Visitazione di Maria

CELEBRAZIONE A CONCLUSIONE DEL MESE MARIANO – BENEDETTO XVI 2008
PAROLE DI SUA SANTITÀ
Piazza San Pietro, Sagrato della Basilica
Sabato, 31 maggio 2008
Cari fratelli e sorelle!
Concludiamo il mese di maggio con questo suggestivo incontro di preghiera mariana. Vi saluto con affetto e vi ringrazio della vostra partecipazione. Saluto, in primo luogo, il Signor Cardinale Angelo Comastri; con lui saluto gli altri Cardinali, Arcivescovi, Vescovi e sacerdoti, intervenuti a questa celebrazione serale. Estendo il mio saluto alle persone consacrate e a tutti voi, cari fedeli laici, che con la vostra presenza avete voluto rendere omaggio alla Vergine Santissima.
Celebriamo quest’oggi la festa della Visitazione della Beata Vergine e la memoria del Cuore Immacolato di Maria. Tutto pertanto ci invita a volgere lo sguardo con fiducia a Maria. A Lei, anche questa sera, ci siamo rivolti con l’antica e sempre attuale pia pratica del Rosario. Il Rosario, quando non è meccanica ripetizione di formule tradizionali, è una meditazione biblica che ci fa ripercorrere gli eventi della vita del Signore in compagnia della Beata Vergine, conservandoli, come Lei, nel nostro cuore. In tante comunità cristiane, durante il mese di maggio, esiste la bella consuetudine di recitare in modo più solenne il Santo Rosario in famiglia e nelle parrocchie. Ora, che termina il mese, non cessi questa buona abitudine; anzi prosegua con ancor maggiore impegno, affinché, alla scuola di Maria, la lampada della fede brilli sempre più nel cuore dei cristiani e nelle loro case.
Nell’odierna festa della Visitazione la liturgia ci fa riascoltare il brano del Vangelo di Luca, che racconta il viaggio di Maria da Nazareth alla casa dell’anziana cugina Elisabetta. Immaginiamo lo stato d’animo della Vergine dopo l’Annunciazione, quando l’Angelo partì da Lei. Maria si ritrovò con un grande mistero racchiuso nel grembo; sapeva che qualcosa di straordinariamente unico era accaduto; si rendeva conto che era iniziato l’ultimo capitolo della storia della salvezza del mondo. Ma tutto, intorno a Lei, era rimasto come prima e il villaggio di Nazareth era completamente ignaro di ciò che Le era accaduto.
Prima di preoccuparsi di se stessa, Maria pensa però all’anziana Elisabetta, che ha saputo essere in gravidanza avanzata e, spinta dal mistero di amore che ha appena accolto in se stessa, si mette in cammino « in fretta » per andare a portarle il suo aiuto. Ecco la grandezza semplice e sublime di Maria! Quando giunge alla casa di Elisabetta, accade un fatto che nessun pittore potrà mai rendere con la bellezza e la profondità del suo realizzarsi. La luce interiore dello Spirito Santo avvolge le loro persone. Ed Elisabetta, illuminata dall’Alto, esclama: « Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore » (Lc 1,42-45).
Queste parole potrebbero apparirci sproporzionate rispetto al contesto reale. Elisabetta è una delle tante anziane di Israele e Maria una sconosciuta fanciulla di uno sperduto villaggio della Galilea. Che cosa possono essere e che cosa possono fare in un mondo nel quale contano altre persone e pesano altri poteri? Tuttavia, Maria ancora una volta ci stupisce; il suo cuore è limpido, totalmente aperto alle luce di Dio; la sua anima è senza peccato, non appesantita dall’orgoglio e dall’egoismo. Le parole di Elisabetta accendono nel suo spirito un cantico di lode, che è un’autentica e profonda lettura « teologica » della storia: una lettura che noi dobbiamo continuamente imparare da Colei la cui fede è senza ombre e senza incrinature. « L’anima mia magnifica il Signore ». Maria riconosce la grandezza di Dio. Questo è il primo indispensabile sentimento della fede; il sentimento che dà sicurezza all’umana creatura e la libera dalla paura, pur in mezzo alle bufere della storia.
Andando oltre la superficie, Maria « vede » con gli occhi della fede l’opera di Dio nella storia. Per questo è beata, perché ha creduto: per la fede, infatti, ha accolto la Parola del Signore e ha concepito il Verbo incarnato. La sua fede Le ha fatto vedere che i troni dei potenti di questo mondo sono tutti provvisori, mentre il trono di Dio è l’unica roccia che non muta e non cade. E il suo Magnificat, a distanza di secoli e millenni, resta la più vera e profonda interpretazione della storia, mentre le letture fatte da tanti sapienti di questo mondo sono state smentite dai fatti nel corso dei secoli.
Cari fratelli e sorelle! Torniamo a casa con il Magnificat nel cuore. Portiamo in noi i medesimi sentimenti di lode e di ringraziamento di Maria verso il Signore, la sua fede e la sua speranza, il suo docile abbandono nelle mani della Provvidenza divina. Imitiamo il suo esempio di disponibilità e generosità nel servire i fratelli. Solo, infatti, accogliendo l’amore di Dio e facendo della nostra esistenza un servizio disinteressato e generoso al prossimo, potremo elevare con gioia un canto di lode al Signore. Ci ottenga questa grazia la Madonna, che questa sera ci invita a trovare rifugio nel suo Cuore Immacolato.
SS. TRINITÀ ANNO B. UN DIO SOLO MA NON SOLITARIO
La fede che professiamo fa zampillare la speranza che un giorno ci sarà dato di partecipare in piena luce alla comunione trinitaria e nella santa eucaristia ci offre tutto l’amore che ci occorre come viatico per il nostro pellegrinaggio verso la patria.
Battezzate tutte le nazioni nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
Un Dio vicino, a portata di mano, ma non manipolabile; lontano, inafferrabile, ma non irraggiungibile; infinito e stupefacente, ma non eclatante; eterno, immenso, non circoscrivibile; incomprensibile, eppure amabile, amabilissimo: credere in un solo Dio non significa fare della aritmetica applicata al trascendente. Dio non è calcolo e quantità, ma amore e bellezza; non è “sistema” ma “mistero”: nel sistema non si danno persone, ma solo numeri e fattori, funzionari e burocrati; nel mistero invece si danno persone uniche, originali, irripetibili, nei cui confronti non è consentita alcuna computisteria.
