Archive pour la catégorie 'BONHOEFFER DIETRICH'

D. BONHOEFFER MEDITAZIONE PER LA PENTECOSTE DEL 1940

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D. BONHOEFFER MEDITAZIONE PER LA PENTECOSTE DEL 1940

dal sito del Monastero di Bose

martedì 19 maggio 2015

Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano,
nell’aprile di 70 anni fa si compiva il destino di Dietrich Bonhoeffer, teologo e pastore luterano. Sempre in aprile, due anni prima, era stato arrestato per cospirazione contro Hitler. L’8 aprile 1945, domenica in Albis, veniva condannato per ordine del Führer in persona, il giorno dopo, 9 aprile,muore appeso a un palo nel campo di concentramento di Flossenburg.
Vogliamo ricordare assieme a voi la sua lucida testimonianza resa alla grazia a caro prezzo che attende ogni discepolo del Signore. In una stagione in cui un numero sempre più grande di fratelli e sorelle cristiani conosce il martirio al culmine del loro cammino di sequela, le parole di Bonhoeffer ci siano di lezione e consolazione.
Vi riproponiamo una sua meditazione per la domenica di Pentecoste 1940, quando già l’orrore nazista l’aveva indotto a rientrare in Germania per condividere la sorte del suo popolo mettendosi al servizio della resistenza. Il brano evangelico commentato è tratto dal Vangelo di Giovanni (14,27-31). Sono parole di un « cristiano che molti vorrebbero essere ».

I fratelli e le sorelle di Bose
Al prendere dimora del Padre e del Figlio e all’invio dello Spirito si aggiungono i doni che Cristo elargisce ai discepoli al momento di lasciarli. In primo luogo la pace. Perché i discepoli sappiano di che si tratta, Gesù afferma, e lo ripete chiaramente, che è la sua pace quella che egli dà ai suoi. Altrimenti, quanto facili sarebbero qui le illusioni e le false speranze! È la pace di colui che sulla terra non aveva dove posare il capo, e che è dovuto andare sulla croce. È la pace con Dio e con gli uomini, anche là dove l’ira di Dio e degli uomini
minaccia di annientarci. Solo questa pace di Cristo ha consistenza.
Ciò che offre il mondo può essere solo un sogno, dal quale non potremmo che ridestarci pieni di confusione e di angoscia. Colui che riceve la pace di Gesù, invece, non ha più motivo di lasciarsi
prendere dalla confusione e dall’angoscia, quando il mondo senza pace si ritrova nel tumulto. È questa la pace che Gesù dà alla sua comunità, e nessun altro se non lui la può dare.
Il secondo dono è la gioia. Nel tornare al Padre – che “è più grande” di lui (ci si guardi qui dalle concezioni ariane!), perché è nella gloria – Gesù dona a coloro che lo amano la gioia: ormai, infatti, anche il loro Signore viene esaltato e glorifi cato. Se il cuore dei discepoli è davvero con Cristo, essi prendono dunque parte, in un giubilo adorante, alla sua glorifi cazione, poiché sanno anche che il
Glorifi cato ritorna e rimarrà con loro (notate che qui il ritorno concerne tutta la comunità!). Questa è la gioia in Cristo della comunità.
La promessa di Gesù dona infi ne ai suoi la forza della fede. Ecco il terzo dono. Nulla avviene che il Signore non abbia predetto. Tutto secondo la sua parola. Verrà il principe di questo mondo, ma non potrà nulla contro Gesù, poiché non troverà in lui nessun peccato.
Non è per la potenza del demonio, ma per offrire al mondo il segno che egli ama suo Padre e che a lui soltanto fa obbedienza, fi no alla morte, che Gesù andrà sulla croce. In tutto ciò, però, la comunità sa, per la parola di Gesù, che il suo Signore va al Padre e ritorna. Essa crede alla sua parola e attende il compimento della promessa.
È in questa fede in Cristo, e in essa solamente, che la comunità ha la pace di Cristo e la gioia di Cristo. Nella fede essa ha la certezza dell’invio dello Spirito santo e accoglie il Padre e il Figlio, che porranno la dimora in coloro che amano Gesù Cristo e custodiscono la sua parola.

