Archive pour septembre, 2021

compianto sul Cristo morto, Maria Maddalena e Maria di Cleofa

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Publié dans:immagini sacre |on 13 septembre, 2021 |Pas de commentaires »

DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO « Cristo morto e risorto per noi: l’unica medicina contro lo spirito della mondanità »

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CELEBRAZIONE MATTUTINA TRASMESSA IN DIRETTA DALLA CAPPELLA DI CASA SANTA MARTA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

« Cristo morto e risorto per noi: l’unica medicina contro lo spirito della mondanità »

Sabato, 16 maggio 2020

Introduzione

Preghiamo oggi per le persone che si occupano di seppellire i defunti in questa pandemia. È una delle opere di misericordia seppellire i defunti e non è una cosa gradevole, naturalmente. Preghiamo per loro, che rischiano la vita e di prendere il contagio.

Omelia

Gesù parecchie volte, e soprattutto nel suo congedo con gli apostoli, parla del mondo (cfr Gv 15, 18-21). E qui dice: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me» (v. 18). Chiaramente parla dell’odio che il mondo ha avuto verso Gesù e avrà verso di noi. E nella preghiera che fa a tavola con i discepoli nella Cena, chiede al Padre di non toglierli dal mondo, ma di difenderli dallo spirito del mondo (cfr Gv 17,15).

Credo che noi possiamo domandarci: qual è lo spirito del mondo? Cosa è questa mondanità, capace di odiare, di distruggere Gesù e i suoi discepoli, anzi di corromperli e di corrompere la Chiesa? Come è lo spirito del mondo, cosa sia questo, ci farà bene pensarlo. È una proposta di vita, la mondanità. Ma qualcuno pensa che mondanità è fare festa, vivere nelle feste… No, no. Mondanità può essere questo, ma non è questo fondamentalmente.

La mondanità è una cultura; è una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparire, del maquillage, una cultura “dell’oggi sì domani no, domani sì e oggi no”. Ha dei valori superficiali. Una cultura che non conosce fedeltà, perché cambia secondo le circostanze, negozia tutto. Questa è la cultura mondana, la cultura della mondanità. E Gesù insiste a difenderci da questo e prega perché il Padre ci difenda da questa cultura della mondanità. È una cultura dell’usa e getta, secondo quello che convenga. È una cultura senza fedeltà, non ha delle radici. Ma è un modo di vivere, un modo di vivere anche di tanti che si dicono cristiani. Sono cristiani ma sono mondani.

Gesù, nella parabola del seme che cade in terra, dice che le preoccupazioni del mondo – cioè della mondanità – soffocano la Parola di Dio, non la lasciano crescere (cfr Lc 8,7). E Paolo ai Galati dice: “Voi eravate schiavi del mondo, della mondanità” (cfr Gal 4,3). A me sempre, sempre colpisce quando leggo le ultime pagine del libro del padre de Lubac: “Le meditazioni sulla Chiesa” (cfr Henri de Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, Milano 1955), le ultime tre pagine, dove parla proprio della mondanità spirituale. E dice che è il peggiore dei mali che può accadere alla Chiesa; e non esagera, perché poi dice alcuni mali che sono terribili, e questo è il peggiore: la mondanità spirituale, perché è un’ermeneutica di vita, è un modo di vivere; anche un modo di vivere il cristianesimo. E per sopravvivere davanti alla predicazione del Vangelo, odia, uccide.

Quando si dice dei martiri che sono uccisi in odio alla fede, sì, davvero per alcuni l’odio era per un problema teologico; ma non erano la maggioranza. Nella maggioranza [dei casi] è la mondanità che odia la fede e li uccide, come ha fatto con Gesù.

È curioso: la mondanità, qualcuno può dirmi: “Ma padre, questa è una superficialità di vita…”. Non inganniamoci! La mondanità non è per niente superficiale! Ha delle radici profonde, delle radici profonde. È camaleontica, cambia, va e viene a seconda delle circostanze, ma la sostanza è la stessa: una proposta di vita che entra dappertutto, anche nella Chiesa. La mondanità, l’ermeneutica mondana, il maquillage, tutto si trucca per essere così.

