Archive pour le 23 août, 2018

Dogma dell’Immacolata Concezione

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Publié dans:immagini sacre |on 23 août, 2018 |Pas de commentaires »

«FEDE E ARTE: LA BELLEZZA STA NEL MISTERO» GIANFRANCO RAVASI

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«FEDE E ARTE: LA BELLEZZA STA NEL MISTERO» GIANFRANCO RAVASI

Uno stralcio della Lectio Magistralis tenuta da Ravasi nel duomo di Arezzo. «Di fronte ad un’opera occorre un legame di stupore e contemplazione, proprio come accade a chi crede».

10/06/2011 di Archivio Notizie

Il tema che mi è stato assegnato è evidentemente dagli orizzonti pressoché sterminati e io lo vorrei affrontare in maniera molto semplice, quasi familiare, con voi che siete familiari peraltro dell’arte e vivete in continua simbiosi con la bellezza. Il titolo era «L’invisibile nel visibile», cioè «Arte e Fede». Questo titolo, in verità, rimanda spontaneamente a un’espressione che è assegnata a due grandi pittori del secolo scorso: da una parte Paul Klee e dall’altra Joan Mirò, i quali, in forme diverse ma nella stessa sostanza, hanno dichiarato che l’arte non rappresenta il visibile, ma l’invisibile che è nel visibile. Già con questa definizione si entra all’interno del tema che poi è nel sottotitolo, «Arte e Fede». Un tema che è presente anche nel titolo scelto da sua eccellenza monsignor Fontana per la mostra vasariana: «Santo è bello». La santità e la bellezza che s’incrociano non come realtà estrinseche ma quasi come fossero tra di loro sorelle. Noi sappiamo che si usa un unico termine, per indicare due realtà che sono simili, ma anche profondamente diverse tra di loro. Ad esempio, si parla di «ispirazione» delle scritture della parola di Dio. La parola delle scritture è ispirata, ma questo stesso termine non viene forse usato anche per parlare dell’ispirazione artistica? Si riconosce quindi che entrambe: la fede, l’arte, la testimonianza della parola divina e della parola umana hanno al loro interno un seme di eterno, un germe d’infinito, una dimensione che li precede e li eccede, li supera. L’artista in un certo senso, come il profeta, ha dentro di sé una voce che viene dall’oltre, dall’alto; l’invisibile che è nel visibile. È curioso evidenziare come, per esempio, nelle scritture nel capitolo XXV dell’Esodo si parli di Besalèl «l’artigiano, l’artista» che costruì l’arca e il tempio mobile del deserto quando gli ebrei, in marcia, lasciavano il dramma della schiavitù d’Egitto. E pensate quando nel primo libro delle Cronache al capitolo XXV, si parla dei musicisti, dei cantori del tempio, si dice che essi furono ispirati da Dio. Sapete quale termine ebraico si usa? «Navì», lo stesso termine che viene usato per i profeti e i musicisti che sono attraversati dallo stesso spirito di Dio. Ecco perché parlare di arte e di fede non è parlare di due realtà estranee tra loro. Purtroppo come ben sappiamo si è consumato un divorzio. Arte e fede oggi non camminano più insieme, ed è per questo che dobbiamo batterci per ritrovare ancora, come accade in tutti gli angoli della vostra città, questa armonia che è benefica e preziosa per l’arte, perché non abbia a perdersi nel vago e nel banale, ma ritrovi ancora le grandi narrazioni e i grandi simboli. Proprio come recita il salmo 47 della Bibbia: «In modo bello cantate Dio con arte». La mia riflessione vuol partire da un simbolo. Un simbolo che desumo da una frase dell’allora cardinale Ratzinger, in un suo articolo sulla fede e l’arte, in cui scriveva: «La bellezza ferisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo ». Dunque la bellezza, l’arte come ferita, e noi vedremo che anche la fede è ferita
Allora cominciamo prima di tutto con questo tema: la ferita che fa sanguinare e tormenta. Qual è la grande malattia del nostro tempo? Non è la cattiveria estrema. Devo confessare che quando sono nato io il mondo era in una situazione ben peggiore di oggi. Sull’Europa si estendeva una colata di sangue: la seconda guerra mondiale. Due criminali, due pazzi dominavano: Hitler e Stalin. La violenza sicuramente celebrava le sue epifanie più grandiose, con milioni di morti. Che cosa c’è oggi di più grave? Non quindi questa cattiveria, ma piuttosto l’indifferenza la superficialità, la banalità. C’è uno scrittore francese cattolico, che in un suo romanzo, «L’Imposteur», «L’Impostura», racconta la storia di un prete che perde la fede e diventa ateo. Ebbene, egli diceva: «C’è una differenza fondamentale tra il vuoto e l’assenza. Il vuoto è il nulla, l’inconsistenza, l’assenza, non è un nulla». Quando vado a casa dalle mie sorelle abbiamo le due sedie di mio papà e di mia madre. Sono apparentemente vuote, ma in realtà non lo sono, è solo un’assenza colmata dal ricordo. Ecco il nostro tempo ha perso l’assenza di Dio e la nostalgia dei grandi valori. Qualcuno di voi conoscerà un grande pittore che era Georges Braque, amico di Picasso, cubista morto nel 1963. Ebbene Braque diceva questa frase, non è del tutto vera però ha un suo significato: «L’arte è fatta per turbare la scienza. Oggi siamo figli della tecnica. La tecnica ti deve risolvere, ti risolve tutti i problemi, non ti fa mai porre le grandi domande». Noi, invece, abbiamo bisogno di ritornare ancora alla grandezza; a porci delle domande. Possiamo farlo proprio con l’arte. E per arte intendo non soltanto le arti figurative, ma le sue mille manifestazioni che vanno dalla letteratura, alla musica, al cinema. Abbiamo bisogno di ritrovare questa inquietudine. Lo dicevo durante un’intervista ad una delle vostre televisioni, citando la frase di uno scrittore americano profondamente anticristiano, Harry Miller, che a un certo momento della sua vita scrive un libro intitolato «La saggezza del cuore». «L’arte – scrive Miller – come la fede, non serve a nulla; tranne che a darti il senso della vita ». Se andiamo a cercare il cibo non abbiamo bisogno dell’arte. Così come della poesia. A che cosa serve la poesia? Perché abbiamo bisogno di questa inquietudine in un tempo così superficiale e immorale? Quando siete davanti ad un’opera d’arte essa non si spiega in verità, devi riuscire a stabilire un legame di stupore e di contemplazione; come accadde per la fede. C’era un poeta, Ezra Pound, che diceva: «Ma si spiega forse il fascino di un vento d’aprile? Si spiega forse la bellezza luminosa di un pensiero di Platone? Si spiega forse la bellezza improvvisa che ti appare di un volto femminile. Non hanno spiegazioni tu li scopri all’improvviso. Sono un epifania».
Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

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