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« PRINCIPIO DELLA SAPIENZA E’ TEMERE IL SIGNORE » Proverbi 9,10; Siracide 1,14

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FIDARSI SEMPRE DI DIO NOSTRA ASSOLUTA SICUREZZA
« PRINCIPIO DELLA SAPIENZA E’ TEMERE IL SIGNORE »
Proverbi 9,10; Siracide 1,14

Dal libro biblico dei Numeri 11,4-6.10-14.18-23 4. In quei giorni: La gente raccogliticcia, che era tra il popolo, fu presa da bramosia di cibo; anche gli Israeliti ripresero a lamentarsi e a dire: «Chi ci potrà dare carne da mangiare? 5. Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. 6. Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna».
10. Mosè udì il popolo che si lamentava in tutte le famiglie, ognuno all’ingresso della propria tenda; lo sdegno del Signore divampò e la cosa dispiacque anche a Mosè. 11. Mosè disse al Signore: «Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, tanto che tu mi hai messo addosso il carico di tutto questo popolo? 12. L’ho forse concepito io tutto questo popolo? O l’ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: Portatelo in grembo, come la balia porta il bambino lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? 13. Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo popolo? Perché si lamenta dietro a me, dicendo: Dacci da mangiare carne! 14. Io non posso da solo portare il peso di tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me. Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto, fammi morire, se ho trovato grazia ai tuoi occhi; io non veda più la mia sventura!».
18. Dirai al popolo: Santificatevi per domani e mangerete carne, perché avete pianto agli orecchi del Signore, dicendo: Chi ci farà mangiare carne? Stavamo così bene in Egitto! Ebbene il Signore vi darà carne e voi ne mangerete. 19. Ne mangerete non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, 20. ma per un mese intero, finché vi esca dalle narici e vi venga a noia, perché avete respinto il Signore che è in mezzo a voi e avete pianto davanti a lui, dicendo: Perché siamo usciti dall’Egitto?». 21. Mosè disse: «Questo popolo, in mezzo al quale mi trovo, conta seicentomila adulti * e tu dici: Io darò loro la carne e ne mangeranno per un mese intero! 22. Si possono uccidere per loro greggi e armenti in modo che ne abbiano abbastanza? O si radunerà per loro tutto il pesce del mare in modo che ne abbiano abbastanza?».
23. Il Signore rispose a Mosè: «Il braccio del Signore è forse raccorciato? Ora vedrai se la parola che ti ho detta si realizzerà o no».
Nota: * In Esodo 1,5 è scritto che prima di entrare in Egitto i figli gi Giacobbe-Israele erano 70. In Esodo 12,37 il numero di quanti uscirono dall’Egitto è di circa 600.000 uomini adulti a piedi, oltre le donne e i fanciulli. Nel censimento riportato da Numeri 1,1-45 risultano precisamente 603.550 adulti adatti per la guerra, esclusi i Leviti (v. 49); il numero è comprensibile dopo 430 anni di presenza in Egitto (Esodo 12,40). La tribù più numerosa è quella di Giuda (74.600 adulti, v. 27), legata al futuro Messia, Gesù di Nazareth, e alla capitale del Regno omonimo, Gerusalemme. Quando i discendenti di Giacobbe arrivarono in Egitto erano dunque 70; e le 12 tribù di allora, secondo Numeri 1,21-41, erano: Ruben, Simeone, Gad, Giuda, I’ssacar, Zabulon, Efraim, Manasse, Beniamino, Dan, Aser, Neftali. Quelle riportate in Apocalisse 7,5-8 sono: [5]Giuda; Ruben; Gad; [6]Aser; Nèftali; Manàsse; [7]Simeone; Levi; I’ssacar; [8]Zàbulon; Giuseppe; Beniamino. Dan – perché si credeva venisse da questa l’anticristo – è sostituita da Levi. Ed Efraim, la più guerriera, da Giuseppe.
Numeri 14,11.13.19 Il Signore disse a Mosè: «Fino a quando mi disprezzerà questo popolo? E fino a quando non avranno fede in me, dopo tutti i miracoli che ho fatti in mezzo a loro»? 13. Mosè disse al Signore: 19. «Perdona l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua bontà, così come hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui».
20. Il Signore disse: «Io perdono come tu hai chiesto; 21. ma, per la mia vita, com’è vero che tutta la terra sarà piena della gloria del Signore, 22. tutti quegli uomini che hanno visto la mia gloria e i prodigi compiuti da me in Egitto e nel deserto e tuttavia mi hanno messo alla prova già dieci volte e non hanno obbedito alla mia voce, 23. certo non vedranno il paese che ho giurato di dare ai loro padri. Nessuno di quelli che mi hanno disprezzato lo vedrà».