1. Ma come è fatto Dio? Si racconta di s. Agostino che un giorno, passeggiando lungo il mare e pensando al mistero di Dio, avrebbe visto un bambino che giocava sulla spiaggia e si divertiva a riempire d’acqua una buca fatta nella sabbia. Ebbe allora una illuminazione: come non si può mettere il mare in un vasca, così l’uomo non può illudersi di racchiudere l’infinito mistero di Dio nella sua piccola mente. Leggiamo in s. Paolo: “solo lo Spirito di Dio conosce i segreti di Dio”; solo lo Spirito del Signore ci poteva rivelare “le profondità del mistero di Dio” (cfr. 1Cor 2,10-11). Ed è quanto è avvenuto prima con l’Antico e poi con il Nuovo Testamento.
L’Antico Testamento rivela tre tratti fondamentali del volto di Dio. Innanzitutto ci dice che Dio non è come gli idoli che hanno occhi ma non vedono, hanno bocca ma non parlano. Dio non è una cosa tra le tante, fosse pure la più importante, a proposito della quale l’uomo può aprire un’inchiesta. Dio è un vivente che parla e dice il suo nome; anzi è il vivente è il primo, colui che è fin dall’inizio, e la cui esistenza si impone come un dato primordiale, indiscutibile, che non ha bisogno di alcuna spiegazione. La sua presenza è straordinariamente attiva, intensissima; la sua vitalità è immediata e irresistibile: “non si stanca né si affanna”, “non dorme né sonnecchia” (Is 40,28; Sal 121,4). Dio è spirito, ossia forza e potenza senza confini. L’uomo invece è carne, cioè debolezza caduca, come l’erba che subito sfiorisce e dissecca o come la traccia effimera del volo di un uccello.
Questa potentissima energia di vita – è il secondo tratto – Dio non la mostra per poi nasconderla di nuovo, non la conserva gelosamente per sé, ma la mette a disposizione del popolo di Israele, perché il suo nome è YHWH, che significa: Io-sono-con-voi, e indica una presenza attenta e attiva, una benevolenza che vuole donarsi senza limiti e che, per questo, chiede un’accoglienza senza condizioni. Dio è salvatore, è “il” salvatore, perché il solo capace e il solo disposto a salvare l’uomo. Tutto il resto è nulla che riduce al nulla chi fonda la propria esistenza su di sé.
E, terzo, Dio è il santo: la sua santità apre dinanzi a lui un abisso per ogni creatura; nessuno può sostenere la sua vicinanza, il firmamento vacilla, le montagne si liquefanno e trema ogni carne. La santità di Dio dice la sua assoluta diversità rispetto all’uomo, la sua totale impenetrabilità agli assalti delle sue farneticanti presunzioni, ma l’uomo è sempre tentato di interpretarla in modo falso. Vi vede solo una distanza invalicabile alle sue povere forze, senza sospettare che essa è nello stesso tempo vicinanza e tenerezza: “Io sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non amo distruggere” (Os 11,9). Anche per la santità di Dio, come per ogni suo attributo, la chiave di lettura sta nel potere di dono e nella volontà di amore.
2. L’Antico Testamento rivela che Dio è il vivente, che è il salvatore, e che solo lui può esserlo, perché è santo: solo Dio è Dio! Gesù non è venuto a cambiare questa tradizione, ma a confermarla integralmente; nella più rigorosa fedeltà la porta a compimento e le conferisce un timbro di sconvolgente novità. “Dio nessuno l’ha visto mai; proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). Dove sta questa novità? Sta nel mostrare che Dio è il vivente, il salvatore, il santo, perché è essenzialmente e totalmente Amore: in lui, infatti, la volontà di amore non è un carattere tra i tanti, ma costituisce il segreto ultimo della sua più nascosta identità.
Dio è il vivente perché è Amore che genera vita, è il Padre, ci rivela Gesù. È Padre da sempre e per sempre: da sempre ha deciso di salvare il mondo attraverso il Figlio perché egli ha creato l’uomo per amore, “per avere qualcuno da amare” (s. Ireneo); ma non ha cominciato ad amare quando ha creato l’universo, perché dall’eternità ha generato il Figlio del suo amore. Gesù non si limita a ripetere ciò che Israele aveva sperimentato. Non ridice soltanto che Dio ha la tenerezza di un padre, ma rivela fino a che punto egli lo sia: manifestando nella paternità il tutto della sua identità. Padre non è un nome tra i tanti e neanche il primo che si attribuisce a Dio; è il suo nome proprio per eccellenza: perché egli è la pura gioia del donare senza riserve: “Dio (il Padre) ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”.
Questo Padre non ha nulla a che fare con le sue immagini deformate della cultura moderna: non soffoca la libertà, non preserva dalla fatica, non favorisce la passività. Piuttosto si deve constatare che, emarginando questo Dio-Padre, l’umanità occidentale anziché ritrovarsi adulta, ha finito per sentirsi orfana.
Inoltre – ci rivela Gesù – in Dio, oltre all’Amore che si dona, c’è anche l’Amore che accoglie e ridona: è l’Amore-Figlio. Infatti il Padre dona al Figlio tutto ciò che ha e tutto ciò che è: gli dona le parole da dire e le opere da compiere, l’amore per i fratelli fino alla morte, e la gloria della risurrezione. Perciò Gesù può dire in verità: “Chi ha visto me, ha visto il Padre… Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,9-11). Gesù – lo dice il suo nome – è “Dio-salva”, è il Salvatore che mostra fino a che punto il Padre ci ami, fino al punto da non risparmiarsi la vita del Figlio, ma da darlo per tutti noi.
