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L’EUCARISTIA FA LA CHIESA E GENERA LA CARITÀ

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SCHEDA QUINTA: CHI COSTRUISCE LA CHIESA?

L’EUCARISTIA FA LA CHIESA E GENERA LA CARITÀ

Se facessimo una inchiesta tra i giovani (e non giovani) su cosa è Eucaristia; cosa vuol dire; quando si realizza; se è lo stesso che la Messa; che importanza ha l’Eucaristia per la Chiesa, e perché; se si va (se tu ci vai ) a messa, perché sì o perchè no…: quali sarebbero presumibilmente le risposte? Ma tu stesso personalmente cosa risponderesti?
Di qui parte la nostra ricerca piuttosto impegnativa prendendo la direzione di marcia dataci da Benedetto XVI nella citata Esortazione Apostolica, Sacramentum Caritatis, ai nn. 14 -15.
* Eucaristia principio causale della Chiesa
14. Attraverso il Sacramento eucaristico Gesù coinvolge i fedeli nella sua stessa « ora »; in tal modo Egli ci mostra il legame che ha voluto tra sé e noi, tra la sua persona e la Chiesa. Infatti, Cristo stesso nel sacrificio della croce ha generato la Chiesa come sua sposa e suo corpo.(…). La Chiesa, in effetti, « vive dell’Eucaristia”(…) . C’è un influsso causale dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa. L’Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo. Pertanto, nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l’Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell’Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce. La possibilità per la Chiesa di « fare » l’Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso. Anche qui scopriamo un aspetto convincente della formula di san Giovanni: « Egli ci ha amati per primo » (1 Gv 4,19) (…). Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo.
Sono affermazioni che toccano un nodo sostanziale della verifica cui il Papa invita tutta la sua diocesi di Roma: il nodo tra chiesa, eucaristia e carità. Ne abbiamo parlato nella scheda precedente, ora l’approfondiamo dal punto di vista dell’Eucaristia. Crediamo che su questo legame si richiede a tanti (ai più?) cristiani (giovani) di oggi, una vera e propria conversione.

Ma vediamo i punti toccati
- Dice il Papa nel documento citato che esiste una “suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e la Chiesa stessa che fa l’Eucaristia”. L’abbiamo scelto nel titolo di queste schede. Però è la prima parte che fa da fondamento, la seconda è conseguenza bella e necessaria ( lo vediamo nella scheda successiva).
- Alla base sta il sacrificio di Cristo sulla croce il venerdì santo seguito dalla risurrezione (domenica di pasqua) che garantisce la validità del sacrificio stesso. La Pasqua si manifesta quale testimonianza dell’assoluto amore di Dio per noi e perciò è causa della nostra salvezza. Ma perché possa raggiungere ogni uomo, distante nel tempo e nello spazio, Gesù nell’Ultima Cena (il giovedì santo) istituisce il rito dell’Eucaristia o Messa per cui il sacrificio della croce realizzato una volta per sempre duemila anni fa, viene ricordato, anzi attualizzato in ogni tempo e in ogni luogo (è il senso di quel ‘fate questo in memoria di me’). Dunque dal sacrificio di Gesù risorto dai morti che ci raggiunge mediante l’Eucaristia, da questa catena di amore inaudito, nasce la Chiesa.
La Chiesa nasce ogni volta si può dire da questo infinito gesto di amore di Cristo con il suo carico di liberazione dal male, di vita nell’amore, di impegno missionario, di speranza oltre la morte. Ad ogni Messa la Chiesa si trova a ‘mangiare e bere’, nutrirsi di Gesù, a purificarsi, a ricevere perdono e prendere forza alla sorgente.
L’Eucaristia, dunque, è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa. La Messa non è tutto nella Chiesa, ma senza Messa la Chiesa non può esistere.
* La Chiesa è la comunione eucaristica con Gesù che si tramuta in comunione tra persone.
“L’antichità cristiana designava con le stesse parole Corpus Christi il Corpo nato dalla Vergine Maria, il Corpo eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo. Questo dato ben presente nella tradizione ci aiuta ad accrescere in noi la consapevolezza dell’inseparabilità tra Cristo e la Chiesa. L’Eucaristia si mostra così alla radice della Chiesa come mistero di comunione” (Sacramentun caritatis, n. 15).
E’ quanto Benedetto XVI ha sottolineato con riferimenti concreti in particolare al Convegno di Roma
“La comunione e l’unità della Chiesa, che nascono dall’Eucaristia, sono una realtà di cui dobbiamo avere sempre maggiore consapevolezza, anche nel nostro ricevere la santa comunione, sempre più essere consapevoli che entriamo in unità con Cristo e così diventiamo noi, tra di noi, una cosa sola. Dobbiamo sempre nuovamente imparare a custodire e difendere questa unità da rivalità, da contese e gelosie che possono nascere nelle e tra le comunità ecclesiali. In particolare, vorrei chiedere ai movimenti e alle comunità sorti dopo il Vaticano II, che anche all’interno della nostra Diocesi sono un dono prezioso di cui dobbiamo sempre ringraziare il Signore, vorrei chiedere a questi movimenti, che ripeto sono un dono, di curare sempre che i loro itinerari formativi conducano i membri a maturare un vero senso di appartenenza alla comunità parrocchiale. Centro della vita della parrocchia, come ho detto, è l’Eucaristia, e particolarmente la Celebrazione domenicale. Se l’unità della Chiesa nasce dall’incontro con il Signore, non è secondario allora che l’adorazione e la celebrazione dell’Eucaristia siano molto curate, dando modo a chi vi partecipa di sperimentare la bellezza del mistero di Cristo. Dato che la bellezza della liturgia «non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce» (Sacramentum caritatis n. 35), è importante che la Celebrazione eucaristica manifesti, comunichi, attraverso i segni sacramentali, la vita divina e riveli agli uomini e alle donne di questa città il vero volto della Chiesa.
I riferimenti sono così concreti e pratici che non vi è bisogno di spiegazione
* Infine l’Eucaristia genera la carità
Lo afferma il Papa in Sacramentum Caritatis.
Eucaristia, pane spezzato per la vita del mondo (n. 88)
« Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo » (Gv 6,51). Con queste parole il Signore rivela il vero significato del dono della propria vita per tutti gli uomini. Egli esprime attraverso un sentimento profondamente umano l’intenzione salvifica di Dio per ogni uomo, affinché raggiunga la vita vera. Ogni Celebrazione eucaristica attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero. Al tempo stesso, nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo”.

Notiamo
- Chi incontra Gesù entra nell’area della vita compresa radicalmente come dono.
- L’Eucaristia che della vita di Gesù è la ‘memoria vivente’, specie del suo ultimo supremo gesto di amore sulla croce, genera, come in Gesù, un dinamismo di amore intelligente, generoso, concreto verso ogni uomo, accolto quale nostro fratello perché sia per lui che per noi Cristo è morto (cfr 1Cor 8 ,16).
- Andare a Messa è imparare ad amare, è accogliere la sfida di amare secondo il cuore di Gesù.

Proponiamo il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù nell’ultima Cena . Si vorrà rimarcare l’intreccio di due mondi: quello di Gesù e quello dei discepoli, con in testa Pietro, è la Chiesa in germe. Gesù fa loro il dono di tutto se stesso (“mio corpo, mio sangue per voi”); i discepoli non capiscono, incespicano, tradiscono, fuggono, vorrebbero la spada, ma Gesù ‘il più grande’ fa capire che dall’eucarestia può venire solo un atteggiamento di servizio. E infatti in questa occasione Gesù lava i piedi dei discepoli invitandoli a imitarlo con l’amore reciproco, “come io ho amato voi” (cfr Giov 13,1-20).

