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Introduzione ai Libri Profetici
[ di P. Gironi ]
Libri Profetici (maggiori)
Il termine profeta deriva dal greco profêtês e significa «colui che annuncia, che proclama». L’accento, quindi, è posto più sull’attività dell’uomo che è chiamato a parlare che sulla capacità di predire il futuro, pur senza escluderla. Nella lingua ebraica il termine corrispondente è nabî’. Esso ha, però, un significato più vasto, in quanto racchiude anche quello di «essere chiamato». Questa precisazione è confermata anche dal fatto che presso i profeti biblici è quasi sempre presentata la chiamata al loro ministero profetico.
Con l’espressione figli dei profeti s’intende il gruppo di discepoli che si forma accanto alla persona carismatica del profeta e che molto contribuirà alla conoscenza e alla trasmissione del messaggio che lo caratterizza.
Natura del profetismo
Il profetismo non è un fenomeno esclusivo d’Israele, anche se presso questo popolo ha raggiunto l’espressione più alta. Anche il mondo antico ha conosciuto questo fenomeno che, nelle componenti fondamentali, si può ricondurre a una matrice d’ispirazione religiosa.
La parola del profeta, infatti, suppone sempre un contatto con la divinità, la formulazione di un messaggio od oracolo, ricevuto attraverso l’ispirazione o la visione o la percezione del dio presso un luogo di culto o santuario.
L’Egitto, la Mesopotamia, Canaan e in genere i paesi dell’antico Oriente possedevano un’«organizzazione profetica». Lo stesso si può affermare dei Greci e dei Romani. Di tale organizzazione sono noti i nomi (profeti di Baal in Canaan, il barù o veggente a Babilonia, il muhhu, sacerdote indovino, e gli apilu, coloro che rispondono, a Mari) e anche i santuari (ad esempio Dodona e Delfi presso i Greci).
Per lo stretto rapporto con la divinità, si può affermare che il profetismo è sempre alle origini di una religione o legato alle pratiche di questa. Alle volte, come nel caso delle città-stato mesopotamiche (il caso più interessante è quello della città di Mari), si può notare uno stretto parallelismo tra la forma della proclamazione profetica extrabiblica e quella della proclamazione biblica. E questo non solo a livello letterario, ma soprattutto nella coscienza che il profeta ha di dipendere e parlare in nome della divinità.
Tuttavia il profetismo extrabiblico molto si basava sulle capacità delle persone o dei gruppi a ciò deputati e sull’appoggio dell’ideologia politica e religiosa che tra tutte si imponeva. Il suo ruolo era, perciò, quello di legittimatore e difensore della corte e del culto. Appariva, così, l’intrinseca sua debolezza, dovuta all’instabilità politica e religiosa tanto frequente nella storia dei paesi del Medio Oriente e di quelli antichi in genere.
La missione del profeta in Israele ha invece caratteristiche inconfondibili che riflettono tutta la storia del popolo a cui viene indirizzata la parola profetica. Non esiste profeta in Israele che non si richiami agli elementi fondamentali della storia del popolo «che Dio pasce». La promessa, l’alleanza, l’elezione, la liberazione, il dono della terra, il dono della discendenza, la speranza nel messia, sono realtà che Israele ha sperimentato e vive, ma sono anche condizionate a un suo atteggiamento storico: la fedeltà. Quando il popolo non avverte più questo legame con il suo Dio viene minata la sua stessa esistenza: tutto ciò che costituiva il rapporto con Dio diviene incomunicabilità con Dio e aderenza a tutto ciò che, nel linguaggio biblico, è l’anti-Dio. E’ allora che sorge il profeta biblico con la parola di richiamo e di condanna. In questo il profeta non è sorretto da alcuna ideologia, nessun beneficio o privilegio che lo leghi a correnti o a persone, ma è caratterizzato dalla totale libertà. Soprattutto egli ha coscienza di essere chiamato a parlare unicamente in nome del Dio unico.
Più in particolare queste sono le caratteristiche del profetismo biblico: l’iniziativa e l’investitura profetica sono atti esclusivi di Dio; Israele riceve la rivelazione dal suo Dio attraverso la parola, la cui comunicazione è garantita dal profeta; la rivelazione e la sua comunicazione avvengono sempre nella storia. Nessun profeta si isola dal mondo dei contemporanei o si sradica dal legame generazionale del suo popolo, della sua città, dei suoi re; l’uomo non può sottrarsi alla chiamata profetica.
