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Dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo a Roma (traduzione dal francese)

è una preghiera che ho trovato sul sito : « Fraternité de Jerusalem » per la dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo, ho cercato il testo in italiano non l’ho trovato, così ho tradotto io, credo corrisponda bene con il testo francese anche se la traduzione da una lingua straniera, per quanto simile come il francese, non rende mai bene  come l’orginale;

sul Blog: « la pagina di San Paolo » ho messo anche il testo francese per chi conosce la lingua e anche sul Blog francese ho messo il testo in originale (ovvio!), dal sito:

http://jerusalem.cef.fr/pages/24homelies/index.php?hid=205

Dedicazione delle Basiliche di San Pietro e Paolo a Roma

Frère Pierre-Marie

Nulla “nella vita„, poiché si dice,

predisponeva questi due uomini

che la liturgia avvicina oggi in una stessa festa,

ad incontrarsi

e meno ancora ad operare insieme.

Un punto comune tuttavia, alla partenza:

tutti due sono di razza ebrea.

Un grande punto comune all’arrivo:

tutti due muoiono come apostoli di Gesù Christo.

*

Il primo si chiama Simone

del nome del secondo figlio dell’antenato Jacob.

Il secondo porta il nome di Saul

come il primo re conceduto da dio al popolo di Israele.

Simone è un pescatore di Bethsaida

e passa più chiaramente (la maggior parte) dal suo tempo

sulle acque del lago di Tiberiade.

È un Galileo, immerso nel cuore di questa terra,

centro (incrocio) delle nazioni pagane.

Vieni al mio seguito, farò di te un pescatore di uomini.

Lasciando là lo sparviero, parte immediatamente a seguito di Gesù.

Diventa suo discepolo.

Alcuni tempi dopo, al termine di tutta una notte in preghiera,

sui lati della montagna, Gesù la chiama nuovamente

e lo mette in testa dei dodici,

e riceve allora, come loro, il nome di apostolo.

Come quello che vi ha chiamati è santo,

scriverà un giorno nella sua prima lettera

agli stranieri della diaspora,

diventate santi voi anche in tutta la vostra condotta (1,17).

Predicando il primo d’esempio,

un buon pastore e modello della gregge di Dio (3,2),

il discepolo Simone, l’apostolo Pietro

diventerà, semplicemente: San Pietro.

Quale itinerario: la Galilea, la Samaria, Gerusalemme,

con questa notte memorabile e terribile,

quella dell’agonia del suo Signore,

dove, volendo andare, lui anche, al suo seguito,

sulle acque della morte,

prende timore improvvisamente, poiché il vento aveva girato,

una volta ancora,

ed era diventato contrario (Mt 14,24.30).

E quindi la mattina radiante del giorno santo di Pasqua.

Il vento pazzo d’amore, ridiventato favorevole questa volta,

al fuoco pieno del giorno di Pentecoste (Ac 2,2.47).

Gerusalemme ancora, Giaffa, Cesarea marittima,

Antiochia e Roma infine.

Sarà dunque: San Pietro di Roma.

Nel luogo stesso del suo martirio, si costruirà una chiesa

sotto la parola ed alla memoria del suo nome.

Voi dunque, come pietre vive,

affrettatevi alla costruzione di un edificio spirtuale (1 P 2,5).

*

- Saulo, Saulo perché mi perseguiti?

- Chi sei, o Signore?

- Sono Gesù che tu perseguiti (Ac 9,4-5).

Allora, questo circonciso dell’ottavo giorno, della razza di Israele,

della tribù di Beniamino, Ebreo, figlio d’Ebrei,

quanto alla legge Fariseo, quanto al zelo un persecutore della Chiesa,

quanto alla giustizia che può dare la legge,

un irreprensibile,

si solleva (Fil 3,5-6).

Cieco alla luce, vinto nella sua carne,

scosso nelle sue certezze, che si riconosceva infine

il primo dei peccatori (1 Tm 1,15)!

Due anni nel deserto, Gerusalemme, Antiochia, Cipro…

Cilicia la Galazia, Lidia, Misia, la Macedonia….

Efeso, Filippi, Salonicco, Atene, Corinto…

Tutto il nord del bacino mediterraneo percorso

Nei molti viaggi missionari

e, per finire, per lui anche, la città di Roma.

Vi morirà anche lui, martire di Cristo.

*

Vicino alla collina vaticana,

nel luogo del circo di Nerone, l’apostolo Pierre è crocifisso.

Sulla strada di Ostia, fuori dei rifugi,

l’apostolo Paul è decapitato.

Celebriamo oggi, fratelli e sorelle,

la dedicazione di queste due chiese,

erette nel cuore della capitale dell’impero,

diventata la città dove il vescovo di Roma, il Papa

presiede alla carità di tutte le Chiese:

la Basilica di San Pietro in Roma

e la Basilica di San Paolo fuori le Mura.

Donatisi con tutto il cuore all’annuncio del vangelo

ecco questi due uomini che tutto avrebbe potuto separare,

ma uniti nel dono del loro sangue.

Del loro sangue che viene a fecondare la terra della città

La più pagana del mondo,

per farne la culla, dopo Gerusalemme, dove la chiesa è sorta,

di tutta la cristianità!

*

Fratelli e sorelle,

lodiamo Pietro e Paolo

per l’esempio indimenticabile delle loro vite.

Noi anche, nonostante tante diversità, di molti itinerari,

noi, eccoci, profondamente uniti

nella stessa fede in Gesù Cristo,

il Salvatore di tutti gli uomini,

e l’appartenenza alla sua chiesa universale

attraverso la quale è piaciuto a Dio far passare la salvezza.

Quale grazia di appartenere a questa Gerusalemme nuova

dove qualsiasi insieme fa corpo!

La salvezza viene dai giudei,

aveva detto Gesù ad una donna pagana di Samaria.

Ora, con Pierre e Paul, possiamo ripeterlo:

Noi siamo tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù.

Tutti voi, infatti, battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.

Non c’è più giudeo, né greco, né schiavo né uomo libero,

né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,27-28).

Ma se appartenete a Cristo,

voi siete dunque della discesa di Abramo,

eredi secondo la promessa.

Veramente i doni di Dio e la chiamata di Dio

sono senza ripensamenti e le sue promesse per sempre!

Poiché dice il la preghiera della messa

di questa festa della dedicazione,

possiamo rifare questa preghiera:

“Guardia la tua Chiesa, Signore,

sotto la protezione degli apostoli Pietro e Paolo.

Poiché ricevé per loro, il primo annuncio del Vangelo,

che essa ne riceva fino alla fine dei tempi

la grazia di cui ha bisogno per crescere!„

San Pietro e San Paolo di Roma,

pregate con noi! pregate per noi!

Publié dans:ANNO PAOLINO, preghiere, San Paolo, San Pietro |on 25 septembre, 2008 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI: l’ambiente religioso-culturale di San Paolo

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14877?l=italian

Benedetto XVI: l’ambiente religioso-culturale di San Paolo

Intervento all’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 2 luglio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’intervento pronunciato questo mercoledì mattina da Benedetto XVI nel corso dell’Udienza generale in piazza San Pietro.

In occasione dell’Anno paolino, il Papa ha iniziato quest’oggi un nuovo ciclo di catechesi dedicato all’approfondimento della figura e del pensiero di San Paolo, soffermandosi in particolare sull’ambiente religioso-culturale in cui visse l’

apostolo.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

vorrei oggi iniziare un nuovo ciclo di Catechesi, dedicato al grande apostolo san Paolo. A lui, come sapete, è consacrato questo anno che va dalla festa liturgica dei Santi Pietro e Paolo del 29 giugno 2008 fino alla stessa festa del 2009. L’apostolo Paolo, figura eccelsa e pressoché inimitabile, ma comunque stimolante, sta davanti a noi come esempio di totale dedizione al Signore e alla sua Chiesa, oltre che di grande apertura all’umanità e alle sue culture. È giusto dunque che gli riserviamo un posto particolare, non solo nella nostra venerazione, ma anche nello sforzo di comprendere ciò che egli ha da dire anche a noi, cristiani di oggi. In questo nostro primo incontro vogliamo soffermarci a considerare l’ambiente nel quale egli si trovò a vivere e a operare. Un tema del genere sembrerebbe portarci lontano dal nostro tempo, visto che dobbiamo inserirci nel mondo di duemila anni fa. E tuttavia ciò è vero solo apparentemente e comunque solo in parte, poiché potremo constatare che, sotto vari aspetti, il contesto socio-culturale di oggi non differisce poi molto da quello di allora.

