Archive pour février, 2018

Quaresima 2018

lenten time -Carême

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BENEDETTO XVI – MEDITAZIONE SUL SIGNIFICATO DEL TEMPO QUARESIMALE (2006)

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BENEDETTO XVI – MEDITAZIONE SUL SIGNIFICATO DEL TEMPO QUARESIMALE (2006)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì delle Ceneri, 1° marzo 2006

Cari Fratelli e Sorelle,

Inizia oggi, con la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri, l’itinerario quaresimale di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, cuore del mistero della nostra salvezza. Questo è un tempo favorevole in cui la Chiesa invita i cristiani a prendere più viva consapevolezza dell’opera redentrice di Cristo e a vivere con più profondità il proprio Battesimo. In effetti, in questo periodo liturgico il Popolo di Dio fin dai primi tempi si nutre con abbondanza della Parola di Dio per rafforzarsi nella fede, ripercorrendo l’intera storia della creazione e della redenzione.
Nella sua durata di quaranta giorni, la Quaresima possiede un’indubbia forza evocativa. Essa intende infatti richiamare alcuni tra gli eventi che hanno scandito la vita e la storia dell’Antico Israele, riproponendone anche a noi il valore paradigmatico: pensiamo, ad esempio, ai quaranta giorni del diluvio universale, che sfociarono nel patto di alleanza sancito da Dio con Noè, e così con l’umanità, e ai quaranta giorni di permanenza di Mosè sul Monte Sinai, cui fece seguito il dono delle tavole della Legge. Il periodo quaresimale vuole invitarci soprattutto a rivivere con Gesù i quaranta giorni da Lui trascorsi nel deserto, pregando e digiunando, prima di intraprendere la sua missione pubblica. Anche noi quest’oggi intraprendiamo un cammino di riflessione e di preghiera con tutti i cristiani del mondo per dirigerci spiritualmente verso il Calvario, meditando i misteri centrali della fede. Ci prepareremo così a sperimentare, dopo il mistero della Croce, la gioia della Pasqua di risurrezione.
Si compie oggi, in tutte le comunità parrocchiali, un gesto austero e simbolico: l’imposizione delle ceneri, e questo rito viene accompagnato da due pregnanti formule, che costituiscono un pressante appello a riconoscersi peccatori e a ritornare a Dio. La prima formula dice: « Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai » (cfr Gn 3,19). Queste parole, tratte dal libro della Genesi, evocano la condizione umana posta sotto il segno della caducità e del limite, e intendono spingerci a riporre ogni speranza soltanto in Dio. La seconda formula si rifà alle parole pronunciate da Gesù all’inizio del suo ministero itinerante: « Convertitevi e credete al Vangelo » (Mc 1,15). È un invito a porre come fondamento del rinnovamento personale e comunitario l’adesione ferma e fiduciosa al Vangelo. La vita del cristiano è vita di fede, fondata sulla Parola di Dio e da essa nutrita. Nelle prove della vita e in ogni tentazione il segreto della vittoria sta nel dare ascolto alla Parola di verità e nel rifiutare con decisione la menzogna e il male. Questo è il vero e centrale programma del tempo della Quaresima: ascoltare la parola di verità, vivere, parlare e fare la verità, rifiutare la menzogna che avvelena l’umanità ed è la porta di tutti i mali. Urge pertanto riascoltare, in questi quaranta giorni, il Vangelo, la parola del Signore, parola di verità, perché in ogni cristiano, in ognuno di noi, si rafforzi la coscienza della verità a lui donata, a noi donata, perché la viva e se ne faccia testimone. La Quaresima a questo ci stimola, a lasciar penetrare la nostra vita dalla Parola di Dio e a conoscere così la verità fondamentale: chi siamo, da dove veniamo, dove dobbiamo andare, qual è la strada da prendere nella vita. E così il periodo della Quaresima ci offre un percorso ascetico e liturgico che, mentre ci aiuta ad aprire gli occhi sulla nostra debolezza, ci fa aprire il cuore all’amore misericordioso di Cristo.
Il cammino quaresimale, avvicinandoci a Dio, ci permette di guardare con occhi nuovi ai fratelli ed alle loro necessità. Chi comincia a vedere Dio, a guardare il volto di Cristo, vede con altri occhi anche il fratello, scopre il fratello, il suo bene, il suo male, le sue necessità. Per questo la Quaresima, come ascolto della verità, è momento favorevole per convertirsi all’amore, perché la verità profonda, la verità di Dio è nello stesso tempo amore. Convertendoci alla verità di Dio, ci dobbiamo necessariamente convertire all’amore. Un amore che sappia fare proprio l’atteggiamento di compassione e di misericordia del Signore, come ho voluto ricordare nel Messaggio per la Quaresima, che ha per tema le parole evangeliche: « Gesù, vedendo le folle, ne provò compassione » (Mt 9,36). Consapevole della propria missione nel mondo, la Chiesa non cessa di proclamare l’amore misericordioso di Cristo, che continua a volgere lo sguardo commosso sugli uomini e sui popoli d’ogni tempo. « Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell’umanità – ho scritto nel citato Messaggio quaresimale -, l’indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo « sguardo di Cristo ». Il digiuno e l’elemosina, che, insieme con la preghiera, la Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono occasione propizia per conformarci a quello « sguardo »" (L’Oss. Rom. 1 febbraio 2006, p. 5), allo sguardo di Cristo, e vedere noi stessi, l’umanità, gli altri con questo suo sguardo. Con questo spirito entriamo nel clima austero ed orante della Quaresima, che è proprio un clima di amore per il fratello.
Siano giorni di riflessione e di intensa preghiera, in cui ci lasciamo guidare dalla Parola di Dio, che abbondantemente la liturgia ci propone. La Quaresima sia, inoltre, un tempo di digiuno, di penitenza e di vigilanza su noi stessi, persuasi che la lotta al peccato non termina mai, poiché la tentazione è realtà d’ogni giorno e la fragilità e l’illusione sono esperienze di tutti. La Quaresima sia, infine, attraverso l’elemosina, il fare del bene agli altri, occasione di sincera condivisione dei doni ricevuti con i fratelli e di attenzione ai bisogni dei più poveri e abbandonati. In questo itinerario penitenziale ci accompagni Maria, la Madre del Redentore, che è maestra di ascolto e di fedele adesione a Dio. La Vergine Santissima ci aiuti ad arrivare, purificati e rinnovati nella mente e nello spirito, a celebrare il grande mistero della Pasqua di Cristo. Con questi sentimenti, auguro a tutti una buona e fruttuosa Quaresima.