In terzo luogo, Gesù si rivela come il Dio-Salvatore perché è stato consacrato con l’unzione del Santo: lo ha ricevuto dal Padre e lo ha donato agli uomini. Nello Spirito la santità di Dio rivela il suo volto più vero: quello di santificarci, di farci diventare figli, di farci gridare con lo stesso Spirito di Gesù: “Abbà Padre!”. La santità donataci dal Dio Santo plasma in noi un cuore filiale che ci fa rivolgere verso il Padre con profonda adorazione e gioiosa confidenza; ci fa vivere da fratelli verso tutti, anche coloro che ci fanno soffrire; ci fa camminare nella vita con fiducia e responsabilità e con il coraggio nelle prove.
3. Dio è il vivente, il salvatore, il santo: è Padre e Figlio e Spirito Santo. In quanto donazione gratuita, senza riserve, è il Padre; in quanto accoglienza grata e attiva è il Figlio; in quanto perfetta unità tra colui che dona e colui che accoglie è lo Spirito Santo. “Ecco sono tre: l’Amante, l’Amato, l’Amore”, affermava s. Agostino. Dio è Amore, e l’amore fonde le tre Persone senza confonderle; le distingue, ma non le separa; le pone nell’ordine della carità, ma non le subordina l’una alle altre. Le tre Persone sono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra: ecco le tre preposizioni trinitarie: con-per-in. Sono le tre preposizioni della spiritualità di comunione: vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con e per gli altri, gli uni negli altri. Come poteva dire Kant che la Trinità non ha nulla a che fare con la nostra storia?
La fede che ora professiamo fa zampillare la speranza che un giorno ci sarà dato di partecipare in piena luce alla comunione trinitaria e in questa santa eucaristia ci offre tutto l’amore che ci occorre come viatico per il nostro pellegrinaggio verso la patria. E la storia continua tra fatiche e dubbi, gioie e tribolazioni, ma è una storia d’amore, già vivificata, salvata, santificata dal Padre, che da sempre ci ha scelti e chiamati, e continua a guardarci e a custodirci, e fino all’ultimo giorno ci seguirà e inseguirà. Come afferma una bella preghiera di s. Anselmo: “Non ti ho visto mai, Signore mio Dio, né conosco il tuo volto… Sono stato fatto per vederti e non ho ancora realizzato ciò per cui sono stato fatto… Mi sia concesso di intravedere la tua luce almeno da lontano, almeno dal fondo della mia miseria. Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco, perché non ti posso cercare se tu non mi insegni, né trovare se tu non ti mostri. Possa cercarti nel mio desiderio e desiderarti nella mia ricerca. Ti possa trovare amandoti e, trovandoti, ti possa amare”.
Commento di mons. Francesco Lambiasi
tratto da « Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi »
http://vangelodelgiorno.blogspot.it/search/label/S.%20Beda%20Il%20Venerabile
MARCO 4,26-34. COMMENTO DI SAN BEDA IL VENERABILE (mf 25 maggio)
(non è il vangelo di oggi, ma siamo nell’anno delle letture di San Marco Evangelista)
In Marci evangelium expositio,I,4 PL 92,172-174.
L’uomo getta il chicco nel terreno, quando affida al suo cuore generose risoluzioni. Poi dorme, perché riposa già nella speranza di un’opera buona. Tuttavia, egli si alza di notte e di giorno, perché deve procedere in mezzo a circostanze felici o avverse.
Il seme germoglia e viene su senza che egli sappia come, giacché la virtù, una volta concepita, progredisce senza che sia possibile misurarne l’avanzamento.
La terra da se porta frutto, perché la grazia preveniente di Dio aiuta l’uomo a far spuntare buone opere.
La terra dapprima produce erba, poi la spiga, e infine il grano pieno nella spiga. L’erba rappresenta i teneri inizi del bene; la spiga significa che la virtù concepita nell’animo sta facendo progressi; il grano maturo vuoi dire che l’impianto della virtù è abbastanza robusto per compiere un lavoro consistente e accurato.
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Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura.
Allorché l’Onnipotente ha fatto maturare il grano, vale a dire quando dirige ognuno verso la sua perfezione, da mano alla falce, pronunziando il suo giudizio e mettendo termine alla vita mortale; poi miete per ammassare il frumento nei granai del cielo.
Quando concepiamo buoni desideri, gettiamo in terra il chicco; dando inizio al bene, siamo erba; crescendo nelle buone opere diventiamo spiga, e consolidandoci nella perfezione arriviamo ad essere la spiga turgida di chicchi.
Se dunque noti qualcuno ancora incerto nel bene, come grano in erba, non lo canzonare, perché in lui sta spuntando il frumento di Dio.Gesù dice ancora: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso e come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra. e il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra.
Il regno di Dio rappresenta la predicazione del vangelo e la conoscenza delle Scritture, che sono la via verso la vita. Gesù parlava di questo allorché affermò ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo: Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.1( Mt 21,43 ) Il Regno è perciò davvero simile a un granellino di senapa che il seminatore getta nel suo campo.
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Solitamente si dice che il seminatore della parabola raffigura Cristo Salvatore, perché egli semina la salvezza nell’anima dei fedeli. Un’altra interpretazione vede nel seminatore l’uomo stesso che getta il chicco nel terreno del suo cuore.
La nostra anima riceve il grano della predicazione, lo semina nel cuore, lo conserva in vita e lo fa moltiplicare grazie al calore della fede.
Questo seme è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra.
La predicazione del vangelo è la più modesta di tutte le dottrine filosofiche. Essa annunzia lo scandalo della croce, e in priorità insegna la fede nella morte e nella risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, uomo e Dio.
Se paragoni questa dottrina a quella dei filosofi, ai loro sistemi, al loro volumi, allo splendore dell’eloquenza e allo sfoggio di cultura dei loro discorsi, vedrai subito come il vangelo sia il più piccolo fra tutti i semi.
Eppure tutte quelle dottrine non hanno nulla di vivo, di concreto o di essenziale, ma si esauriscono facilmente, diventando flaccide e marce come ortaggi e verdure che avvizziscono e sono gettati via.
La predicazione evangelica, al contrario, pur sembrando minuscola in apertura, spuntando contemporaneamente nell’anima del fedele e nel mondo intero, non secca come l’erba ma cresce a misura di albero.
