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LA CRISI DELL’UTILITARISMO – NELL’ULTIMA ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI (28 GENNAIO 2013),

http://www.zenit.org/it/articles/la-crisi-dell-utilitarismo

LA CRISI DELL’UTILITARISMO

SENZA ATTENZIONE ALLA PERSONA ED ECONOMIA DEL DONO NON SI ESCE DALLA CRISI. COMMENTO ALLA PROLUSIONE DEL CARDINALE ANGELO BAGNASCO

ROMA, 03 FEBBRAIO 2013 (ZENIT.ORG). CARMINE TABARRO | 185 HITS

NELL’ULTIMA ASSEMBLEA DEL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI (28 GENNAIO 2013), NOTEVOLE LA QUALITÀ DEL LUNGO INTERVENTO DEL CARDINALE ANGELO BAGNASCO.

In particolare il suo riferimento all’etica della vita come fondamento dell’economia: la «bioeconomia».
Questo termine richiama i concetti di «biopolitica», o anche di «biodiritto», che oggi tanto spazio trovano nei programmi politici di tutti gli schieramenti, in Italia come all’estero.
In questo passaggio storico, sviluppare e diffondere il concetto di bioeconomia e fondamentale. Difatti, l’attuale crisi prima che finanziaria ed economica è una crisi antropologica e valoriale.
Una cultura, come afferma il cardinale che rischia di sacrificare il capitale umano al «primato economicista».
Questa affermazione del Presidente della CEI (in piena continuità con la Dottrina Sociale della Chiesa), rileva la necessità di mettere in discussione il sistema, perché ha mostrato l’assoluta inadeguatezza e insostenibilità, morale e pratica.
Il merito dell’Arcivescovo di Genova è di aver avuto il coraggio di proporre questioni precise e dettagliate con una carica di forte originalità.
Dire che oltre alla biopolitica e al biodiritto si deve parlare anche di bioeconomia è gettare un sasso nello stagno melmoso, pieno di ideologie, conflitti d’interessi e luoghi comuni.
Il cardinale difatti ha affermato che non tutti i modelli di economia di mercato sono amici della persona umana e della società umana. Certo, all’economia di mercato non c’è alternativa. Ma alcuni modelli sono più compatibili di altri con la Dottrina sociale della Chiesa.
Bagnasco citando la Caritas in veritate afferma che «la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica».
Questo è il tema centrale. Affrontare la questione sociale vuole dire fissare l’attenzione sulle cause più profonde della crisi, e non solo sugli effetti.
Il presidente della CEI richiama alle proprie responsabilità chi vuole far credere che, superata la fase acuta della crisi, si potrà tornare alla finanza creativa e all’egoismo irrazionale, esattamente come prima. Ma è un’illusione, e va detto con forza.
L’assunto antropologico basato sul presupposto dell’individualismo egoista, dell’auto-interesse materialista e dell’utilitarismo riduzionista sostenendo che il capitalismo finanziario anarchico possa regolare se stesso, non ci permetterà di superare la crisi né di costruire un futuro più solido.
In altre parole non ci sarà ripresa fino a che il capitale umano verrà alimentato da una cultura che esalta solo “il successo e la ricchezza facile”.
In altre parole se non incentiviamo il lavoro e ricostruiamo il capitale del bene comune nella sua integralità non potranno essere contrastate le derive sui temi della vita, della famiglia, del matrimonio, e sarà difficile limitare gli aborti, l’eutanasia, l’economicismo, il mercatismo ecc. 

Su questi temi, troppo spesso anche i cattolici sono stati condizionati dalla cultura maggioritaria e dal modello dominante. Ci si è illusi poter ottenere in cambio qualche misura in più per aiutare i poveri o le famiglie. Ma si tratta di surrogati culturali e politici, non della cura del male di cui soffre la società italiana e occidentale.
In questa fase il mondo cattolico deve avere il coraggio e la volontà di elaborare un pensiero che mostri gli errori della cultura dominante fondata sulla visione individualista, auto-interessata, relativista.
Non basta difendere in maniera ideologica la legge naturale: è compito nostro riuscire a mostrare le ragioni teoriche e pratiche per cui la legge naturale è superiore all’assunto individualista e auto interessato. Anche su questo il cardinale Bagnasco ha centrato il problema.
Per quanto riguarda il modello di sviluppo economico, secondo il presidente della CEI, bisogna cambiare.
Dobbiamo investire in una economia che metta al centro la persona non solo nel momento della distribuzione della ricchezza, ma anche nel modo in cui è prodotta. Oggi non basta più pagare un giusto salario ai lavoratori o dare le ferie: il processo produttivo non deve essere umiliante per la persona e per la sua dignità. Il concetto di sviluppo umano integrale è legato a tre fattori: Pil, beni socio-relazionali, e beni spirituali.
La strada che ci indica il cardinale Bagnasco è quella di far crescere il prodotto interno lordo evitando di sacrificare le altre due componenti.
In nome dell’utile, non è bene sfruttare i lavoratori, inquinare l’ambiente, mettere slot-machine nelle scuole, oppure lavorare la domenica.
Attraverso l’etica della vita e la bioeconomia dobbiamo privilegiare un modello di sviluppo che consideri i beni relazionali, i servizi alla persona, i beni intangibili (la fiducia) i beni comuni.
Il modello fondato solo sul consumismo egoistico (sempre più alimentato con il debito) di beni privati è un sistema che non è più sostenibile.
Non possiamo mettere sullo stesso piano gli interessi economicistici con i valori non negoziabili.
Non si può accettare il principio che ti dò più soldi, ma in cambio tu rinunci a realizzare il tuo potenziale umano. Che senso ha avere un reddito maggiore se poi l’organizzazione del lavoro ti impedisce di essere genitore? Di poter fare e stare in famiglia? di far nascere e assistere i figli?

