CAMMINANDO CON IL « CUSTODE DI ISRAELE » SALMO 121
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CAMMINANDO CON IL « CUSTODE DI ISRAELE » SALMO 121
Pino Stancari
Il nostro amico è partito. Si è messo sulla strada attuando la sua decisione.
Il Salmo 121 ci aiuta ad accompagnare colui che ormai è diventato pellegrino nel corso del suo distacco dall’ambiente nel quale stava tanto male, quell’ambiente al quale pure appartiene e dal quale distaccarsi non è stato facile.
Ora affronta strade nuove. Ha nostalgie e ripensamenti, non mancano incertezze. Dinanzi a lui ci sono anche orizzonti nuovi: («Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?». Così inizia il Salmo.
SALMO 121
1 Canto delle ascensioni.
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
2 Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
3 Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
4 Non si addormenterà,
non prenderà sonno,
il custode d’Israele.
5 Il Signore è il tuo custode,
il Signore è come ombra che ti copre,
e sta alla tua destra.
6 Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
7 Il Signore ti proteggerà da ogni male,
egli proteggerà la tua vita.
8 Il Signore veglierà su di te,
quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.
Il capo alzato, il timore, la commozione
Ha camminato a testa bassa, ora alza gli occhi.
Ha guardato i sassi della strada, ha cercato di interpretare l’avanzare delle ore nel corso della giornata in base all’inclinazione dell’ombra. A testa bassa: è un tempo di ripensamento interiore, per lui. Comunque la sua avanzata procede ed egli è risoluto.
Questo suo atteggiamento di ferma intraprendenza è confermato dal gesto di alzare il capo. Un gesto da sottolineare.
Un altro pellegrino, il pellegrino per antonomasia – Gesù – alzerà gli occhi per guardare innanzi a sé mentre sale a Gerusalemme. Nel Vangelo più volte viene notato questo gesto proprio nei riguardi di Gesù. Si dice spesso: «Alzati gli occhi» o «Alzato lo sguardo al cielo».
Così il pellegrino alza il capo: dinanzi a lui l’orizzonte è chiuso: una catena di montagne. La visione per certi versi l’intimorisce. Sono montagne che devono essere affrontate, scalate e superate. Ci sono queste che si vedono e poi altre ancora: quante bisognerà affrontarne per raggiungere la montagna su cui è edificata Gerusalemme?
Insieme con il timore – si noti – c’è un senso di commozione. Da quando si è messo in viaggio tutte le montagne che si notano all’orizzonte e che egli ha buoni motivi per considerare una fatica in più sulla sua strada, tutte acquistano per lui il valore esemplare, didattico, di una conferma a riguardo della meta verso la quale è incamminato: se questa montagna in vista non è ancora quella di Gerusalemme è comunque una montagna; essa è momentaneamente occasione di fatica in più, ma assicura che non sono fuori strada. Comunque io sono indirizzato verso una montagna.
Timore ed entusiasmo si confondono.
Il pellegrino non può più volgersi indietro, non può contare su appoggi rassicuranti e situazioni nuove lo attendono: mai percorso questo territorio, mai affrontata questa regione, mai visitate queste montagne… Ecco il timore. Ed ecco, insieme, l’entusiasmo: «È proprio vero, questa montagna di oggi mi parla già della montagna verso cui sono orientati i miei passi; imparo a scrutare l’orizzonte e preparo il mio sguardo alla visione che – immancabilmente – si manifesterà ai miei occhi.
Solo, eppure stretto in un abbraccio
Il pellegrino è sempre più solo, lontano dall’ambiente solito. Quanto tempo durerà il suo viaggio?
Il Salmo ci aiuta a partecipare a quel ripensamento che occupa il cuore del pellegrino, alla sua commozione, intensissima nonostante sia priva di riscontri sensibili; una commozione che sostiene il suo entusiasmo di viandante: «Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra».
Mai come oggi quest’uomo si è reso conto di essere accompagnato. Eppure oggi è solo.
Si lamentava di essere straniero: da quando si è messo in viaggio è più straniero che mai. Ha abbandonato quella terra in cui era straniero e che pure era la sua terra. Chi incontra per la strada è sconosciuto, pericoloso; deve guardarsi da tutti e scrutare gli orizzonti e gli imprevedibili incroci. Eppure proprio adesso il pellegrino scopre di essere accompagnato. Una presenza invisibile, indefinibile e indecifrabile.