Un fattore primario e fondamentale da tenere presente è costituito dal rapporto tra l’ambiente in cui Paolo nasce e si sviluppa e il contesto globale in cui successivamente si inserisce. Egli viene da una cultura ben precisa e circoscritta, certamente minoritaria, che è quella del popolo di Israele e della sua tradizione. Nel mondo antico e segnatamente all’interno dell’impero romano, come ci insegnano gli studiosi della materia, gli ebrei dovevano aggirarsi attorno al 10% della popolazione totale; qui a Roma, poi, il loro numero verso la metà del I° secolo era in un rapporto ancora minore, raggiungendo al massimo il 3% degli abitanti della città. Le loro credenze e il loro stile di vita, come succede ancora oggi, li distinguevano nettamente dall’ambiente circostante; e questo poteva avere due risultati: o la derisione, che poteva portare all’intolleranza, oppure l’ammirazione, che si esprimeva in forme varie di simpatia come nel caso dei « timorati di Dio » o dei « proseliti », pagani che si associavano alla Sinagoga e condividevano la fede nel Dio di Israele. Come esempi concreti di questo doppio atteggiamento possiamo citare, da una parte, il giudizio tagliente di un oratore quale fu Cicerone, che disprezzava la loro religione e persino la città di Gerusalemme (cfr Pro Flacco

, 66-69), e, dall’altra, l’atteggiamento della moglie di Nerone, Poppea, che viene ricordata da Flavio Giuseppe come « simpatizzante » dei Giudei (cfr Antichità giudaiche 20,195.252; Vita 16), per non dire che già Giulio Cesare aveva ufficialmente riconosciuto loro dei diritti particolari che ci sono tramandati dal menzionato storico ebreo Flavio Giuseppe (cfr ibid. 14,200-216). Certo è che il numero degli ebrei, come del resto avviene ancora oggi, era molto maggiore fuori della terra d’Israele, cioè nella diaspora, che non nel territorio che gli altri chiamavano Palestina.Non meraviglia, quindi, che Paolo stesso sia stato oggetto della doppia, contrastante valutazione, di cui ho parlato. Una cosa

è sicura: il particolarismo della cultura e della religione giudaica trovava tranquillamente posto all’interno di un’istituzione così onnipervadente quale era l’impero romano. Più difficile e sofferta sarà la posizione del gruppo di coloro, ebrei o gentili, che aderiranno con fede alla persona di Gesù di Nazaret, nella misura in cui essi si distingueranno sia dal giudaismo sia dal paganesimo imperante. In ogni caso, due fattori favorirono l’impegno di Paolo. Il primo fu la cultura greca o meglio ellenistica, che dopo Alessandro Magno era diventata patrimonio comune almeno del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente, sia pure integrando in sé molti elementi delle culture di popoli tradizionalmente giudicati barbari. Uno scrittore del tempo afferma, al riguardo, che Alessandro « ordinò che tutti ritenessero come patria l’intera ecumene … e che il Greco e il Barbaro non si distinguessero più » (Plutarco, De Alexandri Magni fortuna aut virtute, §§ 6.8). Il secondo fattore fu la struttura politico-amministrativa dell’impero romano, che garantiva pace e stabilità dalla Britannia fino all’Egitto meridionale, unificando un territorio dalle dimensioni mai viste prima. In questo spazio ci si poteva muovere con sufficiente libertà e sicurezza, usufruendo tra l’altro di un sistema stradale straordinario, e trovando in ogni punto di arrivo caratteristiche culturali di base che, senza andare a scapito dei valori locali, rappresentavano comunque un tessuto comune di unificazione super partes, tanto che il filosofo ebreo Filone Alessandrino, contemporaneo dello stesso Paolo, loda l’imperatore Augusto perché « ha composto in armonia tutti i popoli selvaggi … facendosi guardiano della pace » (Legatio ad Caium, §§ 146-147).

La visione universalistica tipica della personalità di san Paolo, almeno del Paolo cristiano successivo all’evento della strada di Damasco, deve certamente il suo impulso di base alla fede in Gesù Cristo, in quanto la figura del Risorto si pone ormai al di là di ogni ristrettezza particolaristica; infatti, per l’Apostolo « non c’è più Giudeo né Greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più maschio né femmina, ma tutti siete uno solo in Cristo Gesù » (Gal

3,28). Tuttavia, anche la situazione storico-culturale del suo tempo e del suo ambiente non può non aver avuto un influsso sulle sue scelte e sul suo impegno. Qualcuno ha definito Paolo « uomo di tre culture », tenendo conto della sua matrice giudaica, della sua lingua greca, e della sua prerogativa di « civis romanus« , come attesta anche il nome di origine latina. Va ricordata in specie la filosofia stoica, che era dominante al tempo di Paolo e che influì, se pur in misura marginale, anche sul cristianesimo. A questo proposito, non possiamo tacere alcuni nomi di filosofi stoici come gli iniziatori Zenone e Cleante, e poi quelli cronologicamente più vicini a Paolo come Seneca, Musonio ed Epitteto: in essi si trovano valori altissimi di umanità e di sapienza, che saranno naturalmente recepiti nel cristianesimo. Come scrive ottimamente uno studioso della materia, « la Stoa… annunciò un nuovo ideale, che imponeva sì all’uomo dei doveri verso i suoi simili, ma nello stesso tempo lo liberava da tutti i legami fisici e nazionali e ne faceva un essere puramente spirituale » (M. Pohlenz, La Stoa, I, Firenze 2 1978, pagg. 565s). Si pensi, per esempio, alla dottrina dell’universo inteso come un unico grande corpo armonioso, e conseguentemente alla dottrina dell’uguaglianza tra tutti gli uomini senza distinzioni sociali, all’equiparazione almeno di principio tra l’uomo e la donna, e poi all’ideale della frugalità, della giusta misura e del dominio di sé per evitare ogni eccesso. Quando Paolo scrive ai Filippesi: « Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri » (Fil 4,8), non fa che riprendere una concezione prettamente umanistica propria di quella sapienza filosofica.Al tempo di san Paolo era in atto anche una crisi della religione tradizionale, almeno nei suoi aspetti mitologici e anche civici. Dopo che Lucrezio, gi

à un secolo prima, aveva polemicamente sentenziato che « la religione ha condotto a tanti misfatti » (De rerum natura, 1,101), un filosofo come Seneca, andando bel al di là di ogni ritualismo esterioristico, insegnava che « Dio è vicino a te, è con te, è dentro di te » (Lettere a Lucilio, 41,1). Analogamente, quando Paolo si rivolge a un uditorio di filosofi epicurei e stoici nell’Areopago di Atene, dice testualmente che « Dio non dimora in templi costruiti da mani d’uomo … ma in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo » (At 17,24.28). Con ciò egli riecheggia certamente la fede giudaica in un Dio non rappresentabile in termini antropomorfici, ma si pone anche su di una lunghezza d’onda religiosa che i suoi uditori conoscevano bene. Dobbiamo inoltre tenere conto del fatto che molti culti pagani prescindevano dai templi ufficiali della città, e si svolgevano in luoghi privati che favorivano l’iniziazione degli adepti. Non costituiva perciò motivo di meraviglia che anche le riunioni cristiane (le ekklesíai), come ci attestano soprattutto le Lettere paoline, avvenissero in case private. Al momento, del resto, non esisteva ancora alcun edificio pubblico. Pertanto i raduni dei cristiani dovevano apparire ai contemporanei come una semplice variante di questa loro prassi religiosa più intima. Comunque, le differenze tra i culti pagani e il culto cristiano non sono di poco conto e riguardano tanto la coscienza identitaria dei partecipanti quanto la partecipazione in comune di uomini e donne, la celebrazione della « cena del Signore » e la lettura delle Scritture.

In conclusione, da questa rapida carrellata sull’ambiente culturale del primo secolo dell’era cristiana appare chiaro che non è possibile comprendere adeguatamente san Paolo senza collocarlo sullo sfondo, tanto giudaico quanto pagano, del suo tempo. In questo modo la sua figura acquista in spessore storico e ideale, rivelando insieme condivisione e originalità nei confronti dell’ambiente. Ma ciò vale analogamente anche per il cristianesimo in generale, di cui appunto l’apostolo Paolo è un paradigma di prim’ordine, dal quale tutti noi abbiamo ancora sempre molto da imparare. È questo lo scopo dell’Anno Paolino: imparare da san Paolo, imparare la fede, imparare il Cristo, imparare infine la strada della retta vita.

Publié dans:ANNO PAOLINO, Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 3 juillet, 2008 |Pas de commentaires »

Paolo di Tarso, Santo ecumenico, punto di riferimento anche per il mondo protestante

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14882?l=italian

Paolo di Tarso, Santo ecumenico

Punto di riferimento anche per il mondo protestante

ROMA, mercoledì, 2 luglio 2008 (ZENIT.org).- “Quando si parla di Paolo, l’apostolo, un protestante ha come l’impressione che si stia parlando anche di lui”, sostiene Luca Baratto, pastore e curatore del programma di Radiouno “Culto Evangelico”, sul settimanale NEV – Notizie Evangeliche.

Paolo, afferma in un editoriale apparso sul numero di questo mercoledì, “è l’apostolo preferito dai protestanti, e non solo perché non ha successori diretti”

. Il Santo di Tarso

è infatti “ricollegabile a tutti i principali enunciati teologici della Riforma”: “è incluso nel ‘Sola Scriptura’ in quanto autore di un cospicuo corpo di epistole che costituiscono i testi più antichi del Nuovo Testamento”, così come “i principi del ‘Sola Gratia’ e ‘Sola Fide’ sono il risultato di una profonda riflessione dei riformatori sulle pagine dell’apostolo, sul significato della giustizia di Dio e della giustificazione per grazia mediante la fede che Paolo annuncia nelle lettere ai Romani e ai Galati”.

Allo stesso modo, “anche il ‘Solus Christus’ ha una chiara impronta paolina, la centralità e l’esclusività del Signore morto e risorto, la ‘teologia della croce’ contro la ‘teologia della gloria’ di una chiesa imperante”.