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Il chicco di senape, seminato in terra o nel campo del Signore, non da un ortaggio ma cresce e si trasforma in albero. Il suo sviluppo supera in altezza, dimensione e longevità tutte le piante ortofruttifere.
Lalbero della predicazione evangelica si pianta, elevando gli spiriti degli ascoltatori e facendo loro desiderare le realtà suprerme. Quest’albero stende lunghi rami, perché i predicatori annunziano il vangelo nel mondo intero. Esso eccelle per durata di vita, dato che la verità che i predicatori annunziano non avrà mai fine.
Sotto la sua ombra nidificano gli uccelli del cielo, perché le anime dei fedeli sono avvezze a volare verso l’alto con il desiderio e a fissare lassù il cuore, dimentiche di quello che passa, secondo questa parola del salmista: Sotto le sue ali troverai rifug io. 2 ( Sal 90,4 )
Lo stesso la sposa del Cantico dei cantici cioè la Chiesa, composta dalle anime dei santi proclama con fierezza: Alla sua ombra., cui anelavo mi siedo e dolce e il suo frutto al mio palato. 3 ( Ct 2,3 ) Cio significa in altri termini:
Abbandonando ogni consolazione, mi sono posta sotto la protezione di Dio che desideravo vedere. E’ tale l’allegrezza di vederlo e la sua presenza è cosi dolce al mio cuore che forzatamente devo disprezzare, anzi rigettare, tutto quello che non è l’amato.
PAPA FRANCESCO – BASTA UNA PAROLA (Gesù: «mai dialogare col diavolo»)
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE
Venerdì, 25 novembre 2016
(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.272, 26/11/2016)
Dio è sempre pronto a salvarci, sempre lì, come un padre, che aspetta solo che gli diciamo «Signore»: basta questa parola «e lui farà il resto», aiutandoci a evitare la superbia di cadere nella «dannazione eterna» per l’orgoglio di volersela «cavare da soli». Nella messa celebrata venerdì mattina, 25 novembre, nella cappella della Casa Santa Marta, Papa Francesco ha messo in guardia dalle «seduzioni del diavolo» e ha ricordato che «la dannazione eterna non è una sala di tortura» ma proprio il volersi «allontanare» da Dio dando ascolto, appunto, alle «bugie» del diavolo.
«Il regno di Dio è vicino, Gesù ci aveva detto che il regno di Dio è in mezzo a noi, ma si sviluppa e cammina verso la sua maturità, verso la sua fine», ha affermato il Papa, facendo subito notare che «la Chiesa, in questi due giorni ultimi dell’anno liturgico, oggi e domani, ci fa riflettere sull’ultima giornata del mondo, prima della fine o come sarà la fine nell’ultima giornata».
L’apostolo Giovanni, nella prima lettura tratta dal libro dell’Apocalisse (20, 1-4.11-21, 2), «ci parla del giudizio universale: tutti saremo giudicati». E «prima di tutto il diavolo, lui sarà il primo giudicato». C’è «quell’angelo», ha proseguito Francesco riferendosi al brano dell’Apocalisse, «che viene e afferrò il drago, il serpente antico, che è il diavolo e il Satana — chiaro, perché si capisca bene di chi sta parlando — e lo incatenò e lo gettò nell’abisso». Dunque, ecco «il diavolo, il serpente antico, incatenato perché non seducesse più le nazioni, perché lui è il seduttore».
Ma il diavolo, ha detto il Pontefice, è il seduttore «dall’inizio: pensiamo ad Adamo ed Eva, come ha incominciato a parlarle con quella voce dolce», dicendo che il frutto «è buono» da mangiare. È proprio quello della «seduzione» il suo linguaggio: «lui è un bugiardo; di più, è il padre della menzogna, lui genera menzogne, è un truffatore» ha affermato il Papa. Il diavolo «ti fa credere che se mangi questa mela sarai come un Dio; te la vende così, e tu la compri e alla fine ti truffa, ti inganna, ti rovina la vita».
A questo punto però occorre chiedersi «come possiamo fare noi per non lasciarci ingannare dal diavolo». L’atteggiamento giusto ce lo insegna proprio Gesù: «mai dialogare col diavolo». E infatti, ha spiegato Francesco, «cosa ha fatto Gesù col diavolo? Lo cacciava via, gli domandava il nome», ma non si metteva a fare «il dialogo». Si potrebbe obiettare che «nel deserto, nella tentazione, ci fu un dialogo»; ma, ha aggiunto il Papa, «badate bene, Gesù non ha mai usato una parola propria perché era ben consapevole del pericolo». E così «nelle risposte, nelle tre risposte che ha dato al diavolo, ha preso le parole dalla Bibbia, dalla parola di Dio: si è difeso con la parola di Dio». Così facendo, «Gesù ci dà l’esempio: mai dialogare con lui; non si può dialogare con questo bugiardo, con questo truffatore che cerca la nostra rovina». E, per questo, «il seduttore sarà gettato nell’abisso».
«La narrazione di Giovanni continua», ha spiegato il Pontefice riprendendo il filo del brano dell’Apocalisse. E così appaiono «le anime dei martiri, quelli che hanno dato testimonianza di Gesù Cristo e non hanno adorato la bestia — cioè il diavolo e i suoi seguaci — non hanno adorato il denaro, non hanno adorato la mondanità, non hanno adorato la vanità, non si sono immischiati nell’orgoglio». Sono «gli umili», che «hanno dato la vita pure per questo e per questo appaiono davanti». E poi ecco «il trono dove sarà il Signore a giudicarci: i vivi e i morti, grandi e piccoli in piedi davanti al trono». E quindi «i libri furono aperti», scrive ancora san Giovanni, perché «il giudizio incomincia: “I morti vennero giudicati secondo le loro opere in base a ciò che era scritto in quei libri”». Dunque, ha ribadito il Papa, «ognuno di noi sarà giudicato secondo le nostre opere».
