GENESI 12,1-4A – COMMENTO BIBLICO
http://www.nicodemo.net/NN/commenti_p.asp?commento=Genesi%2012,1-4a
GENESI 12,1-4A – COMMENTO BIBLICO
In quei giorni, 1 il Signore disse ad Abràm: « Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. 2 Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione.
3 Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra ».
4 Allora Abràm partì, come gli aveva ordinato il Signore.
COMMENTO
Genesi 12,1-4a
La chiamata di Abramo
Nella seconda parte della Genesi (Gn 12-50) si narrano le vicende dei Patriarchi, i quali sono presentati non solo come i progenitori, ma anche come i modelli di Israele nel suo rapporto con Dio. Il primo di essi è Abram, al quale verrà poi cambiato il nome in Abraham (Abramo: cfr. Gn 17,5). Abramo non è soltanto il primo dei patriarchi ma è anche quello che ha suscitato maggiore interesse nella riflessione religiosa di Israele. Nel ciclo a lui dedicato (Gn 12,1 – 25,18) si nota però una sproporzione tra la lunghezza del racconto e la povertà del materiale narrativo in esso contenuto. In realtà la storia di Abramo è costruita mediante un accavallarsi di racconti che spesso non sono altro che narrazioni dello stesso fatto desunte da diverse tradizioni. Molti racconti sono eziologie riguardanti l’origine di un luogo di culto. Dio è presentato come colui che dirige gli avvenimenti, entrando personalmente in scena e manifestando direttamente il suo volere.
Nelle vicende di Abramo si intrecciano due temi di grandissima importanza, quello relativo alle promesse divine e quello della fede con cui l’uomo si apre a Dio e alla sua iniziativa salvifica. La fede di Abramo è presentata non come qualcosa di perfetto fin dall’inizio ma piuttosto come un atteggiamento interiore che si sviluppa e giunge a maturazione attraverso difficoltà e prove, cadute e riprese coraggiose.
La vicenda di Abramo si apre con la sua chiamata da parte di Dio. Questa è presentata in un testo probabilmente di origine piuttosto tardiva (Gn 12,1-9) come l’atto di nascita di Israele. La liturgia ne riprende solo i primi versetti. Dio si rivolge ad Abramo con queste parole: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti indicherò» (v. 1). Praticamente Dio gli chiede di abbandonare tutti i suoi legami naturali: patria, clan, famiglia. A quel tempo ciò significava trovarsi soli di fronte a un mondo ostile e pieno di pericoli (cfr. Gn 4,14). Dio inoltre chiede ad Abram di avviarsi verso un paese di cui non gli indica il nome e l’ubicazione. Il lettore può supporre che si tratti della terra di Canaan, verso la quale si era diretto Terach con la sua famiglia (cfr. 11,31), ma Dio non lo dice, e neppure spiega quale sarà il suo rapporto con tale paese. Ad Abramo non resta altro che andare verso l’ignoto, lasciandosi guidare ciecamente da Dio.
Alle richieste divine corrispondono due promesse. Anzitutto Abramo sarà il progenitore di un grande popolo. Umanamente parlando questa promessa non è realizzabile, perché, come il narratore ha annotato poco prima (Gn 11,30), la moglie di Abramo, Sarai, è sterile. Inoltre Dio benedirà Abramo, cioè, secondo la mentalità biblica, lo riempirà di favori e di benessere sia in campo materiale che spirituale. Inoltre renderà grande il suo nome, cioè lo renderà celebre: la grandezza del nome va di pari passo con il possesso di un grande potere. Questa promessa si aggancia al racconto della torre di Babele, dove si dice che l’umanità, ancora indivisa, aveva voluto farsi un nome, e con esso una potenza, mediante la costruzione della torre (cfr. Gn 11,4), e proprio per questo era stata dispersa: per volontà di Dio Abramo diventerà strumento di quell’unità che gli uomini avevano invano cercato di ottenere. Ciò non avrà però lo scopo di aumentare il suo potere, ma di realizzare un bene che viene da Dio e riguarda tutti.