Gesù purifica il lebbroso

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Publié dans:immagini sacre |on 9 février, 2018 |Pas de commentaires »

1 FEBBRAIO 2018 – 6A DOMENICA / TEMPO ORDINARIO – B | LETTURE – OMELIE

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1 FEBBRAIO 2018 – 6A DOMENICA / TEMPO ORDINARIO – B | LETTURE – OMELIE

Per cominciare
Gesù guarisce un lebbroso, superando le disposizioni della legge ebraica. È spinto da misericordia verso di lui, ma con questo miracolo straordinario dà anche un segno inequivocabile di essere il messia che tutti attendevano.

La Parola di Dio
Levitico 13,1-2.45-46. L’antico libro del Levitico traccia una linea di comportamento igienico-sanitario nei confronti degli ammalati di lebbra. Disposizioni severissime per la paura che incuteva questa terribile malattia.
1 Corinzi 10,31?11,1. Paolo, a proposito della proibizione di mangiare le carni offerte agli idoli, afferma che ogni cristiano deve sentirsi libero di fronte a obblighi o a proibizioni come queste. Ma invita a farlo senza scandalizzare nessuno.
Marco 1,40-45. Marco prosegue nel racconto dei miracoli di Gesù. Questa volta si tratta di un lebbroso. Gesù non ne ha paura, non lo tiene lontano e lo tratta con vera misericordia, guarendolo