E Giovanni prosegue ancora: «Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco». Si tratta di «quelli dannati». Il Papa ha voluto soffermarsi proprio su questa frase dell’Apocalisse: «Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco». In realtà, ha spiegato, «la dannazione eterna non è una sala di tortura, questa è una descrizione di questa seconda morte: è una morte». E «quelli che non saranno ricevuti nel regno di Dio — ha spiegato — è perché non si sono avvicinati al Signore: sono quelli che sono sempre andati per la loro strada, allontanandosi dal Signore e passano davanti al Signore e si allontanano da soli». Perciò «la dannazione eterna è questo allontanarsi continuamente da Dio, è il dolore più grande: un cuore insoddisfatto, un cuore che è stato fatto per trovare Dio ma per la superbia, per essere stato troppo sicuro di se stesso, si è allontanato da Dio».
Invece Gesù ha cercato di attrarre i superbi «con parole di mitezza» dicendo: «Vieni». E lo dice per perdonare. «Ma i superbi — ha proseguito Francesco — si allontanano, vanno per la loro strada e questa è la dannazione eterna: lontani per sempre dal Dio che dà la felicità, dal Dio che ci vuole tanto bene». In realtà «non sappiamo» se «sono tanti», ma «sappiamo soltanto che questa è la strada della dannazione eterna». L’allontanamento, dunque, è «il fuoco di non potersi avvicinare a Dio perché non voglio». È l’atteggiamento di coloro «che ogni volta che il Signore si avvicinava loro dicevano: “va’ via, me la cavo da solo”. E continuano a cavarsela da soli nell’eternità: questo è tragico».
Il passo dell’Apocalisse si conclude così: «E vidi il cielo, un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova». In queste parole, ha annotato il Papa, «c’è proprio la fine, la gioia finale, dove tutti saremo salvati se apriamo il nostro cuore alla salvezza di Gesù». Il Signore, infatti, «ci chiede soltanto questo: aprire il cuore».
Magari qualcuno potrebbe confidarsi e riconoscere: «Se lei, padre, sapesse le cose che ho fatto…». Ma «Gesù le sa», ha assicurato Francesco. Perciò, ha suggerito, «apri il cuore e lui perdona»; però «non andare per conto tuo, non andartene per la tua strada, lasciati carezzare da Gesù, lasciati perdonare». Basta «soltanto una parola, “Signore”, lui fa il resto, lui fa tutto». Invece «i superbi, gli orgogliosi, vanno per la loro strada e non riescono a dire parola, e l’unica parola che dicono è: “me la cavo da solo”». E «così finiscono nell’orgoglio e fanno tanto male nella vita». Ma per loro, ha insistito il Papa, tutto è iniziato proprio ascoltando e seguendo «le seduzioni del serpente antico, del diavolo, del bugiardo, del padre della menzogna».
In conclusione Francesco, anticipando la liturgia di sabato, ha annunciato: «Domani, ultimo giorno dell’anno liturgico, Gesù ci ammonirà» — come riporta Luca nel suo Vangelo (21, 34-26) — con queste parole: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita». In pratica Gesù ci dice: «Contemplate quello che vi aspetta, che il vostro cuore non si appesantisca con gli affanni e le preoccupazioni della vita; guardate avanti e abbiate speranza»: quella «speranza che apre i cuori all’incontro con Gesù». Proprio «questo ci aspetta, l’incontro con Gesù: è bello, è molto bello!». E «lui ci chiede soltanto di essere umili e di dire: “Signore”. Basterà quella parola e lui farà il resto».
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Vedere è ben più di guardare
don Marco Pedron
PENTECOSTE (ANNO B) – OMELIA MESSA DEL GIORNO
Oggi la chiesa celebra la festa di Pentecoste. Il centro delle letture non è, come al solito, il vangelo, ma la prima lettura dagli Atti degli Apostoli, in cui si racconta l’evento fisico della Pentecoste. Pentecoste è una parola greca e significa cinquantesimo giorno; si celebra cinquanta giorni dopo Pasqua.
Pasqua era anticamente la festa di primavera, Pentecoste l’inizio della raccolta del grano. Per gli ebrei Pasqua ricorda il passaggio del mar Rosso e Pentecoste i comandamenti sul Sinai. Per i cristiani, Pasqua è la resurrezione di Gesù, Pentecoste l’effusione dello Spirito. Gesù a Pasqua se ne va al cielo, ma a Pentecoste ritorna sotto un’altra forma: lo Spirito.
Per gli antichi cinquanta era il numero della pienezza di un tempo. A cinquant’anni a Roma, si era dispensati dal servizio militare. Ogni cinquant’anni c’era il giubileo (ebrei). Allora la Pentecoste, i cinquanta giorni, indicano che un tempo è finito: è giunto a compimento il tempo del Gesù terreno e delle sue apparizioni e si apre un nuovo tempo, il tempo dell’uomo, della Chiesa e dello Spirito.
Cosa sta succedendo? Gesù è morto e gli apostoli sono presi dalla paura: « Che accadrà adesso? ». Possiamo capire tutta la loro paura e i loro dubbi: « Gesù se ne è andato, è morto, cosa ne sarà di noi, adesso che il maestro, il nostro capo è morto? Gesù era Gesù, noi siamo noi: come possiamo pensare di continuare noi il suo messaggio? Gesù lo hanno ucciso: noi abbiamo paura. Faranno anche a noi ciò che hanno fatto a lui? ». Per loro questo è un momento di crisi forte, profonda, radicale, decisiva.
Quante volte ci troviamo in questa situazione. Sei dirigente di banca: lavoro sicuro, ben retribuito, bella posizione sociale. Ma il tuo hobby, il tuo desiderio profondo è fare il fotografo. Hai la possibilità di entrare in società con un amico fotografo. Che si fa?
Il tuo fidanzato vive in Toscana e tu sei del Veneto. Ti dice: « Ci sposiamo? ». Avresti anche la possibilità di farti spostare il lavoro lì e lo ami tanto, ma vuol dire lasciare tutti gli amici, la tua famiglia d’origine, le relazioni, tutto il tuo mondo. Che si fa?
Fra te e tua moglie non va male, vi capite, siete d’accordo sull’educazione dei figli, vi volete bene, ma c’è qualcosa che non gira, il fuoco dell’amore non s’accende, il rapporto tira avanti un po’ stancamente. Che c’è da fare?