Inoltre Dio farà di Abramo una benedizione. Questa promessa viene specificata in due affermazioni. Anzitutto Dio benedirà quelli che lo benediranno, e maledirà quelli che lo malediranno. Ciò significa che Abramo troverà in Dio la sua costante protezione, in quanto coloro che vorranno fargli del male saranno immediatamente puniti da Dio. Inoltre in lui tutte le famiglie della terra «si diranno benedette», cioè si augureranno l’una all’altra di essere benedette come Abramo (cfr. Gn 48,20); questa promessa ha un’apertura universalistica, che è resa esplicita nella traduzione greca dei LXX e nelle citazioni del NT, dove l’espressione «In te si diranno benedette» è tradotta «In te saranno benedette». Il nome di Abramo viene dunque usato per benedire e, di conseguenza, la benedizione di Abramo passerà a una moltitudine sterminata di gente. È chiaro che ciò avverrà mediante la sua discendenza. Questa promessa è in stridente contrasto con l’insicurezza a cui Abramo deve andare incontro lasciando la propria famiglia e con il fatto che egli non può avere un figlio.
Di fronte alla richiesta e alle promesse divine, Abramo non parla ma si mette in viaggio portando con sé il nipote Lot (v. 4a). In tal modo Abramo è presentato come il modello di una fede radicale nella parola di Dio.
A queste informazioni la tradizione sacerdotale ne aggiunge altre che non sono riprese dalla liturgia: Abramo aveva allora settantacinque anni e, lasciata Carran con la moglie, il nipote e tutti i suoi beni, giunse nella terra di Canaan (vv. 4b-5): in base ai dati riportati precedentemente (cfr. Gn 11,26.32) risulta che Abramo ha dovuto effettivamente separarsi da suo padre Terach che, al momento della sua partenza, era ancora vivo. La migrazione di Abramo richiama da vicino quella dei giudei ritornati nella loro terra al termine dell’esilio.
Il racconto continua con l’arrivo di Abramo a Sichem, presso la Quercia di More; il narratore annota che «nel paese si trovavano allora i cananei» (v. 6b). È solo in questo momento che Dio fa ad Abramo la terza promessa, quella cioè di dare proprio quella terra alla sua discendenza (v. 7). Anche qui si nota un evidente contrasto tra la promessa divina e l’impossibilità, umanamente parlando, che essa si attui. Per gli esuli, che vedevano tutte le difficoltà di un ritorno in quella che consideravano come la loro patria, doveva essere di grande incoraggiamento il potersi rifare a questa promessa totalmente gratuita di cui era portatore il loro lontano antenato. Ancora una volta Abramo tace. Ma proprio in quel luogo costruisce un altare al Signore. Poi si sposta verso sud e si accampa vicino a Betel, dove costruisce un altro altare e invoca il nome di JHWH; infine scende nel deserto del Negev e vi si stabilisce. Questi altari, eretti in una terra abitata da popolazioni straniere, sono piccoli segni di una fede che resiste alla prova e sa attendere che Dio attui le promesse.
Linee interpretative
La chiamata di Abramo ha tutte le caratteristiche dei numerosi racconti di vocazione che si trovano nella Bibbia. Essa mette in luce un progetto divino in base al quale verrà ridata a tutta l’umanità la salvezza (benedizione) persa col peccato. Dio conferisce dunque ad Abramo e, per mezzo suo, al popolo che nascerà da lui non un privilegio, ma un servizio di ampiezza universale. La benedizione che gli è promessa consiste in un grande benessere materiale, che viene visto come conseguenza di una vita giusta. È proprio questo benessere materiale che fa di lui il modello del giusto che attua nella sua vita una totale sottomissione a Dio e per questo viene riempito di doni da parte sua.
Nella risposta silenziosa del patriarca appaiono i connotati essenziali di una autentica esperienza di fede: ascolto, abbandono delle proprie sicurezze, fiducia, disponibilità a mettersi in cammino. Il suo atteggiamento non ha nulla però di una sottomissione cieca e meccanica. L’obbedienza a un comando preciso è una metafora per indicare la sua piena partecipazione a un progetto divino che lo supera, che forse non capisce fino in fondo, ma che dà un senso alle sue scelte di vita. Questo progetto consiste nella nascita di una nuova umanità il cui collante non sarà il potere ma l’amore. L’obbedienza incondizionata a questo progetto dovrà essere la caratteristica fondamentale del popolo che da lui nascerà. In questa prospettiva appare chiaro che non solo per Abramo, ma anche per tutti gli israeliti l’elezione ha senso unicamente se comporta la ricerca di un modo di essere che diventi esempio e modello per tutta l’umanità.