IL SEGNO DEL MANTELLO – IL MANTELLO DI ELIA
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IL SEGNO DEL MANTELLO – IL MANTELLO DI ELIA
« Poi, volendo Dio rapire in cielo in un turbine Elia, questi partì da Galgala con Eliseo. Elia disse a Eliseo: « Rimani qui perché il Signore mi manda fino a Betel ». Eliseo rispose: « Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò ». Scesero fino a Betel. I figli dei profeti che erano a Betel andarono incontro a Eliseo e gli dissero: « Non sai tu che oggi il Signore ti toglierà il tuo padrone? ». Ed egli rispose: « Lo so anch’io, ma non lo dite ». Elia gli disse: « Eliseo, rimani qui, perché il Signore mi manda a Gerico ». Quegli rispose: « Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò ». Andarono a Gerico. I figli dei profeti che erano in Gerico si avvicinarono a Eliseo e gli dissero: « Non sai tu che oggi il Signore ti toglierà il tuo padrone? ». Ed egli rispose: « Lo so anch’io, ma non lo dite ». Elia gli disse: « Rimani qui, perché il Signore mi manda al Giordano ». Quegli rispose: « Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò ». E tutt’e due si incamminarono. Cinquanta uomini tra i figli dei profeti li seguirono e si fermarono a distanza. Loro due si fermarono sul Giordano » (2 Re 2, 1-7).
In questa pagina abbiamo la chiamata di Eliseo, il cui nome significa « Dio è la mia salvezza », al ministero profetico e la paternità spirituale di Elia come eredità.
Eliseo era figlio di Safat, faceva il contadino e viveva con i genitori ad Abel-Mecola, una località di identificazione incerta. Molti sono i simboli che accompagnano questa chiamata.
« Arava con dodici paia di buoi ». Basterebbe soltanto questa citazione del v. 19, per descrivere la nostra riflessione sulla chiamata di Eliseo.
Il termine « Arare » nella Bibbia viene usato sia letterale che metaforico. Metaforicamente, il termine indica la situazione di una persona, di uno stato o il giogo dei nemici (Sal 129,3); oppure anche la consacrazione diretta, come dirà Gesù: « Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volta indietro, è adatto per il regno di Dio » (Lc 9, 62).
Il numero dodici è molto importante per vari aspetti. Fra questi ricordiamo la pienezza numerica del popolo di Dio evidenziandone i dodici figli di Giacobbe (Gen 35, 22-26), dai quali derivano le dodici tribù di Israele. Il numero dodici simboleggia la restaurazione di Israele. Gesù istituisce i dodici come garanzia dell’autenticità degli insegnamenti di Gesù, che dopo la sua resurrezione formeranno la Chiesa.
Ma ciò che caratterizza di più in questo versetto 19 è il simbolo del mantello, tipico indumento del profeta (cfr Zac 13, 4; Mt 3, 4). Esso indica la vita e la personalità di chi lo indossa (cfr 1 Sam 28, 14; 2 Re 1, 18).
Eliseo è stato attratto dalla personalità di Elia, è stato attratto proprio dall’uomo che vive alla presenza di Dio. Poco prima Elia aveva sperimentato il suo vivere alla presenza di Dio in modo « silenzioso », « come un lieve sussurro » (v. 13).
È interessante notare la differenza della vocazione di Eliseo dalle altre. Dio lo chiama inaspettatamente: non in un contesto di preghiera, ritiro spirituale o in modo straordinario come Mosè (Es 3, 1). Non è chiamato attraverso la mediazione della Parola come accadde a Samuele (1 Sam 3, 1) o attraverso l’animatore vocazionale; ma in tutt’altre faccende: la vita di ogni giorno, il lavoro. Questo perché la vocazione non è solamente il progetto generale della propria vita, pensato da Dio e faticosamente scoperto dal credente, ma soprattutto le singole chiamate giornaliere, sempre nuove e provenienti dalla stessa fonte, dalla medesima volontà d’amore che Dio ha nei nostri confronti e sempre orientate verso la piena realizzazione e felicità del nostro essere. È nell’esperienza della vita che incontriamo Dio, è nell’arco dell’esistenza che avvengono le continue chiamate. L’importante è essere vigili, saper « arare globalmente » (il numero dodici vuole indicare anche questa globalità), in pienezza per essere capaci di riconoscere la sua voce e pronti a rispondergli ogni giorno e tutto il giorno: « Ogni vocazione… è « mattutina », è la risposta di ciascun mattino a un appello nuovo ogni giorno » (NVNE, 26°).
