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ANIMALI E PROFETI: LA TRADIZIONE BIBLICA

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ANIMALI E PROFETI: LA TRADIZIONE BIBLICA

Guidalberto Bormolini

(per gentile concessione della Rivista Appunti di Viaggio)

1. La creazione degli esseri viventi
Un’attenta rilettura della Bibbia può riservarci inaspettate sorprese[1]. Come hanno evidenziato numerosi studiosi, tornando alle fonti scritturistiche potremmo accorgerci che «La teologia occidentale appare non solo povera, ma addirittura non legittima rispetto alla verità profonda contenuta nelle fonti cristiane: la Bibbia, ma anche i testi dei padri. Se, infatti, rileggiamo con attenzione le Scritture ebraiche, il Nuovo Testamento […] restiamo stupiti dell’attenzione riservata alle creature tutte e al loro rapporto con gli uomini»[2].
Già dalle prime pagine della Bibbia si può constatare quanta importanza venga riconosciuta a tutta l’opera di Dio, tanto che la Creazione può essere intesa come un «co-creaturalità tra uomo, animali, piante e cose»[3]. Vi è una grande solidarietà originaria tra l’uomo e l’intero universo circostante, perché in profonda dipendenza dalla terra:
Dio plasmò Adam che è polvere del suolo» (Gen 2, 7), sicché la terra in un certo senso è matrice dell’uomo. Non è madre, perché Dio ha creato l’uomo liberamente, senza un consenso della terra, ma la solidarietà creaturale, l’immanenza tra «terra e terreste» è subito affermata. L’uomo viene dalla terra, è fatto di terra, ritornerà alla terra, sarà di nuovo terra! E la terra fornisce all’uomo piante e frutti perché egli viva […][4].
Nel secondo millennio, soprattutto dopo Cartesio, in Occidente prevalse l’idea di credere l’uomo padrone e sfruttatore del creato, quando invece nel racconto biblico il Creatore lo pose nel giardino «affinché lo coltivasse e lo custodisse». Difatti l’uomo è da subito un essere-in-relazione: nel giardino dell’Eden non vive da solo, perché «non è bene che l’uomo sia solo» (Gen. 2, 18)[5]. L’annotazione divina non si riferisce al rapporto con il mondo animale, ma allude chiaramente alla presenza della donna sua compagna; nondimeno subito dopo aver osservato quanto la solitudine sia negativa per l’uomo, il Creatore plasma dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo, e li conduce all’uomo perché dia loro il nome. C’è quindi una concordia originaria che consente all’uomo di vivere in armonioso e intenso rapporto con tutti gli esseri viventi.
In fin dei conti la prima azione dell’uomo- Adamo è un atto a favore degli animali. Nel dare il nome ad ogni animale l’uomo instaura con loro un rapporto speciale, poiché i nomi delle Scritture racchiudono un significato spirituale; non sono certo casuali i nomi biblici ad esempio di Michele, Gabriele, Raffaele, Abramo o Sara. A questo riguardo Origene afferma che «dunque è certo che gli angeli e gli uomini ricevono il nome in conformità alla loro funzione, o ai loro atti personali»[6]. Per un ebreo le parole aderiscono sempre al referente, e Adamo nomina tutti gli animali: «intendendo esattamente la realtà significante, in modo che nello stesso tempo la loro natura fosse pensata ed enunciata»[7]. L’etimologia è rivelazione della natura di un oggetto: Dio ha creato tutte le cose con la sua parola, pertanto il nome è tutt’uno con la persona[8].
Nella concezione biblica evidentemente il rapporto uomo-animale non è paritario, ma non rientra nemmeno in quello tra soggetto ed oggetto: «perché entrambi rimangono soggetti, anche se la relazione resta asimmetrica»[9]. Dando il nome all’animale l’uomo compartecipa al potere creativo divino, enuncia una parola co-creatrice. È indubbio che non sia una relazione alla pari, ma a maggior ragione ciò comporta una grave responsabilità dell’uomo su tutto ciò che gli è stato affidato e che Dio stesso vide come «buono e bello» (Gen 1, 25). In fin dei conti, come afferma Qohelet, l’animale in parte condivide il destino dell’uomo: «Chi sa se il soffio vitale dell’uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra?» (Qo 3, 21).
A conclusione del racconto della creazione Dio benedice gli uomini e gli animali e dà loro la medesima esortazione: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra» (Gen 1, 22.28). Per rimarcare questo rapporto vitale e di solidarietà, all’uomo delle origini non è consentito nutrirsi con la carne degli animali, infatti, suo unico cibo saranno i cereali, «ogni erba che produce seme» (Gen 1, 29), e i frutti degli alberi. Nemmeno gli animali, di qualsiasi specie essi siano, possono divorarsi tra loro, ma si nutriranno pascolando l’erba.
Il racconto biblico non contempla una logica di sfruttamento, e il testo di Genesi, come esorta Enzo Bianchi, non dev’essere travisato:
quanto poi ai verbi che conferiscono all’uomo un mandato sulla terra-normalmente tradotti: «Soggiogate la terra e dominate [...]» (Gen 1, 28)-, occorre comprenderli bene: l’uomo deve essere fecondo, lottare contro la morte affermando la vita, deve occupare e abitare lo spazio terrestre; ma questo riempire la terra non può significare calpestarla […] Questo dunque il senso del verbo kavash: non tanto «soggiogare», quanto piuttosto possedere la terra in un rapporto amoroso, armonioso e ordinato. Quanto al verbo tradotto usualmente con «dominare», radah, si ricordi che esso indica reggere, guidare, pascolare, con un’azione che è quella del re e del pastore capace di governare sostenendo e custodendo lo shalom, la vita piena nella pace[10].
2. Le storie bibliche e i profeti
L’alleanza che Dio ha stabilito con Noè, valida fino alla fine del mondo, è un patto sancito anche con tutti gli animali:
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra» (Gen 9, 8-11).
