INTRODUZIONE AGLI SCRITTI APOCRIFI, 2012 (1)
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INTRODUZIONE AGLI SCRITTI APOCRIFI, 2012 (1)
L’aggettivo «apocrifo», spesso sostantivato, deriva dal greco apokryphos che significa “segreto”, “celato”. Se in origine indicava un testo con un linguaggio ermetico che richiedeva una particolare formazione culturale oppure, nella tradizione cristiana più antica, con approfondimenti da non leggersi durante la liturgia, in seguito (dopo il II secolo (2)) prese ad assumere la connotazione negativa di “falso”. Tale cambiamento pare sia dovuto a san Gerolamo (347-419?) che, all’inizio, tradusse la Bibbia in latino dalla versione greca dei Settanta (che costituisce tuttora la versione liturgica dell’Antico Testamento per le Chiese ortodosse orientali greche e slave) ritenendola divinamente ispirata, ma poi, ripensandoci, accettò soltanto i testi scritti originariamente in ebraico e così distinse le “vere scritture” (in ebraico) dagli “apocrifi” (in greco).
Con il significato di “falso” si indicarono, di conseguenza, tutti gli scritti non riconosciuti ufficialmente (extra-canonici) dalla Chiesa per la mancanza di ispirazione divina o di apostolicità, ossia non scritti da testimoni oculari come gli apostoli e i discepoli, oppure a causa della riproposizione in altra forma dei testi canonici o per l’esposizione di opinioni o predizioni di un ignoto autore celato sotto uno pseudonimo famoso (pseudoepigrafi) o ancora per altri motivi: adattamenti al luogo e alla cultura delle comunità adottanti, cattive o contrastanti traduzioni, descrizione di eventi non certi, recupero di leggende e così via. C’è da sottolineare, però, che la Chiesa non li vietò mai ufficialmente, che alcuni Padri della Chiesa se ne servirono per dar forza ai loro scritti, che nella Bibbia sono presenti testi (come due lettere di san Paolo) la cui autenticità è stata oggetto di molte discussioni, e che, infine, la maggioranza di apocrifi con posizioni non dottrinali si perse con l’eresia che li supportava.
Gli apocrifi ebbero gran diffusione già a partire dalla fine del II secolo, in quanto i libri sacri presentavano molte lacune nella vita e nelle azioni dei personaggi o descrivevano gli avvenimenti in modo ostico ed eccessivamente simbolico, sì da non essere pienamente comprensibili al popolo oppure miravano a interpretare o addirittura capovolgere gli assunti ufficiali.
Occorre ricordare che tredici papiri, rilegati in cuoio e scritti in copto, furono ritrovati nascosti in una grotta, entro una giara di terracotta, a 5 km dal monastero cenobita pacomiano sull’isola di Nag Hammadi, nell’Alto Egitto, nel 1945. Essi contenevano, per intero o in frammenti, cinquantadue testi gnostici e pagani, compresa una riscrittura della Repubblica di Platone, che risalivano al II secolo. A tale ritrovamento si aggiunse quello, nel 1947, dei manoscritti del Mar Morto, o di Qumran, in una zona desertica a 30 km da Gerusalemme, cui ne seguirono altri. Tutto ciò portò alla conoscenza di interi testi (non solo nomi o frammenti) e dette l’avvio a più approfondite indagini sulle prime comunità cristiane.
Il fatto, per esempio, che i codici di Nag Hammadi fossero stati nascosti portò, dopo anni di studio, a ritenere che all’epoca fossero in corso delle lotte teologiche tra i cristiani che seguivano la nascente Chiesa, con la sua gerarchia, e i cristiani seguaci dello gnosticismo (dal greco gnosis, conoscenza) dei quali erano i codici trovati.
Gli gnostici erano anch’essi cristiani e frequentavano le chiese, ma interpretavano le Scritture in modo diverso. Ha scritto la studiosa statunitense Elaine Pagels: «I cristiani dell’ortodossia che nel II secolo stavano formando la Chiesa cattolica, romana e apostolica, pensavano che un universo separasse i comuni mortali da Dio. Per i cristiani della gnosi, invece, era la conoscenza di sé a portare a Dio. L’io, indagato e nutrito spiritualmente, diventava vera divinità». In altre parole, gli gnostici credevano che ci si potesse elevare allo stesso livello di Gesù raggiungendo l’illuminazione – «Colui che berrà dalla mia bocca diventerà come me, nello stesso modo che io diventerò come lui e le cose nascoste gli verranno rivelate» (Vangelo di Tommaso, 115.) – percorrendo diversi stadi per allontanare i desideri fisici e liberarsi dei pensieri con lunghe meditazioni e, infine, arrivare all’estasi: solo ora il maestro gnostico poteva gridare al suo discepolo «Vedo! Vedo profondità indescrivibili. Come dirti, figlio mio?… Come [descrivere] l’universo? [Sono mente e] vedo un’altra mente, quella che [muove] l’anima! Vedo quella che mi muove dal puro oblio. Tu mi dai potere! Vedo me stesso! Voglio parlare! Mi trattiene il timore. Ho trovato il principio del potere che è sopra a tutti i poteri, quello che non ha principio» (Zostriano (Codice VIII).).
