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CHIAMATI AD ESPRIMERE IL VOLTO MATERNO DELLA CHIESA

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CHIAMATI AD ESPRIMERE IL VOLTO MATERNO DELLA CHIESA

Ez 47, 1-2.8-9.12; Sal 45; 1Cor 3, 9c-11.16.17; Gv 2, 13-22

Ancora una festa particolare che quest’anno cade di domenica: è la festa della Dedicazione della Basilica Lateranense. La Basilica di san Giovanni in Laterano, edificata da papa Milziade, fu dedicata ai tempi di San Silvestro I, che fu papa dal 314 al 335; la Basilica è la Cattedrale di Roma, luogo in cui il successore di Pietro siede come Vescovo di Roma e come c
olui che presiede tutte le Chiese nella carità. In questo luogo il Vescovo di Roma insegna e custodisce la fede, in obbedienza alla vocazione ricevuta da Gesù per mezzo di Pietro di confermare i fratelli nella fede (cfr Lc 22, 32). La Basilica del Laterano è perciò considerata la madre di tutte le chiese di Roma e del mondo.
Questa festa, al di là della sua origine storica e simbolica, ci dà occasione di riflettere sul nostro essere dimora di Dio in mezzo agli uomini. I credenti sono Chiesa perchè il Signore li chiama ad offrirsi con gioia a Lui, affinché ne faccia la sua dimora.
Già il Targum (traduzione e interpretazione rabbinica) del Sal 132 così traduceva, con grande profondità spirituale, i versetti 4 e 5: “Non concederò il sonno ai miei occhi…finchè non sarò diventato luogo per il Signore, una dimora al Potente di Giacobbe”. (Il testo originale dice invece “finchè non avrò trovato un luogo per il Signore”…).
Straordinario!
Il desiderio del credente di essere spazio per il Signore nella storia diventa poi la vocazione del popolo radunato dalla Pasqua di Gesù.
La Chiesa è la dimora di Dio in mezzo agli uomini, e l’edificio in cui essa si raduna ne è simbolo, sia esso una modesta chiesetta di campagna, un’umile cappella monastica o una grande Basilica come quella del Laterano.
Celebrare la Dedicazione di una Basilica, come di ogni chiesa, è fare memoria di un evento storico del passato, ma è anche e soprattutto risentire il “grido” di Dio che, in Cristo, ci chiede di essere uno e ci proclama capaci di Lui.
Il Signore ci chiama all’unità perché solo così la Chiesa racconterà Dio, come ha pregato Gesù nell’ultima sera: “Padre…che siano uno come noi…così il mondo creda” (cfr Gv 17, 11.21).
Il Signore dichiara poi che l’uomo, come già diceva S. Agostino, è un essere “capax Dei”, un essere cioè creato per essere “luogo” di accoglienza di Dio, “luogo” di riposo di Dio, “luogo” in cui Dio può vivere e regnare.
Essere Chiesa è allora una vocazione straordinaria, è vocazione alla tensione all’uno, che negli Atti degli Apostoli viene definita con quell’“essere un cuore solo e un’anima sola” (cfr At 4, 32) con cui i credenti sperimentano la potenza della Pasqua di Gesù e ne diventano testimoni. E’ infatti la potenza della Pasqua che raduna i dispersi (cfr Gv 11, 52) e ne fa un popolo, come la Pasqua di liberazione dall’Egitto aveva fatto degli schiavi ebrei il popolo di Dio.
La Chiesa, come d’altro canto Israele, è popolo non perché protagonista di un patto orizzontale tra quelli che ne fanno parte; la Chiesa è popolo perché radunata dalla grazia, e chiamata ad essere segno tra tutte le genti di una possibilità di relazione tra gli uomini fondata su una fraternità non fittizia o simbolica, ma reale perché creata da Cristo a prezzo del suo sangue.
Questo ci fa capire che essere Chiesa è cosa grandemente seria, è cosa “grave” perché la Chiesa è impastata con il sangue di Cristo. Sì, in essa c’è anche il nostro fango, la nostra terra, ma impastati con il sangue prezioso del Figlio di Dio che ci ha amati fino all’estremo, lasciandoci così l’estremo dei comandamenti, quello dell’amore reciproco, che è l’unica credibile narrazione di Dio che noi possiamo rendere.
Altre cose non vanno mostrate…noi mostriamo, e pretendiamo di mostrare, sempre altre cose al mondo: è comodo mostrare dei simboli o dei “trionfi”; mostrare invece la nostra carne segnata dall’amore è scomodo perché è difficile e costa.
Mostrare l’amore senza pretese di contraccambio è costoso; mostrare il perdono e l’accoglienza dell’altro che “invade” i miei spazi e i miei privilegi è costoso, condividere quello che si è, e che si ha, è costoso…
E’ però l’amore costoso che Cristo chiede di mostrare al mondo, solo quello; un amore che è certo quello personale di ciascun battezzato, ma che è anche l’“abito” di cui deve essere rivestita la Chiesa.
Solo una Chiesa rivestita dell’abito dell’amore costoso si può presentare al mondo come Madre; diversamente rischia di indossare gli abiti ambigui della matrigna, che pretende di essere chiamata madre ma che di fatto non lo è, e lo dimostra con gesti e parole che una vera madre non farebbe e non direbbe.
Queste riflessioni devono toccare ciascun credente e non solo le gerarchie e le organizzazioni istituzionali; devono toccare noi, chiamati ad esprimere il volto materno della Chiesa, sempre…
Quelli che scoprono, dunque, di essere capaci di Dio si aprono all’essere “luogo per il Signore e dimora per il Potente di Giacobbe”, e questo li conduce ad essere testimoni di unità e di amore, e disposti a pagarne un prezzo.
Questo è essere Chiesa!
La festa di oggi, lungi dal farci pensare alle venerabili pietre dell’edificio che è al cuore della Chiesa di Roma, ci conduca ad una coraggiosa revisione della nostra identità ecclesiale nella costruzione del Regno di Dio giorno dopo giorno, fatica dopo fatica, prezzo dopo prezzo…

p. Fabrizio Cristarella Orestano 

L’EUCARISTIA FA LA CHIESA E GENERA LA CARITÀ

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=129130

SCHEDA QUINTA: CHI COSTRUISCE LA CHIESA?

L’EUCARISTIA FA LA CHIESA E GENERA LA CARITÀ

Se facessimo una inchiesta tra i giovani (e non giovani) su cosa è Eucaristia; cosa vuol dire; quando si realizza; se è lo stesso che la Messa; che importanza ha l’Eucaristia per la Chiesa, e perché; se si va (se tu ci vai ) a messa, perché sì o perchè no…: quali sarebbero presumibilmente le risposte? Ma tu stesso personalmente cosa risponderesti?
Di qui parte la nostra ricerca piuttosto impegnativa prendendo la direzione di marcia dataci da Benedetto XVI nella citata Esortazione Apostolica, Sacramentum Caritatis, ai nn. 14 -15.
* Eucaristia principio causale della Chiesa
14. Attraverso il Sacramento eucaristico Gesù coinvolge i fedeli nella sua stessa « ora »; in tal modo Egli ci mostra il legame che ha voluto tra sé e noi, tra la sua persona e la Chiesa. Infatti, Cristo stesso nel sacrificio della croce ha generato la Chiesa come sua sposa e suo corpo.(…). La Chiesa, in effetti, « vive dell’Eucaristia”(…) . C’è un influsso causale dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa. L’Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo. Pertanto, nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l’Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell’Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce. La possibilità per la Chiesa di « fare » l’Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso. Anche qui scopriamo un aspetto convincente della formula di san Giovanni: « Egli ci ha amati per primo » (1 Gv 4,19) (…). Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo.
Sono affermazioni che toccano un nodo sostanziale della verifica cui il Papa invita tutta la sua diocesi di Roma: il nodo tra chiesa, eucaristia e carità. Ne abbiamo parlato nella scheda precedente, ora l’approfondiamo dal punto di vista dell’Eucaristia. Crediamo che su questo legame si richiede a tanti (ai più?) cristiani (giovani) di oggi, una vera e propria conversione.