Riflettere…
o Il brano del vangelo ci presenta un altro tassello di Marco, che nei primi capitoli ci fa conoscere Gesù. Si tratta di un nuovo miracolo. Come dicevamo domenica scorsa, un terzo del vangelo di Marco presenta racconti di miracoli. I vangeli domenicali ce ne proporranno altri nelle prossime domeniche.
o Ci viene presentato qui per la prima volta la guarigione di un lebbroso da parte di Gesù. A quel tempo la lebbra era una malattia spaventosa: escludeva dalla possibilità di vivere in città, e ogni lebbroso, vedendo la sua carne spaventosamente mangiata dalla malattia, era indotto a comportarsi come se fosse ormai morto.
o Oltre al resto da lebbra veniva assimilata a una condizione di peccato. Dicevano: o ha peccato lui, oppure qualcuno della sua famiglia.
o Inaspettatamente, la bella notizia dell’arrivo di Gesù e del suo messaggio d’amore arriva anche tra un gruppo di lebbrosi.
o Uno di loro ha il coraggio di avvicinarsi alla comitiva che accompagna Gesù. Gesù non lo allontana, come imporrebbe la legge, ma si avvicina a lui e lo tocca, diventando lui stesso immondo. Supera la legge, interpretandola con misericordia.
o Di fronte al lebbroso, Gesù è mosso da compassione, forse per la durezza della legge, forse per l’orrore che ha provato di fronte allo sfacelo del corpo di quel povero sventurato.
o Secondo il vangelo di Matteo, Gesù, a chi gli chiede a nome di Giovanni Battista se « è lui colui che deve venire », elenca tra le caratteristiche che possono confermare che egli è il messia che « vengono purificati i lebbrosi » (Mt 11,5).
o Gesù manda il lebbroso dai sacerdoti perché confermino la sua guarigione. In questo caso Gesù rispetta la legge e ne riconosce la validità. Era infatti indispensabile per restituire piena dignità sociale a questo lebbroso ormai guarito.
o Il racconto è caratterizzato da uno straordinario clima di normalità. I maghi e i guaritori sono spesso dei ciarlatani: più si parla di loro, meglio è. Non così per Gesù, che si comporterà sempre con estrema semplicità. E dirà sempre di non divulgare il miracolo appena avvenuto. La stessa risurrezione, il miracolo più grande che ha coinvolto lo stesso Gesù, avverrà nel silenzio della notte. Al contrario di come spesso viene rappresentata la risurrezione dagli artisti in dipinti anche celebri.
o È la famosa questione del cosiddetto « segreto messianico ». Gesù-messia non vuole essere scambiato per un guaritore, né dare adito con il suo comportamento a un messianismo di tipo politico-temporale. Ma, come sappiamo, quel lebbroso, come un morto che ritorna alla vita, allontanandosi si mette a divulgare il fatto.
o Nella seconda lettura, Paolo invita i Corinzi a sentirsi liberi di fronte alle carni immolate agli idoli. Ma così come il brano ci viene proposto, sembra esortare tutti ad apprezzare la vita, con le cose belle e le molte occasioni di gioia che ci offre. E a ringraziare Dio, rendendogli gloria nella vita di ogni giorno.