 

Publié dans:BONHOEFFER DIETRICH, PENTECOSTE |on 1 juin, 2017 |Pas de commentaires »

LA FRAGILITÀ DEL MALE – BONHOEFFER

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LA FRAGILITÀ DEL MALE – BONHOEFFER

Così fu ucciso Bonhoeffer teologo devoto a Dio e al mondo. Settant’anni fa fu giustiziato dai nazisti il grande studioso protestante. Che fece dell’amore per la vita il centro della sua fede

(Vito Mancuso) Esattamente 70 anni fa, all’alba del 9 aprile 1945, completamente nudo, veniva giustiziato nel lager nazista di Flossenbürg il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer che scontava così la sua partecipazione alla Resistenza. Nel 1955 il medico del lager H. Fischer-Hüllstrung rilasciò una testimonianza, da allora ripetutamente citata, secondo cui il condannato prima di svestirsi si era raccolto in preghiera: «La preghiera così devota e fiduciosa di quell’uomo straordinariamente simpatico mi ha scosso profondamente; anche al luogo del supplizio egli fece una breve preghiera, quindi salì coraggioso e rassegnato la scala del patibolo, la morte giunse dopo pochi secondi».
Il medico concludeva: «Nella mia attività medica di quasi cinquant’anni non ho mai visto un uomo morire con tanta fiducia in Dio». Oggi sappiamo che queste belle parole edificanti sono una menzogna. Con esse il medico intendeva in realtà coprire la propria responsabilità, visto che il suo compito, come testimoniato da un sopravvissuto del lager, Jørgen Mogensen, diplomatico danese, era di rianimare i condannati per sottoporli al supplizio una seconda volta e prolungarne l’agonia. Inoltre secondo Mogensen a Flossenbürg non vi era alcun patibolo e Bonhoeffer morì come l’ammiraglio Canaris e il generale Oster, suoi superiori nelle fila della resistenza, «lentamente strangolati a morte da una corda che saliva e scendeva a partire da un gancio di ferro conficcato in una parete» e rianimati più volte dal medico per ripetere sadicamente la procedura. Bonhoeffer quindi non fu impiccato bensì ripetutamente strangolato, e non morì dopo pochi secondi. Quanto alla «tanta fiducia in Dio», è bello sperarlo.
Aveva da poco compiuto 39 anni ed era una delle intelligenze più brillanti della teologia tedesca, docente all’Università di Berlino a 25 anni, lontano parente di Goethe, il padre titolare della cattedra berlinese di neuropsichiatria. Dopo l’avvento al potere di Hitler, il 30 gennaio 1933, mentre le chiese tedesche stipulavano accordi con il regime nazista (Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, firmò il Concordato il 20 luglio 1933), Bonhoeffer il 1° febbraio, a distanza di due giorni, manifestava alla radio la preoccupazione per la trasformazione del concetto di Führer in quello di Verführer, “seduttore”. Tre mesi dopo pubblicava il saggio La Chiesa di fronte alla questione ebraica e dopo “la notte dei cristalli” del 9 novembre ’38 prese a ripetere ai suoi studenti: «Solo chi grida per gli ebrei può cantare il gregoriano». La stessa logica imbevuta di rettitudine e di giustizia lo condusse nella Resistenza per uccidere Hitler, perché «se un pazzo alla guida di un auto travolge i passanti, il mio compito non è solo curare i feriti ma anzitutto fermare quel pazzo» (Gandhi il 4 novembre 1926 aveva espresso la medesima idea con un esempio simile).