Dal Vangelo secondo Luca 22, 14-32
Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi». « Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo. E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele. Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli».

“L’Eucaristia è veramente compresa, capita, non semplicemente quando la si celebra, la si adora, la si riceve con le dovute disposizioni, ma soprattutto quando essa diviene la sorgente della nostra vita personale e il modello operativo che impronta di sé la vita comunitaria dei credenti … Significa vivere di attenzione di ascolto, di disponibilità , di valorizzazione dei doni degli altri , di perdono…Ricevendo il corpo e il sangue di Cristo, impariamo a guardare il mondo come lo vedeva Gesù dalla croce; a guardare il mondo, la storia, la comunità, la chiesa, i nostri problemi avendo capito qualcosa dell’infinta misericordia del Padre e per ciascuno di noi. E sentiremo allora il bisogno di spenderci anche noi per la salvezza dell’umanità, di fare dell’Eucaristia un ringraziamento di lode a Dio, donando nella quotidianità l’amore del Padre ai fratelli” (Card. C.M. Martini, Prendete il largo!, 113)

*Al cuore di questa scheda sta lo stretto legame tra Eucaristia e Chiesa. Ritieni di aver capito abbastanza questo rapporto? Non sarebbe meglio dialogare con l’animatore su quanto qui esposto?
* L’Eucaristia fa la Chiesa, dice il Papa. In che senso? Le tue eucaristie o messe domenicali ti fanno essere più Chiesa?
* Diceva S. Caterina: “Andare a Messa è esporsi a fuoco”. E’ una frase retorica o può essere vera?
* Ti sei dato una ragione circa l’obbligo alla Messa domenicale? Viene dagli uomini di Chiesa, o nasce dal valore che ci ha messo Dio?
* La carità che nasce dall’Eucaristia è una bontà generica o ha dei lineamenti specifici?

La preghiera del Padre Nostro è nel cuore dell’Eucaristia. Viene in conseguenza del dono che Gesù fa di sé con la consacrazione. Collega Dio, il Padre, e tutti noi come fratelli. Preghiamola insieme, invocazione per invocazione, lentamente, come fossimo a Messa.
Signore oggi abbiamo compreso, almeno in parte, che per essere tuoi discepoli occorre far parte della tua Chiesa, ma diventiamo tua Chiesa se facciamo Eucaristia. Perché lì, in quell’azione scopriamo che tu ci fai dono non solo di qualcosa, ma di te stesso, anzi di te stesso nel momento supremo in cui ci offri non una buona parola, o un gesto di amicizia, ma la tua stessa vita, la dai a noi quando eravamo e siamo ancora peccatori, così poco coraggiosi.
Signore aiutaci a cogliere e vivere il miracolo della Messa.

LA MORTE SECONDO LA CHIESA CATTOLICA

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LA MORTE SECONDO LA CHIESA CATTOLICA

(questa mattina è morta una mia amica)

COSA C’E’ DOPO LA MORTE?
Che domanda!!! Meglio chiedersi: « Cosa c’è dopo la vita terrena? » Si tratta di una delle domande più antiche che l’uomo si sia posto.
Un filosofo greco, giocando con le parole, diceva: « Finché io ci sono, la morte non c’è! Quando la morte ci sarà, non ci sarò io! Perché preoccuparmi? »
Quando parliamo di questi temi, non abbiamo paragoni nella vita di ogni giorno, non riusciamo a fare esempi chiari che possano aiutarci a capire. Anzi, spesso gli esempi confondono le idee, soprattutto quando sono presi da alcuni film televisivi o cinematografici (o addirittura dai cartoni animati!)
Morte, paradiso, inferno, aldilà… sono esperienze chiare soltanto a chi le vivrà, per gli altri si tratta solo di provare a parlarne, ma rimanendo sempre con qualche dubbio irrisolto. Ma non potrà essere diversamente!
Le varie tradizioni religiose hanno descritto l’aldilà con una grande varietà di simboli e con sfumature diverse anche all’interno della stessa tradizione. Dante Alighieri, uno dei massimi rappresentanti medioevali della tradizione cristiana e grande conoscitore della Bibbia, si è sforzato moltissimo di immaginare e di descrivere l’aldilà cristiano proprio attraverso tantissime simbologie e metafore, nel suo capolavoro « La Divina Commedia ».
Il Cristianesimo lega, in modo indissolubile, la morte alla risurrezione. Anzi, per san Paolo sarebbe vana, inutile, assurda la nostra fede se non ci fosse la risurrezione. Non avrebbe quindi senso il Cristianesimo se non ci fosse alla base la risurrezione. Noi, infatti, risorgeremo perché Cristo è già risorto.
San Paolo è stato il primo ad occuparsi della dottrina cristiana sulla morte e sulla risurrezione. Tale risurrezione riguarda tutta la persona, corpo compreso. Ma con una importante precisazione: la risurrezione, infatti, sarà l’inizio di una vita perfetta; non ci saranno più sofferenze, fatiche, dolori, tutto sarà trasformato, anche il corpo. Ovviamente il corpo di adesso ed il corpo risorto non saranno totalmente simili. San Paolo fa l’esempio di un seme e di un albero: il seme sotto terra marcisce, solo allora darà vita ad un albero. Così sarà il corpo risorto: il corpo attuale è come il seme, il corpo risorto è il grande albero che nascerà da quel seme e punterà verso l’alto. Nella prima lettera ai Corinzi, san Paolo scrive: « Si è sepolti mortali, si risorge immortali. Si è sepolti miseri, si risorge gloriosi. Si è sepolti deboli, si risorge pieni di forza. Si seppellisce un corpo materiale, ma risusciterà un corpo animato dallo Spirito. »
Spesso, parlando della morte, dimentichiamo la vita! La morte appartiene alla vita, fa parte della vita. E’ l’unica certezza che abbiamo. Se vogliamo sapere come sarà l’aldilà, il paradiso, l’inferno… guardiamo questa vita. A volte sia il paradiso che l’inferno iniziano in questa vita. Il paradiso è la scelta di Dio, è lo stare con Dio (che, ormai lo sappiamo, è legato indissolubilmente allo « stare » con gli altri!). L’inferno è la scelta di voler stare senza Dio, è la mancanza di Dio nelle azioni, nei valori, nei comportamenti.
La morte è il passaggio, misterioso, tra questa e l’altra vita. Questo non toglie nulla all’immenso dolore che si prova quando qualcuno che ci è caro muore. Ma la speranza deve prendere il posto del dolore e della risurrezione; la speranza che colui che è morto è già alla presenza di Dio in una vita che non morirà mai più; la speranza che il seme sta morendo per dare vita ad un enorme albero che sale verso l’alto: non più un fuscello o una canna al vento, ma una maestosa quercia.