L’apostolo Paolo venne ad Atene, ed è rimasto colpito quando ha visto nell’areopago tanti monumenti agli dei. E lui ha pensato di parlare di questo: “Voi siete un popolo religioso, io vedo questo… Mi attira l’attenzione quell’altare al ‘dio ignoto’. Questo io lo conosco e vengo a dirvi chi è”. E incominciò a predicare il Vangelo. Ma quando arrivò alla croce e alla risurrezione si scandalizzarono e se ne andarono via (cfr At 17,22-33). C’è una cosa che la mondanità non tollera: lo scandalo della Croce. Non lo tollera. E l’unica medicina contro lo spirito della mondanità è Cristo morto e risorto per noi, scandalo e stoltezza (cfr 1Cor 1,23).

È per questo che quando l’apostolo Giovanni nella sua prima Lettera tratta il tema del mondo dice: «È la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4). L’unica: la fede in Gesù Cristo, morto e risorto. E questo non significa essere fanatici. Questo non significa tralasciare di avere dialogo con tutte le persone, no, ma con la convinzione di fede, a partire dallo scandalo della Croce, dalla stoltezza di Cristo e anche dalla vittoria di Cristo. “Questa è la nostra vittoria”, dice Giovanni, “la nostra fede”.

Chiediamo allo Spirito Santo in questi ultimi giorni, anche nella novena dello Spirito Santo, negli ultimi giorni del tempo pasquale, la grazia di discernere cosa è mondanità e cosa è Vangelo, e non lasciarci ingannare, perché il mondo ci odia, il mondo ha odiato Gesù e Gesù ha pregato perché il Padre ci difendesse dallo spirito del mondo (cfr Gv 17,15).

Preghiera per la Comunione spirituale

Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che mi abbia mai a separare da Te.

 

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San Francesco pensieri

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Publié dans:0 pensieri |on 12 septembre, 2021 |Pas de commentaires »

OMELIA (12-09-2021)

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/54369.html

OMELIA (12-09-2021)

padre Ermes Ronchi

La domanda di Gesù che interroga il mio cuore

E per la strada interrogava: un’azione continuativa, prolungata, uno stile di vita: strada e domande. Gesù non è la risposta, lui è la domanda; non il punto di arrivo, ma la forza che fa salpare la vita, smontare le tende al levar delle sole.
Le tante domande del vangelo funzionano come punto di incontro tra lui e noi. La gente, chi dice che io sia? Non un semplice sondaggio per misurare la sua popolarità, Gesù vuole capire che cosa del suo messaggio ha raggiunto il cuore. Si è accorto che non tutto ha funzionato nella comunicazione, si è rotto qualcosa in quella crisi galilaica che tutti gli evangelisti riferiscono. Infatti, la risposta della gente, se può sembrare gratificante, rivela invece una percezione deformata di Gesù: per qualcuno è un maestro moralizzatore di costumi (« dicono che sei Giovanni il Battista »); altri hanno percepito in lui la forza che abbatte idoli e falsi profeti (« dicono che sei Elia »); altri ancora non colgono nulla di nuovo, solo l’eco di vecchi messaggi già ascoltati (« dicono che sei uno dei profeti »).
Ma Gesù non è niente fra le cose di ieri. È novità in cammino. E il domandare continua, si fa diretto: ma voi chi dite che io sia? Per far emergere l’ambiguità che abita il cuore di tutti, Gesù mette in discussione se stesso.
Non è facile sottoporsi alla valutazione degli altri, costa molta umiltà e libertà chiedere: cosa pensate di me? Ma Gesù è senza maschere e senza paure, libero come nessuno. Tu sei il Cristo, si espone Pietro, il senso di Israele, il senso della mia vita. A questo punto il registro cambia e il racconto si fa spiazzante: Gesù cominciò a insegnare che il Cristo doveva molto soffrire e venire ucciso e il terzo giorno risorgere. Come fa Pietro ad accettare un messia perdente? «Tu sei il messia, l’atteso, che senso ha un messia sconfitto?». Allora lo prende in disparte e comincia a rimproverarlo. Lo contesta, gli indica un’altra storia e altri sogni. E la tensione si alza, il dialogo si fa concitato e culmina in parole durissime: va dietro di me, satana. Il tuo posto è seguirmi.
Pietro è la voce di ogni ambiguità della vita, questo fiume che trasporta tutto, fango e pagliuzze d’oro, e attraversa macchie di sole e zone d’ombra; dà voce a quell’ambiguità senza colpa (G. Piccolo), per cui le cose non ci sono chiare, per cui nelle nostre parole sentiamo al tempo stesso il suono di Dio (non la carne o il sangue te l’hanno rivelato) e il sussurro del male (tu pensi secondo il mondo).
La soluzione è quella indicata a Pietro («va dietro di me»). Gesù ha dato una carezza alle mie ferite, ha attraversato le mie contraddizioni e mi fa camminare proprio lì, lungo la «linea incerta che addividi la luci dallo scuru» (A. Camilleri).