SALMO 78(77), 40-51 Infedeltà del popolo e fedeltà di Dio
Ciò avvenne come esempio per noi (1 Cor 10, 6).
40 Quante volte si ribellarono a lui nel deserto, *
lo contristarono in quelle solitudini!
41 Sempre di nuovo tentavano Dio, *
esasperavano il Santo di Israele.
42 Non si ricordavano più della sua mano, *
del giorno che li aveva liberati dall’oppressore,
43 quando operò in Egitto i suoi prodigi, *
i suoi portenti nei campi di Tanis.

52 Fece partire come gregge il suo popolo *
e li guidò come branchi nel deserto.
53 Li condusse sicuri e senza paura *
e i loro nemici li sommerse il mare.
54 Li fece salire al suo luogo santo, *
al monte conquistato dalla sua destra.

Dalla lettera agli Ebrei 3,7-19
7 Per questo, come dice lo Spirito Santo:
“Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori
come nel giorno della ribellione,
il giorno della tentazione nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri
mettendomi alla prova,
pur avendo visto per quarant’anni le mie opere.
Perciò mi disgustai di quella generazione
e dissi: Hanno sempre il cuore sviato.
Non hanno conosciuto le mie vie.
Così ho giurato nella mia ira:
Non entreranno nel mio riposo” (Sal 95(94),7-11).
12 Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente. 13 Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura quest’oggi, perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato…16 chi furono quelli che, dopo aver udita la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall’Egitto sotto la guida di Mosè? E chi furono coloro di cui si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto? (cfr. Nm 14, 29). E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo (cfr. Nm 14, 22 ss.), se non a quelli che non avevano creduto? 19 In realtà vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro mancanza di fede.
Ebrei 2,15-18
Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
«Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori» (1 Tm 1, 15). “La misericordia di Dio verso di noi è davvero meravigliosa proprio perché Cristo non è morto solo per i giusti e i santi, ma anche per i cattivi e per gli empi. E, poiché la sua natura divina non poteva essere soggetta al pungolo della morte, egli, nascendo da noi, ha assunto quanto potesse poi offrire per noi” (San Leone Magno dal Discorso 8 sulla Passione del Signore). «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1 Gv 2,1).
Nel Vangelo di Giovanni 10,27-30: [27]Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. [28]Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. [29]Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. [30]Io e il Padre siamo una cosa sola>> (Vedi >Michea 2,12; >Gv 10,9).
In Giovanni 16,21-22: [21]La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. [22]Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e [23]nessuno vi potrà togliere la vostra gioia.
In Apocalisse 21,10-27 La Gerusalemme celeste è assolutamente sicura e protetta, da Dio stesso: dimora definitiva degli angeli e dei Santi! « Non entrerà in essa nulla d’impuro (Isaia 60,11; 52,1), né chi commette abominio o falsità, ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello » (v. 27).