Dal Catechismo della CHIESA CATTOLICA (parte prima – La professione di fede)
IL SENSO DELLA MORTE CRISTIANA (paragrafo V – La comunione dei santi)
1010 Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. « Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno » ( Fil 1,21 ). « Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui » ( 2Tm 2,11 ). Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente « morto con Cristo », per vivere di una vita nuova; e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma questo « morire con Cristo » e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore.
Per me è meglio morire per (eis ») Gesù Cristo, che essere re fino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il momento in cui sarò partorito è imminente… Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 6, 1-2].
1011 Nella morte, Dio chiama a sé l’uomo. Per questo il cristiano può provare nei riguardi della morte un desiderio simile a quello di san Paolo: « il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo » ( Fil 1,23 ); e può trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amore verso il Padre, sull’esempio di Cristo [Cf Lc 23,46 ]. Il mio amore è crocifisso;…un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: »Vieni al Padre! » [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 7, 2].
Voglio vedere Dio, ma per vederlo bisogna morire [Santa Teresa di Gesù, Libro della mia vita, 1].
Non muoio, entro nella vita [Santa Teresa di Gesù Bambino, Novissima verba].
1012 La visione cristiana della morte [Cf 1Ts 4,13-14 ] è espressa in modo impareggiabile nella liturgia della Chiesa:
Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo [Messale Romano, Prefazio dei defunti, I].
1013 La morte è la fine del pellegrinaggio terreno dell’uomo, è la fine del tempo della grazia e della misericordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo destino ultimo. Quando è « finito l’unico corso della nostra vita terrena », [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48] noi non ritorneremo più a vivere altre vite terrene. « E’ stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta » ( Eb 9,27 ). Non c’è « reincarnazione » dopo la morte.
1014 La Chiesa ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte (Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore »: antica Litania dei santi), a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi « nell’ora della nostra morte » (Ave Maria) e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte:
In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani?
[Imitazione di Cristo, 1, 23, 1]

Laudato si, mi Signore,
per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullo omo vivente po’ scampare.
Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!;
beati quelli che trovarà
ne le tue sanctissime voluntati,
ca la morte seconda no li farrà male [San Francesco d'Assisi, Cantico delle creature].

In sintesi
1015 « La carne è il cardine della salvezza » [Tertulliano, De resurrectione carnis, 8, 2]. Noi crediamo in Dio che è il Creatore della carne; crediamo nel Verbo fatto carne per riscattare la carne; crediamo nella risurrezione della carne, compimento della creazione e della redenzione della carne.
1016 Con la morte l’anima viene separata dal corpo, ma nella risurrezione Dio tornerà a dare la vita incorruttibile al nostro corpo trasformato, riunendolo alla nostra anima. Come Cristo è risorto e vive per sempre, così tutti noi risusciteremo nell’ultimo giorno.
1017 « Crediamo nella vera risurrezione della carne che abbiamo ora » [Concilio di Lione II: Denz. -Schönm., 854]. Mentre, tuttavia, si semina nella tomba un corpo corruttibile, risuscita un corpo incorruttibile , [Cf 1Cor 15,42 ] un « corpo spirituale » ( 1Cor 15,44 ).
1018 In conseguenza del peccato originale, l’uomo deve subire « la morte corporale, dalla quale sarebbe stato esentato se non avesse peccato » [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 18].
1019 Gesù, il Figlio di Dio, ha liberamente subìto la morte per noi in una sottomissione totale e libera alla volontà di Dio, suo Padre. Con la sua morte ha vinto la morte, aprendo così a tutti gli uomini la possibilità della salvezza.

Articolo 12
« CREDO LA VITA ETERNA »
1020 Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l’ultima volta, le parole di perdono dell’assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l’ha segnato, per l’ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole:
Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. . . Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. . . Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno [Rituale romano, Rito delle esequie, Raccomandazione dell'anima].

I. Il giudizio particolare
1021 La morte pone fine alla vita dell’uomo come tempo aperto all’accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo [Cf 2Tm 1,9-10 ]. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell’incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l’immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [Cf Lc 16,22 ] e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [Cf Lc 23,43 ] così come altri testi del Nuovo Testamento [Cf 2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; Eb 12,23 ] parlano di una sorte ultima dell’anima [Cf Mt 16,26 ] che può essere diversa per le une e per le altre.
1022 Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, [Cf Concilio di Lione II: Denz.-Schönm., 857-858; Concilio di Firenze II: ibid., 1304-1306; Concilio di Trento: ibid., 1820] o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1000-1001; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: ibid., 990] oppure si dannerà immediatamente per sempre [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1002].
Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore [Cf San Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 1, 57].

II. Il Cielo
1023 Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono « così come egli è » ( 1Gv 3,2 ), faccia a faccia: [Cf 1Cor 13,12; Ap 22,4 ]
Con la nostra apostolica autorità definiamo che, per disposizione generale di Dio, le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo. . . e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il santo Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c’era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate. . ., anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale – e questo dopo l’Ascensione del Signore e Salvatore Gesù Cristo al cielo – sono state, sono e saranno in cielo, associate al Regno dei cieli e al Paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. E dopo la passione e la morte del nostro Signore Gesù Cristo, esse hanno visto e vedono l’essenza divina in una visione intuitiva e anche a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura [ Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz. -Schönm., 1000; cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 49].
1024 Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata « il cielo ». Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.
1025 Vivere in cielo è « essere con Cristo » [Cf Gv 14,3; Fil 1,23; 1Ts 4,17 ]. Gli eletti vivono « in lui », ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome: [Cf Ap 2,17 ]
Vita est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi regnum – La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è la vita, là c’è il Regno [Sant'Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, 10, 121: PL 15, 1834A].
1026 Con la sua morte e la sua Risurrezione Gesù Cristo ci ha « aperto » il cielo. La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della Redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui.
1027 Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: « Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano » ( 1Cor 2,9 ).
1028 A motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando egli stesso apre il suo Mistero alla contemplazione immediata dell’uomo e gliene dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è chiamata dalla Chiesa la « la visione beatifica »:
Questa sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio, . . . godere nel Regno dei cieli, insieme con i giusti e gli amici di Dio, le gioie dell’immortalità raggiunta [San Cipriano di Cartagine, Epistulae, 56, 10, 1: PL 4, 357B].
1029 Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all’intera creazione. Regnano già con Cristo; con lui « regneranno nei secoli dei secoli » ( Ap 22,5 ) [Cf Mt 25,21; Mt 25,23 ].

III. La purificazione finale o Purgatorio
1030 Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo.
1031 La Chiesa chiama Purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al Purgatorio soprattutto nei Concilii di Firenze [Cf Denz. -Schönm., 1304] e di Trento [Cf ibid. , 1820; 1580]. La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, [Cf ad esempio, 1Cor 3,15; 1031 1Pt 1,7 ] parla di un fuoco purificatore:
Per quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c’è, prima del Giudizio, un fuoco purificatore; infatti colui che è la Verità afferma che, se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro ( Mt 12,31 ). Da questa affermazione si deduce che certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre nel secolo futuro [San Gregorio Magno, Dialoghi, 4, 39].
1032 Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla: « Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato » ( 2Mac 12,45 ). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, [Cf Concilio di Lione II: Denz. -Schönm., 856] affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti:
Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, [Cf Gb 1,5 ] perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere [San Giovanni Crisostomo, Homiliae in primam ad Corinthios, 41, 5: PG 61, 594-595].

IV. L’inferno
1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: « Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna » ( 1Gv 3,15 ). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli [Cf Mt 25,31-46 ]. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola « inferno ».
1034 Gesù parla ripetutamente della « Geenna », del « fuoco inestinguibile », [Cf Mt 5,22; Mt 5,29; 1034 Mt 13,42; Mt 13,50; Mc 9,43-48 ] che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo [Cf Mt 10,28 ]. Gesù annunzia con parole severe che egli « manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno. . . tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente » ( Mt 13,41-42 ), e che pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » ( Mt 25,41 ).
1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, « il fuoco eterno » [Cf Simbolo "Quicumque": Denz. -Schnöm., 76; Sinodo di Costantinopoli: ibid., 409. 411; 274]. La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: « Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! » ( Mt 7,13-14 ).
Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove « ci sarà pianto e stridore di denti » [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48].
1037 Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; [ Cf Concilio di Orange II: Denz. -Schönm. , 397; Concilio di Trento: ibid. , 1567] questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole « che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi » ( 2Pt 3,9 ):
Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti [Messale Romano, Canone Romano].