Lettera ai Galati

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Publié dans:immagini sacre |on 8 septembre, 2021 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 1 settembre 2021 – Catechesi sulla Lettera ai Galati – 7. Stolti Galati

https://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2021/documents/papa-francesco_20210901_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 1 settembre 2021 – Catechesi sulla Lettera ai Galati – 7. Stolti Galati

Aula Paolo VI

Fratelli e sorelle, buongiorno!

Continueremo la spiegazione della Lettera di San Paolo ai Galati. Questa non è una cosa nuova, questa spiegazione, una cosa mia: questo che stiamo studiando è quello che dice San Paolo, in un conflitto molto serio, ai Galati. Ed è anche Parola di Dio, perché è entrata nella Bibbia. Non sono cose che qualcuno si inventa, no. È una cosa che è successa in quel tempo e che può ripetersi. E di fatto abbiamo visto che nella storia si è ripetuto, questo. Questa semplicemente è una catechesi sulla Parola di Dio espressa nella Lettera di Paolo ai Galati, non è un’altra cosa. Bisogna tenere sempre presente questo. Nelle catechesi precedenti abbiamo visto come l’apostolo Paolo mostra ai primi cristiani della Galazia quanto sia pericoloso lasciare la strada che hanno iniziato a percorrere accogliendo il Vangelo. Il rischio infatti è quello di cadere nel formalismo, che è una delle tentazioni che ci porta all’ipocrisia, della quale abbiamo parlato l’altra volta. Cadere nel formalismo e rinnegare la nuova dignità che essi hanno ricevuto: la dignità di redenti da Cristo. Il brano che abbiamo appena ascoltato dà inizio alla seconda parte della Lettera. Fino a qui, Paolo ha parlato della sua vita e della sua vocazione: di come la grazia di Dio ha trasformato la sua esistenza, mettendola completamente a servizio dell’evangelizzazione. A questo punto, interpella direttamente i Galati: li pone davanti alle scelte che hanno compiuto e alla loro condizione attuale, che potrebbe vanificare l’esperienza di grazia vissuta.

E i termini con cui l’Apostolo si rivolge ai Galati non sono certo di cortesia: l’abbiamo sentito. Nelle altre Lettere è facile trovare l’espressione “fratelli” oppure “carissimi”, qui no. Perché è arrabbiato. Dice in modo generico “Galati” e per ben due volte li chiama “stolti”, che non è un termine di cortesia. Stolti, insensati e tante cose può dire … Lo fa non perché non siano intelligenti, ma perché, quasi senza accorgersene, rischiano di perdere la fede in Cristo che hanno accolto con tanto entusiasmo. Sono stolti perché non si rendono conto che il pericolo è quello di perdere il tesoro prezioso, la bellezza della novità di Cristo. La meraviglia e la tristezza dell’Apostolo sono evidenti. Non senza amarezza, egli provoca quei cristiani a ricordare il primo annuncio da lui compiuto, con il quale ha offerto loro la possibilità di acquisire una libertà fino a quel momento insperata.