Attualizzare
* Oggi ci viene proposto un comportamento di Gesù decisamente controcorrente. Non teme di avvicinarsi al lebbroso, anzi di toccarlo e di guarirlo, uscendo in questo modo allo scoperto. Tanto è vero che non riuscirà più a difendersi dalla folla e dovrà ritirarsi in luoghi solitari, come dice il vangelo di Marco
* Il lebbroso si inginocchia davanti a Gesù, gli fa vedere le proprie piaghe, la sua situazione di estremo bisogno e viene guarito.
aQuello di Gesù, che lo guarisce, è il gesto misericordioso di Dio, del nostro Creatore che si piega sulle sofferenze umane, che si rivela schierato sempre dalla parte dell’uomo e delle sue debolezze.
* Il lebbroso supplica Gesù in ginocchio e gli dice: « Se vuoi, vuoi purificarmi ». C’è in questo racconto evangelico anche un significato simbolico per i cristiani della prima ora che si preparavano al battesimo, e per i cristiani di ogni tempo. La lebbra, che è simbolo di morte e di peccato, può essere vinta. Gesù ci guarisce dal nostro peccato, dalla lebbra dei nostri peccati.
* Non si può oggi parlare di lebbra e non ricordare alcuni eroi che si sono distinti nell’occuparsi di questi ammalati. Ricordiamo Padre Damiano, ora proclamato santo, i salesiani don Michele Unia e il beato Luigi Variara, il giornalista francese Raoul Follereau.
* Nel 1873 il medico e sacerdote belga padre Damiano (al secolo Jozef de Veuster), a 33 anni sbarcò nell’isola di Molokai, nelle Hawaii, dove si occupò dei lebbrosi, morendo lui stesso di lebbra nel 1889. È stato proclamato santo da papa benedetto XVI nel 2009.
* Don Michele Unia (1895) e don Luigi Variara (+ 1923) portarono solidarietà, gioia e musica tra i lebbrosi di Agua de Dios, in Colombia, tra difficoltà di ogni genere, tra cui l’emarginazione da parte dei loro stessi confratelli, che ne temevano il contagio. Il beato Luigi Variara fondò anche una congregazione di suore lebbrose, che non potevano essere accolte dalle altre congregazioni.
* Il francese Raoul Follereau (1903-1977) si servì del suo mestiere di giornalista per far conoscere al mondo la situazione dei lebbrosi e per chiamare le grandi potenze a interventi di solidarietà. Ad Eisenhower, presidente Usa, e a Malenkov, presidente russo, chiese l’equivalente di un bombardiere B12. « Ne avete una quantità sterminata », scrisse. « Con il costo di due bombardieri potrei curare tutti i lebbrosi del mondo ».
* La lebbra oggi in gran parte è una malattia del passato, anche se c’è chi dice che i lebbrosi nel mondo dovrebbero essere ancora almeno venti milioni, con circa duemila nuovi casi al giorno. Ma non è una malattia più contagiosa di altre, e per guarire bastano medicine di pochi euro.
* Uno dei principali problemi che si presentano alla guarigione è il loro reinserimento nella società, specialmente in Asia, dove c’è ancora chi pensa che la malattia sia legata a una maledizione divina. In Cina i governanti affermano falsamente di non avere più lebbrosi, mentre li costringono all’emarginazione più assoluta. Si rifiutano di registrare i loro figli sani al momento della nascita e li isolano lontano dai centri abitati.
aCi sono associazioni che aiutano i lebbrosi costruendo per loro casette, avviandoli al lavoro, dando loro animali da allevamento (capre, pecore, mucche), macchine da cucire per le donne, ecc.
* Come tutti sanno, nelle civiltà occidentali è scomparsa la lebbra, ma sono comparse molte altre malattie che creano emarginazione sociale, come l’aids o l’alzheimer. A differenza del passato probabilmente alcune malattie sono dovute all’imprudenza, all’immoralità, alla leggerezza. Ma ogni cristiano è chiamato a un comportamento solidale, a condividere la sofferenza umana e a vincere l’emarginazione, così come ha fatto Gesù.

Il beato Federico Albert
Nel 1854 Federico Albert assiste e ospita in casa sua un coleroso, un pizzicagnolo che da un lontano mercato ritornava a casa sua a Groscavallo. Si era sentito male nella regione Colombara presso Lanzo Torinese e si era lasciato cadere sotto un gelso. Nessuno osava avvicinarsi a lui. Fu avvisato un parroco, che non volle occuparsene, fu poi chiamato quello di Lanzo, Federico Albert, che se lo caricò e lo mise nella sua stanza, nel suo letto, fino a quando il poveretto non morì. Federico Albert era stato cappellano di corte presso i Savoia a Torino e aveva predicato i primi esercizi spirituali per i ragazzi di Don Bosco a Valdocco.

La preghiera di Raoul Follereau

Signore,
insegnaci a non amare noi stessi,
a non amare soltanto i nostri,
a non amare soltanto quelli che amiamo.
Insegnaci a pensare agli altri
e ad amare in primo luogo quelli che nessuno ama.
Signore,
facci soffrire delle sofferenze altrui,
facci la grazia di capire che, ad ogni istante,
mentre noi viviamo una vita troppo felice,
protetta da te,
ci sono milioni di esseri umani,
che sono pure tuoi figli e nostri fratelli,
che muoiono di fame,
senza aver meritato di morire di fame,
che muoiono di freddo,
senza aver meritato di morire di freddo.
Signore,
abbi pietà di tutti i poveri del mondo!
Abbi pietà dei lebbrosi,
ai quali tu così spesso hai sorriso
quand’eri su questa terra,
pietà dei milioni dei lebbrosi
che tendono verso la tua misericordia
le mani senza vita, le braccia senza mani.
E perdona noi di averli,
per una irragionevole paura, abbandonati.
E non permettere più,
Signore,
che noi viviamo felici da soli.
Facci sentire l’angoscia della miseria universale,
e liberaci da noi stessi. Così sia

Fonte autorizzata in: Umberto DE VANNA

Gesù nell’orto degli ulivi

pens e itgesù nel giardino degli ulivi - Copia

Publié dans:immagini sacre |on 7 février, 2018 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – LA SANTA MESSA – 9. LITURGIA DELLA PAROLA. II. VANGELO E OMELIA

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PAPA FRANCESCO – LA SANTA MESSA – 9. LITURGIA DELLA PAROLA. II. VANGELO E OMELIA

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI

Mercoledì, 7 febbraio 2018

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Continuiamo con le catechesi sulla Santa Messa. Eravamo arrivati alle Letture.