V. Il Giudizio finale
1038 La risurrezione di tutti i morti, « dei giusti e degli ingiusti » ( At 24,15 ), precederà il Giudizio finale. Sarà « l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell'Uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna » ( Gv 5,28-29 ). Allora Cristo « verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli. . . E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. . . E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna » ( Mt 25,31; Mt 25,32; Mt 25,46 ).
1039 Davanti a Cristo che è la Verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio [Cf Gv 12,49 ]. Il Giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena:
Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà ( Sal 50,3 ). . . egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: « Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me [Sant'Agostino, Sermones, 18, 4, 4: PL 38, 130-131].
1040 Il Giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la Provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il Giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte [Cf Ct 8,6 ].
1041 Il messaggio del Giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini « il momento favorevole, il giorno della salvezza » ( 2Cor 6,2 ). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del Regno di Dio. Annunzia la « beata speranza » ( Tt 2,13 ) del ritorno del Signore il quale « verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto » ( 2Ts 1,10 ).

VI. La speranza dei cieli nuovi e della terra nuova
1042 Alla fine dei tempi, il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il Giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato:
Allora la Chiesa. . . avrà il suo compimento. . . nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48].
1043 Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l’umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l’espressione: « i nuovi cieli e una terra nuova » ( 2Pt 3,13 ) [Cf Ap 21,1 ]. Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di « ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra » ( Ef 1,10 ).
1044 In questo nuovo universo, [Cf Ap 21,5 ] la Gerusalemme celeste, Dio avrà la sua dimora in mezzo agli uomini. Egli « tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate » ( Ap 21,4 ) [Cf Ap 21,27 ].
1045 Per l’uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell’unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è « come sacramento » [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1]. Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la « Città santa » di Dio ( Ap 21,2 ), « la Sposa dell’Agnello » ( Ap 21,9 ). Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, [Cf Ap 21,27 ] dall’amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione.
1046 Quanto al cosmo, la Rivelazione afferma la profonda comunione di destino fra il mondo materiale e l’uomo:
La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. . . e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione. . . Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo ( Rm 8,19-13 ).
1047 Anche l’universo visibile, dunque, è destinato ad essere trasformato, « affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti », partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo risorto [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 32, 1].
1048  » Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini » [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39].
1049 « Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza » [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39].
1050 « Infatti. . . tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando Cristo rimetterà al Padre il Regno eterno e universale » [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. Dio allora sarà « tutto in tutti » ( 1Cor 15,28 ), nella vita eterna:
La vita, nella sua stessa realtà e verità, è il Padre, che attraverso il Figlio nello Spirito Santo, riversa come fonte su tutti noi i suoi doni celesti. E per la sua bontà promette veramente anche a noi uomini i beni divini della vita eterna [ San Cirillo di Gerusalemme, Catecheses illuminandorum, 18, 29: PG 33, 1049, cf Liturgia delle Ore, III, Ufficio delle letture del giovedì della diciassettesima settimana. [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 28.]

In sintesi
1051 Ogni uomo riceve nella sua anima immortale la propria retribuzione eterna fin dalla sua morte, in un giudizio particolare ad opera di Cristo, giudice dei vivi e dei morti.
1052 « Noi crediamo che le anime di tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo. . . costituiscono il Popolo di Dio nell’al di là della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime saranno riunite ai propri corpi » .
1053 « Noi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite attorno a Gesù e a Maria in Paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com’è e dove sono anche associate, in diversi gradi, con i santi angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo per noi e aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine » [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 29].
1054 Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma imperfettamente purificati, benché sicuri della loro salvezza eterna, vengono sottoposti, dopo la morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia di Dio.
1055 In virtù della « comunione dei santi », la Chiesa raccomanda i defunti alla misericordia di Dio e per loro offre suffragi, in particolare il santo Sacrificio eucaristico.
1056 Seguendo l’esempio di Cristo, la Chiesa avverte i fedeli della « triste e penosa realtà della morte eterna » , [Congregazione per il Clero, Direttorio catechistico generale, 69] chiamata anche « inferno ».
1057 La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio; in Dio soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
1058 La Chiesa prega perché nessuno si perda: « Signore, non permettere che sia mai separato da te ». Se è vero che nessuno può salvarsi da se stesso, è anche vero che Dio « vuole che tutti gli uomini siano salvati » ( 1Tm 2,4 ) e che per lui « tutto è possibile » ( Mt 19,26 ).
1059 « La santissima Chiesa romana crede e confessa fermamente che nel giorno del Giudizio tutti gli uomini compariranno col loro corpo davanti al tribunale di Cristo per rendere conto delle loro azioni » [Concilio di Lione II: Denz. -Schönm., 859; cf Concilio di Trento: ibid., 1549].
1060 Alla fine dei tempi, il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Allora i giusti regneranno con Cristo per sempre, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo materiale sarà trasformato. Dio allora sarà « tutto in tutti » ( 1Cor 15,28 ), nella vita eterna.

Publié dans:CHIESA CATTOLICA, morte (la) |on 29 mai, 2014 |Pas de commentaires »

LA CHIESA DI DIO – Tratto da « Lettera ai cercatori di Dio »

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LA CHIESA DI DIO

Tratto da « Lettera ai cercatori di Dio »

La vita del Dio Trinità, che è amore, si partecipa agli uomini radunandoli in una comunità, che è la Chiesa. L’espressione “Chiesa di Dio” viene dalla tradizione biblica, dove designa l’assemblea di Israele convocata da Dio ai piedi del monte Sinai per ricevere lo statuto dell’alleanza.

9. LA CHIESA DI DIO
La vita del Dio Trinità, che è amore, si partecipa agli uomini radunandoli in una comunità, che è la Chiesa. L’espressione “Chiesa di Dio” viene dalla tradizione biblica, dove designa l’assemblea di Israele convocata da Dio ai piedi del monte Sinai per ricevere lo statuto dell’alleanza. Nella tradizione paolina la “Chiesa di Dio” è l’insieme dei credenti battezzati, dispersi nelle piccole comunità del mondo greco-romano. Gli autori dei Vangeli partono dall’esperienza della Chiesa nata nella prima missione cristiana per cercarne le radici e le ragioni nelle parole e nelle azioni di Gesù. Nella tradizione evangelica il gruppo dei dodici e dei discepoli è presentato come il prototipo della comunità cristiana o Chiesa, alla quale sono destinati i quattro Vangeli.

La comunità dei fratelli
Nel Vangelo di Matteo, Gesù parla esplicitamente della sua “Chiesa”, che egli fonderà sulla fede di Pietro. La Chiesa è la comunità dei credenti che riconoscono Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente. In essa Chiesa l’autorità è esercitata nel nome di Gesù per la salvezza dei credenti, che sono tutti fratelli, perché figli del Padre che è nei cieli. L’accoglienza dei piccoli, la correzione fraterna e il perdono stanno alla base dei rapporti nella comunità ecclesiale. Alla Chiesa Dio affida il suo regno e chiede l’attuazione della sua volontà come l’ha rivelata Gesù, il Figlio. Essa è aperta a tutti i popoli della terra, chiamati a diventare discepoli di Gesù.
Secondo Luca, autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli, la Chiesa è una comunità “apostolica”, perché fondata sui dodici apostoli, rappresentanti di tutto Israele: nella sua vita e nella sua storia trovano compimento le promesse di salvezza fatte da Dio al popolo eletto. Con la forza dello Spirito Santo i discepoli sono inviati a rendere testimonianza a Gesù sino agli estremi confini della terra.
Nella festa di Pentecoste, il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua di Risurrezione, mediante il dono dello Spirito Santo, che era stato promesso da Gesù risorto, si manifesta la Chiesa. L’autore degli Atti degli Apostoli ne traccia un quadro ideale. Tutti quelli che accolgono la Parola di Dio, proclamata dagli apostoli, e si fanno battezzare nel nome del Signore Gesù formano la comunità dei credenti, che sono “perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (2,42), e realizzano una comunità di amici e fratelli, che forma “un cuore solo e un’anima sola” (4,32).