Parla di «cielo e terra». Avanza sulla superficie del mondo e avverte di essere stretto in un abbraccio: sotto il cielo e sulla terra. Il cielo è chinato su di lui e la terra lo sostiene.
Quelle montagne di cui si parlava prima, che danno insieme timore e speranza, acquistano un significato simbolico particolarmente persuasivo: sono elemento di congiunzione tra cielo e terra. Dovranno essere scalate e superate con fatica, ma confermano l’attualità dell’abbraccio che il Signore onnipotente concede mediante la docilità di tutte le creature, che si dispongono in modo da rendergli praticabile il viaggio.
L’universo intero, creatura di Dio, gli fa compagnia e il Creatore stesso gli concede questa misteriosa solidarietà con tutte le creature che stanno tra cielo e terra: un sasso nel quale urti col piede, la pioggia che ti sorprende allo scoperto, coloro che incontri lungo il percorso, ogni creatura, in prima istanza forse temuta come una possibile minaccia e poi riconosciuta come dono insostituibile, ed apprezzata. Sono tutti doni preparati provvidenzialmente allo scopo di rendere possibile un viaggio carico di entusiasmo.
Mai così solo e mai così in comunione. Tanto è vasto l’orizzonte, così è grande la presenza del Signore, mediata da una corona consolante di elementi che accompagnano il pellegrino nel viaggio, lo benedicono e custodiscono.
Dal monologo al dialogo
Il Salmo si divide nettamente in due sezioni. La prima è quella che abbiamo letto (vv. 1-2), la seconda si ha nei versetti seguenti.
C’è un evidentissimo salto grammaticale tra le due sezioni. Nella prima il pellegrino parla in prima persona singolare; nella seconda interviene un’altra voce, in terza persona: «Non lascerà vacillare il tuo Piede…».
C’è un salto. Nella prima sezione il pellegrino riflette tra sé e sé, si incoraggia. Nella seconda una voce si rivolge a lui, una voce esterna che commenta il significato della presenza di Dio e la fedeltà dell’ opera svolta dal Signore per chi è in viaggio. Un commentatore interviene, un osservatore esterno che dialoga con lui.
Il passaggio dal monologo al dialogo è importante. Una esperienza di meditazione solitaria si apre al dialogo con un’altra voce: un altro viandante si avvicina, qualcuno cammina con lui. Una voce che viene da lontano. Potrebbe essere una sapienza antica, ricordi che emergono dal fondo della coscienza.
Man mano che prosegue il nostro personaggio riesce ad oggettivarsi. In un primo momento è molto preso dal bisogno di dirsi le sue cose, e questo è comprensibile, ma quanto più procede tanto più si accorge che qualcun’altro gli sta parlando.
Assume allora un atteggiamento di ascolto ed emerge allora, con evidenza incontestabile, la presenza di Dio. L’attenzione si concentra, con precisione ed onestà, dove la presenza di Dio si manifesta.
Preoccupato di sé e dei suoi progressi il pellegrino scopre che la presenza del Signore si impone. Monologava ed ora ascolta.
Non sappiamo chi sta ascoltando, ma importa poco. Si aprono spazi nuovi, insondati, nel segreto del cuore. Dio domina e tutto ruota intorno a lui. Ogni vicenda si trasforma in vera e propria contemplazione di colui che in segreto è presente, colui che sconosciuto – è il Signore.
Ricordiamo come il nostro personaggio prima di partire fosse ansiosamente aggrappato al nome indicibile di Dio. Ora avviene che da quando si è messo in viaggio – anche se ancora non ha raggiunto la meta – già incontra il Signore vivente: per il semplice fatto che è in cammino. Già aderisce alla presenza viva di colui che è Signore. La meta forse è lontana, ma il Signore è presente adesso e qui.
Il Signore è il tuo custode
La seconda sezione del Salmo è caratterizzata dalla ripetizione per sei volte di espressioni derivanti dal verbo shamar, custodire. È un tipico verbo del vocabolario pastorale: Shomèr è il custode.
Nella nostra traduzione questo insistente ritorno non appare: per tre volte appare l’espressione «custode», nei vv. 7-8 si parla di protezione e veglia. In ebraico è sempre la stessa radice. Per sei volte si insiste sullo stesso concetto: «Il Signore è il tuo custode… ».
Se si guarda all’ultimo versetto del Salmo 119 si ascoltano queste parole: «Come pecora smarrita vado errando; cerca il tuo servo… » (Sal 119, 176). Per tutto questo lungo Salmo noi abbiamo ascoltato i belati di una pecora smarrita!