Il dialogo tra Dio e il suo popolo, sviluppato nella Liturgia della Parola della Messa, raggiunge il culmine nella proclamazione del Vangelo. Lo precede il canto dell’Alleluia – oppure, in Quaresima, un’altra acclamazione – con cui «l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo».[1] Come i misteri di Cristo illuminano l’intera rivelazione biblica, così, nella Liturgia della Parola, il Vangelo costituisce la luce per comprendere il senso dei testi biblici che lo precedono, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. In effetti, «di tutta la Scrittura, come di tutta la celebrazione liturgica, Cristo è il centro e la pienezza».[2] Sempre al centro c’è Gesù Cristo, sempre.
Perciò la stessa liturgia distingue il Vangelo dalle altre letture e lo circonda di particolare onore e venerazione.[3] Infatti, la sua lettura è riservata al ministro ordinato, che termina baciando il libro; ci si pone in ascolto in piedi e si traccia un segno di croce in fronte, sulla bocca e sul petto; i ceri e l’incenso onorano Cristo che, mediante la lettura evangelica, fa risuonare la sua efficace parola. Da questi segni l’assemblea riconosce la presenza di Cristo che le rivolge la “buona notizia” che converte e trasforma. E’ un discorso diretto quello che avviene, come attestano le acclamazioni con cui si risponde alla proclamazione: «Gloria a te, o Signore» e «Lode a te, o Cristo». Noi ci alziamo per ascoltare il Vangelo: è Cristo che ci parla, lì. E per questo noi stiamo attenti, perché è un colloquio diretto. E’ il Signore che ci parla.
Dunque, nella Messa non leggiamo il Vangelo per sapere come sono andate le cose, ma ascoltiamo il Vangelo per prendere coscienza che ciò che Gesù ha fatto e detto una volta; e quella Parola è viva, la Parola di Gesù che è nel Vangelo è viva e arriva al mio cuore. Per questo ascoltare il Vangelo è tanto importante, col cuore aperto, perché è Parola viva. Scrive sant’Agostino che «la bocca di Cristo è il Vangelo. Lui regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra».[4] Se è vero che nella liturgia «Cristo annunzia ancora il Vangelo»,[5] ne consegue che, partecipando alla Messa, dobbiamo dargli una risposta. Noi ascoltiamo il Vangelo e dobbiamo dare una risposta nella nostra vita.
Per far giungere il suo messaggio, Cristo si serve anche della parola del sacerdote che, dopo il Vangelo, tiene l’omelia.[6] Raccomandata vivamente dal Concilio Vaticano II come parte della stessa liturgia,[7] l’omelia non è un discorso di circostanza – neppure una catechesi come questa che sto facendo adesso -, né una conferenza neppure una lezione, l’omelia è un’altra cosa. Cosa è l’omelia? E’ «un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo»,[8] affinché trovi compimento nella vita. L’esegesi autentica del Vangelo è la nostra vita santa! La parola del Signore termina la sua corsa facendosi carne in noi, traducendosi in opere, come è avvenuto in Maria e nei Santi. Ricordate quello che ho detto l’ultima volta, la Parola del Signore entra dalle orecchie, arriva al cuore e va alle mani, alle opere buone. E anche l’omelia segue la Parola del Signore e fa anche questo percorso per aiutarci affinché la Parola del Signore arrivi alle mani, passando per il cuore.
Ho già trattato l’argomento dell’omelia nell’Esortazione Evangelii gaudium, dove ricordavo che il contesto liturgico «esige che la predicazione orienti l’assemblea, e anche il predicatore, verso una comunione con Cristo nell’Eucaristia che trasformi la vita».[9]
Chi tiene l’omelia deve compiere bene il suo ministero – colui che predica, il sacerdote o il diacono o il vescovo -, offrendo un reale servizio a tutti coloro che partecipano alla Messa, ma anche quanti l’ascoltano devono fare la loro parte. Anzitutto prestando debita attenzione, assumendo cioè le giuste disposizioni interiori, senza pretese soggettive, sapendo che ogni predicatore ha pregi e limiti. Se a volte c’è motivo di annoiarsi per l’omelia lunga o non centrata o incomprensibile, altre volte è invece il pregiudizio a fare da ostacolo. E chi fa l’omelia deve essere conscio che non sta facendo una cosa propria, sta predicando, dando voce a Gesù, sta predicando la Parola di Gesù. E l’omelia deve essere ben preparata, deve essere breve, breve! Mi diceva un sacerdote che una volta era andato in un’altra città dove abitavano i genitori e il papà gli aveva detto: “Tu sai, sono contento, perché con i miei amici abbiamo trovato una chiesa dove si fa la Messa senza omelia!”. E quante volte noi vediamo che nell’omelia alcuni si addormentano, altri chiacchierano o escono fuori a fumare una sigaretta… Per questo, per favore, che sia breve, l’omelia, ma che sia ben preparata. E come si prepara un’omelia, cari sacerdoti, diaconi, vescovi? Come si prepara? Con la preghiera, con lo studio della Parola di Dio e facendo una sintesi chiara e breve, non deve andare oltre i 10 minuti, per favore. Concludendo possiamo dire che nella Liturgia della Parola, attraverso il Vangelo e l’omelia, Dio dialoga con il suo popolo, il quale lo ascolta con attenzione e venerazione e, allo stesso tempo, lo riconosce presente e operante. Se, dunque, ci mettiamo in ascolto della “buona notizia”, da essa saremo convertiti e trasformati, pertanto capaci di cambiare noi stessi e il mondo. Perché? Perché la Buona Notizia, la Parola di Dio entra dalle orecchie, va al cuore e arriva alle mani per fare delle opere buone.