BACIO – ENZO BIANCHI

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BACIO – ENZO BIANCHI

Il primo tema del Cantico è quello della genesi dell’amore: amore ancora sconosciuto ma invocato: « mi baci con i baci della sua bocca » o anche « Mi bacerà con i baci della sua bocca ». In queste parole che dominano l’inizio del canto e continuano a vibrare nei versi seguenti, vi è un desiderio, un impeto di passione, un grido istintivo: l’amata chiede dei baci: « Io chiedo, io supplico, io insisto, mi baci con i baci della bocca » Il primo tema del Cantico è quello della genesi dell’amore: amore ancora sconosciuto ma invocato: « mi baci con i baci della sua bocca » o anche « Mi bacerà con i baci della sua bocca ». In queste parole che dominano l’inizio del canto e continuano a vibrare nei versi seguenti, vi è un desiderio, un impeto di passione, un grido istintivo: l’amata chiede dei baci: « Io chiedo, io supplico, io insisto, mi baci con i baci della bocca » (S.Bernardo, Sermone IX,2 sul Cantico). Questo grido è una preghiera a Dio che mandi finalmente il Messia: « Ti scongiuro – pare dire la sposa – perché finalmente tu lo mandi a me, sì che egli non mi parli più per mezzo dei suoi servi, angeli o profeti, ma venga proprio lui e mi baci con i baci della sua bocca, cioè infonda nella mia bocca le parole della sua bocca ed io lo ascolti parlare o lo veda insegnare – in che modo si compia la profezia di Isaia: Non un inviato né un angelo, ma il Signore stesso salva » (Origene, Commento al Cantico dei Cantici).  Ma c’è anche un atto di fede, una confessione, una certezza proclamata: l’amore è già una realtà presente e l’Amata è sicura che l’Amante la bacerà col bacio della sua bocca. Il trionfo finale dell’amore è così assicurato ed è frutto della fede: solo la fede infatti genera l’amore e l’amore è un atto di fede. In questo versetto c’è la chiave per capire la prima dinamica del Cantico: la genesi dell’ amore. Il tema del bacio che qui ricorre è un tema importante nella Scrittura e nella tradizione biblica. Il midrash dice che quando il Santo – benedetto egli sia – terminò di dialogare con l’anima di Mosè che si rifiutava di lasciare il servo di Dio, egli allora prese l’anima di Mosè « con un bacio della sua bocca ». Sicché « Mosè, servo del Signore, morì la nel paese di Moab sulla bocca del Signore ».  Mosè non era morto quando aveva visto Dio faccia a faccia (Es 33,11), ma muore quando Dio lo bacia. Il bacio è infatti il massimo della comunicazione, è il segno della massima comunione ed esprime un amore senza fine. La sposa del Cantico invoca i baci di Dio, dello sposo, del Messia, perché sa che essi possono farla rimanere per sempre con lui in un amore eterno: non confesserà forse che l’amore è più forte della morte, più inflessibile dello Sheol? (8,5-7): il bacio allora è l’introduzione all’ »al di là » e il mezzo per appartenere a Dio anche nella morte. Certo il bacio è una metafora: con essa si esprime ciò che non è raccontabile, che non è spiegabile se non attraverso questa immagine; il bacio è contatto che sovente mostra una intimità più grande dell’unione sessuale e comunque è sempre il sacramento, il segno dell’amore più grande; è, secondo la tradizione ebraica il gesto di massima comunione.  Lo Zohar si domanda: « Perché mai Salomone ha voluto introdurre espressioni di amore tra il mondo di Dio e quello degli uomini e ha usato, iniziando la lode all’amore tra di loro, il termine « Mi baci! »? Invero si è già spiegato, e così è in realtà, che non esiste amore tra due che aderiscono l’un l’altro se non nel bacio ed il bacio si dà con la bocca, che è la sorgente del soffio e il luogo da cui esso esce. Quando si baciano l’un con l’altro i soffi aderiscono questi a quelli e diventano una sola cosa. Allora l’amore è uno! » (Zohar Terumà). Ancora Zalman Schneur, poeta ebreo russo, ben esprime questo peso del bacio nella tradizione ebraica: « Mia colomba, tu non sai come ci baciamo noi ebrei. Fino a che, petto contro petto, nessuno dei due sappia qual è il suo cuore né distingua il cuore dell’altro. Materia e corpo sono spariti. Non resta che un soffio e un’anima: non esistono più parole, solo esiste il parlare della pupilla degli occhi ». Non dovrebbe essere difficile neanche per noi capire il valore altissimo di comunione che il bacio rappresenta. Certo non si può dare neppure all’amplesso sessuale un valore, se questo non è siglato e suggellato dal bacio: solo nel bacio si rende epifanico anche l’amplesso sessuale. Ne dà prova la prassi della prostituzione che campa del congiungimento genitale ma difficilmente lascia posto al bacio. Non a caso la peccatrice mostra il suo amore per Gesù baciandolo, a differenza di chi, come il fariseo, lo ha incontrato ma non lo ha baciato. « Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi » (Lc 7,45). Ugualmente Giuda con un bacio tradisce il Signore, lo consegna ai malfattori; ma il suo bacio d’inganno non genera amore, anzi lo porta a non credere più all’ amore, tanto è vero che pur pentito egli va ad impiccarsi, si ritira e rinuncia alla vita (Mt 27,3-10). Atto di fede o atto di morte, il bacio è il sacramento della fede nell’amore. Per questo deve essere segno caratteristico dei cristiani: « Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo » (Rom 16,16); « Salutatevi l’un l’altro con bacio di carità » (1 Pt 5,14); e i cristiani si dovranno salutare con un bacio santo, en philémati haghìo.  E in Cristo il bacio diviene sacramento per tutta l’umanità, risposta al desiderio che tiene nel gemito tutte le genti: « Il bacio è segno dell’amore: il popolo dell’Alleanza non diede a Dio il bacio perché si rifiutò di amarlo attraverso l’amore dopo averlo servito nel timore. Per questo attraverso la voce della sposa sta scritto del Redentore nel Cantico dei cantici: « Mi baci con il bacio della sua bocca » (1,1) »… « I pagani, chiamati alla salvezza, non cessano di baciare le orme del Redentore perché sospirano continuamente d’amore per lui » (Gregorio Magno, Omelia XXXI,6).  Secondo la tradizione ebraica, « Dio ha parlato con noi faccia a faccia, come un uomo che bacia il proprio amico » (Targum Shir Ha-Shirim), ed è detto anche che « le parole della legge furono date attraverso un bacio » (Cantico Rabba).   La sposa in questo primo dialogo mostra il suo desiderio ma anche fa un atto di fede: « Io lo so: – pare dire – egli mi bacerà con i baci della sua bocca! »   Tratto da: Lontano da chi? di Enzo Bianchi   (L’autore) Enzo Bianchi, scritti vari – autore: Enzo Bianchi

