«LA VERA DIFFICOLTÀ DELL’UOMO È DI GODERE IL GODIMENTO,… » G.K. Chesterton
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«LA VERA DIFFICOLTÀ DELL’UOMO È DI GODERE IL GODIMENTO, DI MANTENERSI CAPACE DI FARSI PIACERE CIÒ CHE GLI PIACE».
IL PROTAGONISTA DI LE AVVENTURE DI UN UOMO VIVO DI G.K. CHESTERTON, DI MARZIA PLATANIA
- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /07 /2012 –
Riprendiamo dal sito Cultura cattolica un articolo di Marzia Platania, apparso con il titolo L’innocente: Innocenzo Smith. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (9/7/2012)
L’innocente è naturalmente Innocenzo Smith, protagonista del romanzo “Le avventure di un uomo vivo”. Egli è un uomo decisamente stravagante e di primo acchito sembrerebbe tutto meno che innocente: sul suo capo pendono le accuse di tentato omicidio, abbandono del tetto coniugale, bigamia e forse uccisione delle sventurate mogli, furto.
Il romanzo è appunto diviso in due parti, la prima che enumera gli enigmi di Innocenzo Smith, la seconda alle prese con il processo casalingo che faticosamente li risolve. Tutte le apparenti stranezze del personaggio hanno la soluzione nel nome ch’egli stesso si è dato, annunciando il proprio arrivo: « manalive », l’uomovivo appunto. Il segreto di Innocenzo Smith è che egli si rifiuta di morire, finché è vivo
E poiché la vita è una sorpresa, una piacevole sorpresa nel sentimento immediato di Chesterton, ecco che la vera nemica della vita non é la morte, che ne é solo la fine, ma la noia, l’abitudine. Ciò che ci impedisce di godere delle cose come ne gode il bambino per il quale sono tutte nuove e quindi fatate, intriganti, è solo l’abitudine, la blasfema credenza che ci siano dovuto
“La vera difficoltà dell’uomo non è di godere i lampioni o i panorami, non di godere i denti-di-leone o le braciole, ma di godere il godimento, di mantenersi capace di farsi piacere ciò che gli piace” (GKC, Autobiografia, pag. 331).
L’esistenza di questa difficoltà, di questa sorta di inerzia che si oppone alla profonda felicità che deriverebbe all’uomo semplicemente dal fatto di essere vivo, quando potrebbe benissimo non esserlo, è resa intelligibile solo dalla dottrina della Caduta:
“II paradosso fondamentale del Cristianesimo è che la ordinaria condizione dell’uomo non è il suo stato di sanità e di sensibilità normale: la normalità stessa è un anormalità. Questa è la filosofia profonda della caduta” (GKC, Ortodossia, pag. 216).
Ecco il significato dell’innocenza di Innocenzo Smith. Egli si costringe a fare la più grande fatica per godere di quelle cose di cui tutti godono distrattamente, vale a dire che tutti di solito rinunciano a godere. Tutto ciò che egli fa, lo fa per recuperare quella posizione originale di sorpresa, di gratitudine e di letizia per l’esistenza stessa delle cose.
Così si è guadagnato l’accusa di tentato omicidio per aver puntato il suo revolver contro i pessimisti, perché faccia a faccia con la morte ammettessero la fallacia delle loro dottrine, liberando le loro vite dalla tristezza. Per questo egli lascia la propria moglie per rincontrarla e ricorteggiarla, ritrovando ogni volta i tremiti e gli abissi del primo amore, sicché tutte le mogli con le quali risultava sposato erano in definitiva sempre la sua unica moglie, persa e ritrovata.
Per questo egli entra nella propria casa dalle finestre o dai tetti come un ladro, per riscoprirne il valore e i tesori contenuti come farebbe un estraneo venuto per impossessarsene. Per questo egli ha abbandonato la propria casa, per tornarvi percorrendo in linea retta tutta la circonferenza del mondo.
Perché solo nel controluce della non-esistenza le cose, tutte le cose, manifestano il loro valore; solo davanti al rischio di andare perdute, le cose ritornano ai nostri occhi preziose. Dice Innocenzo Smith all’inizio del romanzo, sostenendo la creazione di uno Stato autonomo consistente nella sola pensione in cui si svolge l’azione, che egli ritiene poter essere autosufficiente: “Soltanto quando avete fatto naufragio sul serio, trovate sul serio ciò che vi occorre” (GKC, Le avventure di un uomo vivo, pag. 62).