Ma vediamo i punti toccati
- Dice il Papa nel documento citato che esiste una “suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e la Chiesa stessa che fa l’Eucaristia”. L’abbiamo scelto nel titolo di queste schede. Però è la prima parte che fa da fondamento, la seconda è conseguenza bella e necessaria ( lo vediamo nella scheda successiva).
- Alla base sta il sacrificio di Cristo sulla croce il venerdì santo seguito dalla risurrezione (domenica di pasqua) che garantisce la validità del sacrificio stesso. La Pasqua si manifesta quale testimonianza dell’assoluto amore di Dio per noi e perciò è causa della nostra salvezza. Ma perché possa raggiungere ogni uomo, distante nel tempo e nello spazio, Gesù nell’Ultima Cena (il giovedì santo) istituisce il rito dell’Eucaristia o Messa per cui il sacrificio della croce realizzato una volta per sempre duemila anni fa, viene ricordato, anzi attualizzato in ogni tempo e in ogni luogo (è il senso di quel ‘fate questo in memoria di me’). Dunque dal sacrificio di Gesù risorto dai morti che ci raggiunge mediante l’Eucaristia, da questa catena di amore inaudito, nasce la Chiesa.
La Chiesa nasce ogni volta si può dire da questo infinito gesto di amore di Cristo con il suo carico di liberazione dal male, di vita nell’amore, di impegno missionario, di speranza oltre la morte. Ad ogni Messa la Chiesa si trova a ‘mangiare e bere’, nutrirsi di Gesù, a purificarsi, a ricevere perdono e prendere forza alla sorgente.
L’Eucaristia, dunque, è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa. La Messa non è tutto nella Chiesa, ma senza Messa la Chiesa non può esistere.
* La Chiesa è la comunione eucaristica con Gesù che si tramuta in comunione tra persone.
“L’antichità cristiana designava con le stesse parole Corpus Christi il Corpo nato dalla Vergine Maria, il Corpo eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo. Questo dato ben presente nella tradizione ci aiuta ad accrescere in noi la consapevolezza dell’inseparabilità tra Cristo e la Chiesa. L’Eucaristia si mostra così alla radice della Chiesa come mistero di comunione” (Sacramentun caritatis, n. 15).
E’ quanto Benedetto XVI ha sottolineato con riferimenti concreti in particolare al Convegno di Roma
“La comunione e l’unità della Chiesa, che nascono dall’Eucaristia, sono una realtà di cui dobbiamo avere sempre maggiore consapevolezza, anche nel nostro ricevere la santa comunione, sempre più essere consapevoli che entriamo in unità con Cristo e così diventiamo noi, tra di noi, una cosa sola. Dobbiamo sempre nuovamente imparare a custodire e difendere questa unità da rivalità, da contese e gelosie che possono nascere nelle e tra le comunità ecclesiali. In particolare, vorrei chiedere ai movimenti e alle comunità sorti dopo il Vaticano II, che anche all’interno della nostra Diocesi sono un dono prezioso di cui dobbiamo sempre ringraziare il Signore, vorrei chiedere a questi movimenti, che ripeto sono un dono, di curare sempre che i loro itinerari formativi conducano i membri a maturare un vero senso di appartenenza alla comunità parrocchiale. Centro della vita della parrocchia, come ho detto, è l’Eucaristia, e particolarmente la Celebrazione domenicale. Se l’unità della Chiesa nasce dall’incontro con il Signore, non è secondario allora che l’adorazione e la celebrazione dell’Eucaristia siano molto curate, dando modo a chi vi partecipa di sperimentare la bellezza del mistero di Cristo. Dato che la bellezza della liturgia «non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce» (Sacramentum caritatis n. 35), è importante che la Celebrazione eucaristica manifesti, comunichi, attraverso i segni sacramentali, la vita divina e riveli agli uomini e alle donne di questa città il vero volto della Chiesa.
I riferimenti sono così concreti e pratici che non vi è bisogno di spiegazione
* Infine l’Eucaristia genera la carità
Lo afferma il Papa in Sacramentum Caritatis.
Eucaristia, pane spezzato per la vita del mondo (n. 88)
« Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo » (Gv 6,51). Con queste parole il Signore rivela il vero significato del dono della propria vita per tutti gli uomini. Egli esprime attraverso un sentimento profondamente umano l’intenzione salvifica di Dio per ogni uomo, affinché raggiunga la vita vera. Ogni Celebrazione eucaristica attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero. Al tempo stesso, nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo”.

Notiamo
- Chi incontra Gesù entra nell’area della vita compresa radicalmente come dono.
- L’Eucaristia che della vita di Gesù è la ‘memoria vivente’, specie del suo ultimo supremo gesto di amore sulla croce, genera, come in Gesù, un dinamismo di amore intelligente, generoso, concreto verso ogni uomo, accolto quale nostro fratello perché sia per lui che per noi Cristo è morto (cfr 1Cor 8 ,16).
- Andare a Messa è imparare ad amare, è accogliere la sfida di amare secondo il cuore di Gesù.

Proponiamo il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù nell’ultima Cena . Si vorrà rimarcare l’intreccio di due mondi: quello di Gesù e quello dei discepoli, con in testa Pietro, è la Chiesa in germe. Gesù fa loro il dono di tutto se stesso (“mio corpo, mio sangue per voi”); i discepoli non capiscono, incespicano, tradiscono, fuggono, vorrebbero la spada, ma Gesù ‘il più grande’ fa capire che dall’eucarestia può venire solo un atteggiamento di servizio. E infatti in questa occasione Gesù lava i piedi dei discepoli invitandoli a imitarlo con l’amore reciproco, “come io ho amato voi” (cfr Giov 13,1-20).

Dal Vangelo secondo Luca 22, 14-32
Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi». « Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo. E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele. Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli».

“L’Eucaristia è veramente compresa, capita, non semplicemente quando la si celebra, la si adora, la si riceve con le dovute disposizioni, ma soprattutto quando essa diviene la sorgente della nostra vita personale e il modello operativo che impronta di sé la vita comunitaria dei credenti … Significa vivere di attenzione di ascolto, di disponibilità , di valorizzazione dei doni degli altri , di perdono…Ricevendo il corpo e il sangue di Cristo, impariamo a guardare il mondo come lo vedeva Gesù dalla croce; a guardare il mondo, la storia, la comunità, la chiesa, i nostri problemi avendo capito qualcosa dell’infinta misericordia del Padre e per ciascuno di noi. E sentiremo allora il bisogno di spenderci anche noi per la salvezza dell’umanità, di fare dell’Eucaristia un ringraziamento di lode a Dio, donando nella quotidianità l’amore del Padre ai fratelli” (Card. C.M. Martini, Prendete il largo!, 113)

*Al cuore di questa scheda sta lo stretto legame tra Eucaristia e Chiesa. Ritieni di aver capito abbastanza questo rapporto? Non sarebbe meglio dialogare con l’animatore su quanto qui esposto?
* L’Eucaristia fa la Chiesa, dice il Papa. In che senso? Le tue eucaristie o messe domenicali ti fanno essere più Chiesa?
* Diceva S. Caterina: “Andare a Messa è esporsi a fuoco”. E’ una frase retorica o può essere vera?
* Ti sei dato una ragione circa l’obbligo alla Messa domenicale? Viene dagli uomini di Chiesa, o nasce dal valore che ci ha messo Dio?
* La carità che nasce dall’Eucaristia è una bontà generica o ha dei lineamenti specifici?