SALOMONE, POLITICO E UOMO SAGGIO – RAVASI

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APPUNTI SU SALOMONE E LA REGINA DI SABA

SALOMONE, POLITICO E UOMO SAGGIO

testo di Mons. Gianfranco Ravasi

Salomone era morto da almeno 900 anni quando ad Alessandria d’Egitto fu composto il libro della Sapienza di cui si legge nell’odierna liturgia domenicale un brano (6,12-16). Eppure la tradizione non ha avuto esitazioni nell’attribuire al celebre re d’Israele anche quest’opera scritta in greco, così come a lui fu assegnata la paternità del cantico dei cantici (1,1) e di Qohelet-Ecclesiaste (1,1), testi da collocare secoli dopo il regno del figlio di Davide. Allo stesso Salomone fu ricondotto l’intero libro dei Proverbi (1,1), anche se alcune parti dell’opera hanno riferimenti ad autori diversi: in questo scritto è possibile, però, che qualche raccolta di detti e aforismi possa essere sorta proprio durante il governo salomonico. Certo è che Salomone nella storia ebraica è rimasto per eccellenza come l’emblema del sapiente, anzi, «egli superò la saggezza di tutti gli orientali e tutta la saggezza d’Egitto», celebrato dalla Bibbia come autore di «3.000 proverbi e 1.005 poesie», capace di dissertare di botanica e di zoologia (1Re 5,9-13). Ma la sua figura è legata soprattutto alla politica interna, estera e religiosa. Egli era nato dall’amore di suo padre Davide per la bellissima Betsabea, sposata in modo tutt’altro che corretto (2Samuele 11-12). Il suo nome in ebraico evocava la parola shalòin, “pace, benessere, prosperità”, mentre il secondo nome era Iedidià, ossia “prediletto del Signore” (2Sarnuele 12,25). La sua successione sul trono paterno era stata travagliata perché di mezzo c’era un altro pretendente, Adonia, figlio di Davide e di un’altra sua moglie, Agghìt. Ma una volta assunto il potere, Salomone s’era rivelato un abilissimo capo di Stato. Fu lui a dare al regno unito una struttura amministrativa e ad aprire una vivace politica internazionale, affidata a un’efficace rete di rapporti conimerciali con Africa, Asia, Arabia, e soprattutto col colosso economico vicino, la Fenicia, in particolare col re di Tiro, Hiram. Fu quest’ultimo a concedergli assistenza tecnica durante l’attuazione della maggiore delle grandi opere messe in cantiere da Salomone, quella dell’edificazione del tempio di Gerusalemme, impresa durata sette anni, e del palazzo reale che di anni ne richiese ben tredici. Una flotta notevole, allestita con l’aiuto dei Fenici, permetteva uno scambio commerciale fruttuoso: la base più importante era nell’attuale golfo di AqabaEilat e questo rivelava anche l’estensione territoriale del regno che, tra l’altro, era stato costellato di città-deposito e di fortezze. Solo la frontiera settentrionale era stata ridimensionata col cedimento di 20 città della Galilea al potente vicino, il re Hiram, così da poter mantenere con lui buone relazioni, essendo necessaria a Israele sia la tecnologia sia il materiale da costruzione (il legname) fenicio. La grandeurdi Salomone era esaltata anche dalla cura dell’immagine: in questa linea si spiega il suo sterminato harem che la Bibbia, un po’ enfaticamente, quantifica in 700 mogli e 300 concubine, provenienti da varie nazionalità, a suggello di una serie di contatti politici, diplomatici ed economici. A questo proposito un evento che certamente creò grande emozione fu la visita di Stato della regina di Saba, l’attuale Yemen, un’operazione anche pubblicitaria per esaltare la reggia, il governo, la prosperità del regno salomonico (i Re 10,1-10), espressione di scambi non solo commerciali ma anche culturali. Non mancarono, però, scontri bellici, come attestano le campagne contro un piccolo regno edomita nell’attuale Giordania e contro una città-Stato di Siria, Zoba. Ma non tutto era perfetto: anche all’interno covava un sordo rancore da parte di al- culli strati sociali contro l’eccessiva imposizione fiscale che colpiva le classi più deboli. Fu un funzionano statale, Geroboamo, a iniziare un movimento di ribellione, sedato da Salomone, ma destinato alla sua morte a esplodere, dando il via attorno al 930 a.C. a una divisione del regno unito ebraico in due Stati antagonisti.

