perché Gesù è nettamente più forte. L’avversario stesso lo riconosce in modo disarmante: egli viene per la sua rovina. Il diavolo non cerca nemmeno di lottare, perché conosce la superiorità di Gesù.
A differenza di Marco, Luca accentua ancora di più la potenza del Messia con l’effetto immediato della liberazione dopo una semplice parola d’ordine. Gesù impone il silenzio. Il verbo utilizzato è molto forte: letteralmente significa «mettere la museruola». Gesù dissocia il male dal malato e zittisce il male, non il malato! Proprio per questo Gesù è estremamente duro con il male: lui, che è venuto per liberare l’uomo (Lc 5,31), si rivolge direttamente al male per sciogliere l’uomo che ne è vittima. Davanti al Signore il male riconosce la sua difformità e, proprio in quanto male, urla la libertà e la santità di Dio come una rovina. La potenza della Parola è così evidente, che il demonio si sottomette silenziosamente e totalmente, tanto da uscire dal corpo dell’uomo senza contorcerlo e fargli alcun male, ma solo buttandolo nel mezzo.
Il commento della gente (vv. 36-37) aumenta il valore di tale gesto, a dimostrazione dell’autorità e della potenza della Parola. Ora, dal momento che si presenta con tale autorità verso i ministri del “regno” demoniaco, Gesù si rivela come il ministro del «regno di Dio» (v. 43), il forte predetto da Giovanni (Lc 3,16); questa stessa autorità verrà conferita in seguito ai suoi discepoli (Lc 9,1; 10,19).
Al demonio non si insegna, si ordina! L’esorcismo contiene così una lieta notizia: il male dell’uomo è vinto. Ecco l’importanza di questo episodio narrato all’inizio del ministero pubblico di Gesù; questo è il suo programma di vita, addirittura incluso nella duplice menzione del potere della sua parola (vv. 32.36). Indica il frutto maturo di questa parola: la riduzione al silenzio e la messa in fuga definitiva del male (v. 35).
A casa di Simone (4,38-41)
L’orizzonte spaziale si sposta dalla sinagoga a una casa privata, la casa di Simone. Gesù è il dominatore del male in ogni gesto e atteggiamento; se la potenza della Parola vince il male, si è finalmente liberi per servire. Questo servizio è il programma del Messia: rendere l’uomo come lui, ossia come colui che serve (Lc 22,27). Egli domina la febbre della donna con un comando, non c’è bisogno nemmeno di toccarla; basta la sua posizione: in piedi e davanti a lei, che invece giace impotente in preda alla febbre. Gesù non si avvicina solamente al letto dell’ammalata, ma le si accosta e minaccia la febbre, come aveva minacciato lo spirito immondo nella sinagoga. Così nell’emissione della parola di intimazione alla malattia Gesù si china di fronte al dolore dell’umanità. La sua autorità di Messia si esprime nel servizio al povero e al bisognoso; essere capo e maestro non è inteso nell’ottica del potere, ma del servizio. Nella persona di Gesù, che da ricco che era si è fatto povero per arricchire tutti noi (cf. 2Cor 8,9), ogni miracolo è frutto del chinarsi di Dio sull’umanità. Come per l’episodio precedente, al comando della Parola segue l’esecuzione immediata della liberazione.
Si noti come opportunamente Luca utilizzi lo stesso verbo di comando come nel v. 35, in modo tale da stabilire un legame tra l’esorcismo e la guarigione. Medesimo è l’esito: la fuga. Così al gesto e alla parola di Gesù segue la perfetta reintegrazione della donna all’interno del suo mondo familiare: essa si alza immediatamente e si mette a servizio del Signore; la vera libertà esiste come tale solo in un’ottica di servizio[5]. Il servizio della donna non significa solo che è guarita dal male fisico, ma indica una guarigione più profonda: la donna è liberata da quella febbre e da quello spirito che impediscono di servire e costringono a servirsi degli altri per essere serviti. Se il servirsi degli altri è sinonimo di schiavitù, servire è il principio della liberazione; il primo è espressione di egoismo, il secondo di amore. Nel servizio l’uomo diventa se stesso e rivela Dio, di cui è immagine e somiglianza[6].