Stai facendo la tua vita: il lavoro ce l’hai, la famiglia (moglie e figli) pure, gli amici anche, tutto sembra andare bene ma in realtà tu dentro sei spento e procedi per forza d’inerzia.
Vai in chiesa, rispetti le regole cristiane, sei generoso, ma non c’è slancio nella tua fede, non c’è passione; quando parli di Dio sembri un insegnante non un innamorato, perché?
Sei una brava persona (e in effetti lo sei davvero), rispettato, se puoi aiuti gli altri, sei presente in casa e con i figli, attento con tutte le persone, ma sei insoddisfatto perché senti che tu non sei proprio così. Che si fa?
Cosa è necessario in tutte queste situazioni? Cosa è successo agli apostoli?
Il giorno di Pentecoste per gli apostoli è stato un salto qualitativo, quantico. Da un livello di superficie sono passati ad un livello interno, dall’esteriorità sono passati all’interiorità, dalla dipendenza sono passati all’autonomia e alla libertà.
Parlavano una lingua che tutti capivano (2,8-11) perché erano entrati in contatto con il Dio dentro di sé. Prima Gesù era fuori: vi avevano vissuto insieme, avevano mangiato e parlato con lui. Ma adesso quel Gesù (Risorto) non era più fuori ma dentro (Spirito Santo), lo sentivano forte e chiaro, potente e presente.
Mentre prima vivevano nella paura di perderlo adesso sapevano benissimo che nessuno glielo poteva più togliere. Perché ciò che è dentro di noi non ci può essere sottratto. Prima Gesù era fuori (il Gesù storico), adesso è dentro (lo Spirito Santo).
Fu un passaggio che li sconvolse, che li rovesciò, che li mise in crisi.
Le due immagini « rombo come di vento » (2,2) e « fuoco che si divideva » (2,3) indicano un passaggio potente, destabilizzante, anche terribile all’inizio, in ogni caso così forte che poi non sarai mai più come prima.
Il vento indica un passaggio di libertà e di decisione: il vento spazza via, purifica, scompiglia e sconvolge, è un uragano che si abbatte (rombo), che ti libera da paure e dalla dipendenza dagli altri.
Il fuoco indica un salto di calore, di passione, un « essere preso », toccato nell’unicità di ciascun soggetto (ogni lingua assume la sua forma su ogni soggetto che scende). Questo salto qualitativo ti ha portato dall’essere freddo, insipido, al bruciare, al trovare senso e passione. Questo contatto con Dio in te ti ha permesso di individuarti, di trovare la tua forma e la tua unicità.
Solo così avvengono i grandi passaggi della vita: se non c’è Spirito, se non c’è vento e fuoco, non si va da nessuna parte!; non si possono fare le grandi scelte, non si può andare in tutto il mondo.
Il dirigente di banca: se non metti te prima della posizione sociale, non puoi fare nessun salto di vita. Se invece di osare e rischiare per fare quello che ti riscalda, preferisci la sicurezza e la stabilità, ti condanni a seguire un binario già fatto: sicuro ma non è il tuo. Ci vuole Spirito!
Il fidanzato in Toscana: se non fai un salto di fiducia e prendi questa decisione che sconvolgerà la tua vita, se non metti prima il fuoco dell’amore, se non segui il tuo cuore mettendo a tacere le voci della paura: « Ce la farò? Sarò in grado? E se poi finisce male? Sarò sola? », vivrai per tutta la vita con il rammarico di ciò che avrebbe potuto essere ma che per paura non è stato. Ci vuole Spirito!
Fra te e tua moglie: se non avviene un salto di relazione il rapporto si trascinerà negli anni. Un salto di relazione vuol dire che ciò che c’è dentro è la nostra forza: quindi scambiarci il nostro profondo e incontrarci nella nostra parte più interna (e per questo intima). Ma ci vuole Spirito, coraggio, apertura, per farlo!
L’andare in chiesa: se non avviene un salto di fede rimarrai un semplice esecutore di regole religiose (bambino nella fede). Il salto è che Dio non è una regola, un precetto, una formula, ma una persona di cui innamorarsi, che ti prende dentro, che diventa esempio e modello di energia, coraggio, forza, libertà, passione, per cui guardando il suo fuoco tu sprigioni il tuo fuoco. Questione di Fuoco!
Te stesso: se il coraggio della libertà e della decisione non ti portano a trovare la tua missione nella vita, il senso delle tue giornate, la strada del tuo destino, magari farai tante cose belle e buone, ma non ciò per cui tu esisti. Ci vuole lo Spirito della libertà che ti porta a seguire solamente la tua unica chiamata.
La festa di Pentecoste esprime la verità che Dio abita dentro di noi. Dio non è più presente fisicamente in mezzo a noi; Dio è presente con il suo Spirito. Quando noi sentiamo questa affermazione pur registrandola con la mente e sapendola ripetere a memoria, traduciamo così: « E cosa vuol dire tutto questo? Io non lo sento! Cos’è lo Spirito? ».
Se noi chiediamo alle persone cos’è lo Spirito, la maggior parte non saprà cosa rispondere. E se non sa rispondere è perché non lo conosce, non ne ha esperienza, non lo ha mai vissuto. Molti pensano che lo Spirito sia qualcosa che si aggiunge a quello che siamo. Quindi, ne posso fare anche a meno. Ma lo Spirito non è un di più, ma qualcosa che noi già siamo. Altri pensano che lo Spirito sia in contrasto con la materia – e non vi è cosa più erronea – per cui spirituale vuol dire disincarnato, fuori del mondo.
E quando pensano ad una persona spirituale si immaginano un monaco che vive quasi fuori dal mondo, solo pregando e che odia tutto ciò che c’è nel mondo. Queste persone potrebbero leggere un po’ di più del vangelo e osservare quanto materiale fosse Gesù, che mangiava, bevevo, faceva festa, si divertiva e toccava. E non si può dire che non fosse spirituale!
Lo Spirito non viene in noi un giorno della nostra vita ma abita già in noi. Lo Spirito non è nient’altro che il modo con cui Dio abita in noi. Ed essere spirituali non è pregare molto o fare cose religiose o frequentare la chiesa o fare pellegrinaggi. Essere spirituali vuol dire vivere facendo emergere ciò che ci abita dentro. E’ un modo di vivere.