TROVATO IL PALAZZO DELLA REGINA DI SABA La Regina di Saba, bellissima e ricchissima, si innamorò di re Salomone, da cui ebbe un figlio, Menelik, che da adulto invase e conquistò il paese della madre, distruggendo il magnifico palazzo dove la regina abitava e ricostruendolo rivolto verso la stella Sirio – la più luminosa dopo la Stella Polare e facente parte della costellazione Canis Major – che, secondo la mitologia egiziana, rappresentava la divinità Sothis.  Secondo la tradizione etiopica, da Menelik discendono tutti i 225 re e imperatori dell’Etiopia.  Un gruppo di archeologi tedeschi ha annunciato di aver trovato ad Axum, in Etiopia, non solo i resti del palazzo della leggendaria regina che fece girare la testa anche al re Salomone, ma anche il luogo dove fu conservata l’Arca dell’Alleanza di cui parla anche la Bibbia.  I resti del palazzo della regina di Saba, risalente al decimo secolo avanti Cristo – secondo quanto ha reso noto un comunicato dell’università di Amburgo – sono stati scoperti in primavera sotto i ruderi di un altro edificio costruito da un re cristiano. Riferimenti alla regina di Saba sono presenti, oltre che nella Bibbia, anche nel Corano e nel Kebra Nagast, il Libro della Gloria dei Re dell’Etiopia. «Sulla base della datazione temporale, dell’orientamento e dei dettagli che ho scoperto, sono sicuro che è il palazzo (della regina di Saba)» ha detto il prof . Helmut Ziegert dell’Istituto archeologico universitario di Amburgo ai giornalisti. Gli archeologi tedeschi sono inoltre convinti che su un altare colà ritrovato, rivolto verso la stella Sirio, sia rimasta per lungo tempo l’Arca dell’Alleanza. Secondo la Bibbia essa era una cassa in legno di acacia rivestita d’oro e riccamente decorata, la cui costruzione fu ordinata da Dio a Mosè. Considerata il segno visibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, in essa erano conservate le Tavole dei dieci comandamenti, che Mosè aveva ricevuto sul monte Sinai, il bastone di Aronne e un recipiente con la manna, il cibo divino miracolosamente inviato da Dio agli ebrei nel deserto, in modo da salvarli dalla morte per fame. Ziegert intorno all’altare ha trovato 17 doni sacrali, recipienti e vasellame che secondo i ricercatori sono una prova della grande importanza dell’altare, mantenutasi nei secoli. La tradizione etiopica vuole che un seguace di Menelik durante una visita del giovane al padre Salomone abbia portato via dal Tempio di Gerusalemme l’Arca con le leggi bibliche e da allora essa sia conservata segretamente nella Chiesa di S.Maria di Sion a Axum. Secondo altre saghe, l’Arca sarebbe scomparsa quando nel 586 a.C Gerusalemme fu saccheggiata dai conquistatori babilonesi. L’Arca ha ricevuto nuova popolarità dal successo del film «I Predatori dell’Arca Perduta» (1981), con Harrison Ford nei panni di Indiana Jones. Le ricerche nella città sacra di Axum erano cominciate nel 1999, per fare chiarezza sulle origini dell’Etiopia e della Chiesa ortodossa etiope. Secondo altre fonti, il palazzo della regina di Saba sarebbe a Marib, in Yemen.

L’INNAMORATA DEL CANTICO

http://www.christusrex.org/www1/ofm/mag/TSmgitB2.html

la terra santa – rivista bimestrale della custodia francescana di terra santa

marzo – aprile 1998

L’INNAMORATA DEL CANTICO

SR ELENA BOSETTI, SGBP

Il Cantico dei Cantici ci ripropone nella sua freschezza il progetto originario, la reciprocità uomo-donna che il peccato degli inizi ha trasformato in dominio dell’uno sull’altra. Così con la pagina del cantico ci ricolleghiamo idealmente all’inizio del nostro itinerario, al canto d’amore della prima coppia umana.
I protagonisti del Cantico sono due giovani che condividono l’esperienza pastorale. « A contatto con le cose create da Dio, intatte come appena uscite dalla sua mano, i due giovani scoprono se stessi come avvolti nel grande flusso dell’Amore, realtà divina presente nel mondo che vince la morte. E questa scoperta avviene a partire dalla loro condizione di pastori, a contatto diretto con la natura » (E. Bosetti, La tenda e il bastone, Cinisello B. 1992, 134).
Invochiamo lo Spirito dell’amore più forte della morte.

1. IN ASCOLTO
I due amanti del Cantico fanno la loro prima comparsa sotto la veste di un pastore e di una pastorella. La terminologia pastorale si coniuga con quella dell’amore nella sua fase di fidanzamento, quando passione, ricerca, desiderio, incontro – i motivi si susseguono in un circolo senza fine – si consumano in un’atmosfera rarefatta al confine tra il sogno e la realtà.