Non solo Paolo sta all’inizio, alla nascita del protestantesimo, ma è rimasto presente anche nei secoli successivi”, ha osservato Baratto.

Se parlare di Paolo non significa parlare dei protestanti – ha proseguito –, è invece vero che chiunque voglia parlare di Paolo non può non parlare con i protestanti”.

Se uno degli intenti dell’Anno dedicato all’Apostolo delle genti è apprendere “la verità e la fede in cui sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo”, “questo evento non può non tradursi in un rilancio del dialogo ecumenico tra cattolicesimo e protestantesimo, cioè con quella parte di cristianità occidentale che molto ha riflettuto su Paolo e la cui teologia spesso giudicata mancante, per esempio nella concezione della chiesa, affonda le sue radici nella teologia biblica in generale e in quella paolina in particolare”

. Sul dialogo ecumenico, infatti,

“Paolo ha molto da insegnare”.

Vissuto in un ambiente in cui le chiese cristiane nascenti erano molto diverse le une dalle altre, “ha lottato per un cristianesimo inclusivo” e di fronte alla diversità tra le chiese proponeva la centralità di Cristo: “un’unità che si basa sul sapere chi è Gesù Cristo e che spazio ha nella nostra vita di singoli e chiese”

. Il suo essere

“portatore di un messaggio che va al di là di barriere culturali, può portarci a riflettere sull’idea di inculturazione dell’evangelo in un mondo globalizzato come il nostro”.

Baratto ha concluso affermando che “sono tantissime le piste di riflessione che partono da Paolo per il nostro presente”.

Ma se parlate di lui – ha osservato –, parlate anche con noi, con quella tradizione teologica che così tanto deve alla predicazione dell’apostolo”.

Publié dans:ANNO PAOLINO, ecumenismo, ZENITH |on 3 juillet, 2008 |Pas de commentaires »

di Sandro Magister: Anno Paolino: Il sogno ecumenico di papa Benedetto

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/205564

Anno Paolino: Il sogno ecumenico di papa Benedetto

Assieme al patriarca di Costantinopoli, il successore di Pietro ha indetto uno speciale anno giubilare dedicato all’altro grande apostolo, Paolo. Obiettivo dichiarato: « creare lunità della ‘catholica’, della Chiesa formata da giudei e pagani, della Chiesa di tutti i popoli »

di Sandro Magister
ROMA, 2 luglio 2008 Nella foto, Benedetto XVI e Bartolomeo I, il patriarca di Costantinopoli, pregano davanti alla tomba dell’apostolo Paolo, sotto l’altare maggiore della basilica romana di San Paolo fuori le Mura. È la vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo. E assieme hanno inaugurato uno speciale anno giubilare dedicato all’apostolo Paolo.

L’Anno Paolino, iniziato il 28 giugno, durerà fino al 29 giugno 2009. L’occasione è il bimillenario della nascita dell’apostolo, collocata dagli storici tra il 7 e il 10 dopo Cristo.

Benedetto XVI ha annunciato per la prima volta questo speciale anno giubilare un anno fa, il 28 giugno 2007. E così ora ha spiegato l’evento ai fedeli riuniti in piazza San Pietro, prima dell’Angelus della festa dei santi Pietro e Paolo di quest’anno:

« Questo speciale giubileo avrà come baricentro Roma, in particolare la basilica di San Paolo fuori le Mura e il luogo del martirio, alle Tre Fontane. Ma esso coinvolgerà la Chiesa intera, a partire da Tarso, città natale di Paolo, e dagli altri luoghi paolini meta di pellegrinaggi nellattuale Turchia, come pure in Terra Santa, e nellIsola di Malta, dove lApostolo approdò dopo un naufragio e gettò il seme fecondo del Vangelo.

« In realtà, lorizzonte dellAnno Paolino non può che essere universale, perché san Paolo è stato per eccellenza lapostolo di quelli che rispetto agli ebrei erano ‘i lontani’ e che ‘grazie al sangue di Cristo’ sono diventati ‘i vicini’ (cfr Ef 2,13). Per questo anche oggi, in un mondo diventato più ‘piccolo’, ma dove moltissimi ancora non hanno incontrato il Signore Gesù, il giubileo di san Paolo invita tutti i cristiani ad essere missionari del Vangelo.

« Questa dimensione missionaria ha bisogno di accompagnarsi sempre a quella dellunità, rappresentata da san Pietro, la ‘roccia’ su cui Gesù Cristo ha edificato la sua Chiesa. Come sottolinea la liturgia, i carismi dei due grandi apostoli sono complementari per ledificazione dellunico Popolo di Dio ed i cristiani non possono dare valida testimonianza a Cristo se non sono uniti tra di loro ».

* * *

Universale ed ecumenico. Per una Chiesa che è « catholica » e « una ». È questo il doppio orizzonte che il vescovo di Roma e il patriarca di Costantinopoli hanno voluto dare all’Anno Paolino, indetto unitamente dalle rispettive Chiese di Roma e d’Oriente. Nella messa celebrata nel giorno dei santi Pietro e Paolo, i due successori degli apostoli sono entrati assieme nella basilica di San Pietro; assieme sono saliti all’altare, preceduti da un diacono latino e da uno ortodosso recanti il libro dei Vangeli; assieme hanno ascoltato il canto del Vangelo in latino ed in greco; assieme hanno tenuto l’omelia, prima il patriarca e poi il papa, dopo una breve introduzione di quest’ultimo; assieme hanno recitato il Credo, il Simbolo Niceno Costantinopolitano nella lingua originale greca secondo l’uso liturgico delle Chiese bizantine; si sono scambiati il bacio della pace e al termine hanno assieme benedetto i fedeli. Dopo quasi mille anni di scisma tra Oriente e Occidente, è stata celebrata dal vescovo di Roma e dal patriarca di Costantinopoli una liturgia visibilmente protesa all’unità.

Più in ombra resta per ora il rapporto con le comunità protestanti. Ma anche nel dialogo con queste l’Anno Paolino può essere ricco di significati. I maggiori pensatori della Riforma da Lutero e Calvino fino a Karl Barth, a Rudolph Bultmann e Paul Tillich hanno elaborato il loro pensiero a partire soprattutto dalla Lettera di Paolo ai Romani.

E non meno rilevante è l’apporto che l’Anno Paolino potrà dare al dialogo con gli ebrei. Paolo era giudeo e rabbino osservante, prima di cadere abbagliato da Cristo sulla via di Damasco. E la sua conversione al Risorto non comportò mai per lui una rottura con la fede originaria. La promessa di Dio ad Abramo e l’alleanza del Sinai per Paolo fecero sempre tutt’uno con la « nuova ed eterna » alleanza sigillata dal sangue di Gesù. Su questa unità tra l’Antico e il Nuovo Testamento, Joseph Ratzinger ha scritto pagine memorabili, nel suo libro « Gesù di Nazareth ».

Qui di seguito è riprodotta l’omelia pronunciata da Benedetto XVI il 28 giugno 2008, nella basilica di San Paolo fuori le Mura, nei vespri della vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo. In essa il papa risponde alle domande: chi era Paolo? e che cosa dice a me oggi?

Più sotto trovi i link alla doppia omelia del papa e del patriarca di Costantinopoli nella messa del giorno successivo, e ad altri testi di Benedetto XVI sull’apostolo Paolo. Più vari rimandi a tutto ciò che riguarda l’Anno Paolino.

« Chi era Paolo? E che cosa dice a me oggi? »

di Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle, siamo riuniti presso la tomba di san Paolo, il quale nacque duemila anni fa a Tarso di Cilicia, nellodierna Turchia.

Chi era questo Paolo? Nel tempio di Gerusalemme, davanti alla folla agitata che voleva ucciderlo, egli presenta se stesso con queste parole: « Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città [di Gerusalemme], formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio… » (At 22,3).

Alla fine del suo cammino dirà di sé: « Sono stato fatto… maestro delle genti nella fede e nella verità » (1Tm 2,7; cfr 2Tm 1,11). Maestro delle genti, apostolo e banditore di Gesù Cristo, così egli caratterizza se stesso in uno sguardo retrospettivo al percorso della sua vita.

Ma con ciò lo sguardo non va soltanto verso il passato. Maestro delle genti: questa parola si apre al futuro, verso tutti i popoli e tutte le generazioni. Paolo non è per noi una figura del passato, che ricordiamo con venerazione. Egli è anche il nostro maestro, apostolo e banditore di Gesù Cristo anche per noi.

Siamo quindi riuniti non per riflettere su una storia passata, irrevocabilmente superata. Paolo vuole parlare con noi , oggi. Per questo ho voluto indire questo speciale Anno Paolino: per ascoltarlo e per apprendere ora da lui, quale nostro maestro, « la fede e la verità« , in cui sono radicate le ragioni dellunità tra i discepoli di Cristo.

In questa prospettiva ho voluto accendere, per questo bimillenario della nascita dellapostolo, una speciale Fiamma Paolina, che resterà accesa durante tutto lanno in uno speciale braciere posto nel quadriportico della basilica [di San Paolo fuori le Mura].