Madre Teresa disse ad un giornalista: « Vede, io Dio lo vedo chiaramente. E’ qui in questo uomo che soffre o in quello lì, di quel letto lì, abbandonato da tutti. Dio è in me, Dio è in lei. Se lei non lo vede non è un affare mio. Per me la cosa è così evidente! ». Che cosa vedeva questa donna? Che occhi aveva per vedere Dio presente in ogni creatura?
Francesco vedeva Dio nell’acqua, nel sole, nella luna e perfino nella sorella morte. Che era pazzo? Era solo un romantico, un poeta? O aveva valicato la soglia della materia?
Gesù che guardava gli uccelli del cielo o i gigli del campo e affermava che neppure Salomone in tutta la sua ricchezza vestiva come loro: cosa vedeva? Era pazzo o aveva varcato la soglia della materia?
Quando Gesù proclamava le beatitudini e diceva beati i poveri, quelli che piangono, quelli che soffrono, era un pazzo? Chi vuole soffrire, chi vuole essere perseguitato, deriso o imprigionato? Nessuno che sia sano di mente! E allora, che cosa vedeva Gesù? Non è che avesse valicato la soglia dell’apparenza?
Einstein un giorno definì la formula E=mc2. Questa formula stabilisce che la materia è anche luce, spirito. Questa formula scientifica dice ciò che i mistici da sempre hanno vissuto migliaia di anni prima. Quando guardavano le persone, la natura ed ogni cosa, non vedevano la materialità, ma la luce, lo spirito che abitava in ogni cosa.
Tu guardi un sasso e dici: « Che pieno! ». Ma, invece, dentro è vuoto. Il 99% delle cose è fatto di vuoto. Se noi togliessimo il vuoto della materia, lo spazio che c’è tra gli atomi, la città di Milano sarebbe molto meno che una pallina da tennis. Tu prendi un sasso e dici: « Senti che duro, senti che resistenza ». Ma la resistenza non è data dalla materia ma dalle connessioni, dai rapporti che si instaurano tra i vari atomi del sasso. Tu prendi un sasso, lo guardi e dici: « Più materia di questa! ». Dipende con quali occhi lo guardi. Perché quel sasso lì è energia condensata. Se tu lo guardi con altri occhi, gli occhi dello spirito, è luce.
Tu sei seduto su di una sedia in questo momento. Indossi degli abiti e porti delle scarpe: più materia di questo! Ma ti sbagli perché tutto questo è energia condensata: così come il ghiaccio è acqua condensata, così la materia è energia condensata. Se tu entri dentro la materia della sedia e di ogni cosa, troverai degli atomi che ballano in maniera allucinante in un movimento frenetico. La sedia non è ferma, la sedia vive! La sedia dove sei seduto è materia, ma più dentro è energia.
La scienza non fa altro che rendere scientifico ciò che da sempre i mistici hanno saputo: tutto è al tempo stesso onda, energia o particella, materia. Ogni cosa è materia e spirito (luce, energia). Lo spirito si trova nell’unghia, nell’osso, nella pelle, in tutte le cose. Non c’è uno spirito dentro la materia. La materia è simultaneamente spirito e materia. Non esiste uno spirito distaccato dalla materia ma la materia stessa è spirito. Dipende da cosa vedi. Dipende se entri dentro o se rimani nell’apparenza. Ciò che vediamo è meno reale di quello che pensiamo.
Ora cosa centra tutto questo con la festa di Pentecoste di oggi? Centra eccome: lo Spirito abita ogni cosa, è ogni cosa. Tutto è spirito o tutto è materia e questo dipende solo da come tu guardi le cose. Si tratta di andare oltre le apparenze.
Gesù fu l’uomo del vedere dietro l’apparenza o dentro la realtà. Questa cosa Lui la chiamava « regno di Dio ». E lo diceva sempre: « Il regno di Dio non è il paradiso, ma è qui, oggi, adesso. Dipende dai tuoi occhi ». Gesù vedeva un fiore e vedeva Dio (vedeva la luce, lo spirito del fiore). Gesù vedeva gli uccelli del cielo ed esclamava: « Che meraviglia; chi può vestire come loro?; che liberi! ». Gesù vedeva i fatti di cronaca e vi vedeva dentro, leggeva la mano di Dio che insegnava. Gesù vedeva i sofferenti, i poveracci, le donne, e mentre tutti se ne stavano lontani, Lui li abbracciava, li incontrava, li baciava, li accarezzava e coglieva il loro desiderio e bisogno d’amore. Gesù vedeva i peccatori e mentre tutti si fermavano all’apparenza (« Siete peccatori, avete sbagliato, lontani da Dio! »), Lui andava dentro. Lui sapeva cogliere la luce che li abitava; Lui sapeva vedere la forza e il desiderio di vita che dormiva dentro di loro. Lui vedeva un pescatore qualsiasi e mentre la materialità diceva: « Uno che pensa solo ai soldi, al pesce e a vendere », Lui vi coglieva i desideri profondi del suo animo. Sulla croce era vicino ad un peccatore che aveva ucciso e mentre tutti vedevano il malfattore, Lui gli disse: « Oggi sarai con me in Paradiso ». Fu condannato a morte e mentre noi non proviamo che rabbia verso coloro che lo condannarono, Lui vide la luce che si nascondeva nel profondo delle loro tenebre: « Padre perdonali perché non sanno quello che fanno ». Gesù non vedeva tanto la materia; Gesù vedeva lo Spirito, la luce che c’è dentro ad ogni cosa.
Tuo figlio ha 15 anni, è nervoso, spesso ti risponde in malo modo ed è aggressivo. Puoi guardare alla materia, rimanere nella superficie e dire: « Tu così a tuo padre non rispondi. Io vado a lavorare per te (cosa che è vera, peraltro), fatico e porto a casa i soldi per i tuoi studi. Tu non mi rispetti ». Allora lui ci prova; ma non ci riuscirà. Tu ti sentirai incompreso e offeso; lui si sentirà incompreso e in colpa. Ma tu lo puoi guardare con gli occhi dello spirito: « Cosa c’è dietro tutto questo? Cosa sta vivendo per essere così? ». Forse non ce l’ha con te; forse sta tentando di muovere i suoi primi passi nella vita e ha molta paura. Forse nel suo animo c’è una confusione terribile e neppure lui sa chi è e cosa vuole. « Guarda meglio; guardalo dentro. La verità non è quello che sembra ».
