Archive pour la catégorie 'Avvenire – il quotidiano (dal)'

IL BELLO CHE VIENE DOPO LA « CREAZIONE »

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IL BELLO CHE VIENE DOPO LA « CREAZIONE »

Pierangelo Sequeri

(« Avvenire », 1/11/’08)

L’inizio del mondo, dopo tutto, è soltanto il mondo dell’inizio. Se ti consumi la mente a pensare l’inizio – per quanto decisivo – ti perdi tutto il bello che viene dopo. « Evolvere », ha spiegato ieri Benedetto XVI, con elegante « effetto-sorpresa » sul basso profilo di troppo strumentali polemiche, deriva letteralmente dal gesto di « svolgere un rotolo ». Nell’antichità, era questa l’espressione equivalente al nostro « aprire un libro ». (E c’è già chi pensa che essa sarà presto sostituita, anche come « metafora », dal gesto informatico di « aprire un file »). L’immagine della natura come « grande libro del mondo », di uso corrente nell’antichità cristiana, è stata considerata anche nella modernità un’immagine straordinariamente eloquente per sintetizzare il gesto di quel sapere che oggi chiamiamo semplicemente « scienza ». Per lungo tempo, anche nella modernità, questa immagine è apparsa come una nobilitazione, e non una mortificazione, del compito assegnato alla ragione umana. L’idea della scienza della natura come ricerca delle condizioni di « leggibilità del mondo » ha introdotto un’audace analogia fra la lettura del mondo e la lettura delle « Scritture Sacre ». Entrambi i « libri », per così dire, fanno « testo », per il credente, dal momento che Dio è, seppure in modo diverso, « autore » di entrambi. Dunque, chi imbocca la strada della « leggibilità del mondo » non prende per ciò stesso una strada alternativa a quella del lettore della « parola di rivelazione ». E viceversa.
C’è sapienza fine nel modo, pur sobrio, con il quale è rimesso in campo questo grande simbolo della tradizione (teologica, ma anche poetica e scientifica). Tra i molti aspetti di questa « metafora », abbozzati nel Discorso di Benedetto XVI alla « Pontificia Accademia delle Scienze », uno mi sembra però particolarmente suggestivo, e meritevole di essere adeguatamente ripreso. Intendo proprio quello legato alla continuità del processo di lettura, all’ »evoluzione del rotolo », che non può fermarsi alle pagine già decifrate. Il rapporto di Dio con la creazione continua. La cura per la destinazione del mondo, iscritta nella « Creazione » di Dio, lo accompagna. La « palla » del mondo non fu gettata una volta, e abbandonata a se stessa. Né si trattò di un tiro di « dadi »: quello che viene, viene, il mondo si arrangi. Se possiamo trovare cose buone per gli esseri umani, e ancora migliori, e più emozionanti, di quelle che abbiamo scoperto sino ad ora, ciò avviene perché il « Logos » di Dio accompagna lo svolgimento del mondo, che attinge alle riserve della « Sapienza Divina »: esse sono approntate per il momento in cui possono essere colte e portate alla luce, in conseguenza del percorso già fatto, del « rotolo già svolto ». Una segreta alleanza sostiene l’incontro fra le latenze del « Logos » di Dio e le avventure dello spirito intelligente dell’uomo. È di qui – e non certo dalla memoria dell’uso che ne abbiamo fatto – che attinge fiducia l’indomita volontà di apprendere sempre nuove « formule » per lottare contro il « caos », e per ricomporre i buoni legami e i molti incanti del « cosmos » (bellezza, giustezza, ordine, ornamento). Il sapere della natura evolve, perché segue il dispiegarsi della « Creazione », « in presa diretta » con la storia del mondo. La nostra « capacità di scienza », della quale andiamo giustamente orgogliosi, illumina la « crescente complicità » di Dio con il mondo che ora abitiamo, in vista della sua destinazione a una vita non più minacciata, e a un’anima non più avvilita. Quale necessità – e quale dignità – nell’irridere all’idea di questa complicità di Dio, nella quale viviamo e siamo, intanto che – con sempre nuova e condivisa sorpresa – « leggiamo le Scritture » della promessa iscritta nella « Creazione », e « svolgiamo il rotolo » della nostra vita in diretta?

 

L’ALTRO VOLTO DI GIBRAN

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LETTERATURA

L’autore di origine libanese non fu solo un noto poeta.
Esce ora un saggio sulla sua produzione pittorica casta e visionaria.