L’Apostolo rivolge ai Galati delle domande, nell’intento di scuotere le loro coscienze: per questo è così forte. Si tratta di interrogativi retorici, perché i Galati sanno benissimo che la loro venuta alla fede in Cristo è frutto della grazia ricevuta con la predicazione del Vangelo. Li porta all’inizio della vocazione cristiana. La parola che avevano ascoltato da Paolo si concentrava sull’amore di Dio, manifestatosi pienamente nella morte e risurrezione di Gesù. Paolo non poteva trovare espressione più convincente di quella che probabilmente aveva ripetuto loro più volte nella sua predicazione: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Paolo non voleva sapere altro che Cristo crocifisso (cfr 1 Cor 2,2). I Galati devono guardare a questo evento, senza lasciarsi distogliere da altri annunci. Insomma, l’intento di Paolo è di mettere alle strette i cristiani perché si rendano conto della posta in gioco e non si lascino incantare dalla voce delle sirene che vogliono portarli a una religiosità basata unicamente sull’osservanza scrupolosa di precetti. Perché loro, questi predicatori nuovi che sono arrivati lì in Galazia, li hanno convinti che dovevano andare indietro e prendere anche i precetti che si osservavano e che portavano alla perfezione prima della venuta di Cristo, che è la gratuità della salvezza.

I Galati, d’altronde, comprendevano molto bene ciò a cui l’Apostolo faceva riferimento. Avevano fatto certamente esperienza dell’azione dello Spirito Santo nelle comunità: come nelle altre Chiese, così anche tra loro si erano manifestati la carità e vari altri carismi. Messi alle strette, devono per forza rispondere che quanto hanno vissuto era frutto della novità dello Spirito. All’inizio del loro venire alla fede, pertanto, c’era l’iniziativa di Dio, non degli uomini. Lo Spirito Santo era stato il protagonista della loro esperienza; metterlo ora in secondo piano per dare il primato alle proprie opere – cioè al compimento dei precetti della Legge – sarebbe stato da insensati. La santità viene dallo Spirito Santo e che è la gratuità della redenzione di Gesù: questo ci giustifica.

In questo modo, San Paolo invita anche noi a riflettere: come viviamo la fede? L’amore di Cristo crocifisso e risorto rimane al centro della nostra vita quotidiana come fonte di salvezza, oppure ci accontentiamo di qualche formalità religiosa per metterci la coscienza a posto? Come viviamo la fede, noi? Siamo attaccati al tesoro prezioso, alla bellezza della novità di Cristo, oppure gli preferiamo qualcosa che al momento ci attira ma poi ci lascia il vuoto dentro? L’effimero bussa spesso alla porta delle nostre giornate, ma è una triste illusione, che ci fa cadere nella superficialità e impedisce di discernere su cosa valga veramente la pena vivere. Fratelli e sorelle, manteniamo comunque ferma la certezza che, anche quando siamo tentati di allontanarci, Dio continua ancora a elargire i suoi doni. Sempre nella storia, anche oggi, succedono cose che assomigliano a quello che è successo ai Galati. Anche oggi alcuni ci vengono a riscaldare le orecchie dicendo: “No, la santità è in questi precetti, in queste cose, dovete fare questo e questo”, e ci propongono una religiosità rigida, la rigidità che ci toglie quella libertà nello Spirito che ci dà la redenzione di Cristo. State attenti davanti alle rigidità che vi propongono: state attenti. Perché dietro ogni rigidità c’è qualche cosa brutta, non c’è lo Spirito di Dio. E per questo, questa Lettera ci aiuterà a non ascoltare queste proposte un po’ fondamentaliste che ci portano indietro nella nostra vita spirituale, e ci aiuterà ad andare avanti nella vocazione pasquale di Gesù. È quanto l’Apostolo ribadisce ai Galati ricordando che il Padre «dona con abbondanza lo Spirito e opera miracoli in mezzo a voi» (3,5). Parla al presente, non dice “il Padre ha donato lo Spirito con abbondanza”, capitolo 3, versetto 5, no: dice “dona”; non dice “ha operato”, no: “opera”. Perché, nonostante tutte le difficoltà che noi possiamo porre alla sua azione, anche nonostante i nostri peccati, Dio non ci abbandona ma rimane con noi col suo amore misericordioso. Dio sempre è vicino a noi con la sua bontà. È come quel padre che tutti i giorni saliva sul terrazzo per vedere se tornava il figlio: l’amore del Padre non si stanca di noi. Domandiamo la saggezza di accorgerci sempre di questa realtà e di mandare via i fondamentalisti che ci propongono una vita di ascesi artificiale, lontana dalla resurrezione di Cristo. L’ascesi è necessaria, ma l’ascesi saggia, non artificiale.

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