Nel brano proposto non troviamo né il tempo né il luogo, perché non ha bisogno di citare quando la Vita (il mantello) ci passa accanto, « sopra », perché quell’Eliseo può essere chiunque: ogni uomo e ogni donna, appartenenti ad ogni luogo e ad ogni parte del tempo: questi possono partecipare al carisma profetico di Elia (cfr Mc 1, 16-20; Mt 9, 9; Lc 9, 61-62). Tuttavia vi è un passaggio obbligato nella scoperta d’ogni progetto vocazionale che è legato all’identificazione del senso fondamentale dell’esistenza umana. In pratica Eliseo ha capito che la sua vita, la sua esistenza è un bene ricevuto che tende, per natura sua, a divenire bene donato. Infatti, questa sua logica lo accompagna a salutare, a congedarsi dai genitori che l’hanno portato alla vita come un dono (cfr 19, 20).
Simbolo di questa donazione della propria esistenza sono i buoi uccisi, il giogo che li teneva per l’aratura usato per il fuoco e la tavola imbandita per la gente (cfr 19, 21). È un gesto iniziale ma che segna il cammino di una scelta responsabile. Il cammino è luminoso per Eliseo (cfr Sal 119, 105; 132, 17), perché il Padre veglia su di lui, sorgendo prima del sole. Ed è proprio in questo viaggio che Eliseo viene confermato nel suo ministero che raccoglie l’eredità di Elia. È il viaggio della fedeltà. Elia parte per il suo ultimo viaggio ed Eliseo non desiste dal seguirlo manifestandogli la sua fedeltà e comunione di vita. Non è facile quello che la vita da profeta richiede: costanza, fedeltà, impegno e sarà più difficile, quando non abbiamo modelli, punti di riferimento. Eliseo decide di impegnarsi in questo cammino di fedeltà che segnerà il passaggio (il Giordano) del carisma profetico di Elia ad Eliseo.
I « due terzi dello Spirito » (2, 9) richiede Eliseo ad Elia, evoca il diritto di primogenitura: « Dovrà riconoscere come primogenito il figlio della donna meno amata, e, fra tutto quel che possiede, gli darà il doppio rispetto all’altro. Questo infatti è il suo primo figlio e ha il diritto del primogenito » (Dt 21, 17). Eliseo vuol essere riconosciuto discepolo primogenito di Elia. È una richiesta esigente! (cfr 2, 10).
La condizione per diventare profeta simile ad Elia è un’intensa esperienza di Dio, per parlare di Dio al popolo, bisogna fare prima un’intensa esperienza di Lui, un’intensa esperienza contemplativa: dice infatti Elia « se mi vedrai » (2, 10). Eliseo deve fare questa esperienza, deve vedere.
Elia viene rapito, assunto in Dio, nella passione di Dio (il carro di fuoco). Egli è l’uomo vivente in Dio.
Eliseo vive questo distacco dal suo padre spirituale: « non lo vide più », ma gli rimane il mantello, la vita di Elia, il suo stile di vita da imitare come un discepolo fedele.
Questa è l’esperienza di vita di Eliseo che in Elia « è stato generato », ha raccolto la sua paternità spirituale per poter iniziare una vita nuova. Simbolo di questo inizio sono le vesti che Eliseo lacera (2, 12), per indossare le vesti di Elia che lo ha generato al ministero profetico. Lo assume come modello, si ispira a lui. Tanto è vero che il seguito del brano racconta il viaggio di ritorno di Eliseo, passando dalle stesse difficoltà di Elia fino al Carmelo e vivendo come Elia (cfr 2 Re 4, 5; 6-8; 13, 14-21).
La vocazione di Eliseo ci ricorda ancora oggi che siamo stati voluti « ad immagine e somiglianza di Dio » (Dt 1, 26-27) e inoltre, chiamati a diventare immagine di Dio attraverso la comunione con Cristo, conformandosi sempre più a Cristo che è la vera immagine di Dio, associandoci sempre più a Cristo diventiamo immagine di Dio. Il conformarsi a Cristo è un dono ed un impegno che ci accompagnano nella vita. Leggiamo in 2 Cor 3, 18: « E noi tutti a viso scoperto… veniamo trasformati in quella medesima immagine ».
Paolo ci fa capire che non abbiamo bisogno di aspettare la fine dei tempi per essere conformi all’immagine di Cristo risuscitato. È vero che la sua conformazione piena e definitiva avverrà solo alla fine. Giovanni dice « Noi fin d’ora siamo figli di Dio… Sappiamo perciò che… noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come egli è » (1 Gv 3, 2), ma è anche vero che già sulla terra, attraverso la propria esperienza di fede, l’uomo viene progressivamente trasformato dal di dentro e reso capace di contemplare in Gesù la presenza della gloria divina.
Questo ci deve far corrispondere sempre più al nostro battesimo, impegnandoci responsabilmente, perché tutti chiamati ad accettare e approfondire – come ha fatto Eliseo – quello che veramente siamo.