In molte occasioni il Creatore manifesta premura per le Sue creature animali e vegetali: «Non dovrei aver pietà di Ninive […] nella quale sono più di centoventimila persone […] e una grande quantità di animali?» (Gio. 4, 11), d’altronde anche gli animali fecero penitenza con tutto il popolo per porre rimedio ai mali commessi. La Sua cura è così affettuosa da proclamare nel Salmo che sarà Lui, al tempo opportuno, a fornire il cibo necessario affinché gli animali si sazino[11]. Il decalogo consegnato a Mosè in fin dei conti fa dono del riposo settimanale, «“la delizia del sabato”, come dicono i maestri di Israele»[12], sia agli uomini che agli animali[13]. Nel Deuteronomio Egli mostra tenero riguardo anche per le piante e ammonisce: «Quando cingerai d’assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne mangerai il frutto, ma non gli taglierai, perché l’albero della campagna è forse un uomo, per essere coinvolto nell’assedio?» (Dt. 20, 19). Per riconoscere l’impronta della Sua mano nella nostra vita, ci esorta a rivolgerci agli animali:
Ma interroga pure le bestie, perché ti ammaestrino,
gli uccelli del cielo, perché ti informino,
o i rettili della terra, perché ti istruiscano,
o i pesci del mare perché te lo facciano sapere.
Chi non sa, fra tutti questi esseri,
che la mano del Signore ha fatto questo? (Giobbe 12, 7-10).
Nella discussione con Giobbe, il Signore fa un lungo elenco delle meraviglie del mondo animale per mostrare all’uomo la mirabile sapienza divina[14]. Il profeta Natan viene inviato dal Signore a redarguire il re David; il profeta si serve di un racconto che narra la storia di un povero che aveva allevato un’agnellina insieme ai suoi figli, e l’amava tanto da farla mangiare dal suo piatto e bere dalla sua coppa, e le permetteva anche di dormirgli in grembo. Finché un ricco prepotente, anziché sacrificare un suo capo di bestiame, rubò al povero l’agnellina per offrirla come cena ad un ospite. Il racconto accese l’ira di David verso quell’uomo crudele, ma il profeta fece notare al re che era lui stesso a comportarsi in quel modo. La parabola non avrebbe senso se «l’intimità affettuosa e tenera tra il povero e la sua agnellina non fosse preziosa agli occhi di Dio»[15].
Sono numerosi gli episodi biblici in cui il protagonista ha un rapporto significativo col mondo animale. Come il profeta Gioele, che si preoccupò per la sete degli animali della valle quando le acque dei fiumi si prosciugarono[16]. Il profeta Giona ebbe un legame profondo con un animale: rimase tre giorni nel ventre di una balena, poiché Dio si servì di questo grosso pesce per far capire a Giona che direzione doveva prendere per obbedire alla Sua volontà. L’immagine sarà poi ripresa da Gesù per indicare i tre giorni della sua morte che anticiparono la resurrezione. Il profeta Daniele, durante la sua prigionia in Babilonia, rimase per sei giorni nella fossa dei leoni e ne uscì illeso[17].
Il Signore, talvolta, si serve di animali per nutrire, guidare o consigliare i Suoi profeti. È un volatile che reca l’aiuto celeste al profeta Elia, perseguitato per la giustizia: «Ed io ho ordinato ai corvi di fornirti il cibo» (1Re 17, 4). Un’asina parlò con voce umana per ammonire il profeta Balaam[18].
Tra le storie più toccanti vi è sicuramente quella di Tobia, che parte per un lungo viaggio accompagnato dall’angelo Raffaele e dal suo cane fedele[19], «piccola solidale comitiva in cammino secondo il disegno di Dio»[20].
3. Il nuovo testamento e gli animali
Nelle primissime righe del Vangelo di Marco, subito dopo il battesimo nel Giordano, si racconta che la prima cosa che fece Gesù, mosso dallo Spirito, fu quella di andare nel deserto a vivere con le bestie selvatiche[21].
Sono numerose le parabole del Maestro nelle quali si fa riferimento al mondo animale e vegetale. Gesù sottolinea l’attenzione della Provvidenza per gli animali che, anche se non seminano e non mietono « il Padre vostro celeste li nutre» (Mt 6, 26). Le piante, offrendoci i loro frutti, ci insegnano a riconoscere i segni dei tempi[22], e il giglio del campo, vestito più elegantemente di Salomone, ci ricorda il ricco amore della Provvidenza[23]. Con grande tenerezza il Maestro si identifica con una chioccia che raduna e difende i suoi pulcini[24], e il canto di un gallo risveglierà la coscienza impaurita di Pietro[25].
Sarà poi una colomba a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo su Gesù[26], e lui stesso si è identificato con un agnello[27].
4. La profezia di Isaia e la reintegrazione finale
Molte profezie bibliche che riguardano i tempi finali, quando l’uomo ritornerà ad uno stato paradisiaco, raccontano di una recuperata, totale armonia col mondo animale:
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullino li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme, si sdraieranno insieme i loro piccoli; il leone si ciberà di erba, come il bue; il lattante si trastullerà sulla buca della vipera, il bambino metterà la mano nel covo dei serpenti velenosi (Is 11, 6-8).
La mistica ebraica descrive spesso la serenità che si crea attorno alle persone pure, e quell’atmosfera di beatitudine è un’anticipazione di ciò che ci attende alla fine dei tempi. Nel Talmud e in numerosi racconti rabbinici si esorta a vivere da subito in affiatamento e in concordia con tutto il creato, con le piante e gli animali, ed è per questo motivo che un rabbino si chiede: «Se gli uomini hanno peccato, quale fu la colpa degli animali [per essere sacrificati?]»[28]. Nel Talmud viene espressa una norma di comportamento da seguire nei confronti degli animali: «Disse rabbi Giuda in nome di Rav: “A un uomo è vietato mangiare alcunché finché non ha dato da mangiare alla sua bestia”»[29]. Questo amore per il creato, che ricorda l’Eden delle origini, aveva un grande portavoce in rabbi Nachman di Brazlav, che arrivò ad affermare: «se un uomo uccide un albero prima del suo tempo, è come se avesse ucciso un’anima vivente»[30].
Il Signore ha creato il mondo come un paradiso di pace e armonia, ma la libertà dell’uomo non ha reso possibile la realizzazione di questo progetto, che prevede per gli animali una particolare considerazione: «In quel tempo farò per loro un’alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo: arco e spada e guerra eliminerò dal paese» (Os 2, 20).