1.1. Attirami dietro a te!
Il brano che apre il cantico (1,1-4) è simile a un’ouverture musicale: è un tutto compiuto, ma aperto a sviluppi ulteriori. Inizia il canto come solista la donna e il motivo dominante è quello del desiderio:
« Mi baci coi baci della sua bocca » (v. 2a).
Notiamo subito: non già due bocche che s’incontrano, ma piuttosto due bocche che si cercano, brama di ciò che si vorrebbe ma che ancora non si ha. Oppure: di ciò che si è già gustato e che ci ha conquistate con il suo ineffabile sapore e profumo, e che però ha lasciato un desiderio insopprimibile di rivivere quell’esperienza:
« poiché più soavi del vino sono le tue coccole… » (dodêka: v. 2b)
Amore, tenerezza, coccole, intrecciate con il simbolismo del vino, di grande rilievo nella Bibbia e nella letteratura orientale. Il v. 3 sottolinea la « fragranza », il senso dell’odorato. Il profumo ha un’importanza fondamentale in Oriente! Ebbene la giovane donna canta che il suo profumo è proprio lui, l’amato. Si nota un gioco lessicale tra shem (nome) e shemen (profumo). La tua presenza è il mio profumo!

« Attirami (rapiscimi!) dietro a te, corriamo » (v. 4)
La giovane esprime il desiderio di essere introdotta nella stanza nuziale, nell’alcova del re-pastore per gioire e far festa, per assaporare (« ricordare ») le sue tenerezze. Il testo esprime un forte desiderio d’intimità e si muove su un doppio piano. Infatti la parola hadar, che abbiamo tradotto con alcova, indica letteralmente « le stanze interne » (allusione alla stanza interna del Tempio, il Santo dei santi?)) e il far festa è al contempo « un ricordare », un celebrare. Portami – sembra dire la giovane innamorata – dove si possa far memoria della nostra storia d’amore. Dammi di assaporare ciò che mi hai fatto gustare! A questo punto c’è il passaggio dall’io al noi: « Di te ci si innamora »! E’ un contagio d’amore.

1.2. Dimmi dove pascoli il gregge!
In Ct 1,5-8 abbiamo l’autopresentazione della donna in una cornice pastorale. Immaginiamo la scena: lei in primo piano e sullo sfondo le figlie di Gerusalemme (coro). Lei si presenta alle amiche. Racconta di sé, della sua figura (scura ma bella), della sua storia d’amore (non ha saputo custodire la sua vigna). Ma al v. 7 il discorso cambia direzione: dal voi passa al tu. Mentre sta parlando alle amiche, la giovane si rivolge direttamente a lui come se fosse presente. Lui però non c’è. Ci sono le figlie di Gerusalemme. Ma lei si volge a lui in prima persona: « dimmi »!

« Amore dell’anima mia dimmi dove vai a pascere il gregge » (Ct 1,7).
La risposta, di fatto, viene dal coro:
« Segui le orme del gregge… » (Ct 1,8).

Cerchiamo di approfondire i vari elementi.
- Lo scenario: è l’ora del meriggio, assolata, capace di dare alla testa…
- Sulle piste infuocate dei beduini, una donna.
- Scura ma bella. Una bellezza che fa armonia con l’ambiente pastorale in cui lei vive. La pelle scura è il risultato della sua vita esposta al sole.
Dunque una bellezza feriale, non sofisticata.
- Controllo e opposizione inutili da parte dei suoi fratelli. Lei, benché giovane, ha il coraggio della propria autonomia.
- La donna invoca l’amato: « dimmi dove pasci! »
- E il coro indica una sicura pista di ricerca: « segui le orme del gregge ».

Dunque: dalle orme del gregge al ritrovamento del pastore.
L’amore si profila già come continua ricerca, con la pazienza di passare attraverso delle tracce: non direttamente le orme del pastore, ma quelle del gregge. Una ricerca « mediata », nella convinzione che dove si trova il gregge lì è il pastore.

1.3. Il mio diletto è mio e io sono sua
Ci fermiamo sul brano 2,8-17. Si trova subito dopo il « duetto dell’incontro » (Ct 1,9-2,7), il canto estasiato di due innamorati abbracciati senza vergogna (come nel giardino dell’Eden), estasiati l’uno dell’altro. E’ un duetto che non conosce i falsi pudori e che ricorre alle immagini più ardite per descrivere la bellezza della persona amata. Questa volta è lui a cominciare, ma l’ultima parola tocca a lei: « Figlie di Gerusalemme vi scongiuro, non destate l’amore finché non lo desideri » (2,7).
Ct 2,8-17 ci ambienta in una scena stupenda, di primavera. E’ di nuovo lei che prende l’iniziativa. Si noti la tensione progressiva:

- la voce
- i passi
- gli occhi
- il « nostro muro », quello dell’incontro, degli appuntamenti… ma che ora impedisce di vedere, perché Lui è al di là del muro…
- e di nuovo la voce, ormai decifrabile. Sono parole sognate e invocate.
Lei aveva supplicato: « Rapiscimi! » (1,4). Lui ora le dice: « Vieni via! ». Corri via con me! C’è perfetta corrispondenza tra lei che vede lui dalle inferiate e lui che vede lei come colomba tra la roccia.
In sequenza: volto – voce – voce – volto.
Il v. 15 che ha suscitato le interpretazioni più stravaganti:
« Catturateci le volpi / le volpi piccoline
che devastano le vigne / le nostre vigne in fiore ».