La comunità inviata in missione
L’autore degli Atti degli Apostoli ricostruisce la tappe della prima missione della Chiesa nel mondo ebraico, presentandone i protagonisti e il metodo. Dio sta all’origine della missione cristiana. Per mezzo di Gesù Cristo, il Figlio “inviato” dal Padre, il dono dello Spirito Santo abilita tutti i credenti a proclamare il Vangelo della salvezza a ogni creatura umana, senza distinzione di religione, etnia e cultura. Destinatari della missione sono tutti gli esseri umani, da Israele ai popoli pagani.
La missione si attua mediante l’annuncio e la testimonianza resa con la parola e con la vita. Essa corrisponde alla volontà di Dio, che è stata profeticamente annunciata nella storia di Israele – testimoniata nei libri dell’Antico Testamento – e si compie per mezzo di Gesù Cristo e il dono dello Spirito Santo. Il contenuto dell’annuncio è Gesù di Nazaret, condannato a morte dagli uomini, ma risuscitato da Dio: in lui si compiono le promesse divine, presenti nelle Sacre Scritture, e si apre l’accesso alla salvezza a tutti i possibili cercatori di Dio.
L’annuncio sfocia nell’invito alla conversione per ricevere il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo, garanzia della salvezza definitiva, cioè di una vita piena e felice nel tempo e per l’eternità.

La comunità dei credenti in Gesù Cristo
La Chiesa di Dio è la “santa convocazione” di quanti hanno accolto il Vangelo di Gesù Cristo e vivono, grazie all’azione interiore dello Spirito Santo, nella fede, nella carità e nella speranza, in attesa della manifestazione gloriosa del Signore. Partendo dall’esperienza della “cena del Signore”, dove i cristiani fanno memoria di Gesù morto e risorto, san Paolo presenta la comunità dei cristiani come “corpo di Cristo”. Tutti i credenti che mangiano l’unico pane che è Cristo, formano, nella comunione con lui, un solo corpo. Essi sono stati battezzati in un solo Spirito per formare l’unico corpo di Cristo.
Lo Spirito donato da Dio per mezzo di Gesù risorto è la fonte dei diversi carismi e compiti, che esprimono e realizzano la vitalità dell’unica Chiesa, corpo di Cristo. L’amore comunicato dallo Spirito Santo tiene uniti tutti i membri della Chiesa. Per la nascita e la crescita della Chiesa, Dio ha stabilito il ministero degli apostoli, dei profeti e dei maestri.
Nella tradizione di san Paolo questa varietà di ministeri al servizio della Parola e della guida della
Chiesa è donata dal Signore risorto perché tutti i credenti partecipino alla crescita del suo corpo nell’unità e nell’amore.
Nella vita della Chiesa la fede dei suoi membri assume diverse forme, legate agli stati di vita e ai doni ricevuti da Dio. Queste forme manifestano la ricchezza e la varietà dell’esperienza cristiana, radicata nella partecipazione alla vita dell’unico Signore Gesù, il Cristo, capo della Chiesa edificata sulla parola degli “apostoli e profeti”. Mediante la proclamazione del Vangelo tutti i popoli sono chiamati a far parte di questa Chiesa, corpo di Cristo.
Nella stessa tradizione di san Paolo si vive l’esperienza della Chiesa come famiglia di Dio, guidata dai pastori che rendono viva e attuale la tradizione dell’apostolo. Essi esercitano un ruolo di sorveglianza (“episcopé”) e saranno chiamati vescovi, con caratteristiche che si preciseranno sempre di più sul fondamento di ciò che è già presente nelle comunità apostoliche delle origini.
Entrare nella Chiesa mediante la fede in Gesù e la conversione del proprio cuore, testimoniate nel battesimo, acquisendo atteggiamenti di amore verso tutti; accettare la guida dei pastori che annunciano la Parola di Dio e offrono il dono dei sacramenti, in cui scorre per noi la vita divina offerta in Gesù Cristo, ci garantisce una vita salvata, cioè libera dalle idolatrie di questo mondo e partecipe nella fede e nella speranza della gioia dell’eternità divina.

La comunità di amici e la “sposa dell’Agnello”
Secondo il Vangelo di Giovanni i credenti in Gesù Cristo, Figlio di Dio, formano una comunità di amici, tenuti insieme, come tralci nella vite, dal comandamento nuovo dell’amore, che ha la fonte e il modello nel dono che Gesù fa della sua vita. Come Gesù i discepoli sono consacrati mediante l’amore e lo Spirito Santo, per essere inviati nel mondo. L’unità di tutti i credenti si fonda sulla preghiera di Gesù, che chiede al Padre che essi siano una cosa sola, partecipando allo stesso dinamismo di amore che costituisce la comunione tra lui e il Padre.
Per l’autore dell’Apocalisse la comunità dei fedeli segue Gesù, l’Agnello ucciso ma ora vivo, senza compromessi con il potere idolatrico, fino al martirio. Sullo sfondo della nuova creazione, il profeta di Patmos immagina la Chiesa come una sposa pronta per le nozze dell’Agnello. Essa è paragonata alla nuova Gerusalemme che scende dal cielo, per essere la dimora di Dio tra gli uomini.
Proprio in quanto è la sposa dell’Agnello, la Chiesa è necessaria per incontrare e accogliere Cristo nel cuore e nella vita. Nella comunità che ascolta e proclama la sua parola, che celebra i sacramenti della salvezza, che vive e testimonia la carità, è lui a rendersi presente, nonostante i peccati e le contro-testimonianze dei figli della Chiesa.
Una comunità dal volto umano, accogliente, viva nella fede e tale da irradiare la gioia del Vangelo è veramente, in rapporto al Signore Gesù, come la luna nei confronti del sole: essa raccoglie da Cristo, vero Sole, i raggi della luce che illumina il mondo e li offre generosamente nella notte del tempo. Così la percepiva e la rappresentava la fede dei più antichi scrittori cristiani:
Questa è la vera luna.
Dall’intramontabile luce dell’astro fraterno
ottiene la luce dell’immortalità e della grazia.
Infatti la Chiesa non rifulge di luce propria,
ma della luce di Cristo.
Trae il suo splendore dal sole della giustizia,
per poter poi dire:
Io vivo, però non son più io che vivo,
ma vive in me Cristo!
(Sant’Ambrogio, Hexaemeron 4, 8, 32).