[1] Cfr. E. Bianchi, Adamo, dove sei?, Magnano 2007, pp. 97-198.
[2] E. Bianchi, Uomini, animali e piante, Magnano 2008, p. 5.
[3] E. Bianchi, Uomini, animali e piante, Magnano 2008, p. 7.
[4] E. Bianchi, Uomini, animali e piante, Magnano 2008, p. 7.
[5] Cfr. E. Bianchi, Uomini, animali e piante cit., p. 8.
[6] Origene, Omelie su Giosuè, 23, 4.
[7] Filone Alessandrino, De opificio mundi
[8] B. Teyssedre, Angeli, astri e cieli. Figure del Destino e della Salvezza, Genova 1991, p. 20.
[9] E. Bianchi, Uomini, animali e piante cit., p. 8.
[10] E. Bianchi, Uomini, animali e piante cit., p. 10.
[11] Cfr. Sal 104, 27-28; 136, 25; 147, 9.
[12] P. De Bendetti, E l’asina disse…, Magnano 1999, p. 40.
[13] Cfr. Dt 5, 12-14.
[14] Giobbe 39-41.
[15] P. De Bendetti, E l’asina disse… cit., p. 44.
[16] Gl 1, 15.
[17] Dan 6, 17-25.
[18] Cfr. Nm 22, 21-35.
[19] Cfr. Tb 6, 1; 11, 4.
[20] P. De Bendetti, E l’asina disse… cit., p. 46.
[21] Cfr. Mc 1, 13.
[22] Cfr. Mc 13 28.
[23] Cfr. Mt 6, 28-29.
[24] Cfr. Mt 6, 26.
[25] Mc 14, 72.
[26] Cfr. Mc 1, 10; Gv 1, 32.
[27] Gv 1, 29.36.
[28] Pesiqta de-rav kahana 65b
[29] Talmud Babilonese, Ghittin 62a.
[30] Cit. in P. De Bendetti, E l’asina disse…, Magnano 1999, p. 35.

