Archive pour la catégorie 'bioetica'

Il caso Eluana e la dimensione della dipendenza

dal sito:

http://www.zenit.org/article-15059?l=italian

Il caso Eluana e la dimensione della dipendenza

ROMA, domenica, 20 luglio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica lintervento di Chiara Mantovani, Presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI) di Ferrara e Presidente di Scienza & Vita di Ferrara.

* * *

Ci sono tanti fraintendimenti nella vicenda che vede coinvolta Eluana Englaro, alcuni di ordine tecnico-medico, altri di natura squisitamente bioetica. Quello che mi sembra decisivo è provare a fare chiarezza per avere elementi oggettivi e razionali sui quali poi provare ad esprimere un giudizio sui fatti, astenendosi dal giudicare le persone. I fatti sono che ad una persona, che vive in condizioni che non richiedono particolari terapie ma per le quali non sono conosciuti rimedi risolutivi, si reputa opportuno togliere i supporti naturalmente vitali. Non è la sua malattia a richiedere idratazione e nutrimento: acqua e cibo sono elementi indispensabili alla vita di ogni vivente. È solo la modalità di assunzione che per lei è differente da quella ordinaria. Ma un sondino direttamente nello stomaco non può essere considerato un presidio eccezionale, sproporzionato all’effetto desiderato o gestibile solo da competenze specialistiche. Non è straordinario né per costo, né per impegno strumentale, né per disagio del soggetto cui si somministra. Non si può ignorare la valenza esemplare di avvenimenti che vengono portati alla ribalta della cronaca: Eluana è icona di una sofferenza molto più comune della sua stessa patologia, quella sofferenza che è banco di prova della condizione umana: la dimensione della dipendenza, la frustrazione di dipendere dagli altri. Se da piccoli questa dipendenza non è pesante da sopportare, anzi, è la condizione naturale, da adulti, dopo aver faticosamente raggiunto il traguardo della maturità, sembra disumano esservi ancora costretti.Modernamente, invece, si è fatto della rivendicazione della propria autosufficienza la misura del senso della propria vita: se “dipendo” dagli altri, non sono più io che vivo, vivono loro al posto mio. È molto comune che il giovane rivendichi la libertà intesa come possibilità di fare e vivere come si reputa opportuno: nell’età in cui un orario imposto di rientro a casa appare come una limitazione insopportabile, una sedia a rotelle può facilmente apparire come intollerabile: figurarsi la dipendenza assoluta di uno stato vegetativo, la impossibilità di progettare il futuro, l’impotenza di comunicare e interagire con il mondo. Non mi nascondo l’angoscia di una tale condizione, non sostengo che sia facile. Ma mi pare che essa interpelli la capacità del “mondo” di sopportare il dolore e la sofferenza e di capire che nulla diminuisce il valore della persona umana, men che meno la debolezza.Per Eluana, e per altri che come lei da soli non ce la fanno, qualcuno pensa che la morte sia meglio della vita. Questo è proprio la caratteristica della eutanasia: la morte più “bella” della vita. In che modo si pensa di procurare questa morte? Qualcuno ha detto: lasciando che la natura faccia il suo corso. Ma la natura presuppone che per mantenere la vita si mangi e si beva e non è andare contro natura provvedere ai bisogni elementari. In questi giorni mi è tornata alla mente una scena di un vecchio film, sulla vita degli eschimesi. Ad una giovane coppia nasce un bel bambino, ne sono felici, sebbene vivano in un mondo freddo e inospitale. Ma già dopo pochi minuti dalla nascita, l’inesperto padre si accorge che il bimbo non ha denti. Si dispera, perché i denti, in quella situazione, sono strumento di sopravvivenza: servono per mangiare, ma anche per lavorare le pelli, per costruire attrezzi, per condurre una vita “normale”. E con grande tristezza comunica alla moglie che dovranno abbandonarlo, quel piccolo, perché è destinato ad una morte lenta e dolorosa. Ma la mamma si dispera, non ci sta. E dice una frase che non si è mai cancellata dalla mia memoria: «Masticherò io per lui, lascia che sua madre lo nutra, lo vesta: i miei denti saranno i suoi denti!». Felicemente, scopriranno da soli che dopo qualche mese il problema sarà naturalmente risolto!Per Eluana la scienza medica non dà prospettive di recupero, solo incertezze. Dice che probabilmente non tornerà mai ad essere autosufficiente, non promette guarigione. Anzi, ammette che ci vorrebbe un “miracolo”, laicamente inteso per indicarne la improbabilità. Allo stesso tempo dice che non sta per morire, che le sue condizioni cliniche generali sono buone, che il suo fisico lotterà per la sopravvivenza. Terry Schiavo ha terribilmente mostrato che cosa sarà necessario somministrarle per non farla soffrire “troppo”: calmanti, antidolorifici, anticonvulsivi e molto altro ancora. Ad Eluana, come a Terry, non si stanno applicando cure inadeguate alla condizione clinica: si dà ciò che si dà ad ogni essere che viene al mondo, quando ancora non è in grado di fare da sé. Neppure un ’aspirina, dicono le suore che ne hanno cura. Ecco, mi pare, il punto decisivo: prendersi cura. E farsi carico di una sofferenza. E riconoscere non un barlume, ma tutta l’umanità connaturata ad ogni persona. Riconoscerla nonostante non salti agli occhi con fragore, ma vada cercata con amore. Non vediamo mai foto recenti di Eluana: non me ne rammarico, perché il riserbo è segno di rispetto e perché il nostro mondo è talmente ammalato di sensazionalismo da dimenticare spesso il pudore. Eppure, anche senza vederla, sono intimamente convinta che il suo papà e la sua mamma la trovano sempre bella, perché è davvero così: di nessuno che si ama si può dire che è brutto. Mi chiedo perché uno o più giudici non abbiano riconosciuto, nella richiesta dell’ingegner Englaro, la valenza comune ad ogni grido di dolore: ditemi quanto vale, per voi, la vita di mia figlia. Datemi strumenti per capire, per sopportare, per essere aiutato a portare il peso; non scappatoie per liberarsi di un problema.C’è un pericolo concreto di perdita del senso del reale, in una società in cui i deboli possono essere cancellati dalle sentenze; né si invochi il testamento biologico, pretesto fin troppo manovrabile, addirittura beffardo, per imporre scelte ben poco consapevoli. Perché non è il diritto di scelta sulla vita la misura alta di una civiltà: è, piuttosto, il coraggio di farsi carico di ogni dolore, di assumersi la responsabilità degli altri. Se poi la fede cristiana illumina meglio il cammino, non si dica che è ingerenza: si ammetta che è una ragione in più, non una menomazione del giudizio.