Le piccole volpi potrebbero essere, secondo alcuni esegeti, i cuccioli degli sciacalli golosi dei grappoli d’uva in maturazione. Dato però il simbolismo vigna – corporeità femminile, si può intendere l’immagine delle volpi piccoline come ciò che attenta l’amore nella sua integrità.

La donna del cantico ribadisce la sua fedeltà e il desiderio di lui:
« Il mio amato è mio e io sono sua,
di lui che pasce tra i gigli » (v. 16).

E’ una formula di mutua appartenenza, di alleanza sponsale. Si canta la gioia ineffabile della reciproca appartenenza.

1.4. Verso l’amore che non ha tramonto
Ci fermiamo su Ct 7,11-8,7. In questo brano vengono ripresi elementi già noti e raccolti in un vertice sublime dove la donna non sperimenta più il dominio dell’uomo, ma invece la gioia del suo appassionato desiderio. Viene invertita la formula di Gen 3,16. Mentre Gen 3,16 attesta al contempo attrazione e dominio:
« Verso tuo marito (il tuo uomo) sarà la tua passione
ma egli ti dominerà »,

in Ct 7,11 la donna, usando le stesse parole, capovolge la situazione:
« Io sono per il mio diletto
e verso di me è la sua (di lui) passione » (Ct 7,11).

Tra i due amanti del Cantico vi è reciprocità piena, senza alcuna violenza e sopraffazione dell’uno sull’altro, senza prepotenza maschile. Lei chiede di essere posta come perenne segno d’amore sul cuore e sul braccio di lui. In modo che anche i momenti di lontananza e di inevitabile separazione siano legati dal ricordo dell’amore e dal desiderio di un nuovo incontro:
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio (Ct 8,6-7).

Il pensiero corre all’Apocalisse, alle nozze definitive della Sposa con l’Agnello… ma il testo ci provoca più radicalmente a vivere la vita presente come questione di amore. Nella prospettiva del Cristo che ha teneramente amato la sua Chiesa e si è dato tutto per lei (cf. Ef 5,25).
La vita cristiana è decisamente questione di amore sia in rapporto al Diletto pastore, sia in rapporto al gregge di Lui. Esempio tipico di questa sintesi può essere ritenuto Gv 21: Mi ami? Pasci! Seguimi!

Concludo con questa pagina di S. Teresa di Gesù, Dottore della Chiesa:
Gesù mio!… Chi potrà far intendere quanto ci sia vantaggioso gettarci fra le braccia di Dio e stabilire con sua Maestà questo patto: Io mi curerò del mio Diletto e il mio Diletto si curerà di me; Egli veglierà sui miei interessi e io sopra ai suoi?
… Torno a dirvi e a supplicarvi, mio Dio, di concedermi per il sangue di vostro Figlio, ch’Egli mi baci col bacio di sua bocca.
Che cosa sono senza di Voi, o Signore?
Che cosa valgo se non sono unita a Voi?
E dove vado a finire se anche per poco mi allontano da Voi?
(S.Teresa di Gesù, Pensieri sull’amore di Dio, IV,7: Opere, Roma 1992, 1012).

 

LETTURA: SAPIENZA 7, 7 – 11

http://anteprima.qumran2.net/aree_testi/bibbia/lectio/lectio11-17ottobre2015.zip/Casa%20Raffael%20Lectio%2011-17%20ottobre%202015.doc.

(stralcio da Lectio su tutte le letture)

LETTURA: SAPIENZA 7, 7 – 11

Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

3) Commento    su Sapienza 7, 7 – 11 ● In questa domenica nella prima lettura tratta dal libro della Sapienza, ci viene ricordato come la saggezza umana ha un valore. Ma ce ne un’altra, infinitamente superiore: quella che viene da Dio. Quando si è compreso il suo inestimabile valore, bisogna chiederla con una continua preghiera, come ci insegna Salomone, che implorava, chiedeva, pregava per avere questa sapienza di Dio, infatti stimava la sapienza più grande di tutte le ricchezze, del suo stesso potere, della salute, della bellezza.