La preghiera del Padre Nostro è nel cuore dell’Eucaristia. Viene in conseguenza del dono che Gesù fa di sé con la consacrazione. Collega Dio, il Padre, e tutti noi come fratelli. Preghiamola insieme, invocazione per invocazione, lentamente, come fossimo a Messa.
Signore oggi abbiamo compreso, almeno in parte, che per essere tuoi discepoli occorre far parte della tua Chiesa, ma diventiamo tua Chiesa se facciamo Eucaristia. Perché lì, in quell’azione scopriamo che tu ci fai dono non solo di qualcosa, ma di te stesso, anzi di te stesso nel momento supremo in cui ci offri non una buona parola, o un gesto di amicizia, ma la tua stessa vita, la dai a noi quando eravamo e siamo ancora peccatori, così poco coraggiosi.
Signore aiutaci a cogliere e vivere il miracolo della Messa.

QUANDO LE BOMBE NON FERMANO LA FEDE – Una visita alla chiesa di S. Giorgio al Velabro

http://www.zenit.org/article-31713?l=italian

QUANDO LE BOMBE NON FERMANO LA FEDE

Una visita alla chiesa di S. Giorgio al Velabro

di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 14 luglio 2012 (ZENIT.org).- Nella notte del 28 luglio dell’ormai lontano 1993 una bomba squassò le fondamenta dello Stato Italiano e di una chiesa situata ai piedi del colle Palatino, nell’area pianeggiante del Velabro, oggi un piccolo e tranquillo quartiere del centro storico, poco distante dalla ben più famosa chiesa di S. Maria in Cosmedin. Cento chili di esplosivo all’interno di un’auto parcheggiata dinanzi all’edificio causarono il crollo quasi totale del vestibolo d’ingresso e aprì un grosso squarcio sulla facciata, causando dissesti statici e danni all’attiguo convento. Una ferita ancora non del tutto rimarginata nel cuore e nella mente di chi visse da vicino l’intera vicenda, a tratti incomprensibile da chi utopicamente crede sia ancora possibile sconfiggere il male in questo mondo.
La forza di volontà, la fede ed il coraggio di non arrendersi permise non sono di ricostruirne le parti danneggiate, ma di farne un simbolo della vittoria dello Stato. Come la fenice che completava il ciclo vitale risorgendo dalle proprie ceneri, anche la chiesa di S. Giorgio al Velabro seppe rinascere dalle proprie macerie attraverso interventi mirati atti al consolidamento e alla ricostruzione muraria di tutte le parti danneggiate. Il settore più colpito era quello del portico, il quale, nonostante la deflagrazione, venne ricostruito utilizzando integralmente l’arco centrale in mattoni, posizionato nella campata centrale, crollato ma miracolosamente intatto. Oltre al restauro quasi integrale del portico, il rifacimento del tetto, il restauro dell’interno e il consolidamento del campanile, si provvide a richiudere la breccia sul lato destro della facciata, ricollocando al loro posto tutte quelle testimonianze di epoca altomedievale strettamente connesse con la storia dell’edificio.
La sua origine risale probabilmente all’età tardo-antica, poco prima che papa Adriano I la elevò a diaconia cardinalizia nel 570. E’ comunque indubbio che la chiesa sorse sulle rovine di una precedente costruzione di epoca imperiale. E’ sufficiente infatti entrare nella navata centrale e ci si accorgerà dell’asimmetria tra i vari settori architettonici, ma anche dal fatto che la larghezza della facciata sia maggiore rispetto alla parete di fondo terminante con un’abside. L’interno è diviso in tre navate, scandite da due file di colonne tutte diverse tra loro e provenienti da edifici di epoca romana che un tempo sorgevano nell’area. L’altare maggiore, risalente al VII secolo, è collocato poco più avanti dell’abside che presenta un piano leggermente rialzato. Esso è affrescato con l’immagine del Cristo tra i Santi Giorgio e Sebastiano, di incerta attribuzione (alcuni ritengono possa essere stato realizzato da Giotto, altri da Pietro Cavallini). All’interno sono visibili anche frammenti di età bizantina come quelli di un paliotto e di un ‘recinto presbiteriale’, oltre ad un pluteo del IX secolo realizzato sotto il pontificato di Gregorio IV.
La chiesa sorge in un luogo strettamente legato con la nascita di Roma. La tradizione infatti ritiene che questo fosse il luogo dove si arenò la cesta che conteneva i due neonati, i fratelli Romolo e Remo, in seguito allattati dalla lupa. Quest’area dunque era una palude, fino a quando Tarquinio Prisco, grazie al completamento della Cloaca Maxima, bonificò le aree dei Fori e del Velabro rendendole praticabili. Il tratto della cloaca è attualmente visibile al di sotto delle fondazioni di una struttura monumentale nota con il nome di ‘Arco di Giano Quadrifronte’. Il monumento venne edificato durante la prima metà del IV secolo d.C. ma ancora di incerta attribuzione. Sappiamo infatti che può identificarsi con l’Arcus Divi Costantini, citato dai ‘Cataloghi Regionari’ sul cui attico era probabilmente collocata un’iscrizione marmorea i cui frammenti sono murati nella vicina chiesa. Qui si fa riferimento ad un ‘imperatore che ha sconfitto un tiranno’ descrizione che potrebbe riferirsi sia a Costantino I che a Costante II.
Contrariamente a quanto si possa pensare il termine ‘Giano’, associato all’arco, non fa riferimento al dio ‘bifronte’ (la cui iconografia è ben nota), ma al termine ‘ianus’ cioè uno spazio coperto. Non siamo infatti dinanzi ad un’opera realizzata per celebrare un trionfo imperiale ma ad uno spazio per i banchieri che operavano nel foro Boario e avevano bisogno di un luogo ove riunirsi anche nei periodi di pioggia o di estrema calura.
Attigua alla chiesa, anzi, per meglio dire, inglobata nella sua struttura, è un piccolo monumento che viene definito ‘Arco degli Argentari’. Non si tratta di un vero e proprio arco, ma di un piccolo monumento, un tempo situato lì dove il ‘vicus iugarius’ (strada di collegamento al foro) menava verso il foro Boario. Esso venne finanziato e dedicato dagli argentarii et negotiantes boari huius loci (banchieri e negozianti) alla famiglia imperiale composta da Settimio Severo, da sua moglie Julia Domna e dai figli Marco Aurelio Antoniano Bassiano, detto ‘Caracalla’ e suo fratello Geta, in seguito assassinato dallo stesso Caracalla per non dividere il trono imperiale. Alcune immagini della famiglia imperiale sono ancora visibili, ma molte sono le porzioni andate perdute a causa del tempo e delle cancellazioni, probabilmente volute dallo stesso Caracalla dopo l’assassinio del fratello.
Il piccolo angolo del Velabro racchiude, come molti scorci di Roma, infinite sorprese e curiosità, degne di essere analizzate ed assimilate per una migliore conoscenza della nostra storia perchè chi impara dal passato potrà fare proprio il presente e il futuro potrà renderlo migliore per se e per il suo prossimo.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

Publié dans:Chiese, ROMA - varie |on 14 juillet, 2012 |Pas de commentaires »

HANNO DISTRUTTO QUELLA MADONNINA CHE SORRIDEVA (Il parroco di San Marcellino e Pietro a Roma)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-28403?l=italian

HANNO DISTRUTTO QUELLA MADONNINA CHE SORRIDEVA

Il parroco di San Marcellino e Pietro testimonia la rabbia per l’oltraggio sopraffatta dalla misericordia di Cristo

ROMA, venerdì, 21 ottobre 2011 (ZENIT.org) – La protesta degli “indignados” a Roma, riportata dalla cronaca sui tutti i giornali del mondo, segnata da numerosi atti vandalici ha registrato lo sfondamento e l’ingresso all’interno della chiesa fondata nel IV secolo e dedicata ai santi Marcellino e Pietro, in via Labicana, con la distruzione di una statua della Madonna e di un crocifisso.
ZENIT – al di là dei fatti di cronaca già noti – ha voluto chiedere al parroco della chiesa, don Giovanni Ciucci, non soltanto cosa sia avvenuto, ma quali siano stati i sentimenti e le reazioni.