I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: 

bioetica@zenit.org

I diversi esperti che collaborano con ZENIT provvederanno a rispondere ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]

Publié dans:bioetica |on 20 juillet, 2008 |Pas de commentaires »

“Scienza & Vita” di Pisa e Livorno difende i medici obiettori

03/04/2008, dal sito:
 

http://www.zenit.org/article-13953?l=italian

 

“Scienza & Vita” di Pisa e Livorno difende i medici obiettori 

Respinte le intimidazioni e le argomentazioni sulla pillola del ‘giorno dopo’ 

di Antonio Gaspari

 

 ROMA, giovedì, 3 aprile 2008 (ZENIT.org).- Ha suscitato scalpore la notizia secondo cui, in due ambulatori di guardia medica nella zona di Pisa, i medici, appellandosi al diritto di obiezione di coscienza, non hanno prescritto la pillola del ‘giorno dopo’ a due ragazze. 

Secondo quanto riportato dai media, le strutture sanitarie dell’azienda sanitaria locale pisana avrebbero avviato una indagine interna. 

Intervenendo sulla vicenda, l’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno ha diffuso un comunicato in cui ha precisato diritti e doveri del personale medico. 

In merito alla pillola del giorno dopo, nella nota recapitata a ZENIT si legge che “la vasta letteratura scientifica in materia (Landgren, 1989; Wang, 1998; Ugocsai, 2002; Marions, 2002; Trussel, 2006) fornisce amplissima documentazione di possibili effetti post-fertilizzativi della pillola del giorno dopo, tra cui l’interferenza con l’impianto dell’embrione, effetti, peraltro, dichiarati anche nella scheda tecnica e nel foglietto illustrativo del farmaco”. 

Secondo gli esperti dell’associazione, “affermare che il farmaco non è un abortivo, ma è un contraccettivo significa eludere il problema che è proprio l’azione anti-nidatoria del farmaco che pone problemi etici a un numero notevolissimo di medici”. 