Publié dans:ANIMALI, BIBBIA, biblica |on 12 août, 2013 |Pas de commentaires »

Le Preghiere sulla strada

dal sito:

http://win.gesurisorto.it/css/preghiere/singolapreghierastrada.asp?id=4&tabella=strada

Le Preghiere sulla strada

di Renzo Bellanti
 
Non c’è nessuno oggi per la strada. In quest’ora di sole pomeridiano non si sente altro rumore che quello dei miei passi. È un po’ strano, Signore, tutto questo silenzio entro uno scenario solitamente tanto rumoroso. Penso che queste ore siano, in qualche modo, il tempo sabatico delle nostre strade, in cui la città riposa dal rumore, dal traffico e dalla quotidiana impazienza dei suoi abitanti. Da questo punto di vista la quiete comincia a piacermi. Sa di preghiera, come l’antico riposo che esprimeva il sospiro della terra sottratta al lavoro umano per essere affidata, di nuovo, a Te, suo Creatore. Questo ritrovato silenzio è, forse, la lode delle case, dei muri e dei tetti; delle terrazze e dei balconi; delle porte e delle finestre, serrate per conservare inviolati gli spazi degli uomini. È anche la voce dei lampioni spenti e dei gerani assetati; dell’asfalto rovente e degli alberi che lo ingentiliscono con le loro ombre invitanti.
Appunto da una di queste ombre un cane mi guarda con grandi occhi umidi e tristi. Probabilmente è stato abbandonato, certamente è un randagio. Può darsi che aspetti un cartoccio d’avanzi, ma forse, guardando meglio, ha solo voglia di non muoversi e spera che io non lo disturbi costringendolo a cercare un altro posto.
Mi colpisce, Signore, un pensiero che viene da Te, dalla tua Parola: <> (Rm 8,21).
Ecco, ora ci siamo: gli occhi del cane esprimono quest’attesa che viene da lontano. Essi vanno oltre il bisogno immediato. Sono una preghiera, carica del dolore antico di tutta la creazione, rivolta a Te, ma anche un po’ a me, anzi a tutti gli uomini a cui Tu avevi affidato la terra. Noi dovevamo lavorarla e custodirla facendone il luogo dell’incontro con Te. Le altre creature ci avrebbero aiutato pacificamente e ci avrebbero tenuto dolce compagnia. Le cose, lo sai, non sono andate così.
Ma c’è la tua promessa. Per questo le creature attendono e ci guardano. Comincio a sentirmi a disagio, Signore, al pensiero che questo povero randagio mi sta scrutando, con silenziosa impazienza, sperando di vedere in me l’uomo della creazione nuova. Forse sono soltanto fantasie estive, forse il cane spera unicamente che non lo disturbi e non lo scacci dal suo posto ombreggiato. Può darsi. Però il lupo di Gubbio, quando vide il volto mite e sorridente di Francesco, sentì affiorare, dal profondo del suo essere, la speranza oscura di riscatto che generazioni e generazioni di animali famelici avevano trasmesso a lui con il sangue. Credeva di odiare gli uomini ma, quando vide Te in Francesco, fece con essi un patto che scavalcava la violenza, la paura ed era profezia. Ma che cosa vede in me questo randagio, Signore, che cosa?
Sono contento, ora, di non aver nulla in mano, nulla da offrire. Perché se avessi avuto qualcosa mi sarei sentito subito generoso, buono, padrone della situazione e lo sguardo del cane non avrebbe potuto interrogarmi così all’improvviso, un po’ come il tuo ha interrogato Pietro quando, spintonato dalle guardie, ti sei voltato a guardarlo, nel cortile della casa del Sommo Sacerdote, la notte della tua Passione.
Perdonami questo paragone; volevo solo dire che, anche attraverso gli occhi di questo povero animale, sei ancora Tu che mi sorprendi scoccando, come una freccia, la tua domanda silenziosa. e, mentre cerco d’allontanarmi pian piano smorzando il rumore dei passi, la consapevolezza di doverti una risposta mi brucia dentro come una ferita.
 
Gli occhi umidi e tristi
del randagio sulla via
cercano, forse, l’uomo
della Creazione nuova
che non lo scaccerà.

Publié dans:ANIMALI, RACCONTI SIMPATICI |on 18 juillet, 2011 |Pas de commentaires »

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