Don Ciucci, originario di Ancona, parroco di mezza età, mite ma deciso, non appena sente parlare di giornalisti dice: “Niente più interviste, che scenda il sipario. Qui si riparte guardando avanti”. Spiegatogli che eravamo di Zenit e dell’interesse dei nostri lettori, alla fine ci ha concesso un’intervista.
Ricorda che quanto avvenuto ha risvegliato testimonianze per la fede, Cristo e a la Chiesa. E, anche se profondamente offesi per questo, “siamo seguaci di Cristo, che è vita e perdono”. Don Ciucci ricorda che esistono due tipi di giovani, quelli dei black block da un lato, dall’altro le tante migliaia che un paio di mesi fa hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid, ma anche al Giubileo dei Giovani a Roma nel 2000. “Due espressioni in mezzo alle quali c’è Cristo che comunque con la morte sulla croce sconfigge il male e dona a noi la vita”.

Come sono avvenuti i fatti?
Don Giovanni Ciucci: È la prima volta che avviene a Roma una cosa del genere. Nella manifestazione, c’era la furia di questi giovani incappucciati vestiti di nero che seguivano il corteo, che certamente volevano creare un po’ di disordine, far sentire in qualche modo la loro presenza in modo distruttivo.

Cosa volevano queste persone?
Don Giovanni Ciucci: Hanno agito, travolgendo, distruggendo tutto quello che era davanti loro. Sfondavano le porte, bruciavano, hanno incendiato delle macchine. Cercavano colpire il palazzi del potere, dello Stato e, essendoci qui in via Labicana i palazzi del ministero della Difesa, chiaramente hanno iniziato a distruggere questi luoghi. Un appartamento di un generale in pensione dell’Esercito è andato completamente distrutto.

Lei era presente quando avveniva tutto questo?
Don Giovanni Ciucci: Quando mi sono accorto di quanto stava succedendo sono sceso da casa per vedere. La chiesa era chiusa evidentemente, ma scendendo mi sono reso conto che le porte della casa canonica e del catechismo erano state sfondate, a calci, non so come.

È lì che c’erano le statue sacre?
Don Giovanni Ciucci: Nella casa della canonica c’era questa immagine dell’Immacolata, era una statua semplice, antica: avrà potuto avere cento anni, senza un particolare valore artistico, di un metro e mezzo circa, aveva un bel volto, una bella immagine che dava serenità. Quando sono venuto a fare il parroco cinque anni fa, l’ho trovata qua. Accoglieva tutti quelli che frequentavamo la casa e i sacerdoti entrando trovavano una Madonna che sorrideva.

E come è stata distrutta?
Don Giovanni Ciucci: È stata presa, gettata per terra. Un giovane l’ha afferrata come un trofeo, scaraventata sulla strada, l’ha calpestata e ci è saltato sopra. E la statua è andata distrutta. Soltanto il volto era rimasto sano, con qualche rottura sulla fronte, poi si è staccato dal corpo, ma poi non si sa che fine abbia fatto, se qualcuno lo abbia preso o se è andato distrutto, perché poi c’erano ambulanze, macchine della polizia i blindati.

E il Cristo crocefisso?
Don Giovanni Ciucci: Il crocefisso invece era nella parte del catechismo. È stato rotto, gli hanno spezzato le gambe, la testa, ed è rimasto soltanto il corpo con le braccia allargate sulla croce.
Immagino abbia sentito molto rammarico, si sia arrabbiato molto…
Don Giovanni Ciucci: Questi due segni della fede cristiana, per la prima volta a Roma sono stati così violentemente distrutti dalla furia e dalla rabbia: sono stati dei giovani ed è questo che dispiace di più. Siamo rammaricati perché è una offesa a tutti i cristiani del mondo. Offende la sensibilità e la fede di tutti. Dall’altra parte noi siamo seguaci di Cristo, seguiamo Cristo che è vita e perdono, misericordia di Dio per gli uomini. Se da una parte ci sono la rabbia e la tristezza per questo fatto non possiamo che avere sentimenti di misericordia per questi giovani.

Ci può spiegare un po’ di più su questo?
Don Giovanni Ciucci: La preghiera di Gesù sulla croce, “Signore perdonali perché non sanno quello che fanno”, e poi, oltre il perdono l’orazione: “Pregate per i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano perché io non voglio la morte del peccatore ma che questo si converta”. Perché Gesù è la vita: “Io sono la verità il cammino e la vita. Chi crede in me avrà la vita eterna”.

Questi sono quindi i sentimenti, ma delle immagini cosa avete fatto?
Don Giovanni Ciucci: Abbiamo i pezzi delle statue della Madonna e del crocifisso. Ci sono state tante offerte per poter ricostruirle. Ma io ho detto di no, perché altrimenti si perde la memoria di tutto questo. Non mi serve avere un crocifisso nuovo, che si può comprare forse anche più bello, è importante che quello che è stato fatto rimanga. Probabilmente saranno chiusi in una teca in cui ci sarà la descrizione del avvenimento a memoria degli uomini. E chissà se un domani, uno stesso di quei ragazzi, un domani, possa tornare qua e vedere cosa ha fatto di giovane, e magari chiedere perdono, pentirsi e pregare.

Avete anche iniziato degli atti di riparazione, vero?
Don Giovanni Ciucci: Abbiamo iniziato subito un rosario di riparazione, l’adorazione eucaristica, ed è venuto il cardinale Agostino Vallini, vicario del Santo Padre Benedetto XVI. Sua eminenza ci ha rivolto delle parole di incoraggiamento e ci ha chiesto di far pregare le persone per la pace. Pace nei cuori degli uomini, nei cuori di questi giovani e dell’umanità. Il cardinale ha recitato il Santo Rosario in riparazione e ogni giorno si sono seguite preghiere. Stasera è venuto il cardinale della basilica liberiana di santa Maria Maggiore, Bernard Francis Law, a pregare il Santo Rosario e poi, durante l’anno, vedremmo di pregare per questi giovani e per le loro conversioni”.

E i giovani cosa dicono, sono tutti come quei vandali?
Don Giovanni Ciucci: Una cosa bella è che ho ricevuto messaggi di giovani di Italia e di Roma che si dissociavano dei loro coetanei di quanto avevano fatto e dimostravano la loro solidarietà e il loro affetto. Quest’anno abbiamo vissuto due eventi. la GMG a Madrid, da un lato, e dall’altro questo corteo di giovani che ha distrutto tutto. Due realtà totalmente diverse tra loro. Non posso credere che in questi ragazzi da 17 a 25 ci sia questa cattiveria, questa rabbia così diabolica. Sono l’espressione di due realtà diverse, il bene e il male, due espressioni in mezzo alle quali c’è Cristo che comunque con la morte sulla croce sconfigge il male e dona a noi la vita.