Parola, visione, gesto
I profeti non si esprimono solo attraverso la parola, ma anche attraverso la visione e il gesto simbolico. Queste diverse forme di comunicare il messaggio dipendono dal temperamento e dalla personalità del singolo profeta.
Un testo biblico antico parla del profeta «che vede» (o «veggente», in ebraico ro’eh o h+ozeh in questo modo: «Una volta in Israele, quando uno andava a consultare Dio, diceva: « Su, andiamo dal veggente », perché il profeta di oggi era chiamato in antico il veggente» (1Sam 9,9). Quasi tutti i libri profetici contengono testi ispirati alla visione. Possiamo cominciare da Mosè («modello» di ogni profeta) di fronte alla visione del roveto, Es 3, che è all’inizio del suo carisma profetico, ed estendere la ricerca in Isaia c. 6, Geremia cc. 1 e 46, Ezechiele cc. 37 e 40-48, fino a cogliere nel libro di Daniele l’orientamento della visione al genere letterario dell’apocalittica.
Oltre alla visione fa parte della proclamazione profetica anche il gesto simbolico. Questo gesto è in funzione dei recettori che in esso leggono il messaggio del profeta, non esplicitato subito dalla parola, ma racchiuso nella ricchezza espressiva del simbolo (per qualche esempio cfr. 1Re 11,29ss; Is 8,1-4; Ger 19,10-11; 27-28; Ez 12,1-16).
Dallo studio dell’antico mondo orientale si ha notizia di un profetismo diversamente caratterizzato secondo l’ambiente socioculturale che lo esprime: da primitivi fenomeni di frenesia orgiastica si passa a forme estatiche e divinatorie più evolute e composte. In Israele, invece, il fenomeno del profetismo si svolge in modi sempre più contenuti e soprattutto esso va compreso come espressione esteriore di un fatto interiore unico: il contatto con il Dio che si rivela.
I libri profetici nella Bibbia
La Bibbia, oltre ai libri storici e ai libri sapienziali, comprende anche i libri profetici. La proclamazione profetica, perciò, è un elemento essenziale sia per la comprensione della storia della salvezza sia per la conoscenza di una terminologia che aiuti il credente nella formulazione della realtà di Dio e della fede biblica e dei grandi temi biblici dell’alleanza, della promessa, dell’appartenenza al popolo di Dio, del messianismo.
La Bibbia ebraica distingue due gruppi di libri profetici: quello dei profeti anteriori, comprendente i libri di Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re, e quello dei profeti posteriori, che corrisponde ai veri e propri libri profetici a esclusione (e giustamente) di Daniele.
Tra i libri profetici, inoltre, si è soliti distinguere quelli dei profeti maggiori e quelli dei profeti minori o dodici profeti.
Profeti maggiori sono: Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele.
Profeti minori sono: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.
Oltre a questa distinzione, si può anche seguire la successione cronologica più verosimile dei fatti compresi nei libri profetici. Si abbraccia, così, un arco di tempo che dall’VIII secolo a.C. si estende fino al V-IV secolo a.C. Storicamente questo periodo è contrassegnato da avvenimenti che incideranno moltissimo sulla personalità e sulla predicazione dei singoli profeti. Un avvenimento, in particolare, evidenzierà più di ogni altro la caratteristica propria di ciascun profeta: l’esilio. Tra i profeti possiamo, così, attuare una distinzione storico-cronologica molto importante: da una parte i profeti precedenti l’esilio babilonese, dall’altra i profeti che hanno sperimentato l’esilio e il ritorno.
Profeti precedenti l’esilio, VIII secolo – 586 a.C.: Amos, Osea, Naum, Abacuc, Isaia, Michea, Sofonia, Geremia.
Profeti del periodo dell’esilio, 586-538 a.C.: Ezechiele, Secondo Isaia, Daniele.
Profeti postesilici, 538-450 a.C. circa: Aggeo, Zaccaria, Terzo Isaia, Abdia, Malachia, Gioele, Giona.
Addentrarsi in una cronologia più dettagliata sarebbe forse impossibile. Ci si limita a queste suddivisioni non per semplificare, ma perché esse già possono orientare a una migliore comprensione del messaggio profetico.
Un’ultima osservazione riguarda la collocazione geografico-politica dei profeti, secondo la loro appartenenza al regno del nord (o Samaria), al regno del sud (o Giuda) o alla provincia persiana della Giudea dopo l’esilio.