Publié dans:CHIESA CATTOLICA, STUDI |on 22 avril, 2014 |Pas de commentaires »

LA CHIESA CATTOLICA E LA MODERNITÀ

http://www.zenit.org/it/articles/la-chiesa-cattolica-e-la-modernita

LA CHIESA CATTOLICA E LA MODERNITÀ

L’INFLUENZA DEL CRISTIANESIMO NELLA STORIA DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE

ROMA, 11 MARZO 2013 (ZENIT.ORG) JOHN FLYNN

L’intenso interesse mediatico su quello che sta succedendo in Vaticano nella scelta del nuovo papa, fornisce un utile spunto per capire quanto la Chiesa sia importante nel mondo di oggi.
A dispetto delle critiche e delle malignità che oppongono la Chiesa alla scienza, alla ragione e al progresso, e che dipingono i suoi membri come dei retaggi di un Medioevo oppressivo, sembra che, nonostante tutto, essa rimanga un’istituzione che la gente considera rilevante.
Quest’ultima è anche la visione espressa in un saggio di recente pubblicazione, scritto dal noto autore Mike Aquilina, dal titolo Yours Is the Church: How Catholicism Shapes Our World, (Servant Books).
La cultura popolare ci ha fatto credere che la Chiesa sia una sorta di nemico universale, scrive Aquilina, spiegando però che “ogni cosa relativa alla nostra modernità, la consideriamo positiva per merito della Chiesa”.
Spesso si pensa che la civiltà moderna sia iniziata con il Rinascimento, osserva l’autore. E tuttavia, come è emersa tale concezione? Furono i monasteri a copiare gli scritti dei Greci e dei Romani, preservandone quindi l’eredità alle generazioni successive. La Chiesa ha salvato la civiltà, afferma Aquilina.
Venendo alla scienza, lo studioso osserva che essa ha radici nella Chiesa Cattolica: l’astronomia è nata grazie a Copernico, un canonico ordinato, mentre fu un vescovo, Nicola Steno, a fondare la geologia; cattolici erano anche Antoine Lavoisier, fondatore della chimica moderna, e il matematico Blaise Pascal.
Con Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, furono riscoperti i tesori della filosofia greca, rendendo così possibile l’istituzione della scienza razionale. Ci sono molte scoperte scientifiche in altre culture, ma Aquilina fa notare che solo nell’Occidente Cristiano la scienza si è davvero sviluppata.
L’aiuto ai poveri
L’attività caritativa dei Cristiani e della Chiesa è un altro immenso contributo alla società, prosegue Aquilina. Nei primi secoli i cristiani hanno istituito ospedali, mense e case per poveri. I cristiani hanno fatto ben più dell’Impero Romano nell’aiuto ai bisognosi, osserva lo studioso.
Più tardi, con la caduta dell’Impero Romano, senza seguire la decadenza di molte istituzioni pubbliche, i Cristiani hanno continuato ad assicurare l’assistenza ai poveri. “Per la maggior parte della durata della storia occidentale, infatti, la Chiesa è stata la prima fonte di aiuto per i poveri”, aggiunge Aquilina.
La Chiesa ha anche avuto una notevole influenza sulla musica e sulle arti, prosegue Aquilina. Basta camminare all’interno di una qualunque grande cattedrale per comprendere l’importanza dell’arte nella Chiesa. Una delle più grandi opere del Rinascimento è la Cappella Sistina, affrescata da Michelangelo, dove domani i cardinali si raduneranno per l’elezione del nuovo papa.
Venendo alla condizione della donna, sebbene molti critichino la Chiesa per non permettere il sacerdozio femminile, Aquilina osserva che la Chiesa Cattolica ha aiutato a realizzare i più importanti cambiamenti nel modo in cui le donne sono trattate.
In epoca pagana le bambine erano spesso lasciate morire dopo la nascita e le donne erano trattate come una proprietà dai loro mariti, senza i minimi diritti. I cristiani, al contrario, come spiega San Paolo, sanno che non c’è maschio né femmina (cfr. Gal 3,28).
I cristiani spesso non rispettano questo principio, ma trattano le loro donne in modo molto diverso dai pagani.
Oggi, la Chiesa continua a pronunciarsi contro lo sfruttamento delle donne e insiste che esse siano trattate come esseri umani e non come oggetti.
Dignità umana
La Chiesa Cattolica ha fornito validi contributi ai diritti umani e alla pace nel mondo, afferma Aquilina. Lo sviluppo di linee guida per una “guerra giusta”, pone serie restrizioni su come una guerra possa essere condotta. Mentre le guerre continuano, gli ideali cattolici di amore e giustizia fanno da notevole contrappeso ai conflitti.
La Chiesa ha anche dato un sostanziale contributo al concetto di dignità umana, insistendo che tutti gli esseri umani sono ugualmente importanti, osserva Aquilina. La Chiesa giocò un ruolo cruciale nella difesa delle popolazioni indigene delle Americhe.
“Nei giorni bui della schiavitù e dell’oppressione, milioni di Americani riconobbero nella Chiesa la loro protettrice”, spiega Aquilina.
Molti anni dopo un papa polacco, Giovanni Paolo II, ha ispirato i popoli dell’Europa dell’Est a rivendicare i propri diritti e a conquistare la libertà.
Aquilina non si limita a contemplare le conquiste della Chiesa del passato. La Chiesa Cattolica sta ancora crescendo, commenta, con molte conversioni in Africa e in Asia.
Nel campo della scienza e della tecnologia, la Chiesa ha ancora un ruolo importante da giocare. La scienza può dirci cosa possiamo fare, ma abbiamo bisogno della Chiesa, perché ci informi su cosa dobbiamo fare.
“Come un corpo vivente, quale essa è, la Chiesa Cattolica continuerà a crescere e ad imparare”, conclude Aquilina.
Il suo libro aiuta a porre in una prospettiva più vasta gli eventi cui stiamo assistendo in questi giorni.

Publié dans:CHIESA CATTOLICA, CONCLAVE 2013 |on 11 mars, 2013 |Pas de commentaires »

9 Novembre, Dedicazione della Basilica Lateranense – Omelia

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=23827

Ma egli parlava del tempio del suo corpo

Movimento Apostolico – rito romano 

Dedicazione della Basilica Lateranense (09/11/2011)

Vangelo: Gv 2, 13-22  

Una religione è fatta insieme di invisibilità e di visibilità. La via per entrare nell’invisibile è sempre il visibile. Dal visibile si misura la fede che uno ha nell’invisibile. Per cui la visibilità diviene il vero metro che ci consente di quantificare la grandezza o piccolezza di ogni nostra relazione con la verità invisibile. Se diciamo che Dio è carità, affermiamo la verità invisibile del nostro Dio. Se poi questa verità invisibile non diviene verità visibile allora la nostra fede è veramente poca, scarsa, inesistente. La purezza di una religione è la perfetta conformazione dell’invisibile al visibile e del visibile all’invisibile. Il visibile abbraccia ogni cosa che in qualche modo entra in relazione con l’invisibile. Nella vera religione tutto il visibile entra in relazione con l’invisibile e per questo ogni cosa deve essere manifestazione della realtà invisibile che noi confessiamo nella fede.
Questo vale anche per il nostro corpo. Essendo esso nella realtà invisibile tempio santo del nostro Dio, dimora dello Spirito del Signore, corpo mistico di Cristo Gesù, in ogni suo più piccolo gesto, dal mangiare, vestirsi, relazionarsi alla parola, ad uno sguardo, ad un’azione anche minima di un nostro senso, deve sempre manifestare la verità invisibile nella quale noi crediamo. Gesù oggi entra in Gerusalemme e vede che la casa del Padre suo era divenuta una spelonca di ladri, un luogo di mercato. Questo visibile peccaminoso attesta che vi è una fede non santa, non buona, non pura nel cuore di chi questo tempio frequenta. La purificazione che egli opera è attestazione della necessità di purificare la verità e la fede che regnavano nel cuore di tutti. Se il visibile non viene purificato, l’invisibile rimane in noi secondo una visione falsa e menzognera, bugiarda e deleteria, perché non dona alla nostra vita la verità che professiamo e la fede che diciamo di possedere.
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
I Giudei sanno che Gesù ha compiuto un vero gesto profetico. Si è rivelato profeta del Dio vivente in mezzo a loro. La purificazione del tempio e del culto era opera puramente profetica. Gli chiedono su quale fondamento di verità e di missione Lui ha potuto fare questo. Gesù gli risponde semplicemente che la sua autorità, o potestà è una sola: quella di ricostruire il suo tempio – cioè il suo corpo – una volta che esso fosse stato distrutto da loro. Loro lo avrebbero distrutto e Lui in tre giorni lo avrebbe nuovamente riportato in vita. È sicuramente un linguaggio oscuro quello di Gesù. Anche questo è però il linguaggio dei profeti, la cui parola si comprende solo dopo che si realizzata, quasi mai prima, essendo questa carica di tutto il mistero dell’onnipotenza divina che continua a creare contro ogni modello delle antiche creazioni, già operate dal nostro Dio e Signore. Dopo la risurrezione dal sepolcro, i discepoli si ricordarono di questa Parola e si aprirono alla retta fede nella verità del mistero del loro Maestro.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fate vera ogni nostra visibilità.