Vi hanno donato delle nuove statue?
Don Giovanni Ciucci: La nuova statua e il crocefisso sono stati offerti dal centro di solidarietà di don Mario Picchi. Il sindaco Gianni Alemanno è venuto domenica scorsa a vedere i danni di persona e a portare la solidarietà, mentre mercoledì sono stati consegnati la nuova statua e il nuovo crocifisso che saranno rimessi al loro posto nell’aula di catechismo e nella casa parrocchiale. Dopo ci sarà una messa di riparazione del danno ma anche di ringraziamento al Signore perché la fede nei cuori degli uomini non si spegne. Questo atto ha causato secondo me, secondo le testimonianze della fede e al senso di testimonianza a Cristo e alla Chiesa.
Durante il Santo Rosario di stasera ai Santi Marcellino e Pietro, il cardinale Law ha definito l’atto vandalico di sabato scorso « un fatto terribile, contro Cristo e Maria, ma contro un precetto di Dio ma anche dell’umanità, perché soltanto con Cristo possiamo capire che vuol dire essere totalmente umano ». Il porporato ha poi esortato a pregare « per la conversione di noi e di tutti, per seguire Gesù per conoscere Gesù, per aprire i nostri cuori all’esempio dell’amore per tutti, che possiamo vedere nel crocifisso ».

Publié dans:Chiese, NOTIZIE TRISTI |on 22 octobre, 2011 |Pas de commentaires »

6 agosto, Festa delle Trasfigurazione del Signore: Nella nube di luce

dal sito:

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.pax?mostra_id=7730

Nella nube di luce

Monastero Janua Coeli 

Trasfigurazione del Signore (Anno B) (06/08/2006)

Vangelo: Mc 9,2-10  
(quest’anno è il vangelo di Luca)

Quanta gente oggi sul Tabor… Il cielo e la terra si incontrano, il confine tra il tempo e l’eterno svanisce. In Cristo tutto si compie. Gli apostoli giungono dal basso, Elia e Mosè dalla gloria che avvolge Gesù. Le tre tende ci sono già, non c’è bisogno di farle. Sono le tende di una esistenza che si incontra al bivio della scelta interiore. Entri nella nube luminosa oppure no? Ascolti la voce della Parola oppure no? Ti lasci sconvolgere dalla croce oppure no? Tutto tace quando la luce eterna si espande. Tutto tace. Perché cosa puoi dire, tu, briciola di tempo, di fronte agli spazi sterminati dell’infinito splendore? Cosa puoi tu, briciola di amore, di fronte a un amore che non risparmia nulla di sé? Cristo sapeva che sarebbe morto in croce? Era figlio di Israele, e vuoi che non immaginasse che se affermava di essere figlio di Dio non sarebbe stato consegnato come bestemmiatore? Ma il Padre glielo aveva detto? Il Padre una sola cosa gli aveva detto: Amali, più che puoi, questi miei figli piccini… non capiscono, non vogliono intendere, non apprezzano la loro libertà… amali in tutti i modi, più che puoi, senza condizioni, perché si convincano che mai rinuncerò ad amarli… Anche mi uccidessero te, Figlio diletto, li amerò lo stesso! Buona trasfigurazione!

Nella nube di luce

MEDITAZIONE

Domande
Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime. La gloria di Cristo, splendore del Padre, partecipata a Elia e a Mosè, avvolge gli apostoli che camminano ancora nei sentieri dell’esistenza. È la fiaccola della fecondità della vita che partendo da questo monte arriverà a illuminarne presto un altro: il Golgota, monte dell’amore consegnato. Contemplare la trasfigurazione di Cristo equivale ad accogliere l’invito a entrare in una condizione stabile di trasfigurazione, partecipando della divina natura. Ce la farò a dire sì, ci sto?

Chiave di lettura
La giornata della luce… questo potrebbe essere il sinonimo della festa che oggi celebriamo. Tre profeti, tre monti: Elia sul Carmelo, Mosè sull’Oreb, Gesù sul Tabor. Il Carmelo e l’Oreb, splendenti della presenza del Signore Dio di Israele, si accostano al monte Tabor fino a diventare un tutt’uno con Cristo trasfigurato. Una luce che si accosta a chi contempla. L’Invisibile si fa vedere. La pioggia sul Carmelo e il fuoco che consuma l’olocausto, il roveto che arde sul Sinai, e ancora sull’Oreb Elia nella caverna e Mosè nella cavità della rupe: l’Invisibile si fa presente e gli occhi della fede lo riconoscono. Sul Tabor l’Invisibile si va vedere perché l’amore, dal volto segreto, si svela. In Cristo si ricapitola il tempo e gli uomini, illuminati, diventano eco della voce della nube: Qui è Dio, in questo Figlio diletto. Qui è la Parola da ascoltare… Il segreto di ogni contemplazione è in quell’arrendersi attonito degli apostoli che si lascino atterrare dalla luce increata fino a che comprenderanno il senso di quella prossimità bruciante che si chiama Amore eterno. La luce della piena somiglianza si ravvisa nel raggio di quello che sarà l’ottavo giorno, giorno che non conosce tramonto. Gesù, unica, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, è la veste candida di cui ogni uomo può vestire se stesso. Come chi si espone al sole, ritrova sulla sua pelle il segno delle carezze di luce ricevute, così chi si espone alla divina Parola porterà il tocco radiante del volto incontrato. Mosè, scendendo dal monte, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, perché aveva conversato con Dio.

PREGHIERA
Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto (salmo 103).

CONTEMPLAZIONE
Salirò oggi sulle tue vette, monte Tabor, per incontrare il lampo luminoso del mio Dio, e affacciarmi per un attimo nel fulgore della Sua ombra. È come se un velo si fosse alzato grazie a te sulla gioia definitiva prima di entrare nel vortice terribile della passione. Un’esperienza che invita a tacere: nel silenzio della luce che si espande dall’umanità di Gesù gli orecchi entreranno nel passaggio segreto della redenzione. La bellezza crocifissa già risplende: la croce, il non detto delle tende della contemplazione, risplende già della luce del mattino di Pasqua.

Il Vangelo dei piccoli
Una bella passeggiata con Gesù! Pietro, Giacomo e Giovanni vanno con lui su un monte alto. Un piccolo gruppo. La solitudine del luogo e il silenzio della natura ricevono i passi di questi quattro uomini, finché la vetta così ampia e da cui si può spaziare con lo sguardo molto lontano li accoglie. Gesù cambia aspetto. Ricorda le parole del salmo: avvolto di luce come di un manto… una luce che abbaglia tanto è splendente. In questa luce i tre apostoli vedono non più Gesù da solo ma con altri due, li riconoscono: sono Elia e Mosè. Elia sul Carmelo aveva visto consumare l’olocausto da parte del Dio del cielo, e Gesù sarà un olocausto sulla croce. Mosè aveva visto il Signore nel roveto ardente, e spine copriranno il capo di Gesù, le spine. Si può cercare Dio nella morte dell’olocausto e nelle spine di un rovo? Se l’amore è grande sì, Dio potrà nascondersi in un agnello ed essere ucciso, con in testa una corona di spine, perché chiunque lo cercherà potrà contemplare l’immensità del suo amore. E quando si troverà Dio nell’agnello ucciso e coperto di spine? Quando il cuore aprirà la porta alla parola del Vangelo e si lascerà inondare di luce.