“Negare effetti post-fertilizzativi – continuano – significherebbe di fatto ammettere che il farmaco ha un’efficacia enormemente inferiore rispetto a quanto dichiarato e quindi a porre la questione in modo ancora più stringente del rapporto rischio/beneficio”. 

Circa l’effetto anticoncezionale e riduttivo degli aborti della pillola del giorno dopo, il comunicato afferma che “a livello di popolazione gli studi scientifici (Polis, 2007; Raymond, 2007) hanno dimostrato che la promozione della diffusione della pillola del ‘giorno dopo’ non si associa ad una riduzione né delle gravidanze indesiderate, né degli aborti”. 

In relazione alla questione dei diritti, Scienza & Vita di Pisa e Livorno ricorda che “in Italia il farmaco è dispensabile dietro prescrizione di ricetta medica. Questo implica un’anamnesi, una visita, il raggiungimento del consenso informato da parte della paziente e solo al termine di un tale percorso l’eventuale prescrizione, che non può essere intesa come mero atto burocratico se non svilendo la professione stessa”. 

A questo proposito, si ribadisce: “La Corte Costituzionale italiana ha affermato il diritto alla vita del concepito, non dell’impiantato, la Convenzione di Bioetica del Consiglio d’Europa non distingue l’embrione dal pre-embrione (art. 18), la legge 194 afferma la tutela della vita dal suo inizio (art. 1) e si riferisce al concepito (articoli 4 e 5) al pari della legge 40 (art. 1)”. 

Gli esperti di Scienza & Vita rilevano inoltre che “il Comitato Nazionale di Bioetica ha stabilito all’unanimità ‘per la concreta possibilità di un’azione post-fertilizzativa’ la possibilità per il medico ‘di rifiutare la prescrizione e la somministrazione di LNG [levonorgestrel, ndr] e ‘il diritto ad appellarsi alla clausola di coscienza’ (28-05-2004)”.  

In difesa della libertà di obiezione di coscienza, l’associazione toscana rammenta che la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO), in data 11 dicembre 2006, ha riconosciuto che la clausola di coscienza “sul piano sostanziale costituisce diritto assimilabile a quello proveniente dall’obiezione di coscienza e trova la sua consacrazione nella disposizione di cui all’art. 19 del Codice di deontologia medica del 1998” (articolo 22 del nuovo Codice deontologico del 2006) e che, per poter essere invocata, obbliga i medici ad ottemperare agli adempimenti previsti dalla legge 194/78. 

Nel nuovo Codice di deontologia medica si legge infatti che “il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento”. 

Per questo motivo, continua il comunicato, “non vi è quindi alcun obbligo per i medici di dichiarare alle aziende sanitarie la propria indisponibilità a prescrivere la pillola del ‘giorno dopo’, una volta che questi abbiano dichiarato obiezione di coscienza sulla base della legge 194/78”. 

A questo proposito, secondo Scienza & Vita di Pisa e Livorno “l’Ordine dei medici, ma prima ancora le istituzioni, hanno il dovere di tutelare l’indipendenza dei medici su questioni che coinvolgono profili etici attraverso l’obiezione coscienza”. 

In merito alla vicenda specifica, il comunicato dell’Associazione toscana rileva inoltre che “i medici della continuità assistenziale, spesso fuori sede per visite urgenti domiciliari, hanno messo in atto un comportamento del tutto legittimo e rispettoso delle norme deontologiche, peraltro preoccupandosi di avvertire le eventuali pazienti dei presidi dove potersi rivolgere e del tempo utile per farlo”. 

Denunciando la “campagna di intimidazione” ai danni dei medici obiettori che si attengono fedelmente all’originale giuramento di Ippocrate, che impone al medico di difendere sempre la vita, l’associazione Scienza & Vita di Pisa e Livorno si dichiara quindi disponibile “ad offrire consulenza e patrocinio legale ai medici che dovessero essere chiamati a rispondere del loro comportamento nella vicenda”. 

 

Publié dans:bioetica, ZENITH |on 4 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Pio XII e l’aborto: la strenua difesa della vita di Papa Pacelli

30/03/2008, dal sito:

http://www.zenit.org/article-13922?l=italian
 

Pio XII e l’aborto: la strenua difesa della vita di Papa Pacelli 

ROMA, domenica, 30 marzo 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento di Leonardo M. Macrobio, della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma.