Il pastore è già in cammino, alla ricerca. Ora egli è qui.
Gli stessi ostacoli, pesi e drammi sono strumento di cui il Signore si serve per dimostrare che, con pazienza e fedeltà, accompagna il fedele. Egli è così il Signore della tua vita, della tua storia e della storia del popolo e dell’umanità.
Questa sezione del Salmo si divide in tre strofe brevissime con un crescendo nel riconoscimento della presenza pastorale del Signore.
La prima sono i vv. 3-4: «Non lascerà vacillare il tuo piede… ».
Ecco: i singoli momenti di incertezza vedono un suo intervento occasionale, puntuale e momentaneo, fino a quell’essere permanentemente chinato sul pellegrino per cui veglia mentre egli dorme.
Si incontra il Signore nei diversi momenti del viaggio. Questi momenti si infittiscono fino a dare la sensazione di una presenza continuata: la veglia del Signore su di te. n rapporto con il Signore è qui ancora estrinseco. Interviene in singoli momenti e stabilisce un rapporto di vigilanza incessante dal di fuori.
Seconda strofa (vv. 5-6): «… il Signore è come ombra che ti copre…».
Il rapporto si fa più discreto e impalpabile, eppure è più intenso, profondo e interiore. Siamo accarezzati da Lui. Non è solo colui che stende intorno una cintura di protezione. È colui che ti vela, aderisce a te, ricalca la tua fisionomia, penetra in te, ti attraversa e sonda, giunge alla tua profondità interiore. Così è ombra. Un’ombra che protegge. Non perché tiene lontani i raggi del sole e della luna, ma perché penetra e abita in te. Anche una goccia di sudore sotto il sole parla di Lui e un fremito nella notte fa altrettanto.
Ricordiamo Maria, Madre del Signore. Ricordiamo qui l’ombra che la copre.
Dio trova piccole crepe nascoste per entrare in te, anche interstizi che tu nascondi. È una presenza insieme forte e delicata, fedele e paziente. Così è il tuo custode.
Terza strofa (vv. 7-8): «Il Signore ti proteggerà da ogni male…».
Un crescendo, ancora. Qui si dà risalto all’impegno con cui si esprime la libertà di un uomo in cammino. Egli «esce ed entra», espressione che l’evangelista Giovanni usa per parlare della vita delle pecore guidate dal Signore (Gv 10,1-5). È un impegno che suppone armonia e chiarezza interiore, l’intraprendenza di una scelta. Colui che custodisce non è solo colui che interviene da fuori o ti riempie di sé: è colui che suscita in te l’energia di una imprevedibile libertà, motivo di stupore per te stesso. Avanzi e riposi, esci ed entri e sei mosso sempre da una libertà che scaturisce nell’intimo del tuo cuore e dispiega energie nuove. In ogni momento della vita è così.
In ogni momento, per tutti
Questi ultimi versetti sono segnati da espressioni complementari: «il sole… la luna», «la notte… il giorno», !’ingresso… l’uscita, «da ora… per sempre». La presenza di questi binomi conferisce al Salmo un ritmo ondulatorio, oscillatorio: è il dondolio della vita. n viaggio ha un custode nelle salite e nelle discese. I singoli momenti sono sempre occasione preziosa per riconoscere la presenza di lui. Egli è il Dio della vita.
Il ritmo così conferito da un sapiente poeta a questi versi richiama il movimento naturale quando si culla un bambino. Dio culla il suo fedele. Con sapienza e discrezione, con la disinvoltura di chi lo sa fare: gesto naturale e pur così capace di esprimere il segreto della vita.
Sono solo otto versetti, ma densissimi.
La nostra storia coinvolge uno scenario più ampio e drammatico. L’orizzonte si amplia: per la prima volta, nel v. 4, si parla di «Israele». Si dice al pellegrino che il suo custode è «il custode di Israele». Colui che è custode del singolo è custode di un popolo.
Il pellegrino riscopre la sua appartenenza al popolo, alla sua storia. E anche l’universo intero è sacramento della pastorale provvidenza del Signore: tutte le creature ed ogni tempo sono coinvolti nell’amore di Dio. Così riscopre di appartenere a Lui, creatore dell’universo e del popolo. Il viandante può già adorare e benedire: il Signore verso il quale gridava nell’angoscia è chinato su di lui. Ora impara a riconoscerlo ed amarlo: impara davvero a camminare.
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