II DOMENICA DI PASQUA (A) COMMENTO

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II DOMENICA DI PASQUA (A) COMMENTO

Dall’incredulità alla fede
Clarisse Sant’Agata

Con questa Domenica, detta “In Albis”, si conclude “l’Ottava di Pasqua”, come unico giorno “il giorno del Signore”(Ap. 1,10): “otto giorni dopo”, la Domenica di Resurrezione, e la Liturgia si sofferma sul mistero della vita del Risorto, presente nella vita di tutti i giorni nella Sua Chiesa: “sta in mezzo a loro” nel radunarsi domenicale.
L’Evangelista Luca nel brano degli Atti degli Apostoli ci presenta uno spaccato di vita delle prime comunità cristiane parlandoci di quattro modi di vivere: “erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera” (At 3,42). Se notiamo sono tutte realtà che dicono a noi una vera relazione con il Cristo, il Crocifisso Risorto.
Questo tema è ben presente nella pagina che leggiamo oggi dell’Evangelista Giovanni: il Signore si fa riconoscere da Tommaso non quando è separato dalla comunità, ma quando finalmente, “otto giorni dopo” è di nuovo con i suoi fratelli. D’altro canto l’incredulità di Tommaso si era dimostrata proprio nel non accogliere la testimonianza della comunità: quella di Maria di Magdala prima, e quella degli altri discepoli poi.
Tommaso quindi è il grande assente quando Gesù “la sera di quello stesso giorno, il primo della settimana” entra a porte chiuse nel luogo dove sono riuniti i discepoli ancora sconvolti dall’arresto del loro Maestro, dalla sua crocifissione e dalla sua morte, e “sta in mezzo a loro”.
Non sappiamo perché Tommaso non fosse presente, ma è presente “otto giorni dopo”. Forse i discepoli, che si erano dispersi, come aveva loro annunciato Gesù a motivo della sua morte, ora sono di nuovo insieme proprio per il racconto di ciò che Maria di Magdala ha visto e ascoltato nel giardino davanti al sepolcro vuoto: “Ho visto il Signore” e “Va dai miei fratelli e di loro : io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17). Probabilmente Tommaso non crede al racconto di Maria, è incapace di accogliere il suo annuncio, come pure quello degli altri discepoli quando gli dicono con insistenza “abbiamo visto il Signore”. Tommaso dimostra qui il suo limite cioè la mancanza di fede nella comunità e qui sta la radice della sua incredulità: “se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e la mia mano nel suo costato non crederò”.
Tommaso, che ha bisogno di vedere e toccare per credere, lo troviamo presente altre volte nel corso del quarto Vangelo: al capitolo 11 manifesta la sua disponibilità a rischiare la propria vita insieme a Gesù: “andiamo anche noi a morire con lui” (v. 10), mentre gli altri discepoli, alla decisione di Gesù di tornare in Giudea per andare a trovare l’amico Lazzaro, manifestano la loro paura. Ancora al capitolo 14 dopo che Gesù aveva annunciato ai suoi discepoli che sarebbe andato a preparare un posto per loro di cui però essi non conoscevano la via, Tommaso interviene con una domanda: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”(v. 5). Quindi Tommaso da una parte dichiara di voler seguire Gesù lungo la sua stessa via, anche se conduce alla morte, dall’altra afferma di non conoscere la via, di non sapere dove il Signore va.
Tommaso forse non conosce la via perché la coglie solo come via che conduce alla morte (“morire con lui”). In realtà né lui né gli altri discepoli andranno a morire con lui, ma si disperderanno. Tutti non hanno capito che la via che percorre Gesù non è una via di morte, anche se passa attraverso la morte, ma è vita, e il posto che Gesù va a preparare è lì dove lui è cioè, presso il Padre.
Tornando al nostro brano dicevamo che Tommaso ha bisogno di vedere e di toccare. Tommaso vuole vedere le piaghe, i segni della passione che rimangono nel corpo risorto di Gesù. D’altro canto Tommaso vuole vedere quello che il Risorto stesso, per farsi riconoscere, ha mostrato agli altri discepoli quando Gesù è apparso loro mentre Tommaso era assente.
Quindi Tommaso pretende di verificare personalmente la verità del corpo del Risorto: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non crederò” (v. 25). Tuttavia il testo non dice che Tommaso abbia toccato, abbia messo il dito nel segno dei chiodi. Su questo il racconto tace.
Quando Gesù “otto giorni dopo” viene di nuovo in mezzo a loro e incontra Tommaso gli dice subito: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (v. 27). Gesù, il Risorto, riprende le parole della richiesta di Tommaso e gliele ripete. E’ qui che Tommaso arriva a fare la più alta professione di fede: “Mio Signore e mio Dio” (v. 28). Tommaso è raggiunto dalla parola di Gesù, si sente toccato da questa parola, conosciuto, potremmo dire amato. Non ha più bisogno di toccare perché lui stesso è stato toccato e trasformato. Tommaso ha fatto il passaggio pasquale, dall’incredulità alla fede.
Ancora una volta l’evangelista Giovanni ci dice che non bastano i segni a fondare la fede, ma è sempre necessario l’ascolto della Parola che li accompagna, li interpreta, ne svela il significato e così anche noi siamo interpellati a dare la nostra risposta di fede, proprio come Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”.
Noi discepoli di oggi non possiamo più vedere il corpo del Risorto, ma possiamo riconoscerlo presente nei sacramenti, nella Chiesa riunita nel suo nome e nell’ascolto della sua Parola. Quindi come dice Pietro nella sua prima lettera: “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui”(1 Pt 1,8). Si, siamo chiamati a credere in quel Dio, Gesù Cristo, morto e risorto, che si rivela così, con quelle mani bucate, con quel costato trafitto che mostrano a quale debolezza e consegna di sé è giunto l’amore. Amore che rivela l’assoluto dell’Amore: il Padre.

http://www.clarissesantagata.it

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