Publié dans:Chiese, feste del Signore |on 5 août, 2010 |Pas de commentaires »

5 agosto: dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore

dal sito:

http://www.parrocchiacornaredo.it/doc/doa_maggiore.asp

dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore

(Madonna della Neve)
- ricorrenza: 5 agosto –

(immagini sul sito) 

La Basilica Papale di Santa Maria Maggiore è qualche cosa di più di una Basilica, di un tempio mariano per eccellenza; è (anche) un gioiello ricco di bellezze di valore inestimabile che gente da tutto il mondo viene ad ammirare.
Ovviamente siamo a Roma. Anche Milano ebbe una sua basilica di Santa Maria Maggiore, cattedrale « invernale », affiancata dalla Basilica Santa Tecla, « estiva »; entrambe – già cadenti – furono abbattute per far posto al Duomo attuale, intitolato a Maria Nascente, la cui costruzione iniziò « ufficialmente » nel 1386. [vedi]
Tra le maggiori basiliche di Roma (quelle definite « papali » sono quattro) è l’unica a conservare le strutture paleocristiane, sia pure arricchite di consistenti aggiunte successive, e presenta al suo interno alcune particolarità che la rendono unica: i mosaici della navata centrale e dell’Arco trionfale risalenti al V secolo d.C. realizzati durante il pontificato di Sisto III (432-440) e quelli dell’Abside affidati da Niccolò IV al frate francescano Jacopo Torriti (1288-1292); il pavimento « cosmatesco » (ovvero realizzato dalla famiglia dei Cosmati) donato dai nobili romani Scoto e Giovanni Paparoni nel 1288; il soffitto a cassettoni in legno dorato disegnato da Giuliano da Sangallo (1450); il Presepe del XIII secolo di Arnolfo da Cambio; le numerose cappelle (Borghese, Sistina o del Ss. Sacramento, Sforza, Cesi e quella del Crocifisso nonché quella – purtroppo quasi scomparsa – di San Michele); l’Altare maggiore opera di Ferdinando Fuga successivamente arricchito dal genio di Giuseppe Valadier; infine, la Reliquia della Sacra Culla e il Fonte Battesimale bronzeo anch’esso del Valadier.
Insomma questo luogo offre emozioni non solo al pellegrino devoto che si raccoglie in preghiera ma anche al semplice appassionato di arte e addirittura al turista superficiale e distratto. L’incontro con la Basilica liberiana (dal nome di papa Liberio) è un’esperienza che arricchisce umanamente e spiritualmente tutti indistintamente, ferma restando la devozione di fronte all’immagine di Maria, qui venerata con il dolce titolo di Salus Populi Romani (Salvezza del popolo di Roma).

l’icona Salus Populi Romani (imm)

Il 5 agosto di ogni anno viene rievocato, attraverso una solenne Celebrazione, il « Miracolo della Nevicata » (ne parliamo più avanti), quando di fronte agli occhi commossi dei partecipanti una cascata di petali bianchi scende dal soffitto ammantando l’ipogeo e creando quasi un’unione ideale tra l’assemblea e la Madre di Dio. Ed eccoci all’ulteriore appellativo di Madonna della Neve.

 ( A sinistra la nevicata miracolosa come la vede Masolino da Panicale, con papa Liberio che traccia nella neve il confine della costruenda chiesa (Museo di Capodimonte, Napoli).
A destra la navata centrale della Basilica attuale con il bel soffitto a cassettoni; il fregio che sovrasta le colonne è un mosaico del V secolo sovrastato da trentasei riquadri a mosaico del tempo di Sisto III; tra i finestroni sono rappresentate alcune scene della vita della Vergine datate 1593.
Accanto al titolo la facciata e l’abside. imm)

Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato volle che una lampada ardesse giorno e notte sotto l’icona della Salus Populi Romani, a testimonianza della sua grande devozione per la Madonna. Lo stesso Pontefice l’8 dicembre del 2001 inaugurò il Museo della Basilica, luogo dove la modernità delle strutture e l’antichità dei capolavori esposti offrono al visitatore un panorama unico.

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Si è detto che la Basilica, pur « crescendo » e modificandosi moltissimo nel corso degli anni, ha mantenuto l’impianto originario. Ma forse occorre soffermarsi su quali siano le sue origini.
A volere l’edificazione fu papa Sisto III (Santo) fra gli anni 432 e 440 per intitolarla alla Madre di Dio, evidentemente perché il Concilio di Efeso aveva appena proclamato Maria Theotòkos (appunto: Madre di Dio, anno 431). La costruzione avvenne su una chiesa precedente che era stata voluta da papa Liberio (352-366) al quale secondo la tradizione la Madonna stessa, apparsa in sogno, disse che il luogo ove costruire la chiesa gli sarebbe stato indicato da un miracolo. E questo miracolo fu una nevicata che il 5 agosto 356 imbiancò il colle Esquilino in piena estate; lo stesso papa Liberio tracciò nella neve il contorno di quella che sarebbe stata la nuova chiesa; i lavori furono finanziati da due patrizi romani, un certo Giovanni e sua moglie, che avevano fatto lo stesso sogno del papa.
Questa primitiva Basilica, della quale nulla è giunto fino a noi, era nota come Santa Maria Liberiana (dal nome del Papa) o Santa Maria ad Nives (per via della neve). È da questi fatti che ancora ai giorni nostri si ricorda la data del 5 agosto con una suggestiva celebrazione durante la quale dal soffitto della Basilica viene lasciata scendere una « nevicata » di petali bianchi, rievocazione della nevicata miracolosa.
Ma torniamo alla Basilica « di Sisto III », quella che sia pur con grandi modifiche è giunta a noi. Curiosità vuole che si accenni alla tradizione secondo la quale le ricche dorature del soffitto furono realizzate con il primo oro proveniente dalle Americhe e donato a papa Alessandro VI da Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia, cioè los Reyes Catolicos che avevano « sponsorizzato » (si direbbe oggi) le spedizioni di Cristoforo Colombo.
Fra i molti « tesori » custoditi vi è anche un « primato »: il primo presepe « plastico » della storia, cioè realizzato con statue e non con bassorilievi monoliti rappresentanti la Natività come sino ad allora si era usato fare. L’iniziativa fu di papa Niccolò IV che nel 1288 commissionò ad Arnolfo di Cambio (o Arnolfo di Lapo, che dir si voglia) una raffigurazione della Natività con sculture rappresentanti ciascuna un « personaggio » (originariamente le statuette erano otto).
  
Il Presepe di Arnolfo e la Sacra Culla (imm)

Niccolò IV veniva dal Frati Minori francescani; è evidente la sua volontà di seguire in qualche modo l’idea di San Francesco, che sessantadue anni prima aveva « inventato » il Presepe ricostruendone la scena con personaggi viventi nella grotta di Greccio.
Un Presepe « vecchia maniera » in bassorilievo era tuttavia già presente sin dal 432 quando papa Sisto III aveva voluto nella Basilica una grotta della Natività simile a Betlemme, tanto che all’epoca la Basilica veniva pure chiamata Santa Maria ad praesepem (dal latino: praesepium = mangiatoia). Nel 1590 papa Sisto V volle poi riunire entrambe le rappresentazioni in una nuova cappella detta del SS. Sacramento (o Sistina, dal suo nome)
Reliquia tutta particolare nella Basilica è la Sacra Culla, preziosa urna ovale opera dell’orafo e architetto Giuseppe Valadier che custodisce ancor più preziosi frammenti del legno della Sacra Culla (cunabulum) recati dai primi pellegrini di ritorno dalla Terrasanta.
È d’obbligo un cenno al Campanile, che è più alto di Roma (75 metri, in stile romanico) voluto da papa Gregorio XI appena dopo aver riportato la sede del Papato da Avignone a Roma, alla conclusione di quel periodo della storia della Chiesa che va sotto il nome di cattività avignonese.
L’edificio della Basilica, comprese le scalinate esterne, costituisce area extraterritoriale a favore della Santa Sede, pur essendo territorio italiano, come San Giovanni in Laterano, Santa Maria di Galeria, San Paolo Fuori le Mura, la residenza di Castel Gandolfo, il Palazzo del Laterano, il Palazzo della Datarìa, il Palazzo ex Sant’Ufficio, il Colle del Gianicolo e il Policlinico Gemelli.