Venne arrestato il 5 aprile ‘43 e rinchiuso nel carcere di Tegel dove trascorse un anno e mezzo (poi il carcere berlinese della Gestapo, poi Buchenwald, infine Flossenbürg). Anche a causa del fatto che era nipote del comandante di Berlino generale Paul von Hase, a Tegel Bonhoeffer trascorse un periodo relativamente confortevole: nacquero così le lettere e gli scritti poi pubblicati nel ‘51 con il titolo Resistenza e resa, oggi punto di riferimento capitale della teologia contemporanea. In una lettera all’amico Bethge si legge: «Posso ben immaginare che qualche volta cominci a odiare il sole. E però, sai, vorrei poterlo percepire ancora una volta in tutta la sua forza, quando ti arde sulla pelle e a poco a poco infiamma tutto il corpo, sicché sai di nuovo che l’uomo è un essere corporeo; vorrei farmi stancare da lui anziché dai libri e dalle idee, vorrei che risvegliasse la mia esistenza animale, non quella animalità che sminuisce l’essere uomo, ma quella che lo libera dall’ammuffimento e dall’inautenticità di un’esistenza solo spirituale, e rende l’uomo più puro e più felice».
A parlare così non è un materialista, ma chi ha fatto della fede il centro della vita. Egli però avverte che la tradizionale impostazione religiosa è ormai inadeguata a esprimere la potenza spirituale della vita. A partire dalla forza del sole Bonhoeffer intuisce che lo spirito non scende dall’alto a dispetto della materia, ma sale dal basso, dal calore della natura, quasi come un’effusione della materia, come già avevano espresso Teilhard de Chardin sul fronte cattolico e Pavel Florenskij sul fronte ortodosso, aprendo territori inesplorati alla teologia cristiana. Così il 30 aprile ‘44 all’amico: «Ti meraviglieresti, o forse addirittura ti preoccuperesti delle mie idee teologiche e delle loro conseguenze». Quali idee? Quelle secondo cui «il divino non è nelle realtà assolute , ma nella forma umana naturale».
Scrivendo alla fidanzata, Bonhoeffer spiega la sua idea di fede: «Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo». Grazie a parole come queste la teologia protestante del dopoguerra ebbe quel formidabile scossone noto come “teologia della secolarizzazione” che vide protagonisti nomi quali Bultmann, Gogarten, Tillich e che contribuì a suscitare la “théologie nouvelle” in ambito cattolico e da questa il rinnovamento del Vaticano II. Oggi di questo teologo devoto tanto a Dio quanto al mondo, vengono pubblicati da Piemme, con il titolo La fragilità del male, alcuni scritti. L’editore dichiara che si tratta di “scritti inediti”, in realtà non tutti lo sono, perché quelli datati dopo il 5 aprile 1943 sono editi in Italia in Resistenza e resa.
Si tratta di testi occasionali, provenienti da prediche, lezioni esegetiche e meditazioni. Così il lettore incontra, nella limpida prosa di Bonhoeffer, temi quali la paura, il dolore, la morte, la guerra, la solitudine, il peccato, la tentazione, la collera di Dio, il diavolo, il dolore di Gesù… Fa da epigrafe questa frase del ’39: «Di solito, nel corso delle nostre esistenze, non parliamo volentieri di vittoria: è una parola troppo grande. Negli anni abbiamo subito troppe sconfitte, troppi momenti di debolezza, e cedimenti troppo gravi ce l’hanno sempre preclusa. Tuttavia, lo spirito che abita in noi vi anela, desidera il successo finale contro il male e contro la morte». In qualunque modo ne sia avvenuta la morte a Flossenbürg settant’anni fa, la vita di Bonhoeffer rimane oggi una promessa per il “successo finale” del bene e della vita.
IL LIBRO Dietrich Bonhoeffer, La fragilità del male

Publié dans:BONHOEFFER DIETRICH, STUDI |on 4 août, 2015 |Pas de commentaires »

BONHOEFFER E LA PAURA DELL’INFINITO

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BONHOEFFER E LA PAURA DELL’INFINITO

Dal volume di scritti di Dietrich Bonhoeffer, ucciso nel campo di concentramento di Flossenbürg il 9 aprile 1945, La fragilità del male (Milano, Piemme, 2015, pagine 176, euro 17,50). Un testo che sembra rispondere alle mie considerazioni sulla paura di credere a partire da « Il Regno » di Emmanuel Carrère.