Per solennizzare questa ricorrenza ho anche inaugurato la cosiddetta Porta Paolina, attraverso la quale sono entrato nella basilica accompagnato dal patriarca di Costantinopoli [...] e da altre autorità religiose. È per me motivo di intima gioia che lapertura dellAnno Paolino assuma un particolare carattere ecumenico per la presenza di numerosi delegati e rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali, che accolgo con cuore aperto. [...].

* * *

Siamo dunque qui raccolti per interrogarci sul grande apostolo delle genti. Ci chiediamo non soltanto: chi era Paolo? Ci chiediamo soprattutto: chi è Paolo? che cosa dice a me?

In questa ora, allinizio dellAnno Paolino che stiamo inaugurando, vorrei scegliere dalla ricca testimonianza del Nuovo Testamento tre testi, in cui appare la sua fisionomia interiore, lo specifico del suo carattere.

Nella Lettera ai Galati egli ci ha donato una professione di fede molto personale, in cui apre il suo cuore davanti ai lettori di tutti i tempi e rivela quale sia la molla più intima della sua vita. « Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me » (Gal 2,20).

Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro. La sua fede è lesperienza dellessere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; è la coscienza del fatto che Cristo ha affrontato la morte non per un qualcosa di anonimo, ma per amore di lui di Paolo e che, come Risorto, lo ama tuttora, che cioè Cristo si è donato per lui. La sua fede è lessere colpito dallamore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nellintimo e lo trasforma. La sua fede non è una teoria, unopinione su Dio e sul mondo. La sua fede è limpatto dellamore di Dio sul suo cuore. E così questa stessa fede è amore per Gesù Cristo.

Da molti Paolo viene presentato come uomo combattivo che sa maneggiare la spada della parola. Di fatto, sul suo cammino di apostolo non sono mancate le dispute. Non ha cercato unarmonia superficiale. Nella prima delle sue lettere, quella rivolta ai Tessalonicesi, egli stesso dice: « Abbiamo avuto il coraggio… di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte… Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete » (1Ts 2,2.5).

La verità era per lui troppo grande per essere disposto a sacrificarla in vista di un successo esterno. La verità che aveva sperimentato nellincontro con il Risorto ben meritava per lui la lotta, la persecuzione, la sofferenza. Ma ciò che lo motivava nel più profondo, era lessere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore. Paolo era un uomo colpito da un grande amore, e tutto il suo operare e soffrire si spiega solo a partire da questo centro. I concetti fondanti del suo annuncio si comprendono unicamente in base ad esso.

Prendiamo soltanto una delle sue parole-chiave: la libertà. Lesperienza dellessere amato fino in fondo da Cristo gli aveva aperto gli occhi sulla verità e sulla via dellesistenza umana; quellesperienza abbracciava tutto. Paolo era libero come uomo amato da Dio che, in virtù di Dio, era in grado di amare insieme con Lui. Questo amore è ora la « legge » della sua vita e proprio così è la libertà della sua vita. Egli parla ed agisce mosso dalla responsabilità dellamore. Libertà e responsabilità sono qui uniti in modo inscindibile. Poiché sta nella responsabilità dellamore, egli è libero; poiché è uno che ama, egli vive totalmente nella responsabilità di questo amore e non prende la libertà come pretesto per larbitrio e legoismo. Nello stesso spirito Agostino ha formulato la frase diventata poi famosa: « Dilige et quod vis fac » (Tract. in 1Jo 7 ,7-8), ama e fa quello che vuoi. Chi ama Cristo come lo ha amato Paolo, può veramente fare quello che vuole, perché il suo amore è unito alla volontà di Cristo e così alla volontà di Dio; perché la sua volontà è ancorata alla verità e perché la sua volontà non è più semplicemente volontà sua, arbitrio dellio autonomo, ma è integrata nella libertà di Dio e da essa riceve la strada da percorrere.

* * *

Nella ricerca della fisionomia interiore di san Paolo vorrei, in secondo luogo, ricordare la parola che il Cristo risorto gli rivolse sulla strada verso Damasco. Prima il Signore gli chiede: « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? » Alla domanda: « Chi sei, o Signore? » vien data la risposta: « Io sono Gesù che tu perseguiti » (At 9,4s). Perseguitando la Chiesa, Paolo perseguita lo stesso Gesù. « Tu perseguiti me ». Gesù si identifica con la Chiesa in un solo soggetto.

In questa esclamazione del Risorto, che trasformò la vita di Saulo, in fondo ormai è contenuta lintera dottrina sulla Chiesa come Corpo di Cristo. Cristo non si è ritirato nel cielo, lasciando sulla terra una schiera di seguaci che mandano avanti « la sua causa ». La Chiesa non è unassociazione che vuole promuovere una certa causa. In essa non si tratta di una causa. In essa si tratta della persona di Gesù Cristo, che anche da Risorto è rimasto « carne ». Egli ha « carne e ossa » (Lc 24, 39), lo afferma in Luca il Risorto davanti ai discepoli che lo avevano considerato un fantasma. Egli ha un corpo. È personalmente presente nella sua Chiesa, « Capo e Corpo » formano un unico soggetto, dirà Agostino. « Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? », scrive Paolo ai Corinzi (1Cor 6,15). E aggiunge: come, secondo il Libro della Genesi, luomo e la donna diventano una carne sola, così Cristo con i suoi diventa un solo spirito, cioè un unico soggetto nel mondo nuovo della risurrezione (cfr 1Cor 6,16ss).

In tutto ciò traspare il mistero eucaristico, nel quale Cristo dona continuamente il suo Corpo e fa di noi il suo Corpo: « Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dellunico pane » (1Cor 10,16s). Con queste parole si rivolge a noi, in questora, non soltanto Paolo, ma il Signore stesso: Come avete potuto lacerare il mio Corpo? Davanti al volto di Cristo, questa parola diventa al contempo una richiesta urgente: Riportaci insieme da tutte le divisioni. Fa che oggi diventi nuovamente realtà. C’è un solo pane, perciò noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo. Per Paolo la parola sulla Chiesa come Corpo di Cristo non è un qualsiasi paragone. Va ben oltre un paragone. « Perché mi perseguiti? » Continuamente Cristo ci attrae dentro il suo Corpo, edifica il suo Corpo a partire dal centro eucaristico, che per Paolo è il centro dellesistenza cristiana, in virtù del quale tutti, come anche ogni singolo può in modo tutto personale sperimentare: Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me.

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Vorrei concludere con una parola tarda di san Paolo, una esortazione a Timoteo dalla prigione, di fronte alla morte. « Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo », dice lapostolo al suo discepolo (2Tm 1,8).

Questa parola, che sta alla fine delle vie percorse dallapostolo come un testamento, rimanda indietro allinizio della sua missione. Mentre, dopo il suo incontro con il Risorto, Paolo si trovava cieco nella sua abitazione a Damasco, Anania ricevette lincarico di andare dal persecutore temuto e di imporgli le mani, perché riavesse la vista. Allobiezione di Anania che questo Saulo era un persecutore pericoloso dei cristiani, viene la risposta: Questuomo deve portare il mio nome dinanzi ai popoli e ai re; « io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome » (At 9,15s). Lincarico dellannuncio e la chiamata alla sofferenza per Cristo vanno inscindibilmente insieme. La chiamata a diventare il maestro delle genti è al contempo e intrinsecamente una chiamata alla sofferenza nella comunione con Cristo, che ci ha redenti mediante la sua Passione.

In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza, senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dellio per la vera libertà. Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore. LEucaristia il centro del nostro essere cristiani si fonda nel sacrificio di Gesù per noi, è nata dalla sofferenza dellamore, che nella Croce ha trovato il suo culmine. Di questo amore che si dona noi viviamo. Esso ci dà il coraggio e la forza di soffrire con Cristo e per Lui in questo mondo, sapendo che proprio così la nostra vita diventa grande e matura e vera.

Alla luce di tutte le lettere di san Paolo vediamo come nel suo cammino di maestro delle genti si sia compiuta la profezia fatta ad Anania nellora della chiamata: « Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome ». La sua sofferenza lo rende credibile come maestro di verità, che non cerca il proprio tornaconto, la propria gloria, lappagamento personale, ma si impegna per Colui che ci ha amati e ha dato se stesso per tutti noi.

In questa ora ringraziamo il Signore, perché ha chiamato Paolo, rendendolo luce delle genti e maestro di tutti noi, e lo preghiamo: Donaci anche oggi testimoni della risurrezione, colpiti dal tuo amore e capaci di portare la luce del Vangelo nel nostro tempo. San Paolo, prega per noi! Amen.