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La Madonna della Neve è patrona di almeno una quarantina di località italiane, fra le quali Ascoli Piceno, Boffalora sopra Ticino, Codroipo, Novi Ligure, Nuoro, Pusiano (Como), Rovereto, Susa, Torre Annunziata e ovviamente Santa Maria Maggiore (Verbania) e Madonna della Neve (Frosinone).
In molti luoghi vi sono tradizioni particolari: a Ponticelli (alle falde del Vesuvio) la statua della Madonna viene portata in processione issata su un carro alto più di sedici metri (un casa di cinque piani) trainato da decine di fedeli e la cui decorazione esterna è scelta annualmente con un apposito concorso; a Torre Annunziata la Madonna è di colore nero, il perché non si sa (ma forse per via che la sua icona fu trovata casualmente da alcuni marinai, ed era nera); a Santa Maria Colle Sambuco (Rieti) la processione si conclude con una caratteristica nevicata artificiale al rientro in chiesa.
 

Publié dans:Chiese, feste |on 5 août, 2010 |Pas de commentaires »

Basilica di San Giovanni in Laterano

Basilica di San Giovanni in Laterano dans Chiese

http://santiebeati.it/immagini/?mode=view&album=21950&pic=21950B.JPG&dispsize=Original&start=0

Publié dans:Chiese, immagini |on 9 novembre, 2007 |Pas de commentaires »

9 NOVEMBRE: DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE – FESTA

dal sito liturgico Maranathà: 

 

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/1109Page.htm

 

 

9 NOVEMBRE
DEDICAZIONE DELLA
BASILICA LATERANENSE

Festa

(LETTURE: 1 Re 8,22-23.27-30; Sal 94; 1 Pt 2, 4-9; Gv 4, 19-24 ) 

   

 

 

Il   palazzo del Laterano, proprietà della famiglia imperiale, diventò nel secolo IV abitazione ufficiale del Papa. La basilica adiacente, dedicata al divin Salvatore, fu la prima cattedrale del mondo: vi si celebravano specialmente i battesimi nella notte di Pasqua. Dedicata poi anche ai due santi Giovanni, Battista ed Evangelista, per molto tempo fu considerata la Chiesa-madre di Roma e ospitò le sessioni di cinque grandi Concili ecumenici.
Le Chiese di tutto il mondo, unendosi oggi alla Chiesa di Roma, le riconoscono la « presidenza della carità » di cui parlava già sant’Ignazio di Antiochia. Similmente avviene per la festa della Dedicazione della chiesa cattedrale di ogni diocesi, alla quale sono «legate» tutte le parrocchie e le comunità che ne dipendono. In ogni edificio-chiesa dedicato a Dio si celebra quel «mistero di salvezza» che opera meraviglie in Maria, negli Angeli e nei Santi. Quella di oggi è una festa del «Signore». Il Verbo, facendosi carne, ha piantato la sua tenda fra noi (cf Gv 1,14). Cristo risorto è presente nella sua Chiesa: ne è il Capo. Le chiese in muratura sono un segno di questa presenza di Cristo: è lui che ivi parla, dà se stesso in cibo, presiede la comunità raccolta in preghiera, «rimane» con noi per sempre (SC 7).
Il         Cenacolo, le basiliche paleocristiane, le cattedrali del Medioevo, gli edifici sacri del rinascimento o del barocco, le architetture religiose moderne sono sempre «qualificate a dimensione d’uomo»: in ogni tempo la comunità ha proiettato nella struttura dei suoi edifici l’immagine di sé. E non le sono mai mancate le pietre vive per la costruzione del tempio spirituale di cui il Risorto è pietra d’angolo. «Il tempio come figura della Chiesa (cf LG 6) è un richiamo alla comunità e alla comunione. Come un edificio non potrebbe stare in piedi se tutti i materiali di cui è composto non fossero tenuti saldamente insieme in forza dei progetto elaborato dall’architetto ed eseguito dai costruttori, così tutti i membri della Chiesa, «comunità di fede, di speranza e di carità» (LG 8). debbono vivere e operare in una sincera e costante solidarietà e comunione».
  

Con il battesimo siamo tutti diventati tempio di Dio 

Dai «Discorsi» di san Cesario di Arles, vescovo (Disc. 229, 1-3; CCL 104,905-908)
Con gioia e letizia celebriamo oggi, fratelli carissimi, il giorno natalizio di questa chiesa: ma il tempio vivo è vero di Dio dobbiamo esserlo noi. Questo è vero senza dubbio. Tuttavia i popoli cristiani usano celebrare la solennità della chiesa matrice, poiché sanno che è proprio in essa che sono rinati spiritualmente.
Per la prima nascita noi eravamo coppe dell’ira di Dio; secondo nascita ci ha resi calici del suo amore misericordioso. La prima nascita ci ha portati alla morte; la seconda ci ha richiamati alla vita. Prima del battesimo tutti noi eravamo, o carissimi, tempio del diavolo. Dopo il battesimo abbiamo meritato di diventare tempio di Cristo. Se riflettiamo un pò più attentamente sulla salvezza della nostra anima, non avremo difficoltà a comprendere che siamo il vero e vivo tempio di Dio. «Dio non dimora in
templi costruiti dalle mani dell’uomo» (At 17, 24), o in case fatte di legno e di pietra, ma soprattutto nell’anima creata a sua immagine per mano dello stesso Autore delle cose. Il grande apostolo Paolo ha detto: «Santo è il tempio di Dio che siete voi» (1 Cor 3, 17). Poiché Cristo con la sua venuta ha cacciato il diavolo dal nostro cuore per prepararsi un tempio dentro di noi, cerchiamo di fare, col suo aiuto, quanto è in nostro potere, perché questo tempio non abbia a subire alcun danno per le nostre cattive azioni. Chiunque si comporta male, fa ingiuria a Cristo. Prima che Cristo ci redimesse, come ho già detto, noi eravamo abitazione del diavolo. In seguito abbiamo meritato di diventare la casa di Dio, solo perché egli si è degnato di fare di noi la sua dimora.
Se dunque, o carissimi, vogliamo celebrare con gioia il giorno natalizio della nostra chiesa, non dobbiamo distruggere con le nostre opere cattive il tempio vivente di Dio. Parlerò in modo che tutti mi possano comprendere: tutte le volte che veniamo in chiesa, riordiniamo le nostre anime così come vorremmo trovare il tempio di Dio. Vuoi trovare una basilica tutta splendente? Non macchiare la tua anima con le sozzure del peccato. Se tu vuoi che la basilica sia piena di luce, ricordati che anche Dio vuole che nella tua anima non vi siano tenebre. Fa’ piuttosto in modo che in essa, come dice il Signore, risplenda la luce delle opere buone, perché sia
glorificato colui che sta nei cieli. Come tu entri in questa chiesa, così Dio vuole entrare nella tua anima. Lo ha affermato egli stesso quando ha detto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò (cfr. Lv 26, 11.12). 