Publié dans:ATTUALITÀ, CEI |on 2 avril, 2013 |Pas de commentaires »

“Padre Nostro”, l’invocazione comune di ebrei e cristiani

16/01/2008, dal sito:
http://www.zenit.org/article-13166?l=italian 

“Padre Nostro”, l’invocazione comune di ebrei e cristiani 

XIX Giornata per il dialogo ebraico-cattolico 

Di Mirko Testa

 ROMA, mercoledì, 16 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Questo giovedì si celebra la XIX Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, sul tema “Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano” (Esodo 20,7). 

Dal 1990, infatti, la Conferenza Episcopale Italiana ha dato vita a questa iniziativa coordinata con autorità ed esponenti del mondo ebraico, ed estesa anche in Europa dopo l’incontro ecumenico di Graz (Austria) nel 1998, che fa da preludio alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio). 

In questo modo la Chiesa cattolica intende rispondere ad un’esigenza di maggiore comprensione di sé attraverso la conoscenza delle sue origini ed esprimere un gesto di dialogo e di fraternità verso il popolo ebraico. 

Dal 2005, quale tema generale della Giornata, si è iniziato un programma di riflessione decennale che medita sulle “Dieci Parole” o Decalogo, rivelate a Mosè sul monte Sinai. 

Per accompagnare la ricorrenza ed illustrarne le prospettive ecclesiologiche ed ecumeniche, è stato approntato un Sussidio a firma del Vescovo Vincenzo Paglia, Presidente della Commissione Episcopale CEI per l’ecumenismo e il dialogo, e del Rabbino Giuseppe Laras, Presidente del Tribunale Rabbinico di Milano e del Nord Italia. 

Nel sussidio si ricorda che “i precetti dati al Sinai, e in particolare i Dieci Comandamenti nei quali tutti sono come riassunti e unificati, sono dati all’uomo per la sua santificazione e nel contesto dell’Alleanza di salvezza”. 

“Ciò implica che ‘per l’uomo’ la fede, l’alleanza, il culto e l’etica personale e sociale sono radicalmente unite dinanzi al Signore”, si legge ancora. 

In particolare, il Comandamento che si pone come “Terzo” nell’ordine tradizionale seguito sia da ebrei, che da cristiani ortodossi e protestanti, suona: “Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano. Poiché il Signore non lascerà impunito chi avrà pronunciato il Suo nome invano”. 

“Il Comandamento – spiega il testo – vieta l’uso sconsiderato del nome di Dio per fini falsi o superficiali”, nome che è anzitutto quello di “Avinu” (Is 63,16), “Padre nostro” (Mt 6,9), “l’invocazione più semplice e profonda che la Bibbia rivela al credente ebreo e cristiano”. 

“Il santo Nome si fa preghiera ardente e confidente, che sale dal cuore dei figli e delle figlie, come invocazione benedicente al Padre di tutti, rivoltagli ogni giorno nella Birkat ha-Torà (‘Benedizione della Torà’) ebraica e nel Pater cristiano”. 

Allo stesso tempo, però, Dio attraverso il suo “Nome santo e amorevole” esprime la relazione di Creatore e Redentore con i suoi figli. 

“Da questa fondamentale rivelazione che Dio è Creatore e Padre di tutti noi (cfr. Malachia 2, 10) – prosegue il Sussidio – discende la certezza del Suo amore eterno che si esprime in un’Alleanza irrevocabile, della quale le Dieci Parole costituiscono il sigillo etico per la condotta del popolo di Dio, figli e figlie dell’Altissimo”. 

“Il rispetto, la venerazione, l’adorazione, l’amore verso Dio – si legge ancora nel testo – si esprimono in particolare nelle forme della preghiera e della lode, personale e comunitaria, specialmente nella liturgia ebraica familiare e sinagogale, alla quale Gesù stesso prendeva normalmente parte, e dalla quale dopo di lui la Chiesa attinse per sviluppare i tesori della propria liturgia”. 

“Perciò nella proclamazione e nell’ascolto della Parola di Dio, così come nella recita e nel canto di Salmi e Inni, i cristiani possono tuttora apprendere e godere di quegli stessi tesori spirituali, che costituiscono e nutrono la vita di fede e di fedeltà ebraica ai doni di grazia divini”, conclude poi. 

Publié dans:biblica, CEI, ebraismo, ZENITH |on 17 janvier, 2008 |Pas de commentaires »

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