Publié dans:ANNO PAOLINO, Sandro Magister |on 2 juillet, 2008 |Pas de commentaires »

Angelus: Benedetto XVI: l’Anno Paolino, tempo di unità ed evangelizzazione

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14854?l=italian

Benedetto XVI: l’Anno Paolino, tempo di unità ed evangelizzazione

Parole introduttive alla preghiera dell’Angelus

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 30 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato questa domenica da Benedetto XVI in occasione della preghiera mariana dell’Angelus recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

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Cari fratelli e sorelle,

questanno la festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo ricorre di domenica, così che tutta la Chiesa, e non solo quella di Roma, la celebra in forma solenne. Tale coincidenza è propizia anche per dare maggiore risalto ad un evento straordinario: lAnno Paolino, che ho aperto ufficialmente ieri sera, presso la tomba dellApostolo delle genti, e che durerà fino al 29 giugno 2009. Gli storici collocano infatti la nascita di Saulo, diventato poi Paolo, tra il 7 e il 10 dopo Cristo. Perciò, al compiersi di circa duemila anni, ho voluto indire questo speciale giubileo, che naturalmente avrà come baricentro Roma, in particolare la Basilica di San Paolo fuori le Mura e il luogo del martirio, alle Tre Fontane. Ma esso coinvolgerà la Chiesa intera, a partire da Tarso, città natale di Paolo, e dagli altri luoghi paolini meta di pellegrinaggi nellattuale Turchia, come pure in Terra Santa, e nellIsola di Malta, dove lApostolo approdò dopo un naufragio e gettò il seme fecondo del Vangelo. In realtà, lorizzonte dellAnno Paolino non può che essere universale, perché san Paolo è stato per eccellenza lapostolo di quelli che rispetto agli Ebrei erano « i lontani » e che « grazie al sangue di Cristo » sono diventati « i vicini » (cfr Ef 2,13). Per questo anche oggi, in un mondo diventato più « piccolo », ma dove moltissimi ancora non hanno incontrato il Signore Gesù, il giubileo di san Paolo invita tutti i cristiani ad essere missionari del Vangelo.

Questa dimensione missionaria ha bisogno di accompagnarsi sempre a quella dellunità, rappresentata da san Pietro, la « roccia » su cui Gesù Cristo ha edificato la sua Chiesa. Come sottolinea la liturgia, i carismi dei due grandi Apostoli sono complementari per ledificazione dellunico Popolo di Dio ed i cristiani non possono dare valida testimonianza a Cristo se non sono uniti tra di loro. Il tema dellunità oggi è messo in risalto dal tradizionale rito del Pallio, che durante la santa Messa ho imposto agli Arcivescovi Metropoliti nominati durante lultimo anno. Sono 40, e altri due lo riceveranno nelle loro sedi. Anche ad essi va nuovamente il mio saluto cordiale. Inoltre, nellodierna solennità è motivo di speciale gioia per il Vescovo di Roma accogliere il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, nella cara persona di Sua Santità Bartolomeo I, al quale rinnovo il mio fraterno saluto estendendolo allintera Delegazione della Chiesa Ortodossa da lui guidata.

Anno Paolino, evangelizzazione, comunione nella Chiesa e piena unità di tutti i cristiani: preghiamo ora per queste grandi intenzioni affidandole alla celeste intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Poncarale, Torino, Ivrea, Empoli e Carmignano. Un saluto speciale rivolgo alla città di Roma e a quanti vi abitano: i santi Patroni Pietro e Paolo ottengano all’intera comunità cittadina e diocesana di custodire e valorizzare la ricchezza dei suoi tesori di fede, di storia e di arte. Buona festa a tutti!

Omelie del Papa e di Bartolomeo I per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14853?l=italian

Omelie del Papa e di Bartolomeo I per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 30 giugno 2008 (ZENIT.org).- Questa domenica, nella Basilica Vaticana, in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha celebrato lEucaristia con la partecipazione del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, durante la quale ha imposto il Pallio a 40 Arcivescovi metropoliti.

Pubblichiamo di seguito le parole di introduzione del Santo Padre allomelia del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, il testo dellomelia del Patriarca e quello dellomelia del Papa.

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INTRODUZIONE DEL SANTO PADRE ALL’OMELIA DEL PATRIARCA

Fratelli e Sorelle,

la grande festa dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di questa Chiesa di Roma e posti a fondamento, insieme agli altri Apostoli, della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, ci porta ogni anno la gradita presenza di una Delegazione fraterna della Chiesa di Costantinopoli, che questanno, per la coincidenza con lapertura dell« Anno Paolino », è guidata dallo stesso Patriarca, Sua Santità Bartolomeo I. A lui rivolgo il mio cordiale saluto, mentre esprimo la gioia di avere ancora una volta la felice opportunità di scambiare con lui il bacio della pace, nella comune speranza di vedere avvicinarsi il giorno dell« unitatis redintegratio« , il giorno della piena comunione tra noi.

Saluto pure i membri della Delegazione patriarcale, come anche i Rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, che ci onorano della loro presenza, offrendo con ciò un segno della volontà di intensificare il cammino verso la piena unità tra i discepoli di Cristo. Ci disponiamo ora ad ascoltare le riflessioni di Sua Santità il Patriarca Ecumenico, parole che vogliamo accogliere con il cuore aperto, perché ci vengono dal nostro Fratello amato nel Signore.

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OMELIA DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Santità,

avendo ancora viva la gioia e lemozione della personale e benedetta partecipazione di Vostra Santità alla Festa Patronale di Costantinopoli, nella memoria di San Andrea Apostolo, il Primo Chiamato, nel novembre del 2006, ci siamo mossi « con passo esultante », dal Fanar della Nuova Roma, per venire presso di Voi, per partecipare alla Vostra gioia nella Festa Patronale della Antica Roma. E siamo giunti presso di Voi « con la pienezza della Benedizione del Vangelo di Cristo » (Rom. 15,29), restituendo lonore e lamore, festeggiando insieme col nostro prediletto Fratello nella terra dOccidente, « i sicuri e ispirati araldi, i Corifei dei Discepoli del Signore », i Santi Apostoli Pietro, fratello di Andrea, e Paolo – queste due immense, centrali colonne elevate verso il cielo, di tutta quanta la Chiesa, le quali in questa storica città, – hanno dato anche lultima lampante confessione di Cristo e qui hanno reso la loro anima al Signore con il martirio, uno attraverso la croce e laltro per mezzo della spada, santificandola.Salutiamo quindi, con profondissimo e devoto amore, da parte della Santissima Chiesa di Costantinopoli e dei suoi figli sparsi nel mondo, la Vostra Santit

à, desiderato Fratello, augurando dal cuore « a quanti sono in Roma amati da Dio » (Rom. 1,7), di godere buona salute, pace, prosperità, e di progredire giorno e notte verso la salvezza « ferventi nello spirito, servendo il Signore, lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera » (Rom. 12, 11-12).

In entrambe le Chiese, Santità, onoriamo debitamente e veneriamo tanto colui che ha dato una confessione salvifica della Divinità di Cristo, Pietro, quanto il vaso di elezione, Paolo, il quale ha proclamato questa confessione e fede fino ai confini delluniverso, in mezzo alle più inimmaginabili difficoltà e pericoli. Festeggiamo la loro memoria, dallanno di salvezza 258 in avanti, il 29 giugno, in Occidente e in Oriente, dove nei giorni che precedono, secondo la tradizione della Chiesa antica, in Oriente ci siamo preparati anche per mezzo del digiuno, osservato in loro onore. Per sottolineare maggiormente luguale loro valore, ma anche per il loro peso nella Chiesa e nella sua opera rigeneratrice e salvifica durante i secoli, lOriente li onora abitualmente anche attraverso unicona comune, nella quale o tengono nelle loro sante mani un piccolo veliero, che simboleggia la Chiesa, o si abbracciano lun laltro e si scambiano il bacio in Cristo.Proprio questo bacio siamo venuti a scambiare con Voi, Santit

à, sottolineando lardente desiderio in Cristo e lamore, cose queste che ci toccano da vicino gli uni gli altri.

Il Dialogo teologico tra le nostre Chiese « in fede, verità e amore », grazie allaiuto divino, va avanti, al di là delle notevoli difficoltà che sussistono ed alle note problematiche. Desideriamo veramente e preghiamo assai per questo; che queste difficoltà siano superate e che i problemi vengano meno, il più velocemente possibile, per raggiungere loggetto del desiderio finale, a gloria di Dio.Tale desiderio sappiamo bene essere anche il Vostro, come siamo anche certi che Vostra Santit

à non tralascerà nulla lavorando di persona, assieme ai suoi illustri collaboratori attraverso un perfetto appianamento della via, verso un positivo completamento a Dio piacente, dei lavori del Dialogo.

Santità, abbiamo proclamato lanno 2008, « Anno dell’Apostolo Paolo », così come anche Voi fate del giorno odierno fino allanno prossimo, nel compimento dei duemila anni dalla nascita del Grande Apostolo. Nellambito delle relative manifestazioni per lanniversario, in cui abbiamo pure venerato il preciso luogo del Suo Martirio, programmiamo tra le altre cose un sacro pellegrinaggio ad alcuni monumenti della attività evangelica dellApostolo in Oriente, come Efeso, Perge, ed altre città dellAsia Minore, ma anche Rodi e Creta, alla località chiamata « Buoni Porti ». Siate sicuro, Santità, che in questo sacro tragitto, sarete presente anche Voi, camminando con noi in spirito, e che ciascun luogo eleveremo unardente preghiera per Voi e per i nostri fratelli della venerabile Chiesa Romano-Cattolica, rivolgendo una forte supplica e intercessione del divino Paolo al Signore per Voi.E ora, venerando i patimenti e la croce di Pietro e abbracciando la catena e le stigmate di Paolo, onorando la confessione e il martirio e la venerata morte di entrambi per il Nome del Signore, che porta veramente alla Vita, glorifichiamo il Dio Tre volte Santo e lo supplichiamo, affinch

é per lintercessione dei suoi Protocorifei Apostoli, doni a noi e a tutti i figli ovunque nel mondo della Chiesa Ortodossa e Romano-Cattolica, quaggiù « l’unione della fede e la comunione dello Spirito Santo » nel « legame della pace » e lassù, invece, la vita eterna e la grande misericordia. Amen.