L’ALTRO VOLTO DI GIBRAN

Marco Roncalli

(« Avvenire », 25/8/’07)

La meta è lassù, sul monte, in un vecchio monastero nella roccia trasformato in museo e pronto a svelarsi dopo gli ultimi tornanti, lasciata alle spalle la Gola di Kadisha, dove tra vigne e uliveti riposano per sempre i primi patriarchi maroniti. La meta è un villaggio libanese dai tetti rossi chiamato Bsherri, nel nord del Paese. Adesso però non è traguardo per turisti: poco lontani, da giorni, continuano i combattimenti tra esercito regolare e miliziani del gruppo ultra-radicale palestinese « Fatah al-Islam », asserragliati nei campi profughi, novanta chilometri a nord di Beirut. Negli intervalli tra una guerra e l’altra i « tour operator » più gettonati proponevano in un solo giorno la visita alla Città vecchia di Tripoli – con le sue moschee e « madrasse » – e l’escursione a Bsherri, nella regione dei Cedri cantati dal « Salmo 104″ (oggi un po’ « spelacchiata »). Qui infatti si trova la chiesa rupestre del convento di Mar Sarkis, con la tomba semplicissima del nostro personaggio, e non lontana, la piccola e modesta casa che lo vide nascere. « Alfa » e « omega » della vita di quest’uomo stanno lì, sullo stesso fazzoletto di terra, dove al convento-museo e alla casa natale tocca la custodia dei suoi scritti e dei suoi quadri . Parliamo di un mistico creatore di formule visionarie, e, al contempo, di uno scrittore i cui libri passano di mano in mano, generazione dopo generazione. Già, chi non conosce titoli come « Il profeta » o « Le ali spezzate », « Gesù il figlio dell’uomo » o « Gli dei della terra »? Sì, parliamo di Khalil Gibran, – o meglio di Gubran Halil Gubran – libanese d’origine e statunitense d’adozione, uno capace di armonizzare le influenze più disparate: dal Vangelo a Nietzsche, dal Corano agli artisti rivoluzionari di Parigi e New York, da Dante alle « Upanishad », da Avicenna a Beethoven, dai « Preraffaelliti » a Blake. E capace d’influenzare con questi densi miscugli larga parte della cultura degli Anni ’50 e ’60 che l’ha venerato come un veggente straordinario per la sua visione del mondo. Affidata oltre che ai suoi scritti a tanti dipinti, questi però meno noti (in Italia ne finirono in mostra alcuni nel 1977 quando ci fu la canonizzazione del monaco libanese maronita Charbel). Ad offrirci un saggio del Gibran pittore (che frequentò l’«Académie des Beaux-Arts» di Parigi e le cui tele Auguste Rodin paragonò alle opere visionarie di William Blake) è Francesco Medici, tra i maggiori studiosi italiani di questo autore che più volte ne ha demolito lo stereotipo del «maestro spirituale», descrivendoci invece la sua «normalità», la sua «indole fragile e solitaria», le due anime: orientale e occidentale, spirituale e mondana. Ora ci propone « Venti disegni » (Edizioni « Giuseppe Laterza », 156 pp., 30 euro), riproposta di « Twenty Drawings », l’unico libro d’arte pubblicato in vita dell’Autore, apparso a New York nel 1919. La versione italiana è una sorta di « book in book », fedele all’originale, ma arricchita di nuovi testi. Quello introduttivo di Medici, la prefazione di un altro noto gibranista Edoardo Scognamiglio, frate conventuale minore e docente di teologia dogmatica, la postfazione di Curzia Ferrari, scrittrice e studiosa d’arte. Cuore dell’opera, con i suggestivi acquerelli « gibraniani » realizzati tra il 1916 e il 1919 e raffiguranti figure umane nude venate di spiritualità e senza « eros » (era Gibran a spiegare «Voglio rappresentare la Vita. E la Vita è nuda. La gente deve « reimparare » la castità del nudo»), due rari scritti dell’autore con testo arabo originale a fronte: una canzone (peraltro cantata da Fayrouz, celebre cantante mediorientale) e un racconto giovanile (dagli impressionanti toni « nietzschiani »). Per Medici, inserire Gibran, sia come pittore che come scrittore, nel vortice « new-age », esoterismo, è errato. «Vicino all’Islam e alle grandi religioni d’Oriente – per certi versi anche allo Zarathustra nietzschiano – spiega – , Gibran nacque in una famiglia di fede maronita (cristiana di rito orientale). Sviluppò da adulto un personale credo, da molti definito gibranismo». Un bel « sincretismo », insomma. «Sosteneva che l’uomo più religioso è quello che non pratica alcuna religione e si definiva un praticante della « Religione della Vita »», continua Medici, che aggiunge: «Resta tuttavia Gesù, per Gibran, il sommo « Maestro di Luce », mito ineguagliabile di bellezza spirituale e di indomita fierezza». Già. Solo un mito. Il mito di uno scrittore-pittore libanese, pronto a confidare a un amico che gli chiedeva perchè avesse scritto « Gesù, il Figlio dell’Uomo »: «Sono stanco di sentire la gente parlare di Lui come di una gentile signora con la barba». Un Gesù lontano da quello autentico del cristianesimo? Conclude Medici: «Il suo Gesù è incarnazione dell’Uomo Perfetto (concetto caro ai « sufi », i mistici islamici), colui cioè che ha conseguito lo stato più elevato di prossimità a Dio, e insieme prova certa dell’assoluta presenza di Dio all’uomo».

ELUANA È MORTA – ARTICOLO DEL GIORNALE « AVVENIRE » LINK

ADESSO PERÒ VOGLIAMO SAPERE TUTTO, LINK:

http://www.avvenire.it/Commenti/Adesso+pero+vogliamo+sapere+tutto.htm

Publié dans:Avvenire - il quotidiano (dal) |on 10 février, 2009 |Pas de commentaires »

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