● Insieme a lei (la Sapienza) mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile. Sap. 7, 11 – Come vivere questa Parola? L’uomo così ben intenzionato nel Vangelo di oggi rappresenta l’uomo di ogni tempo che cerca Dio con sincerità, ma che non riconosce di averlo trovato. Si è bloccato, perché limita Dio alla sua misura, alle sue possibilità: « Ho fatto tutto questo … che cosa devo fare di più »? Questo tale incontra Gesù, ha tutta la sua attenzione ma non lo riconosce – Gesù non si collega alle sue categorie – quindi egli non può lasciarsi sorprendere da Dio che è sempre al di là di ogni nostra immagine o concetto. Egli è troppo attaccato alle proprie ricchezze. Nonostante una certa attrattiva verso Gesù, non giunge a staccarsi da ciò che possiede per seguire Gesù e in Lui conoscere il Padre. Se ne allontana triste. La prima lettura ci aiuta a capire di più cosa manca all’uomo del Vangelo e a molte altre persone di buona volontà: la ‘sapienza del cuore’ è il tesoro nascosto che ci apre al mistero di Dio, la felicità senza fine. Bisogna pregare con insistenza per ricevere questo dono da Dio. Signore Gesù, tutto è possibile a te. La tua parola è parola di vita, parola di Dio che cmi ama così tanto da dare la vita per me! Non lasciarmi intrappolare nelle nostre idee e nozioni di te. Apri il nostro cuore alla Verità. Ecco la voce del nono successore di Don Bosco Don Pascual Chavez Villanueva sdb : « Nulla è più persuasivo e convincente di una vita che si rivela abitata dalla presenza luminosa di Cristo, fino a lasciarlo trasparire nella serenità del volto, nella profondità dello sguardo, nell’umiltà del tratto, nella verità dei gesti e delle parole ».

● Scegliere la sapienza. Secondo una prassi diffusa (detta « pseudoepigrafia »), l’autore del Libro della Sapienza attribuisce la propria opera a Salomone, vissuto molti secoli prima: è un modo per collocarsi nel solco della grande tradizione sapienziale d’Israele. I cc. 7-9 ci presentano la figura di Salomone, dietro la quale si intravede naturalmente l’esperienza personale dell’autore. Salomone vi si presenta come un semplice uomo, uno come gli altri, che non è nato sapiente. Né la nobiltà dei natali né qualunque altra caratteristica assicura a priori la sapienza, che deve essere a un tempo conquistata con l’impegno e ricevuta in dono da Dio. Tutte e due queste cose presuppongono un intenso desiderio: Salomone ha desiderato e cercato la sapienza ed ha pregato per essa. Il testo si rifà qui al racconto di 1Re 3,4-15 (cf. 2Cr 1,3-12), dove il giovane re, all’inizio del proprio regno, chiede a Dio il dono della sapienza. Salomone ha considerato attentamente le varie realtà preziose, oggi si direbbe i valori, mettendoli a confronto. Il testo parla di potere, ricchezza, salute, bellezza fisica, luce degli occhi. La sapienza conferisce beni superiori, porta con sé « tutti i beni » (v. 11). A che cosa serve la ricchezza unita alla superbia (coppia ben assortita, cf. Sap 5,8; 1Gv 2,26)? Al contrario, la sapienza è quanto di più produttivo e fruttuoso si possa dare (cf. 8,5). La sua nobile bellezza, che le guadagna l’amore di Dio, è ben in grado di far innamorare un uomo e di essere l’amore di tutta la sua vita (cf. 8,2-3). A che serve vedere la luce del sole se poi « la luce della giustizia non è brillata per noi, né mai per noi si è alzato il sole » della verità (5,6)? La sapienza è « riflesso della luce perenne » (7,26), non tramonta e supera la stessa morte (cf. 8,13.17). ● Consideriamo in particolare il potere, « scettri e troni » (v. 8): Salomone infatti è un re. Proprio chi « si diletta di troni e di scettri » deve onorare la sapienza, perché solo con essa si può evitare la trappola della sete di dominio regnando bene e per sempre (cf. 6,21). Il potere del sapiente è la regalità dell’uomo signore della creazione, creato « perché domini sulle creature » (9,2, e siamo nella grande preghiera per chiedere la sapienza). La sapienza è virtù regale per eccellenza, in quanto permette di regolare la propria vita e il mondo in modo conforme al progetto di Dio, e dunque per il bene e la vita; una vita che, si intravede oramai chiaramente, per il giusto si estende addirittura oltre la morte (cf. 1,15; 15,3). Bisogna calcolare bene che cosa convenga ricercare, stabilendo priorità e accordando una decisa preferenza a ciò che risulta più pregevole. Non c’è nessun motivo per il quale si debba presumere di essere nati già sapienti, come spesso sembra invece avvenire: è indispensabile una scelta decisa e precisa. Occorre prima di tutto chiarirsi le idee: che cosa scelgo? Che cosa desidero veramente? Dove voglio arrivare? Chi voglio diventare? Che cosa chiedo al Signore? La sapienza è essenzialmente dono, e va chiesta con fiducia e perseveranza (cf. 8,21). Occorre anche « alzarsi presto » e « vegliare »; ma essa stessa verrà incontro a chi la cerca, perché desidera farsi trovare (cf. 6,14-15). « Chi chiede riceve, e chi cerca trova » (Mt 7,8; Lc 11,10). Che cosa stiamo cercando? ______________________________________________________________________________

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