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OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell
Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Fin dai tempi più antichi la Chiesa di Roma celebra la solennità dei grandi Apostoli Pietro e Paolo come unica festa nello stesso giorno, il 29 giugno. Attraverso il loro martirio, essi sono diventati fratelli; insieme sono i fondatori della nuova Roma cristiana. Come tali li canta linno dei secondi Vespri che risale a Paolino di Aquileia (+ 806): «O Roma felix Roma felice, adornata di porpora dal sangue prezioso di Principi tanto grandi. Tu superi ogni bellezza del mondo, non per merito tuo, ma per il merito dei santi che hai ucciso con la spada sanguinante». Il sangue dei martiri non invoca vendetta, ma riconcilia. Non si presenta come accusa, ma come «luce aurea», secondo le parole dellinno dei primi Vespri: si presenta come forza dellamore che supera lodio e la violenza, fondando così una nuova città, una nuova comunità. Per il loro martirio, essi Pietro e Paolo fanno adesso parte di Roma: mediante il martirio anche Pietro è diventato cittadino romano per sempre. Mediante il martirio, mediante la loro fede e il loro amore, i due Apostoli indicano dove sta la vera speranza, e sono fondatori di un nuovo genere di città, che deve formarsi sempre di nuovo in mezzo alla vecchia città umana, la quale resta minacciata dalle forze contrarie del peccato e dellegoismo degli uomini.In virt

ù del loro martirio, Pietro e Paolo sono in reciproco rapporto per sempre. Unimmagine preferita delliconografia cristiana è labbraccio dei due Apostoli in cammino verso il martirio. Possiamo dire: il loro stesso martirio, nel più profondo, è la realizzazione di un abbraccio fraterno. Essi muoiono per lunico Cristo e, nella testimonianza per la quale danno la vita, sono una cosa sola. Negli scritti del Nuovo Testamento possiamo, per così dire, seguire lo sviluppo del loro abbraccio, questo fare unità nella testimonianza e nella missione. Tutto inizia quando Paolo, tre anni dopo la sua conversione, va a Gerusalemme, «per consultare Cefa» (Gal 1,18). Quattordici anni dopo, egli sale di nuovo a Gerusalemme, per esporre «alle persone più ragguardevoli» il Vangelo che egli predica, per non trovarsi nel rischio «di correre o di aver corso invano» (Gal 2,1s). Alla fine di questo incontro, Giacomo, Cefa e Giovanni gli danno la destra, confermando così la comunione che li congiunge nellunico Vangelo di Gesù Cristo (Gal 2,9). Un bel segno di questo interiore abbraccio in crescita, che si sviluppa nonostante la diversità dei temperamenti e dei compiti, lo trovo nel fatto che i collaboratori menzionati alla fine della Prima Lettera di san Pietro Silvano e Marco sono collaboratori altrettanto stretti di san Paolo. Nella comunanza dei collaboratori si rende visibile in modo molto concreto la comunione dellunica Chiesa, labbraccio dei grandi Apostoli.

Almeno due volte Pietro e Paolo si sono incontrati a Gerusalemme; alla fine il percorso di ambedue sbocca a Roma. Perché? È questo forse qualcosa di più di un puro caso? Vi è contenuto forse un messaggio duraturo? Paolo arrivò a Roma come prigioniero, ma allo stesso tempo come cittadino romano che, dopo larresto in Gerusalemme, proprio in quanto tale aveva fatto ricorso allimperatore, al cui tribunale fu portato. Ma in un senso ancora più profondo, Paolo è venuto volontariamente a Roma. Mediante la più importante delle sue Lettere si era già avvicinato interiormente a questa città: alla Chiesa in Roma aveva indirizzato lo scritto che più di ogni altro è la sintesi dellintero suo annuncio e della sua fede. Nel saluto iniziale della Lettera dice che della fede dei cristiani di Roma parla tutto il mondo e che questa fede, quindi, è nota ovunque come esemplare (Rm 1,8). E scrive poi: «Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi, ma finora ne sono stato impedito» (1,13). Alla fine della Lettera riprende questo tema parlando ora del suo progetto di andare fino in Spagna. «Quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di esser da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza» (15,24). «E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo» (15,29). Sono due cose che qui si rendono evidenti: Roma è per Paolo una tappa sulla via verso la Spagna, cioè secondo il suo concetto del mondo verso il lembo estremo della terra. Considera sua missione la realizzazione del compito ricevuto da Cristo di portare il Vangelo sino agli estremi confini del mondo. In questo percorso ci sta Roma. Mentre di solito Paolo va soltanto nei luoghi in cui il Vangelo non è ancora annunciato, Roma costituisce uneccezione. Lì egli trova una Chiesa della cui fede parla il mondo. Landare a Roma fa parte delluniversalità della sua missione come inviato a tutti i popoli. La via verso Roma, che già prima del suo viaggio esterno egli ha percorso interiormente con la sua Lettera, è parte integrante del suo compito di portare il Vangelo a tutte le genti di fondare la Chiesa cattolica, universale. Landare a Roma è per lui espressione della cattolicità della sua missione. Roma deve rendere visibile la fede a tutto il mondo, deve essere il luogo dellincontro nellunica fede.Ma perch

é Pietro è andato a Roma? Su ciò il Nuovo Testamento non si pronuncia in modo diretto. Ci dà tuttavia qualche indicazione. Il Vangelo di san Marco, che possiamo considerare un riflesso della predicazione di san Pietro, è intimamente orientato verso il momento in cui il centurione romano, di fronte alla morte in croce di Gesù Cristo, dice: «Veramente questuomo era Figlio di Dio!» (15,39). Presso la Croce si svela il mistero di Gesù Cristo. Sotto la Croce nasce la Chiesa delle genti: il centurione del plotone romano di esecuzione riconosce in Cristo il Figlio di Dio. Gli Atti degli Apostoli descrivono come tappa decisiva per lingresso del Vangelo nel mondo dei pagani lepisodio di Cornelio, il centurione della coorte italica. Dietro un comando di Dio, egli manda qualcuno a prendere Pietro e questi, seguendo pure lui un ordine divino, va nella casa del centurione e predica. Mentre sta parlando, lo Spirito Santo scende sulla comunità domestica radunata e Pietro dice: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?» (At 10,47). Così, nel Concilio degli Apostoli, Pietro diventa lintercessore per la Chiesa dei pagani i quali non hanno bisogno della Legge, perché Dio ha «purificato i loro cuori con la fede» (At 15,9). Certo, nella Lettera ai Galati Paolo dice che Dio ha dato a Pietro la forza per il ministero apostolico tra i circoncisi, a lui, Paolo, invece per il ministero tra i pagani (2,8). Ma questa assegnazione poteva essere in vigore soltanto finché Pietro rimaneva con i Dodici a Gerusalemme nella speranza che tutto Israele aderisse a Cristo. Di fronte allulteriore sviluppo, i Dodici riconobbero lora in cui anchessi dovevano incamminarsi verso il mondo intero, per annunciargli il Vangelo. Pietro che, secondo lordine di Dio, per primo aveva aperto la porta ai pagani lascia ora la presidenza della Chiesa cristiano-giudaica a Giacomo il minore, per dedicarsi alla sua vera missione: al ministero per lunità dellunica Chiesa di Dio formata da giudei e pagani. Il desiderio di san Paolo di andare a Roma sottolinea come abbiamo visto tra le caratteristiche della Chiesa soprattutto la parola «catholica». Il cammino di san Pietro verso Roma, come rappresentante dei popoli del mondo, sta soprattutto sotto la parola «una»: il suo compito è di creare l’unità della catholica, della Chiesa formata da giudei e pagani, della Chiesa di tutti i popoli. Ed è questa la missione permanente di Pietro: far sì che la Chiesa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura o con un solo Stato. Che sia sempre la Chiesa di tutti. Che riunisca lumanità al di là di ogni frontiera e, in mezzo alle divisioni di questo mondo, renda presente la pace di Dio, la forza riconciliatrice del suo amore. Grazie alla tecnica dappertutto uguale, grazie alla rete mondiale di informazioni, come anche grazie al collegamento di interessi comuni, esistono oggi nel mondo modi nuovi di unità, che però fanno esplodere anche nuovi contrasti e danno nuovo impeto a quelli vecchi. In mezzo a questa unità esterna, basata sulle cose materiali, abbiamo tanto più bisogno dellunità interiore, che proviene dalla pace di Dio unità di tutti coloro che mediante Gesù Cristo sono diventati fratelli e sorelle. È questa la missione permanente di Pietro e anche il compito particolare affidato alla Chiesa di Roma.