“II valore delle cose sta nell’essere state salvate da un naufragio, ripescate dal Nulla all’esistenza. Ma io ho fantasticato (l’idea può sembrare pazzesca) che l’ordine e il numero delle cose non sia che il romantico avanzo del naviglio di Crusoe [...]. Gli alberi e i pianeti mi parevano come salvati dal naufragio, e quando vidi il Matterhorn fui contento che non fosse stato dimenticato nella confusione” (GKC, Ortodossia, pag. 89).
Si chiarisce cosi anche la ragionevolezza della posizione del patriota: dobbiamo fedeltà alle cose perché sono un dono, qualcosa che non ci era dovuto e ci è stato dato.
“Nessun uomo ha veramente misurato la vastità del debito verso quel qualsiasi essere che l’ha creato e che lo ha reso capace di chiamarsi qualcosa. Dietro il nostro cervello, per così dire, v’era una vampa o uno scoppio di sorpresa per la nostra stessa esistenza: scopo della vita artistica e spirituale era di scavare questa sommersa alba di meraviglia, cosicché un uomo seduto su una sedia potesse comprendere all’improvviso di essere veramente vivo, ed essere felice” (GKC, Autobiografia, pag. 94)
Lo stesso scopo Innocenzo Smith raggiunge con il puntare una rivoltella alla tempia dei pessimisti.
L’inizio delle sue avventure data appunto dal giorno in cui minacciò di morte il suo insegnante di filosofia, minacciando contemporaneamente se stesso; perché se il professore in cui aveva riposto tutta la sua giovanile fiducia, avesse realmente accettato la morte come una liberazione, così come stava dicendo dovesse fare ogni uomo ragionevole, egli avrebbe dovuto seguirlo sulla stessa via.
Per Innocenzo Smith, come per Chesterton, non vi può esser distacco tra la filosofia che si professa e i criteri secondo i quali si agisce. II professore, però, messo alle strette preferisce senza esitare la vita alle proprie teorie e si rifugia, per sfuggire al suo allievo improvvisamente « impazzito », sul cornicione della finestra.
Per lasciarlo tornare sano e salvo nella stanza Innocenzo esige da lui un atto religioso, un ringraziamento a Dio per averlo salvato dai propri sofismi. Ottenutolo insiste:
« Ringraziate Dio anche per le anatre giù nella vasca ». II celebre pessimista espresse a mezza voce il suo vivo desiderio di ringraziare Dio per le anatre della vasca. « E non dimenticate i paperi », insisté Innocenzo, implacabile. Eames concedette fievolmente anche i paperi. « Nulla, mi raccomando, dovete dimenticare. E cosi rendete grazie al Cielo per le Chiese, le Cappelle, i villini, la gente ordinaria, le pozzanghere, le pentole e i tegami, i bastoni, i cenci, gli ossi, e le tende a pallini ». « Sta bene, sta bene » ripeteva la vittima disperata « bastoni, cenci, ossi, tende ». « Tende a pallini, mi pare di avere detto » (GKC, Le avventure…, pag. 136).
Queste tende a pallini erano state pochi istanti prima portate dal professore Eames come prove della essenziale infelicità umana, di cui la loro bruttezza era un riflesso: da qui l’insistenza di Innocenzo perché egli ringrazi Dio in modo particolare per esse. Non solo le cose belle sono un dono, ma anche le cose brutte. Non solo la rosa ha un valore infinito, di fronte alla possibilità di un mondo che non conoscesse la bellezza di una rosa, ma anche i brutti lampioni verdi hanno un valore infinito, che tutti riconosceremmo se naufragassimo su un’isola deserta, senza nulla che ci faccia lume. Tutto è bello, se guardato da questo particolare punto di vista.
“Tutto era magnifico, paragonato al nulla” (Ibidem, pag. 140).
L’inconsistenza delle cose, la semplice constatazione che esse non si sono fatte da sé, non consistono in se stesse e perciò sono caduche, mortali, non conduce alla disperazione e al disprezzo per esse, ma alla gioia e alla riconoscenza: perché disperazione e disprezzo oblitererebbero un dato oggettivo, che esse, malgrado tutto, ci sono. Neppure la morte è male per l’uomo innocente: dice Innocenzo Smith nel corso del romanzo:
“Con il nostro spirito fiacco, empiremmo della nostra decrepitudine l’eternità, se non fossimo mantenuti giovani dalla morte. La Provvidenza ci ha tagliato l’immortalità a pezzetti, come la nutrice taglia a bastoncelli il pane imburrato al bambino” (GKC, Le avventure…, pag. 140).