Introduzione

 Lo scorso secolo è stato segnato da grandi massacri. E non ci si può riferire soltanto alle grandi Guerre che hanno attraversato il ‘900 e che, in buona parte, continuano anche nel Terzo Millennio. Il più grande massacro dello scorso secolo, stando alle cifre, è stato quello dell’aborto.  

Non dobbiamo, dunque, ritenere che di aborto si parli e si dibatta soltanto da trent’anni a questa parte e anche soltanto una rapida lettura ad alcuni Discorsi pronunciati da Pio XII mostra chiaramente come la questione sia drammaticamente identica a se stessa nonostante il fluire del tempo. 

Mi riferirò al volume Discorsi ai medici, edito nel 1959 e purtroppo difficilmente reperibile. Mi auguro che questo sia di stimolo a chi, volendo approfondire la figura di Pio XII, decida di (ri)leggere i suoi interventi.  

Cosa sia l’aborto  

Non risulta, nei discorsi che stiamo esaminando, una definizione o una descrizione evidentemente tale dell’aborto. Ciò si potrebbe spiegare con il fatto che i destinatari dei discorsi sono infermiere, ostetriche o medici ai quali questo concetto è tristemente noto e chiaro. Ciò nondimeno è possibile rintracciare a più riprese delle indicazioni, tanto che potremmo dire che Pio XII concepisce l’aborto come un’uccisione diretta di un uomo innocente ancora nel grembo della madre. 

Le argomentazioni tese a mostrare l’illiceità dell’aborto sono attestate in numerosi passaggi che, sostanzialmente, sono presenti nel discorso alle Congressiste dell’Unione Cattolica Italiana Ostetriche del 29 ottobre 1951 (d’ora in poi le citazioni saranno prese tutte da questo discorso, salvo dove diversamente specificato). 

Già abbiamo notato che Pio XII dichiara che solo Dio è signore della vita dell’uomo e che, dunque, questa non è disponibile all’uomo stesso (cfr Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale di Chirurgia, 20 maggio 1948). Ma questa constatazione rischierebbe di suonare troppo « alta » o come un « argomento di autorità » se non fosse possibile mostrarne la ragionevolezza e la concretezza. Ecco, dunque, che il Pontefice articola questa argomentazione a partire da considerazioni di carattere biologico e fenomenologico per poi proseguire con una crescente apertura di orizzonte. Ma procediamo con ordine.  

Oltre le dinamiche biologiche 

La nascita di un nuovo figlio è frutto della cooperazione di Dio e dei genitori. Ma se è vero che vi sono leggi biologiche che presiedono alla formazione del bambino nel grembo, non è meno vero che vi siano altri ordini di leggi: « Poiché non si tratta qui di pura leggi fisiche, biologiche, alle quali necessariamente obbediscono agenti privi di ragione e forze cieche, ma di leggi, la cui esecuzione e i cui effetti sono affidati alla volontaria, e libera cooperazione dell’uomo ». 

È in questo senso, ci pare, che si possa concludere che dopo l’inizio del processo vitale sia dovere dell’uomo rispettarne « religiosamente il progresso; dovere che gli vieta di arrestare l’opera della natura o di impedirne il naturale sviluppo ». Interessante, a nostro avviso, l’utilizzo dell’avverbio « religiosamente », che rimanda ad un oltre che, forse, oggi si è perso, che si fa meramente coincidere con un volere cieco della Chiesa e non con una legge naturale, ossia l’ordine stabilito dal Creatore nella natura della realtà. Ma queste considerazioni ci porterebbero troppo lontani dal nostro discorso attuale, sul quale vogliamo ritornare immediatamente.  

Solo Dio è padrone della vita 

Con queste premesse, certamente molto ampie, ci è più semplice comprendere il proseguimento dell’enunciazione di Pio XII. Così, infatti, parla alle Ostetriche: « Il Signore ha fatto tutte le altre cose sulla terra per l’uomo; e l’uomo stesso, per ciò che riguarda il suo essere e la sua essenza, è stato creato per Dio, e non per alcuna creatura, sebbene, quanto al suo operare, è obbligato anche verso la comunità. Uomo è il bambino, anche non ancora nato, allo stesso grado e per lo stesso titolo che la madre ». 