Profeti del regno del nord, 930-721 a.C.: Amos, Osea. Agirono come profeti, ma non sono annoverati tra gli scrittori, anche Elia ed Eliseo.
Profeti del regno del sud, 930-586 a.C.: Isaia, Michea, Sofonia, Naum, Abacuc, Geremia, Ezechiele, Secondo Isaia, Abdia, Daniele.
Profeti nella Giudea, provincia persiana, 538-450 a.C. circa: Aggeo, Zaccaria, Terzo Isaia, Malachia, Gioele, Giona.
L’utilità di queste divisioni non va sottovalutata: esse sono come guide per muoversi con sicurezza e competenza nel complesso mondo culturale-storico-religioso dei profeti e soprattutto per evidenziare subito le tematiche portanti del loro messaggio.
E’ importante per la comprensione del messaggio saper collocare un profeta prima, durante o dopo l’esilio, come è importante comprendere la terminologia e il vocabolario che caratterizzano questi tre periodi:
1. I profeti preesilici: Amos, Osea, Isaia, Michea, Sofonia, Naum, Abacuc, Geremia. Sono i profeti che animano la vita del popolo ebraico nel periodo in cui, dopo la conquista della Palestina e l’istituzione della monarchia unitaria, la sua storia si articolò nella storia dei due regni divisi: il regno del sud e il regno del nord.
La divisione avvenne dopo la morte di Salomone, nel 930 a.C. Il regno del nord crollò nel 721 a.C. sotto gli Assiri. Il regno del sud invece crollò nel 586 a.C. sotto i colpi dell’esercito babilonese di Nabucodònosor II.
Caratteristica di questi profeti è il costante richiamo alle linee portanti della «vera» storia di Israele: la fedeltà al Dio liberatore dell’esodo, la totale dedizione al Dio donatore della terra, il ricordo dell’elezione in Abramo, la certezza che dalla discendenza di Davide le promesse si sarebbero attuate in Israele e per Israele.
Queste linee portanti non erano, però, un’astrazione. Esse erano visualizzate e celebrate nella liturgia e nel culto del tempio, apparivano nella loro concretizzazione nella persona del re e nella coscienza liturgico-storica d’Israele che si sentiva figlio e primogenito del suo Dio.
Ma quando la monarchia, il culto, la vita stessa del popolo non erano più segno di questa profonda storia d’Israele e soprattutto quando il significato di queste linee portanti veniva svuotato dei suoi autentici contenuti e strumentalizzato a favore dell’interesse immediato e del permissivismo, allora sorgeva il profeta.
Le alleanze con i popoli vicini, la strumentalizzazione della pratica religiosa, l’accondiscendenza all’idolatria, la sperequazione tra le classi sociali vengono poste sotto accusa dalla parola del profeta.
I profeti preesilici cercarono di riportare il popolo d’Israele all’autenticità della fede biblica e alla fedeltà al Dio biblico inchiodando il suo orientamento religioso, politico, sociale, giuridico a responsabilità ben precise nei confronti della sua storia e di quella dell’umanità futura, con una parola introduttiva e conclusiva che non permette appello: «Oracolo del Signore… Parola del Signore Dio».
In prospettiva a questa parola viene gradualmente configurandosi l’intervento punitivo del Dio biblico: l’esilio. A Israele che non «ascolta» (cfr. Dt 5-11), «non produce frutto», ma si perde e si confonde nell’idolatria, questi profeti preannunciano l’esilio.
2. I profeti del periodo dell’esilio: Ezechiele, Secondo Isaia, (Daniele).
La catastrofe nazionale del 586 a.C. non viene letta solo come fatto storico-politico, ma riletta alla luce della fede nel Dio donatore della libertà, della terra e della promessa. Questi profeti si immedesimano nella realtà storica del loro popolo, prostrato dalla potenza egemone del momento. Il loro messaggio riproduce lo sgomento provato di fronte all’esilio, compreso come intervento punitivo del Dio dei padri. Ma poi si dilata e spazia riprendendo l’antico, ma sempre vero, vocabolario del Dio biblico. Questo Dio rifarà le meraviglie dell’esodo, ri-darà la terra come dono, ri-unirà il suo popolo sul suo monte e nella sua città, ri-darà vita, pace, storia, discendenza…
Una lettura di Isaia e di Ezechiele che non si basasse e non assorbisse questa tematica di ri-attualizzazione e ri-creazione da parte di Dio, sarebbe un imperdonabile impoverimento e una radicale incomprensione del «fatto biblico».