SANTA MARIA DEGLI ANGELI E DEI MARTIRI

http://www.zenit.org/article-30431?l=italian

SANTA MARIA DEGLI ANGELI E DEI MARTIRI

Quando la storia diventa leggenda

di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 28 aprile 2012 (ZENIT.org).- Quando i romani iniziarono con l’imperatore Massimiano nel 298 d.C. la costruzione del maestoso impianto termale (conosciuto e inaugurato come le thermas felices Diocletianas, le ‘terme di Diocleziano’) certo non sospettavano che secoli dopo sarebbero diventate uno dei punti di riferimento più importanti e significativi dell’intera cristianità. La dedica venne voluta in memoria dei cristiani che si pensa vennero resi schiavi e che furono costretti a costruire parte dell’impianto, ma anche in onore dei martiri uccisi dalla persecuzione di Diocleziano avvenuta nel 303 d.C.
Al giorno d’oggi, chi decidesse di svincolarsi tra il caos frenetico di una delle zone del centro più trafficate della città avrebbe soltanto l’imbarazzo della scelta su cosa visitare. L’antico impianto termale infatti, nonostante scempiato fino all’inverosimile come molti dei grandi monumenti dell’antichità, oltre a conservare gran parte del suo fascino, ha mantenuto intatta la sua disposizione architettonica e topografica, ancora facilmente leggibile tra strade e palazzi del quartiere. Tuttavia, poco dopo la costruzione della prima basilica, venne perpetrato, tra il 1586 e il 1589 da papa Sisto V un saccheggio finalizzato alla costruzione della sua residenza sull’Esquilino ma non fu l’unico, visto che proseguirono fino all’inizio del ‘900, epoca in cui si decise di consolidare e restaurare quanto rimaneva.
La loro originale grandiosità è facilmente intuibile attraverso i suoi numeri. Presentavano una superficie doppia rispetto alle già grandiose ‘terme di Caracalla’ (situate sull’Aventino), raggiungendo i 14 ettari di estensione. Il lato lungo del recinto misurava 380 metri il cui centro è rappresentato dall’odierna via Nazionale. Pochi infatti sono a conoscenza del fatto che la circolarità dei ‘portici’ di Piazza della Repubblica, realizzati alla fine dell’Ottocento da Gaetano Koch, è dettata dalle fondazioni della grandiosa esedra posizionata lungo la parete di fondo del muro di cinta che proteggeva l’impianto termale. Questo luogo, per la sua forma semicircolare, era probabilmente destinato alle rappresentazioni teatrali, svago ideale nell’ozio romano, circondato da due biblioteche, i cui volumina vennero qui trasferiti dalla basilica Ulpia del foro Traiano, all’epoca già non utilizzata.
Dopo l’abbandono delle terme, cosi come per l’area del foro, per secoli le strutture vennero riutilizzate come abitazioni e fino al XVI secolo erano praticamente intatte. Nel 1560 l’area del tepidarium (il settore riservato ai bagni caldi) venne trasformata in una chiesa dedicata agli Angeli, ma nulla a che vedere con il progetto che papa Sisto IV fece realizzare da Michelangelo appena due anni dopo, restaurando le strutture romane di collegamento tra il tepidarium e la natatio (piscina d’acqua fredda), creando in questo modo una basilica i cui lavori proseguiranno quasi ininterrottamente fino alla metà del XVIII secolo, dove l’asse principale si costituisce partendo dal vestibolo d’ingresso fino al coro ricavato sopra i resti della natatio.
La nascita della basilica fu anche il risultato dell’insistenza di un caparbio sacerdote siciliano, Antonio del Duca, che ebbe anni prima la visione di un’intensa luce fuoriuscente dall’edificio termale con al centro la visione di sette martiri. Con la costruzione michelangiolesca il progetto venne portato a termine, poi ripreso e sostanzialmente modificato nel XVIII secolo da Luigi Vanvitelli. Questi modificò il sobrio e austero impianto apportando anche modifiche strutturali. Vennero infatti create file di colonne di raccordo tra il vestibolo e il transetto e tra questo e il presbiterio. Creò una facciata ‘a timpano’, rimossa nel 1911, ripristinando uno spazio ‘absidale’ con una circolarità che contrasta e si oppone a quella dei portici della piazza. I due ingressi vennero abbelliti nel 2006 sostituendo i due portali lignei con delle porte bronzee raffiguranti il Redentore e l’Annunciazione realizzate dallo scultore Igor Mitoraj. Nonostante il Vanvitelli abbia sostanzialmente rivoluzionato l’impianto michelangiolesco, adattando la basilica ai suoi tempi, ebbe il grande merito di trasformarla in una grande e pregevole pinacoteca, arricchita da opere provenienti dalla Basilica Vaticana.
Fornire un quadro esaustivo delle ricchezze della Basilica di S. Maria degli Angeli e dei Martiri in poche righe è impresa difficile. Osservare con il naso all’insù i molti capolavori dell’arte barocca romana è sensazione rara, ma appena si scorgono strutture romane salvate dal tempo e dai rifacimenti, sembra ancora di percepire la vita pulsante delle antiche terme romane che ci hanno lasciato segno tangibile ed indelebile della grandiosità di una civiltà che fine del III secolo manifestava gli ultimi sprazzi d’orgoglio prima della divisione dell’impero e di riflesso, l’inizio della fine.


* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

Publié dans:archeologia, CHIESA CATTOLICA |on 30 avril, 2012 |Pas de commentaires »

Titolo cardinalizio

dal sito:

http://wapedia.mobi/it/Categoria:Titoli_cardinalizi

Titolo cardinalizio

I titoli cardinalizi sono chiese della diocesi di Roma il cui nome e le cui proprietà vengono legati ad un cardinale al momento della sua creazione.