Cari Confratelli nellEpiscopato! Vorrei ora rivolgermi a voi che siete venuti a Roma per ricevere il pallio come simbolo della vostra dignità e della vostra responsabilità di Arcivescovi nella Chiesa di Gesù Cristo. Il pallio è stato tessuto con la lana di pecore, che il Vescovo di Roma benedice ogni anno nella festa della Cattedra di Pietro, mettendole con ciò, per così dire, da parte affinché diventino un simbolo per il gregge di Cristo, che voi presiedete. Quando prendiamo il pallio sulle spalle, quel gesto ci ricorda il Pastore che prende sulle spalle la pecorella smarrita, che da sola non trova più la via verso casa, e la riporta allovile. I Padri della Chiesa hanno visto in questa pecorella limmagine di tutta lumanità, dellintera natura umana, che si è persa e non trova più la via verso casa. Il Pastore che la riporta a casa può essere soltanto il Logos, la Parola eterna di Dio stesso. Nellincarnazione Egli ha preso tutti noi la pecorella «uomo» sulle sue spalle. Egli, la Parola eterna, il vero Pastore dellumanità, ci porta; nella sua umanità porta ciascuno di noi sulle sue spalle. Sulla via della Croce ci ha portato a casa, ci porta a casa. Ma Egli vuole avere anche degli uomini che «portino» insieme con Lui. Essere Pastore nella Chiesa di Cristo significa partecipare a questo compito, del quale il pallio fa memoria. Quando lo indossiamo, Egli ci chiede: «Porti, insieme con me, anche tu coloro che mi appartengono? Li porti verso di me, verso Gesù Cristo?» E allora ci viene in mente il racconto dellinvio di Pietro da parte del Risorto. Il Cristo risorto collega lordine: «Pasci le mie pecorelle» inscindibilmente con la domanda: «Mi ami, mi ami tu più di costoro?». Ogni volta che indossiamo il pallio del Pastore del gregge di Cristo dovremmo sentire questa domanda: «Mi ami tu?» e dovremmo lasciarci interrogare circa il di più damore che Egli si aspetta dal Pastore.Cos

ì il pallio diventa simbolo del nostro amore per il Pastore Cristo e del nostro amare insieme con Lui diventa simbolo della chiamata ad amare gli uomini come Lui, insieme con Lui: quelli che sono in ricerca, che hanno delle domande, quelli che sono sicuri di sé e gli umili, i semplici e i grandi; diventa simbolo della chiamata ad amare tutti loro con la forza di Cristo e in vista di Cristo, affinché possano trovare Lui e in Lui se stessi. Ma il pallio, che ricevete «dalla» tomba di san Pietro, ha ancora un secondo significato, inscindibilmente connesso col primo. Per comprenderlo può esserci di aiuto una parola della Prima Lettera di san Pietro. Nella sua esortazione ai presbiteri di pascere il gregge in modo giusto, egli san Pietro qualifica se stesso synpresbýteros con-presbitero (5,1). Questa formula contiene implicitamente unaffermazione del principio della successione apostolica: i Pastori che si succedono sono Pastori come lui, lo sono insieme con lui, appartengono al comune ministero dei Pastori della Chiesa di Gesù Cristo, un ministero che continua in loro. Ma questo « con » ha ancora due altri significati. Esprime anche la realtà che indichiamo oggi con la parola «collegialità» dei Vescovi. Tutti noi siamo con-presbiteri. Nessuno è Pastore da solo. Stiamo nella successione degli Apostoli solo grazie allessere nella comunione del collegio, nel quale trova la sua continuazione il collegio degli Apostoli. La comunione, il « noi » dei Pastori fa parte dellessere Pastori, perché il gregge è uno solo, lunica Chiesa di Gesù Cristo. E infine, questo « con » rimanda anche alla comunione con Pietro e col suo successore come garanzia dellunità. Così il pallio ci parla della cattolicità della Chiesa, della comunione universale di Pastore e gregge. E ci rimanda allapostolicità: alla comunione con la fede degli Apostoli, sulla quale è fondata la Chiesa. Ci parla della ecclesia una, catholica, apostolica e naturalmente, legandoci a Cristo, ci parla proprio anche del fatto che la Chiesa è sancta e che il nostro operare è un servizio alla sua santità.

Ciò mi fa ritornare, infine, ancora a san Paolo e alla sua missione. Egli ha espresso lessenziale della sua missione, come pure la ragione più profonda del suo desiderio di andare a Roma, nel capitolo 15 della Lettera ai Romani in una frase straordinariamente bella. Egli si sa chiamato «a servire come liturgo di Gesù Cristo per le genti, amministrando da sacerdote il Vangelo di Dio, perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo» (15,6). Solo in questo versetto Paolo usa la parola «hierourgein» amministrare da sacerdote insieme con «leitourgós» liturgo: egli parla della liturgia cosmica, in cui il mondo stesso degli uomini deve diventare adorazione di Dio, oblazione nello Spirito Santo. Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo. È questo lobiettivo ultimo della missione apostolica di san Paolo e della nostra missione. A tale ministero il Signore ci chiama. Preghiamo in questa ora, affinché Egli ci aiuti a svolgerlo in modo giusto, a diventare veri liturghi di Gesù Cristo. Amen.

SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO – 29 GIUGNO – UFFICIO DELLE LETTURE – PRIMA E SECONDA LETTURA

SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO – 29 GIUGNO

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 1, 15 – 2, 10

Fratelli, quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». E glorificavano Dio a causa mia. Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi. Da parte dunque delle persone più ragguardevoli — quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna — a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi — poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani — e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)

Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato


Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa. Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo. Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l’incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l’intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l’intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell’universalità e dell’unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E` ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un’altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23). Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l’incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l’unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli. Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell’amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell’amore ciò che avevi legato per timore. E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro. Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli. Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

Publié dans:ANNO PAOLINO, San Paolo, San Pietro, Santi |on 29 juin, 2008 |Pas de commentaires »

Iniziato con la celebrazione del « Vespro ecumenico » il Triduo di preparazione all’apertura dell’Anno Paolino.

dal sito della radio vaticana:

http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=21486727/06/2008

Iniziato con la celebrazione del « Vespro ecumenico » il Triduo di preparazione all’apertura dell’Anno Paolino. La figura dell’Apostolo nel pensiero di p. Cesare Atuire

Il Triduo di preghiere nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, che sarà concluso dalla solenne apertura che Benedetto XVI farà sabato prossimo dell’Anno Paolino, ha avuto inizio ieri pomeriggio con la celebrazione di un “Vespro ecumenico”. Presieduto dall’Abate benedettino, padre Edmund Power, il rito ha riunito dinanzi al Sepolcro dell’Apostolo autorità ecclesiali e fedeli cattolici, ortodossi e protestanti. Ce ne parla Alessandro De Carolis:

Nel rivolgere ai presenti un caloroso saluto, il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha detto: “Quest’ Anno Paolino è un invito e una sfida a leggere e a meditare di nuovo le Lettere dell’Apostolo, ad approfondire la nostra conoscenza e il nostro amore per Cristo, a diventare come Paolo coraggiosi testimoni di Cristo, a diventare una fiaccola che dà luce e orientamento al mondo e un legame di unità fra i cristiani divisi, affinché siano segno e strumento di pace nel mondo e diventino una sola cosa perché il mondo creda. In questo senso, vi auguro un benedetto Anno Paolino che deve essere anche un anno ecumenico”. In precedenza, dopo aver ricordato che domenica scorsa aveva avuto la gioia di inaugurare l’Anno Paolino a Tarso – città dove San Paolo è nato duemila anni fa – il cardinale Kasper ha affermato: “Paolo era di casa nel mondo ebraico e greco, ha fatto il passo dall’Oriente all’Occidente, da Gerusalemme a Roma e come testimone di Cristo è il testimone dell’universalità di Cristo che trascende le culture e costituisce, fino ad oggi, un legame che unisce tutte le Chiese e tutta la cristianità. Lui è l’apostolo dell’unità di tutti i battezzati. Di più, fervido ebreo, Paolo ha dato testimonianza che ebrei e cristiani fanno parte dell’una ed unica alleanza di Dio e sono l’uno ed unico popolo di Dio. Lui è maestro dell’abbondante grazia di Dio per tutti gli uomini e intanto testimone dell’uguale dignità di ogni persona”.


Riflessioni condivise, nell’Omelia dei Vespri, dal metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta, Esarca per l’Europa meridionale del Patriarcato ecumenico, che ha esaltato San Paolo come “predicatore della verità, angelo dell’amore, difensore dell’unità dei cristiani e fondatore del monachesimo” e ricordato che “ci ha lasciato lo spirito di amore, di libertà e di ecumenicità perché Cristo si formi in noi”. In particolare, ha parlato di “una visione ecumenica che abbia San Paolo come base e fondamento”, perché “la Chiesa non si fermi su discussioni accademiche ma giunga a sostanziali risultati”.


I Vespri sono stati animati dai Monaci benedettini dell’Abbazia, dalle comunità greco ortodossa, metodista valdese, episcopaliana, e da quella cattolica di San’Egidio. Antifone, salmi, intercessioni sono stati cantati in latino, greco, italiano. Un canto in onore dei Santi Pietro e Paolo è stato eseguito secondo la tradizione ortodossa eritrea in lingua giiz. Dopo la recita del “Padre Nostro”, il padre abate e i rappresentanti delle altre comunità cristiane, fra i quali il vescovo ortodosso bulgaro Tichon, si sono recati in processione dinanzi alla Tomba di San Paolo per la Confessio Paulina: ognuno di ha letto l’ »Inno alla Carità », il celebre brano paolino della prima Lettera ai Corinzi.