La paura è in un certo qual modo il nostro principale nemico. Essa si annida nel cuore dell’uomo e lo mina interiormente finché egli crolla improvvisamente, senza opporre resistenza e privo di forza. Corrode e rosicchia di nascosto tutti i fili che ci uniscono al Signore e al prossimo. Quando l’essere umano in pericolo tenta di aggrapparsi alle corde, queste si spezzano, ed egli, indifeso e disperato, si lascia cadere tra le risate dell’inferno.
Allora la paura lo guarda sogghignando e gli dice: ora siamo soli, tu e io, e ora ti mostro il mio vero volto. Chi ha conosciuto e si è abbandonato a questo sentimento in un’orribile solitudine — la paura di fronte a una grave decisione, la paura di un destino avverso, la preoccupazione per il lavoro, la paura di un vizio a cui non si può più opporre resistenza e che rende schiavi, la paura della vergogna, la paura di un’altra persona, la paura di morire — sa che è soltanto una maschera del male, una forma in cui il mondo ostile a Dio cerca di ghermirlo. Non c’è nulla nella nostra vita che ci renda evidente la realtà di queste forze ostili al Creatore come questa solitudine, questa fragilità, questa nebbia che si diffonde su ogni cosa, questa mancanza di vie di uscita e questa folle agitazione che ci assale quando vogliamo uscire da questa terribile disperazione. Avete mai visto qualcuno assalito dalla paura? Il suo viso è orribile quando è bambino e continua a essere spaventoso anche da adulto: quella fissità dello sguardo, quel tremore animalesco, quella difesa supplichevole. La paura fa perdere all’uomo la sua umanità. Non sembra più una creatura di Dio, ma del diavolo; diventa un essere devastato, sottomesso.
Abbiamo paura della quiete. Siamo così abituati all’agitazione e al rumore, che il silenzio ci appare minaccioso e lo rifuggiamo. Passiamo da un’attività all’altra per non dover stare soli, per non essere costretti a guardarci allo specchio. Ci annoiamo, a tu per tu con noi stessi. Spesso le ore che siamo costretti a trascorrere in solitudine ci sembrano le più tristi e le meno fruttuose. Ma non abbiamo soltanto il timore di noi e di scoprirci; temiamo molto di più l’Onnipotente. Vorremmo evitare che disturbi la nostra tranquillità e ci smascheri, creando un rapporto esclusivo a due per poi disporre di noi secondo la sua volontà. Questo incontro misterioso ci preoccupa e cerchiamo di sottrarci a questa esperienza. Ci teniamo alla larga dal pensiero di Dio, per evitare che Egli arrivi inaspettatamente e ci rimanga troppo vicino. Sarebbe terribile doverlo guardare negli occhi e doversi giustificare. Dal nostro volto potrebbe scomparire per sempre il sorriso. Potrebbe, per una volta, accadere qualcosa di molto serio a cui non siamo più abituati.
Questa paura è una caratteristica della nostra epoca. Viviamo con l’ansia di essere improvvisamente avvolti e manovrati dall’infinito. Allora preferiamo vivere in società, andare al cinema o a teatro per poi essere portati al cimitero, piuttosto che rimanere un minuto di fronte al Signore.
Il cristianesimo ha sempre prodotto l’opposizione forte e sdegnata di una filosofia aristocratica che esaltava la forza e il potere, in contrapposizione con i nuovi valori di rifiuto della violenza ed esaltazione dell’umiltà. Anche nella nostra epoca siamo testimoni di questa lotta. Il cristianesimo resiste o fallisce con la sua protesta rivoluzionaria contro l’arbitrio e la superbia del potente, con la sua difesa del povero. Credo che i cristiani facciano troppo poco, e non troppo, per rendere chiaro questo concetto. Si sono adattati troppo facilmente al culto del più forte. Dovrebbero dare molto più scandalo, scioccare molto più di quanto facciano ora.

Publié dans:BONHOEFFER DIETRICH, STUDI |on 4 août, 2015 |Pas de commentaires »

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