La casa di Simone è il campo di battaglia dove l’uomo è alle prese con la malattia; è il luogo dello scontro, dove il male sembra essere notevolmente più forte dell’uomo, fino alla venuta di Gesù. La febbre paralizza e colui che ne è la causa impedisce di servire; così come la morte e la malattia, che impediscono all’uomo di rimanere in piedi. Solo Gesù può donare la forza per rialzarsi, cioè ritornare alla vera vita.
Simone non pronuncia una parola e non manifesta alcuna reazione alla guarigione della suocera. È ancora necessario che trascorra del tempo insieme con Gesù perché lo possa riconoscere come il Cristo di Dio (Lc 9,20); in ogni caso resta il primo ad aver accolto Gesù nella sua casa (v. 38). In questa bellissima immagine lucana con Simone la Chiesa è già presente in figura fin dal primo giorno del ministero di Gesù.
È evidente il parallelismo con la scena precedente: l’immediata guarigione indica l’assoluta superiorità di Gesù rispetto al male, l’attenzione all’integralità della persona umana e la portata universale della salvezza. Inoltre, questa donna diventa il modello di ogni credente: la liberazione operata da Gesù non raggiunge il suo scopo nella retta professione di fede che fanno i demoni (vv. 34.41; Gc 2,19), ma nel servizio. La suocera di Pietro è il frutto del vangelo: incarna lo Spirito di Gesù ed è tipo di tutti coloro che ne seguiranno la Parola.
Ecco allora perché la narrazione a questo punto prende in esame un moltitudine di persone che si presentano a Gesù. Prima un esorcismo per un uomo e una guarigione per una donna; ora miracoli per l’umanità! Ciò che Luca ha tratteggiato in due racconti, ora viene riportato con un racconto complessivo. Prima il male interiore, poi il male fisico, ora tutto insieme. Si completa così lo sguardo introduttivo su Gesù: gli uomini lo vedono come il salvatore, i demoni lo gridano Figlio di Dio e lo conoscono come Cristo. Gesù, da parte sua, si proclama evangelizzatore del regno di Dio, spinto dalla necessità di annunciare alle città la buona notizia (v. 43).
La notte indica anche il tempo indisponibile per l’uomo. Con le tenebre cessa, infatti, ogni attività umana e tutto si placa. La notte è anche simbolo della morte, tempo assolutamente indisponibile, che Gesù stesso conoscerà, dall’oscurarsi del sole del venerdì fino alla luce nuova del «primo giorno dopo il sabato». Il fatto prodigioso è proprio che Gesù operi di notte, al buio. Se di giorno aveva operato miracoli, ecco che di sera opera un’infinità di prodigi in favore di tutti gli uomini che ricorrono a lui e si prende cura di ciascuno (v. 40). Che Luca voglia dire anticipatamente che Gesù agisce definitivamente alla fine del suo giorno? Egli infatti salverà l’uomo di notte, durante la «sua» notte (Lc 4,1; 22,53; 23,44); questo sole che tramonta è il Cristo crocifisso che si china sulle notti dell’uomo e le illumina. Se la prospettiva del giorno dell’uomo è la sera, l’oscurità e la morte, la prospettiva di Dio in Cristo è la vittoria sul male e sulla morte: la notte così non è solo il luogo della verità dell’uomo che riconosce la sua debolezza; è anche il luogo della verità di Dio, che dal nulla fa tutte le cose.
Si nota una differenza di rilievo rispetto ai miracoli precedenti: qui Gesù impone le mani. Lo fa non in modo confuso o generalizzato, ma su ciascun malato, in modo personale. La sua è la mano di Dio che si tende sull’umanità ferita e stanca; il contatto indica la comunione con Dio e la liberazione: dove arriva Dio il male è sconfitto. I demoni dopo la loro espulsione riconoscono la forza di Gesù, però questo non li porta alla conversione. Nella distorsione demoniaca tale professione di fede diventa bestemmia; la sola conoscenza non opera la salvezza, perché soltanto il riconoscimento del vero essere di Gesù può dare la salvezza all’uomo.