E, poco dopo: « (…) ogni essere umano, anche il bambino nel seno materno, ha il diritto alla vita immediatamente da Dio ». Dunque la diretta disposizione della vita innocente altrui non è mai lecita, nemmeno quando questo potrebbe essere un mezzo per un fine mobilissimo come salvare la vita della madre. A questo proposito ci interessa riportare qualche passaggio su questo « caso » di morale, convinti che, oltre a fornire maggiore chiarezza su cosa sia e su quali conseguenze morali abbia l’aborto in quanto tale, ci consenta di comprendere meglio il valore altissimo di ogni vita umana. Troviamo un’articolata argomentazione su questo problema in occasione del discorso all’Associazione Famiglie Numerose (26 novembre 1951, d’ora in poi semplicemente 26/11/51): « La vita umana innocente, in qualsiasi condizione si trovi, è sottratta, dal primo istante della sua esistenza, a qualunque diretto attacco volontario » (26/11/51). 

« Questo principio vale per la vita del bambino, come per quella della madre. Mai e in nessun caso la Chiesa ha insegnato che la vita del bambino deve essere preferita a quella della madre. (…) né la vita della madre, né quella del bambino, possono essere sottoposte a un atto di diretta soppressione. Per l’una parte e per l’altra, l’esigenza non può essere che una sola: fare ogni sforzo per salvare la vita di ambedue, della madre e del bambino » (26/11/51) 

Quest’ultimo passaggio è una citazione dalla Casti Connubii di Pio XI. Incalza ancora il Pontefice: « Ma – si obietta – la vita della madre, principalmente di una madre di numerosa famiglia, è di un pregio incomparabilmente superiore a quella di un bambino non ancora nato. L’applicazione della teoria della bilancia dei valori al caso che ora ci occupa, ha già trovato accoglimento nelle discussioni giuridiche. La risposta a questa tormentosa obiezione non è difficile. L’inviolabilità della vita di un innocente non dipende dal suo maggior o minor valore. Già da oltre dieci anni la Chiesa ha formalmente condannato l’uccisione della vita stimata «senza valore»; e chi conosce i tristi antecedenti che provocarono tale condanna, chi sa ponderare le funeste conseguenze a cui si giungerebbe, se si volesse misurare l’intangibilità della vita innocente secondo il suo valore, ben sa apprezzare i motivi che hanno condotto a quella disposizione » (26/11/51). 

E conclude: « Del resto, chi può giudicare con certezza quale delle due vite è in realtà più preziosa? Chi può sapere quale sentiero seguirà quel bambino e a quale altezza di opere e di perfezione essa potrà giungere? Si paragonano qui due grandezze, di una delle quali nulla si conosce » (26/11/51). 

La scelta tra madre e bambino, insomma, è una falsa scelta. Ogni forma di giudizio qualitativo su una vita o sull’altra è una forma di eugenismo, al quale il Pontefice non teme di riferirsi in maniera molto esplicita nell’allora recente declinazione nazi-fascista.  

In almeno altre due occasioni Pio XII affronta questo dilemma etico, precisamente in occasione del Congresso Internazionale di Chirurgia, che abbiamo già citato, e nel discorso alle Famiglie Numerose. Riportiamo soltanto l’ultimo passo citato: « Noi abbiamo di proposito usato sempre l’espressione attentato diretto alla vita dell’innocente, uccisione diretta. Poiché se, per esempio, la salvezza della vita della futura madre, indipendentemente dal suo stato di gravidanza, richiedesse urgentemente un atto chirurgico, o altra applicazione terapeutica, che avrebbe come conseguenza accessoria, in nessun modo voluta né intesa, ma inevitabile, la morte del feto, un tale atto non potrebbe più dirsi diretto attentato alla vita innocente. In queste condizioni l’operazione può essere lecita, come altri simili interventi medici, sempre che si tratti di un bene di alto valore, qual è la vita, e non sia possibile di rimandarla dopo la nascita del bambino, né di ricorrere ad altro efficace rimedio » (26/11/51). 

I due passi sono in stretta concomitanza e soprattutto quest’ultimo mostra chiaramente come, anche in questo ambito, si applichi il principio generale della possibilità reale che un atto abbia più conseguenze, molte delle quali prevedibili ed almeno alcune delle quali non direttamente volute. Non procediamo oltre in considerazioni che sarebbero tautologiche e rischierebbero di annebbiare la limpidezza cristallina dell’enunciato pontificio: ora ci interessa proseguire nel nostro discorso principale. 