Questa posizione originale non è però affatto semplice o immediata, è frutto, come dicevamo, di un lavoro. Dice il giornalista Moon che pure si fa difensore di Innocenzo Smith nel casalingo processo che offre la materia al romanzo:
“Non mettetevi in testa, vi prego, che un atteggiamento simile davanti alla vita mi sembri facile, o sollevi in modo particolare le mie simpatie. [...]. Per conto mio sento che l’uomo è legato ad un destino angoscioso; e che non c’è scampo alla trappola del dubbio e del decadere. Ma posto che un rimedio ci sia allora, per Cristo e san Patrizio, non può essere che cotesto. Per conservarsi felici come un bambino o come un cane, non c’è che essere innocenti come il bambino; o, come il cane, incapaci di peccato. [...]. Innocenzo è felice per la ragione ch’egli è innocente. Può sfidare le convenzioni appunto perché sa osservare i comandamenti” (Ibidem, pag. 217).
Quando uno dei due accusatori del processo obietta a questa teoria affermando di non credere che l’innocenza, la bontà, basti per essere felice, la risposta è definitiva: « E allora » riprese tranquillamente Michele « ditemi un po’ un’altra cosa. Chi di noi ci si è provato? » (Ibidem, pag. 217).
È difficile per l’uomo essere buono. L’innocenza di Innocenzo Smith è l’unica innocenza che all’uomo, dopo la Caduta, è concessa. Non un’innocenza primitiva, spontanea, ma una innocenza che deve essere continuamente riconquistata, attraverso un lavoro e una sorveglianza su di sé, attraverso una ascesi. È un’innocenza che consiste nell’osservare i comandamenti, che non erano necessari all’innocenza primeva, perché ha ormai conosciuto la colpa. In ognuno degli episodi criminosi, che poi rivelano avere di criminoso solo l’apparenza,
Innocenzo stesso o un altro dei personaggi coinvolti affermano di avere finalmente compreso la natura malvagia degli atti che si accingevano o credevano di compiere. Innocenzo dopo aver puntato la pistola contro il proprio professore: “Ho imparato per la prima volta che l’assassinio è veramente una colpa” (Ibidem, pag. 140). Il curato socialista che l’accompagna durante l’atto di derubare la propria casa: “per la prima volta capivo che, tutto considerato, rubare è veramente una colpa”. (Ibidem, pag. 163). Di nuovo Innocenzo Smith, parlando in Russia con un seguace di Ibsen: “M’avete persuaso che, abbandonando la propria moglie, uno realmente commette qualche cosa di iniquo e pericoloso”. (Ibidem, pag. 185).
L’innocenza agisce come una cartina di tornasole, distinguendo tra il vero male, la colpa da ciò che solo sembra male, il contravvenire alle convenzioni. Lavorando contro l’abitudine per recuperare la propria innocenza, sia Innocenzo che gli altri personaggi che vengono a contatto con la sua vivificante presenza riacquistano la limpidità di giudizio sul bene e sul male. Più profondamente, solo facendo l’esperienza del male e rifiutandola, l’uomo può ancora essere innocente. Quando fu chiesto a Chesterton perché fosse entrato nella Chiesa Cattolica egli rispose « per liberarmi dai miei peccati » (riferito da Chesterton stesso in Autobiografia, pag. 327).
L’innocenza non è più possibile senza la fatica di un lavoro su di sé come quello cui si sottomette Innocenzo, e più profondamente senza un luogo ove sia possibile il perdono. Solo nell’innocenza, però, diventa possibile la felicità. Fin dall’inizio Innocenzo Smith irrompe nel romanzo come un gran vento, un vento di gioia, di rumorosa e dirompente allegria, che meraviglia e conquista tutti; e solo la sua presenza permette agli altri personaggi di uscire da una oppressiva impasse che è una profonda incapacità di agire per la propria felicità.
L’innocenza del protagonista diventa così in un certo senso contagiosa, facendolo in qualche modo segno della Chiesa, luogo del perdono da cui l’uomo può continuamente ricominciare la sua via. Egli va via, lasciando dietro a sé due coppie in procinto di sposarsi, capaci finalmente di prendere una decisione impegnativa per la propria felicità.
Solo il medico cui ha sparato, mancandolo di proposito, poiché stava affermando che non avrebbe festeggiato il proprio compleanno, giacché la vita non è qualcosa che meriti di essere festeggiato, (evento che ha dato il via al processo casalingo), se ne va via tale quale, senza aver in nulla cambiato le proprie opinioni. Quando persino l’altro accusatore del processo gli grida dietro che in realtà il colpo sparato da breve distanza l’ha mancato di parecchi metri, Moon, il difensore, ribatte sottovoce che il colpo lo ha mancato di parecchi anni, che Innocenzo è arrivato tardi e ch’essi hanno parlato, in realtà, con un uomo che è già morto.