La Basilica di S. Paolo Fuori le Mura ma anche gli altri luoghi della presenza dell’Apostolo a Roma – come l’Abbazia delle Tre Fontane, che sorge sul luogo del martirio di San Paolo – si preparano ad accogliere le folle di pellegrini attese per questo anno giubilare. Al microfono di Luca Collodi, l’amministratore delegato dell’Opera romana pellegrinaggi, padre Cesare Atuire, si sofferma sui tratti salienti della complessa figura dell’Apostolo delle genti:

R. – Paolo è un entusiasta della fede. E’ una persona che, come noi, non ha conosciuto Gesù quando viveva sulla terra. Paolo ha incontrato il Risorto e sopratutto ha fatto un’esperienza molto particolare. Ha cominciato a perseguitare i cristiani e Gesù gli ha detto: « Perchè mi perseguiti? ». Vuol dire che la presenza di Gesù continua nei cristiani e, pertanto, Paolo dopo questa esperienza ha sentito una forza liberatrice ed è diventato un grande comunicatore di questa esperienza credo soprattutto in Occidente, dove abbiamo bisogno di riscoprire l’entusiasmo e la giovinezza della fede.


D. – Periodicamente, si torna a parlare della questione che Paolo sia il secondo « fondatore » del cristianesimo. Cosa ne pensa lei, padre Cesare?


R. – Paolo è stato il grande missionario della fede, perchè uno che ha macinato più di 14 mila chilometri in quel tempo è stato certamente una persona grande. Che Paolo sia stato il fondatore del cristianesimo non regge, perchè Paolo stesso nella Lettera ai Corinzi insiste quando parla delle esperienze dell’Eucarestia dicendo: « Io vi trasmetto quello che a mia volta ho ricevuto ». Non c’è poi evidenza che Paolo abbia creato una gerarchia. Per introdurre delle novità all’interno della fede – nella vicenda dei « gentili », i pagani convertiti – Paolo si è rivolto agli altri Apostoli per chiedere consiglio e ciò vuol dire che Paolo guardava al collegio apostolico per prendere le sue decisioni.


D. – Secondo lei, il pensiero di Paolo era già definito nella sua prima Lettera, che è abbastanza recente dopo la conversione?


R. – C’è un pensiero definito, ma anche in Paolo si coglie una evoluzione. Se uno prende le sue ultime Lettere, vede un Paolo molto più maturo, anche meno aggressivo nelle espressioni, vede uno che elabora molto. C’è da dire che l’esperienza di base di Paolo è la Risurrezione. Paolo prende da dove i Vangeli si sono fermati. Loro hanno raccontato dall’inizio della missione di Gesù fino alla morte e alla Risurrezione. Paolo prende la vita di Gesù ma soprattutto riflette attorno alla Risurrezione, e sulla Chiesa che nasce grazie alla Risurrezione e alla venuta dello Spirito Santo.

Publié dans:ANNO PAOLINO |on 27 juin, 2008 |Pas de commentaires »

A Damasco nei luoghi di Paolo

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14821?l=italian

A Damasco nei luoghi di Paolo

ROMA, mercoledì, 25 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito alcuni estratti del colloquio con Sua Beatitudine Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa cattolica Greco-Melkita, apparso sulla primo numero della rivista “Paulus” .

* * *

Cè qualcuno che san Paolo ce lha nel DNA. Una vocazione scritta nel sangue e nello spirito, viene da dire. Questo qualcuno è Sua Beatitudine Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa cattolica Greco-Melkita, che ci racconta come la sua vita sia stata segnata dallApostolo fin dal suo inizio. Anzi, prima ancora… «La mia appartenenza paolina ci dice il Patriarca è viscerale nel senso letterale del termine, perché comincia addirittura con la mia gestazione. Mia madre proveniva infatti da una località nota come il monte degli arabi, a 50 km da Damasco, in direzione di Amman. È il luogo dove Paolo fuggì dopo la persecuzione dei Giudei e che cita nella lettera ai Galati, quando afferma di essere andato in Arabia (Gal 1,17) prima ancora che a Gerusalemme: non si tratta dellArabia Saudita, ma di una zona desertica tra Damasco e la Giordania. Sono nato a Daraya, dove Paolo è stato convertito dallincontro con il Signore, ma vivo a Damasco, lunica città al di fuori della Terra Santa dove è apparso il Risorto. Il mio legame con lApostolo delle genti si è rafforzato ancora di più quando, alla mia ordinazione vescovile, il precedente patriarca Massimo V mi ha assegnato il titolo di vescovo di Tarso, per cui mi sento a tutti gli effetti il successore di Paolo. Tuttora continuo ad appartenergli perché la mia residenza si trova in quello che io amo chiamare il quartiere paolino, cioè quella zona dove sorge da un lato la casa di Anania e dallaltro la cappella dove Paolo ricevette il battesimo. Vivere in quel luogo è per me fondamentale, proprio perché vi ha operato Anania. E Anania è forse uno dei primi vescovi del mondo in senso moderno, prima ancora dello stesso Pietro, perché mentre Pietro era anche missionario e si spostava di frequente, Anania era fisso presso una sede precisa, proprio come un vescovo locale. Mi piace anche ricordare il 15 febbraio 1959, prima della mia ordinazione sacerdotale, quando mi sono raccolto in ritiro spirituale presso le Tre Fontane e poi alla prigione di san Paolo a Roma. Proprio ieri ho celebrato la divina liturgia nella Basilica di San Paolo fuori le Mura e ho pregato sulla tomba di san Paolo come patriarca e come suo successore. E mi sono commosso perché, 49 anni fa, vi avevo celebrato la mia prima divina liturgia».[...] sul versante dell

ecumenismo il Patriarca coltiva il carisma dellunità proprio del suo protettore, e ci racconta come si possa essere costruttori di chiese in senso spirituale e in senso materiale allo stesso tempo. «Un altro cantiere di lavori ancora aperto è la costruzione di una chiesa a Damasco. Nel frattempo, nel nostro piccolo villaggio abbiamo già costruito unaltra chiesa dedicata a san Paolo ed è stata inaugurata nel 2004. Si tratta di una vera rarità mondiale, una chiesa comune come solo lo spirito paolino poteva ispirarci: è una co-proprietà dei greco-ortodossi e dei greco-cattolici. Credo sia lunico esemplare di co-proprietà tra cattolici e ortodossi. [...]».

Sul fronte delle iniziative per il bimillenario fervono i preparativi. È unoccasione unica per la Chiesa intera, ma in particolare per quanto resta come un seme seminato a fondo delle antichissime comunità cristiane fondate dallApostolo. «Per lAnno Paolino sto pensando a diverse iniziative che si dovrebbero svolgere in tutto il Libano. Tra le tante cose, desideriamo produrre un film sulla vita di Paolo che ripercorra gli Atti degli Apostoli e le Lettere. Abbiamo già pronta la sceneggiatura un testo di grande bellezza spirituale e ora occorrono solo i fondi per girarlo. Stiamo anche cercando di rivitalizzare alcune località significative per le celebrazioni, anche se sono poco note. Ad esempio è degno di menzione Msimiè, posto a 50 minuti a sud di Damasco, dove Paolo trovò rifugio trattandosi di una regione romana: se fosse rimasto a Damasco, lo avrebbero ucciso. Ma restando nella geografia spirituale paolina del Medioriente, i due luoghi più importanti restano Damasco e Roma. Un altro luogo importante potrebbe essere Atene, ma essendo la Grecia di religione ortodossa non sappiamo quale potrebbe essere la risposta a uniniziativa voluta dal Papa. Lo stesso discorso vale per la Turchia, che è musulmana. Damasco ha una maggioranza Ortodossa e in un primo momento non sembrava interessata alliniziativa, ma ora che si è lasciata trascinare dal fervore dei cattolici ne è entusiasta. Oltre tutto Damasco, che è interamente musulmana, ora passa agli occhi dellattenzione mondiale grazie alla sua sparuta minoranza cristiana. Questo offrirà loccasione per far conoscere a tutti che anche nel mondo arabo, dove siamo una minoranza, si celebra un evento cristiano che testimonia la fede in Gesù Cristo e che incoraggia tutti i cristiani orientali. Così il nostro Presidente si è mostrato molto interessato e ha dato ordine ai ministri di rendersi disponibili nei confronti dei Patriarchi della Chiesa cattolica e ortodossa per lAnno Paolino! Così sono a nostra disposizione anche il Ministro del Turismo, dellEconomia e delle Comunicazioni».

[...] la Chiesa senza Paolo sarebbe una Chiesa che non avrebbe voce. Questa voce ci dice che devesserci un papa nel mondo, e che la presenza dei cristiani nel mondo non può essere che forte. Ma la voce di Paolo ci ricorderà anche che il più grande ministero del Papa non è il primato, ma quello di confermare e fortificare i suoi fratelli. Abbiamo bisogno perciò di una voce cristiana unica nel mondo, che predichi lannuncio fondamentale del vangelo senza scendere in quei particolarismi che finiscono per creare solo divisione. Ricordiamo sempre quello che disse Giovanni XXIII: Quello che ci unisce è molto di più di quello che ci divide”».

Gregorio III Laham

Patriarca della

Chiesa cattolica Greco-Melkita

di Antiochia, di Gerusalemme

e di tutto l’Oriente

Publié dans:ANNO PAOLINO, San Paolo |on 26 juin, 2008 |Pas de commentaires »

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