3. I profeti postesilici:
Aggeo, Zaccaria, Terzo Isaia, Abdia, Malachia, Gioele, Giona. Il contesto storico in cui operano questi profeti è quello descritto nei libri di Esdra e Neemia quando, nel 538 a.C., il re Ciro con un editto rimise in libertà gli esuli ebrei permettendo il loro ritorno in patria.
E’ un periodo soprattutto di ricostruzione: edilizia, politica, religiosa, economica… Ma il profeta non intende la ricostruzione solo in queste dimensioni. Ricostruzione dopo l’esilio per il profeta è ritorno e immersione nell’autentica tradizione biblica d’Israele, è risentire l’eco delle promesse, dell’alleanza, della liberazione, del dono della terra, della liturgia del tempio. Ricostruzione significa per ogni uomo diventare fratello dell’altro, per ogni nazione diventare complementare all’altra e per Israele diventare per i popoli ciò che Dio è per lui.
La storia, dicono questi profeti, è offerta a Israele per questa ricostruzione e il ritorno dall’esilio è un’occasione per dimostrare tale finalità. La loro opera consiste nel richiamare Israele a questo impegno fondamentale, nel credere che il «secondo esodo», cioè il ritorno dall’esilio di Babilonia, non è fine a se stesso, ma orienta all’attesa del «giorno del Signore» e all’esodo definitivo, quello del messia.
In attesa di questo esodo definitivo e della «parola» definitiva, la profezia gradualmente si estingue in Israele per risorgere nella persona e nell’opera di Gesù, «profeta potente in opere e in parole» (Lc 24,19).
Per la fruttuosa lettura dei profeti
Un’ultima annotazione ci pare importante.
I profeti ordinariamente non scrissero i loro oracoli o scrissero assai poco: essi erano i porta-parola del Dio che li aveva scelti e inviati, e la loro preoccupazione si concentrava nel trasmettere fedelmente il messaggio ricevuto. La composizione scritta della loro predicazione è opera dei loro discepoli, a volte anche diluita nel tempo. Essa comprende la loro predicazione, che fu varia nelle diverse circostanze di tempo, di argomento e di uditori, e fu registrata a ricordo e testimonianza di chi la venerava e meditava. Ma fu registrata in modo, diciamo, estemporaneo, e cioè senza logica connessione tra un oracolo e l’altro, tra un episodio e l’altro, tra l’uno e l’altro intervento profetico, con la sola preoccupazione di conservare quanto l’uomo di Dio aveva comunicato. Ciò comporta più una giustapposizione che una successione di argomenti, uniti da un filo di ragionamento logico. D’altra parte la predicazione stessa del profeta non era stata unica, ma varia e staccata, a volte con distanze notevoli di tempo e riguardante circostanze e argomenti assai diversi tra di loro. E’ molto importante tener presente tutto ciò nella lettura dei profeti, lettura che non può essere discorsiva, alla ricerca di logicità nell’intera opera, ma, se si può dir così, pedagogica, staccando un episodio dall’altro e attribuendo a ciascuno di essi la sua peculiarità. La parola profetica, cioè, non è da leggersi come un racconto unico, ma come brani staccati con un valore proprio e molte volte diverso.
Le brevi note di commento mirano a rendere più facile tale distinzione.
Libri Profetici (minori)
Sono così chiamati dodici libretti di diversa estensione attribuiti a vari profeti, che abbracciano un arco di tempo che si estende dall’VIII fino al IV secolo a.C., quasi alle soglie dell’epoca ellenistica.
L’attributo «minore» non si riferisce tanto al contenuto della predicazione di questi profeti, quanto alla brevità che li caratterizza rispetto ai quattro (Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele) detti «maggiori».
La loro successione è diversa nella Bibbia ebraica (che anche la Volgata segue) e nella Bibbia greca. L’ordine storico-cronologico nel quale più verosimilmente si sono succeduti i singoli profeti sembra essere questo: Amos, Osea, Michea, Sofonia, Naum, Abacuc, Aggeo, Zaccaria, Malachia, Abdia, Gioele, Giona.
Nel testo della presente edizione si adotta l’ordine di successione della Bibbia ebraica (e della Volgata): Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.