Sei stata abusata da un tuo familiare. Questo ti ha creato un senso di vergogna e di indegnità enorme. Ti guardi allo specchio e ti fai schifo. Ti senti colpevole di ciò che è successo; anzi credi di essere stata proprio tu la causa (ma avevi solo tredici anni!). E nel profondo ti senti sempre con quest’onta. Se guardi alla materia, a ciò che è successo, non hai scampo. Ti terrai per te tutto questo, non lo dirai a nessuno, rimarrà il tuo segreto e per tutta la vita avrai la sensazione di essere sporca e indegna di vivere. Ma se tu riesci ad entrare dentro potrai trovare la luce. Tu sei ancora degna di vivere; questo dolore non ha cancellato la tua bellezza profonda, quella che Dio vede. Tu sei ancora pura e vergine ai suoi occhi. Se tu riesci, tra dolore e lacrime, ad andare oltre, tu puoi ritrovare la luce. Tu puoi trasformare la dura realtà e accedere al tuo spirito, alla tua parte incontaminata, quella che sta oltre l’esterno e i fatti della vita.
Ogni mattina passi davanti ad un albero secolare. E’ lì da tanto tempo, prima di te e forse lo sarà per tanto tempo dopo di te. Ma tu non ti sei mai reso conto che c’è, non ti sei mai fermato a guardarlo, non ti sei mai seduto alla sua ombra, non lo hai mai visto realmente. Per te è solo legno, non ti sei mai fermato a pregare ai suoi piedi e non hai mai imparato da lui. Non cogli il suo spirito, non riesci a penetrarlo, non riesci ad accedere alla luce che contiene.
Hai un sacco di cose da fare – ti dici -, ma non ti chiedi mai perché sei sempre così irrequieto, nervoso? Nel fondo sei sempre insoddisfatto e mai pienamente felice. Poi te la racconti che « bisogna accontentarsi », « che è così per tutti », ma la verità è che c’è qualcosa che non và. Ma tu continui a correre, a fare, a produrre, e così continui a rimanere nell’ordine della materia. Non puoi accedere allo spirito che c’è in ogni cosa. Non puoi vedere il divino che si nasconde dentro le persone e la vita stessa.
Perché sbatti le porte così forte? Perché urli sempre quando parli? Perché sei sempre arrabbiato? Perché non c’è luce nel tuo volto? Perché non sai esprimere un sentimento che sia uno? Perché se puoi « fregare » gli altri lo fai? Perché non sai sorridere? Perché non sai dire « grazie »? Perché non sai pregare?
Ciò che è tremendo della nostra società è l’incapacità di essere spirituale. E’ una vera disabilità. Il segno evidente della nostra malattia è: « Quanto costa? Quanti soldi? Quanti soldi servono? ».
Un altro segno eclatante è l’espressione: « Io, io ». « Io faccio così; se non ci fossi io; ti dico io cosa fare; io di qua, io di là; parlo io; io so; io non ho bisogno ».
Quando non mando mio figlio ad una festa di compleanno del suo amichetto perché mi vergogno di non potergli fare il regalo (tutti glielo fanno), io ho perso lo spirito della festa. Sto costruendo un figlio materialista. « Ma sarà più importante la presenza umana che il regalo! ». Sto mettendo prima la materia all’anima.
Quando giudico o valuto le persone in base al vestito; quando ammiro le auto e le case della gente, invidiandole; quando il mio unico pensiero è il conto in banca; quando il lavoro viene prima di ogni cosa; quando tutto viene monetizzato: « Quanto costa? »; quando « una mano lava l’altra », cioè che io aiuto te solo se tu aiuti me, sono materia.
Materia è il pane della domenica sull’altare. Spirito è quando io vedo in quel pane, il Pane, il Cristo. Materia è quando vedo nel mio collega o in una persona solo uno che rompe i miei piani, uno che scoccia, uno che mi dà fastidio. Spirito è quando inizio a vedere uno che soffre, uno che ha un cuore e un’anima. Materia è quando vedo di fronte al nuovo giorno solo un altro giorno di lavoro. Spirito è quando posso vedere un’altra opportunità che mi viene data per sperimentare la vita. Materia è quando qualcosa mi fa innervosire. Spirito è quando inizio a chiedermi il perché, che cosa devo imparare o che cosa devo cambiare del mio comportamento o del mio modo di pensare. Materia è quando guardo una donna e voglio possedere il suo corpo. Spirito è quando inizio a percepire che quella donna è una creatura, con un cuore che batte e che pulsa. Materia è mangiare, spirito è gustare. Materia è respirare (avviene in automatico), spirito è essere consapevoli del respiro (non a caso ruah, spirito, in ebraico vuol dire anche soffio). Materia è udire il canto degli uccelli, spirito è ascoltare il canto degli uccelli. La stessa vita può essere terribilmente materiale o terribilmente spirituale, piena di buio o di luce. Tutto può essere materia o tutto può essere spirito, dipende dai miei occhi.
Un ladro un giorno andò dal maestro: « Che cosa vuoi? », gli disse il maestro. « Mi servono le tue cose preziose ». « Bene », disse il maestro, « prenditele pure, ma non so se ti serviranno ». Dopo alcuni mesi tornò e si prese i suoi libri. Passati alcuni mesi si prese tutti i suoi libri. Infine tornò e si prese quel che rimaneva della casa del maestro. Dopo alcuni mesi ancora tornò di nuovo e disse al maestro: « Maestro non hai più niente da darmi? ». « No, amico perché per quanto io ti dia è il tuo spirito che è malato. Ciò che cerchi non è materiale; tu cerchi qualcosa che nessuno ti può dare ».
Pensiero della settimana
Puoi uscire perché ci sei entrato,
puoi andare perché sei restato,
puoi lasciare perché hai amato,
puoi morire perché hai vissuto.