 

Publié dans:Chiese, feste |on 9 novembre, 2007 |Pas de commentaires »

Basilica dei SS Quattro Coronati

le suore che conosco, qualche volta vado a pregare con loro:

Basilica dei SS Quattro Coronati dans Chiese ma01

http://www.santiquattrocoronati.org/index_enie.htm

la Basilica:

celio03 dans Santi

http://margalli.altervista.org/quattrocento/stefano.htm

l’interno della Basilica:

santissimiquattrocoronati0018c

http://www.romecity.it/Santiquattrocoronati.htm

Publié dans:Chiese, Santi |on 8 novembre, 2007 |Pas de commentaires »

festa, locale a Roma (credo), dei SS. Quattro Coronati

dal sito: 

http://www.santiebeati.it/dettaglio/90427

Santi Quattro Coronati Martiri 

8 novembre Sec. IV 

E’ presente nel Martirologio Romano. Commemorazione dei santi Simproniano, Claudio, Nicostrato, Castorio e Simplicio, martiri, che, come si tramanda, erano scalpellini a Srijem in Pannonia, nell’odierna Croazia; essendosi rifiutati, in nome di Gesù Cristo, di scolpire una statua del dio Esculapio, furono precipitati nel fiume per ordine dell’imperatore Diocleziano e coronati da Dio con la grazia del martirio. Il loro culto fiorì a Roma fin dall’antichità nella basilica sul monte Celio chiamata con il titolo dei Quattro Coronati.  La loro memoria, chiaramente leggendaria, non è più nel Calendario della Chiesa: ma perdura il loro ricordo, non tanto e non soltanto nella devozione, ma nell’arte, perché i Quattro Santi Coronati sono considerati, per remota tradizione, protettori degli scultori.
Secondo la leggenda, erano scalpellini che lavoravano nelle grandi cave di marmo e di porfido dell’attuale Jugoslavia, a nord di Sirmium. Si chiamavano Claudio, Nicostrato, Simproniano e Castorio. Erano qualcosa di più di semplici operai, anche se qualcosa di meno di scultori, nel senso oggi attribuito di solito a questa parola.
Una cosa era certa: i quattro tagliapietre cristiani erano i migliori artigiani tra i molti che lavoravano nelle cave della Pannonia. Tanto bravi, che i compagni, nella loro ignoranza, li credevano aiutati dalla magia. Formule magiche sarebbero stati i segni di croce che essi tracciavano prima di intraprendere il lavoro; formule magiche le preghiere e i cantici ripetuti insieme durante l’opera.
L’imperatore Diocleziano, che nella vecchiaia si era stabilito a Spalato, in Dalmazia, e si era dedicato a grandi opere di architettura e decorazione, visitava spesso le cave della Pannonia. Sceglieva i blocchi di materiali e commetteva volta per volta il lavoro desiderato.
Egli conosceva i quattro bravissimi scultori e ammirava l’opera loro. Anche per questo, nessuno, tra i compagni di lavoro e tra i superiori, osava denunziare come cristiani gli ottimi tagliapietre.
Tutto andò per il meglio, finché l’imperatore fece scolpire agli artisti cristiani colonne di porfido in un sol blocco, capitelli a foglie, vasche ricavate da un solo blocco di pietra, e perfino un grande carro del sole trainato da cavalli. Gli scultori cristiani lo eseguirono alla perfezione, perché opera puramente decorativa.
Ma un giorno, l’imperatore ordinò loro di scolpire genietti e vittorie, amorini e figure mitologiche. Tra queste, un simulacro di Esculapio, dio della salute. Per il giorno fissato, genietti e amorini furono pronti, ma non la statua di Esculapio. Diocleziano pazientò, ordinando ancora aquile e leoni, che furono presto fatti. Non fu fatto, però, il simulacro di Esculapio.
Diocleziano interrogò personalmente gli scultori cristiani, mostrandosi assai generoso verso quegli artefici da lui così ammirati. Ma i compagni invidiosi e i superiori gelosi facevano pressione.
Venne imbastito il processo, e la macchina della legge, messa in moto quasi contro la volontà imperiale, travolse gli artefici cristiani, che vennero gettati nel Danubio, chiusi entro botti di piombo.
Poco dopo, le loro reliquie furono portate a Roma, e ai Quattro Santi Coronati s’intitolò, sul Celio, una delle più antiche chiese romane, diventata poi titolo cardinalizio. Ma a Roma, quasi per gelosia di tanti onori dedicati a quattro Martiri stranieri, ai Coronati autentici, patroni degli scultori, vennero sovrapposti quattro leggendari Martiri di Roma, con i nomi di Severo, Severino, Carpoforo e Vittorino.
A Firenze i Quattro Santi Coronati furono scelti come protettori dei Maestri di pietra e di legname, i quali, per il loro tabernacolo in Orsanmichele, ordinarono le statue a Nanni di Banco. Egli scolpì una per una le quattro figure, ma quando si trattò di farle entrare nella nicchia del tabernacolo, dovette ricorrere al suo maestro Donatello, il quale le  » scantucciò  » in modo da farle sembrare abbracciate. E per compenso non chiese a Nanni di Banco che una cena, per sé e per i suoi lavoranti, una cena a base d’insalata! 

dal sito delle suore, che io conosco:

http://www.santiquattrocoronati.org/index_itie.htm

 

La Comunità Agostiniana a cura delle Monache Agostiniane 

Siamo Monache Agostiniane di vita contemplativa, viviamo in questa bella e storica basilica dei Ss. Quattro Coronati sul colle Celio, a pochi passi dalla basilica di S. Giovanni in Laterano e dal Colosseo. La nostra Comunità monastica vive dal 1564 in questo complesso, un tempo palazzo cardinalizio e fortezza che difendeva l’antica residenza del papa, S. Giovanni in Laterano. Questa basilica fu costruita per custodire e venerare le reliquie di tanti fratelli e sorelle martiri, che accogliendo l’annuncio del Vangelo hanno dato la vita per Cristo e la sua Sposa, la Chiesa, nel vicino Colosseo o proprio su questo colle. Ma chi siamo noi Monache Agostiniane? Siamo figlie del Grande Convertito d’Ippona: Agostino, padre e dottore della Chiesa. Sant’Agostino alla sua morte lasciò monasteri pieni di monaci e di monache che, dal IV secolo fino ad oggi, hanno fatto pulsare il suo cuore nella Chiesa… 

Agostino una volta raggiunto da Dio… diede vita a una forma monastica che ha come modello la Prima Comunità di Gerusalemme… Fratelli che come i primi discepoli vivono insieme, fraternamente, cercando il Volto di Dio… Attraverso una vita di amicizia sincera, nella meditazione continua della Parola di Dio, nella lode, nell’amore appassionato per la Chiesa e l’uomo. Agostino, monaco, non si allontanò mai dalla città, vi rimase … in luogo ‘appartato’, in disparte… I suoi monaci vivono per Dio solo e per l’uomo, mettendo a disposizione dei fratelli non beni materiali, ma la lode e la ricerca di Dio… Noi, figlie di Agostino, siamo qui, in questa bella basilica, posta nel cuore della città di Roma, dove l’arte canta la bellezza di Dio e dell’uomo, per dire a tutti che è bello vivere per Dio solo, e che vale la pena dare la vita per Lui, che c’è un Padre che ci ha generato e ci ama, che grida oggi, come 1600 anni fa ad Agostino: « rivestiti di Cristo (di amore)… torna al Cuore… / in esso troverai degli spazi di vita / degli spazi abitabili, delle profondità che rivelano l’uomo all’uomo / degli spazi d’incontro veri … » 

La nostra Comunità monastica docile alla voce della Chiesa e allo Spirito di Agostino è sempre qui, in questa basilica che nella presenza e nella preghiera, fa sue le ansie, le attese, le speranze di ogni uomo.

Publié dans:Chiese, Santi |on 8 novembre, 2007 |Pas de commentaires »
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