Un nuovo giorno (4,42-44)
Si cambia decisamente scena con l’inizio del nuovo giorno (v. 42). Gesù si trova in un luogo non ben precisato, ma desertico; le folle lo raggiungono e tentano di trattenerlo, ma lui si sottrae: non si può limitare l’azione di Gesù, né tanto meno manipolarlo. A Nàzaret viene cacciato, mentre a pochi chilometri di distanza lo si vuole trattenere; da una parte lo si rifiuta, dall’altra lo si vorrebbe forzare a rimanere. La fede, invece, è adesione alla sua persona nel modo concreto del servizio. Gesù si sottrae a questo tentativo di sequestrare privatamente la salvezza, perché essa è un dono per tutti, non solo per alcuni: bisogna che lui annunci la Parola.
Tutto è concentrato nella rapida risposta di Gesù, dove il suo andare altrove trova piena corrispondenza con l’ubbidienza all’imperativo divino. È suo compito rimanere inserito nelle cose del Padre (Lc 2,49). Questo è l’orientamento del percorso per l’annuncio del vangelo: la meta è Gerusalemme, dove si compirà la volontà del Padre e da dove inizierà un viaggio universale per i suoi discepoli, fino ai confini della terra (cf. At 1,8). Questo passo rivela già una comprensione di Gesù in chiave post-pasquale.
Per la prima volta compare l’espressione «annunciare il regno di Dio» quale senso della missione di Gesù (ricorrerà altre 37 volte). Il regno di Dio è un evento che supera il semplice insegnamento, è sempre in relazione con la Parola; esso è legato in modo indissolubile con la persona di Gesù, le sue azioni riprendono e rendono attuali le promesse dei profeti. In questo consiste il vero compimento: Gesù avvera le profezie perché le fa sue; è compimento perché con lui l’antico diventa nuovo. Non è un semplice adeguamento delle promesse, perché il nuovo che dona Gesù è assolutamente l’antico che risplende con maggiore magnificenza.
Nella conclusione del v. 44. si delinea l’apertura della salvezza: essa era iniziata nella sinagoga di Nàzaret (4,14) e si conclude nelle sinagoghe della Giudea (4,44), passando attraverso le città della Galilea. È l’itinerario del Signore nella prospettiva del viaggio: come il Messia liberatore ha camminato per le strade, così la sua Parola dovrà correre fino ai confini del mondo (At 1,8).
[1] Risulta sicuramente interessante al riguardo studiare la proposta di struttura e commento realizzata da R. Meynet, Il Vangelo secondo Luca. Analisi retorica, EDB, Bologna 2003, pp. 203-213.
[2] Nella traduzione della Conferenza episcopale italiana è reso con «ordinare», «comandare».
[3] G. Rossé, Il Vangelo di Luca, Città Nuova, Roma 2001, p.162, fa notare che l’evangelista utilizza la parola «logos», che identifica la parola di Dio, come in Lc 5,1; 8,21. Negli Atti il termine indica il vangelo proclamato agli uomini (4,4.29).
[4] S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, EDB, Bologna 1994, p.110, dice che «il senso profondo dell’esorcismo è rendere l’uomo a se stesso, e quindi a Dio di cui è immagine, liberandolo da quel male che gli fa perdere Dio e quindi se stesso».
[5] È bene ricordare in chiave teologica il momento dell’esodo del popolo ebraico. Si diventa veramente liberi solo quando si serve Dio nella terra promessa nel passaggio dalla schiavitù al servizio.
[6] Per quanto concerne la dimensione del servizio è forte il richiamo di 1Gv 3,18. Fausti osserva come il servizio «è la caratteristica speciale e fondamentale di Gesù, lasciata in eredità ai suoi discepoli prima di morire (Lc 22,24-27; Gv 13,1-17)» (Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, p. 114).