Molte altre erano le differenze: per esempio, gli gnostici credevano che Gesù e gli apostoli, compreso Paolo di Tarso, non avessero rivelato ai discepoli che dietro al Dio biblico (imperfetto perché violento e aveva lasciato il male sulla Terra) ci fosse il Dio supremo (perfetto) e la gnosi era appunto la conoscenza di questo Dio superiore. O ancora, erano messe in dubbio la passione di Cristo e la sua risurrezione fisica: «Giovanni, per la folla laggiù a Gerusalemme io sono crocifisso, sono ferito con lance e canne, mi danno da bere aceto e fiele. Ma questa non è la croce di legno [...] Né quello sulla croce sono io [...] ora la moltitudine intorno alla croce non ha un solo aspetto, è la natura inferiore» (Atti di Giovanni), cioè la natura umana di Cristo era ritenuta soltanto apparente. Così, la risurrezione raccontata nei vangeli canonici era solo una metafora perché essa era l’estasi, la rinascita interiore, raggiunta da vivi con la gnosi: «Coloro che dicono che il Signore prima è morto e poi è risuscitato, si sbagliano, perché egli prima è risuscitato e poi è morto. Se uno non consegue prima la resurrezione non morirà, perché “come è vero che Dio vive” egli sarà già morto» (Vangelo di Filippo, 21). Fu questo uno dei punti di scontro più duri tra cristiani “canonici” e cristiani gnostici, non solo per il credo, ma perché scardinava la gerarchia ecclesiastica: vescovi e sacerdoti non sarebbero più stati i rappresentanti legittimi degli apostoli, ossia dei testimoni oculari della risurrezione, e di conseguenza non sarebbero stati più considerati l’anello necessario tra terreno e divino se chiunque poteva raggiungere la risurrezione interiore. Prevalsero i “canonici”, più organizzati e più aperti alle necessità materiali del popolo; gli gnostici furono proclamati eretici e i loro libri messi al bando.
Gli scritti apocrifi sono circa duecento, ma di non tutti si conosce il contenuto, infatti di alcuni si sa solamente il titolo perché citato da qualche Padre della Chiesa.
Si sogliono dividere in Apocrifi dell’Antico Testamento e in Apocrifi del Nuovo Testamento (ma non tutti gli storici concordano, cfr. Norelli). Ai primi appartengono apocalissi, testamenti, narrazioni e furono redatti, in luoghi diversi, dal IV secolo a.C. e il IX secolo d.C.; nei secondi, più numerosi, sono vangeli, atti, lettere, apocalissi e altri scritti di difficile schedatura. È tuttavia importante sottolineare che le Chiese cristiane – cattolica-romana, ortodossa e protestante – considerano diversamente i testi apocrifi (3).
Ciò che determinò la loro diffusione fu, da una parte, il racconto dei lati più umani e quotidiani dei personaggi (o, per Gesù, la sua eccezionalità tanto da ritrarlo quasi come un mito) (4) e, dall’altra, il peso maggiore dato ai sogni, o visioni, e alla loro interpretazione, cosa ammessa nella Bibbia soltanto a pochi eletti e dalla Chiesa molto raramente: «La diffidenza nei confronti della visione onirica nasce dalla convinzione che non soltanto Dio invia sogni agli uomini, bensì anche il demonio ha la capacità di farlo allo scopo di confondere e far errare il fedele. Vi sono, dunque, sogni veri e sogni ingannatori e, data la difficoltà di stabilire un criterio adeguato per operare una distinzione tra i due, tale atteggiamento di sospetto permane» (J. Le Goff).
Tuttavia, volendo sopraffare il paganesimo, la Chiesa dovette accettare alcuni episodi apocrifi, sia in ambito letterario e artistico che in quello devozionale e liturgico, come la nascita di Gesù in una grotta riscaldata dall’asino e il bue, l’adorazione dei Magi, la fuga in Egitto, alcuni momenti della predicazione di Cristo, i genitori, l’infanzia e la morte della Vergine Maria, compreso il suo ingresso al Tempio di Gerusalemme, la figura invecchiata di Giuseppe falegname e molto altro. Alcuni di questi episodi furono quindi trasformati in feste solenni, temi imprescindibili nella decorazione delle chiese e fonte di molti testi devozionali del Medioevo (per esempio, la Legenda aurea di Jacopo da Varagine).
Qui si sono raccolti quattro testi che introducono, sotto diverse angolazioni, lo studio degli antichi scritti apocrifi:
- Il Gesù dei Vangeli Apocrifi di Marcello Craveri (1914-2002), storico di religioni e di miti pagani e orientali, costituisce la prefazione alla raccolta I Vangeli Apocrifi (Torino 1990);
- Apocrifi. Istruzioni per l’uso è un articolo del padre francescano Frédéric Manns, specialista dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo nei primi secoli, pubblicato sul periodico “Terrasanta” nel 2011;
- Gli apocrifi: minaccia o risorsa? è un articolo del biblista Giuseppe Mazza e del teologo don Giacomo Perego, entrambi docenti presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, pubblicato su “Rivista” (Roma 2007);
- Apocrifi cristiani antichi è una circostanziata voce del Dizionario di omiletica (Torino 1998) scritta da Enrico Norelli, professore ordinario di Storia del cristianesimo delle origini presso l’Università di Ginevra.
- Gli apocrifi, tendenze letterarie che hanno segnato la cultura cristiana è un testo, scritto nel 2004, di Patrice Perreault, biblista e docente all’Università di Montreal.