Oltre il « Non Occides«   

Il perno attorno al quale ruota, a nostro avviso, l’argomentazione di Pio XII contro l’aborto non è tanto il quinto comandamento, quanto l’invito a costruire, promuovere, edificare e rafforzare la vita. Così, infatti, si esprime nel già citato discorso alle Ostetriche: « L’apostolato della vostra professione vi impone il dovere di comunicare anche ad altri la conoscenza, la stima e il rispetto della vita umana (…); di prenderne, al bisogno, arditamente la difesa, e di proteggere, quando è necessario ed è in vostro potere, la indifesa, ancora nascosta vita del bambino, appoggiandovi sulla forza del precetto divino: non occides: non uccidere (Es 20, 13). Tale funzione difensiva si presenta talvolta come la più necessaria ed urgente; tuttavia essa non è la più nobile e la più importante parte della vostra missione; questa infatti non è puramente negativa, ma soprattutto costruttrice, e tende a promuovere, edificare, rafforzare » (29/10/51). 

Ma il cammino tracciato dal Pontefice non si arresta nemmeno qui. Gli preme far notare che quanto detto, pur poggiandosi sul linguaggio della fede, non è assolutamente in contrasto con il dato della ragione, ma ne è invece pienamente armonizzato: « Questo perfetto accordo della ragione e della fede vi dà la garanzia che voi siete nella piena verità che potete proseguire con incondizionata sicurezza il vostro apostolato di stima e di amore per la vita nascente » (29/10/51).  

E, come a dischiudere un ulteriore orizzonte di riflessione, al termine di queste considerazioni il Pontefice afferma che « se ciò che abbiamo detto finora riguarda la protezione e la cura della vita naturale, a ben più forte ragione deve valere per la vita soprannaturale, che il neonato riceve col battesimo » (29/10/51). 

Obiettivo di questo apostolato che fa parte della professione delle Ostetriche è quello di scalzare, fin dove di loro competenza, quella mentalità che, notavamo nelle pagine precedenti, fa vedere il figlio non più come un dono ma come un peso: « (…) spesso il bambino non è desiderato; peggio, è temuto; come potrebbe in tale condizione esistere ancora la prontezza al dovere? Qui il vostro apostolato deve esercitarsi in una maniera effettiva ed efficace (…) » (29/10/51).  

Conclusione 

Obiettivo di questa riflessione era quello di dare voce a Pio XII su un argomento così delicato ed allo stesso tempo così mediaticamente esposto come l’aborto.  

Oltre all’errore storico di considerare Papa Pacelli soltanto in relazione agli avvenimenti della II guerra mondiale, si rischia di cadere oggi in almeno due altri errori. Innanzitutto ritenere che l’aborto sia un problema del nostro tempo. A poco vale il sapere che le più antiche « ricette » abortive abbiano parecchie migliaia di anni: si rischia di considerare l’aborto di oggi come qualcosa di « totalmente diverso » rispetto a quello di duecento anni fa semplicemente perché oggi ci sono maggiori strumenti (tecnici) per operare. Il secondo errore in cui si tende a scivolare è quello di considerare la difesa della vita come una questione di pura fede (al limite della cecità, aggiungerei). 

Le parole che ho riportato mostrano, invece, come gli argomenti a favore della vita e contro l’aborto provengano anche da una sana riflessione razionale. E, nello specifico caso di Papa Pacelli, non si può nemmeno invocare un non mai definito « spirito del Vaticano II », non fosse altro che per ragioni cronologiche.  

Publié dans:bioetica, ZENITH |on 31 mars, 2008 |Pas de commentaires »

per la rubrica di bioetica intervento del dr. Carlo Valerio Bellieni: L’aborto non salvaguarda la salute della donna

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-11609?l=italian

 

L’aborto non salvaguarda la salute della donna

 ROMA, domenica, 19 agosto 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento del dottor Carlo Valerio Bellieni, Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario « Le Scotte » di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita. 

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Di recente la posizione della Chiesa in tema di aborto è stata oggetto di attacco, specialmente da quando ha puntato il dito verso certe organizzazioni internazionali che proclamano l’aborto come un diritto da diffondere al pari del diritto all’acqua o ai farmaci salvavita. Il fatto che non viene compreso è che la condanna non nasce unicamente da valutazioni morali (la vita è sacra dal momento del concepimento) che tuttavia hanno un indiscutibile fondamento scientifico (l’analisi del DNA attesta che dal concepimento è presente e vivo un essere umano diverso dalla madre), ma riguarda anche l’impatto psicologico e talora negativo sul piano fisico che l’aborto ha su chi lo compie. Vediamo di capire dunque due punti: primo, se permettere l’aborto sia un passo a favore della salute della donna, e secondo, se la definizione di “salute” che implica il diritto all’aborto ci soddisfa.