Indice:
1. Storia
2. Tutti i titoli e le diaconie
3. I cardinali patriarchi orientali
4. Lista dei titoli e delle diaconie soppressi
5. Voci correlate
6. Altri progetti
7. Collegamenti esterni

1. Storia
1. 1. La parola titulus
Il titulus indicava originariamente la tabella (di marmo, legno, metallo o pergamena) che, posta accanto alla porta di un edificio, riportava il nome del proprietario. Questo perché le prime adunanze dei cristiani si attuavano all’interno di edifici privati (domus ecclesiae). Successivamente ai tituli privati (che, oltre alla sala cultuale e ai locali annessi per usi liturgici, comprendevano l’abitazione privata), nacquero quelli di proprietà della comunità, che conservavano il nome del fondatore o del donatore della casa.
1. 2. I titoli romani
I tituli, come le odierne parrocchie, erano soggetti alla giurisdizione della Chiesa. Capo della comunità ecclesiale era il presbitero coadiuvato da ministri a lui sottoposti.
I vari tituli, anche se identici dal punto di vista funzionale e della finalità, a causa della loro diversa origine e datazione, non si possono considerare come un gruppo omogeneo. Di tutti questi luoghi di riunione possediamo due diversi elenchi, desunti dalle sottoscrizioni dei vari presbiteri nel corso dei due sinodi svoltisi a Roma nel 499 e nel 595.
Confrontando questi due elenchi, in certi casi si nota come il titulus, che nel primo sinodo portava il nome del fondatore o del donatore, nel secondo porta la dedica all’omonimo santo. Probabilmente ciò è dovuto al crescente interesse per il culto dei martiri. Quelli più antichi si trovano generalmente in zone periferiche o popolari della città, mentre quelli nuovi creati dopo l’editto costantiniano del 313 ebbero tutti posizioni più centrali.
1. 3. I titoli dei cardinali oggi
Il titolo viene attribuito dal papa all’atto della nomina di un cardinale e, a differenza del particolare incarico ecclesiale, è vitalizio.
Tutti i tituli sono relativi alla diocesi di Roma e alle sue sedi suburbicarie, a simboleggiare l’unità del Collegio dei cardinali come strumento di supporto all’attività pastorale del vescovo di Roma..
In alcuni casi le diaconie sono elevate « pro hac vice » a titolo presbiteriale: questo avviene per poter annoverare il suo titolare fra i cardinali presbiteri (ad esempio qualora il cardinale titolare sia eletto vescovo di una diocesi o se dopo dieci anni di diaconato il cardinale chiede di essere promosso al titolo presbiterale) senza che debba rinunciare ad un titolo tradizionalmente legato al proprio ordine di appartenenza o luogo d’origine.
Le chiese titolari sono contrassegnate, generalmente sulla facciata, da un doppio stemma: a sinistra quello del Papa regnante, a destra quello del cardinale titolare medesimo.
Il titolo della Sede suburbicaria di Ostia spetta di diritto al Cardinal Decano, che lo affianca a quello già a lui precedentemente assegnato.

2. Tutti i titoli e le diaconie
I tituli sono 200, suddivisi in sedi suburbicarie, titoli e diaconie.

3. I cardinali patriarchi orientali
Papa Paolo VI, con il motu proprio Ad purpuratorum patrum, pubblicato l’11 febbraio 1965, stabilì che i patriarchi di rito orientale assunti nel Sacro collegio dei cardinali non appartengono al clero di Roma e, pertanto, non può essere assegnato loro alcun titolo o diaconia. I patriarchi cardinali appartengono all’ordine di vescovi cardinali e, nella gerarchia, si situano immediatamente dopo di loro. Mantengono la loro sede patriarcale e non viene assegnata loro alcuna sede suburbicaria. Il cardinale Ignace Gabriel I Tappouni, patriarca di Antiochia dei Siri, che era stato creato cardinale presbitero da papa Pio XI nel concistoro del 16 dicembre 1935 rinunciò al titolo dei Santi XII Apostoli e si inserì nell’elenco dei patriarchi cardinali. Il cardinale Grégoire-Pierre Agagianian, titolare di San Bartolomeo all’Isola, si dimise da patriarca di Cilicia degli Armeni il 25 agosto 1962 e il 22 ottobre 1970 divenne titolare della Sede suburbicaria di Albano. Tutti gli altri cardinali patriarchi che sono entrati nel Collegio cardinalizio dal 1965 in poi non sono stati assegnatari di alcun titolo romano
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Publié dans:CHIESA CATTOLICA |on 21 novembre, 2010 |Pas de commentaires »

Stati Uniti: un uomo « morto » cinque volte diventa cattolico

dal sito:

http://www.zenit.org/article-21939?l=italian

Stati Uniti: un uomo « morto » cinque volte diventa cattolico

Migliaia di persone entreranno nella Chiesa a Pasqua

WASHINGTON, martedì, 30 marzo 2010 (ZENIT.org).- Questa Pasqua, migliaia di persone si accingono a convertirsi al cattolicesimo, incluso un uomo che ha quasi perso la vita in cinque occasioni.

La Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha reso nota la storia di Jeremy Feldbusch, 30enne di Blairsville, Pennsylvania, che è tra le migliaia di persone che entreranno nella Chiesa durante la Veglia pasquale.

Feldbusch era nelle forze armate in Iraq, e il 3 aprile 2003 è stato ferito, rimanendo cieco a entrambi gli occhi e riportando traumi cerebrali.

Si pensava che morisse poco dopo o, se fosse rimasto in vita, riportasse un grave danno cerebrale. I medici gli hanno indotto il coma e hanno applicato un respiratore per sei settimane per ridurre l’infiammazione al cervello.

Hanno provato a togliere il respiratore cinque volte, ma ogni volta Feldbusch « moriva » e doveva essere rianimato. Al sesto tentativo, ha finalmente ripreso i sensi.

Il paziente, che era stato battezzato come metodista, ha chiesto al padre: « Perché Dio mi ha tolto la vista? ».

Il padre gli ha risposto con un’altra domanda: « Perché Dio ti ha salvato la vita? ».

La Conferenza Episcopale ha reso noto che attraverso il processo di riabilitazione Feldbusch « ha iniziato a pensare che le cose accadono per un motivo e ha deciso di spendere la sua vita per aiutare altri soldati feriti ».

Ha deciso di aderire alla Chiesa cattolica e verrà ricevuto in essa sabato, nel settimo anniversario della lesione che gli ha cambiato la vita in Iraq.

Il rapporto della conferenza stampa indica che migliaia di persone si uniranno a Feldbusch, con numeri particolarmente alti di nuovi cattolici soprattutto nelle regioni del sud e del sud-est degli Stati Uniti.

La Diocesi di Dallas, in Texas, si prepara a ricevere 3.000 nuovi cattolici. Di questi, 700 sono catecumeni (mai battezzati in precedenza), 2.300 sono candidati (già validamente battezzati nella fede cristiana, ma che cercano la piena comunione con la Chiesa).

Sempre in Texas, l’Arcidiocesi di San Antonio informa che 1.112 persone entreranno nella Chiesa. Un buon numero è costituito da giovani, e ci sono 214 bambini catecumeni e 124 bambini candidati.

La Diocesi di Forth Worth, nello stesso Stato, accoglierà più o meno lo stesso numero di nuovi cattolici.

L’Arcidiocesi di Atlanta (Georgia) si prepara ad accogliere 1.800 nuovi membri della Chiesa, il numero più alto che si ricordi nella regione, informa il dossier.

Sulla Costa occidentale, l’Arcidiocesi di Los Angeles (California), la più grande di tutto il Paese, riceverà 2.400 nuovi membri.

A Seattle (Stato di Washington), 682 persone verranno battezzate e 479 ricevute nella piena comunione. L’Arcidiocesi di Portland (Oregon) accoglierà 842 nuovi cattolici.

Altre Diocesi che attendono circa mille nuovi membri sono Detroit (Michigan, 1.225), Cincinnati (Ohio, 1.049), Denver (Colorado, 1.102), Arlington (Virginia, 1.100), Washington, D.C. (1.150).

Nell’Arcidiocesi di Washington, 18 di coloro che si accingono a entrare nella Chiesa sono studenti della St. Augustine School, la più antica scuola afroamericana della capitale.

Il comunicato stampa segnala che la Chiesa cattolica, che è la denominazione più numerosa negli Stati Uniti, con circa 68 milioni di fedeli, lo scorso anno ha sperimentato un aumento del 1,5% dei membri.

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