Salute della donna: Varie legislazioni permettono l’aborto in base all’idea che la nascita di un bambino non voluto sia un rischio per la salute della donna. In realtà questo è l’unico caso in tutta la medicina in cui il paziente (in questo caso la donna) si autodiagnostica la malattia (il fatto che la nascita sia pericolosa per la sua salute) e fa le sue scelte “terapeutiche” in totale autonomia dal medico, almeno nei primi mesi. Quante sbagliano “diagnosi”? Possono esserci soluzioni “terapeutiche” alternative? L’assoluta discrezionalità della scelta ci impedisce di saperlo.

Ma è il bambino un pericolo per la salute della madre oppure è l’aborto ad essere pericoloso per la donna? Il Journal of Child Psychology & Psychiatry del 2006, riporta che le donne che abortiscono sono a maggior rischio di problemi mentali (depressione, ansia, comportamenti suicidi) rispetto alle altre; e già molti studiosi hanno parlato dei rischi da aborto chimico (Ann Pharmacother. 2005 Sep;39(9):1483-8). Non solo, ma una recente ricerca pubblicata dal British Medical Journal mostra che portare a termine senza abortire una gravidanza non desiderata ha lo stesso livello di rischio di depressione per la madre che l’aborto di una gravidanza non desiderata, dunque l’argomento che abortendo si preserva la madre da patologie depressive legate alla nascita indesiderata viene meno.

Ma ancora, uno studio norvegese mostra che le donne che hanno avuto un aborto spontaneo mostrano problemi psicologici maggiori di quelle che hanno avuto un aborto volontario, ma solo nei primi giorni; a distanza di 2 e poi di 5 anni, i problemi delle prime scompaiono, mentre persistono i disagi psicologici di quelle che hanno avuto un aborto volontario. Dunque, ciò che secondo questa ricerca provoca disagio mentale profondo non è la perdita del figlio, ma averlo fatto volontariamente. E’ dunque l’aborto una maniera per preservare la salute della donna? Esistono motivi per dubitarne.

Forse è per questo che i medici inglesi sono sempre più restii a praticare aborti, come recentemente segnala il quotidiano britannico Independent; anche perché ormai si sa bene che dalla 20° settimana il feto ha la possibilità di provare dolore durante l’intervento e perché con le ecografie possiamo chiaramente renderci conto della sua umanità. Per esempio possiamo vedere il feto piangere o camminare

Ma il problema nasce quando si domanda cosa è la salute che con l’aborto si vorrebbe tutelare. Perché in questo caso ci si rifà sempre alla criticatissima definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1948 secondo cui la salute sarebbe il “completo benessere psico-fisico-sociale”. Capiamo bene come questo “pieno benessere” non esiste: chi di noi non ha qualche piccola o grande contrarietà o allergia? Ma capiamo anche che con questo criterio chiunque potrebbe compiere atti lesivi verso altre persone, giustificandole con il fatto che se non li avesse compiuti la sua “salute” ne avrebbe avuto un danno. Pensiamo per esempio ad un marito che picchiasse la moglie dicendo che altrimenti avrebbe avuto un imprecisato nocumento per la salute psico-fisica.

La giustificazione del perché con un adulto questo non sia possibile e con un feto sì, è data correntemente dal fatto che il feto non è nato, dunque non sarebbe una persona e avrebbe per questo meno diritti. E’ una posizione difficilmente sostenibile oggi che gli studi moderni ci mostrano non solo l’umanità del feto, ma tutta la sua sensibilità, e anche le ragioni biologiche per non reputarlo un’appendice della madre. Dunque, tutto l’impianto del diritto all’aborto si regge su una definizione zoppicante.

La tutela della salute della donna basata sulla diffusione dell’accesso all’aborto ha mostrato i suoi limiti. Essa, infatti, invece che avere come oggetto la cancellazione della vita nascente, dovrebbe partire da un aiuto sociale ed economico prioritario ed obbligatorio per gli Stati verso le donne in difficoltà; ma anche da un impulso culturale verso una maggiore conoscenza dei propri diritti di gestante e della crescita psico-fisiologica propria e del bambino in utero.

Publié dans:bioetica |on 20 août, 2007 |Pas de commentaires »
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