 

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Publié dans:immagini sacre |on 5 février, 2018 |Pas de commentaires »

ANGELI: FIGURE SOVRUMANE, MA NON DIVINE – Gianfranco Ravasi

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ANGELI: FIGURE SOVRUMANE, MA NON DIVINE – Gianfranco Ravasi

« Puer natus est nobis » (Isaia 9,5)

Nel calendario liturgico il 2 ottobre reca la memoria degli Angeli custodi, una celebrazione piuttosto recente all’interno della liturgia cattolica (l’introduzione nel calendario romano ha la data del 1615). Pochi giorni prima, il 29 settembre, si è avuta invece la festa degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele: la data fu scelta sulla base dell’antico martirologio del VI secolo che in quel giorno commemorava la dedicazione, avvenuta nel V secolo, di una basilica in onore di san Michele sulla via Sala­ria a Roma. Ecco, noi vorremmo, in modo molto sintetico, illustrare questa figura biblica di forte rilievo e dai contorni piuttosto variegati.
Infatti, dalla prima pagina della Bibbia con i «Cherubini dalla fiamma della spada folgorante», posti a guardia del giardino dell’Eden (Gen 3,24) fino alla folla angelica che popola l’Apocalisse, le Sacre Scritture sono animate dalla presenza di queste figure sovrumane ma non divine, la cui realtà era nota anche alle culture circostanti a Israele, sia pure con moda­lità differenti. Il nome stesso ebraico, mal’ak, e greco, ànghelos, ne denota la funzione: significa, infatti, “messaggero”. Da qui si riesce a intuire la missione e, per usare un’espressione del filosofo Massimo Cacciari, la “necessità” (L’angelo necessario è il titolo di una sua opera) di questa figura biblica, affermata ripetutamente dalla tradizione giudaica e cristiana, confermata dal magistero della Chiesa nei documenti conciliari (a partire dal Credo di Nicea del IV secolo) e papali e accolta nella liturgia e nella pietà popolare. Il compito dell’angelo è sostanzialmente quello di salvaguardare la trascendenza di Dio, ossia il suo essere misterioso e “altro” rispetto al mondo e alla storia, ma al tempo stesso di renderlo vicino a noi comunicando la sua parola e la sua azione, proprio come fa il “messaggero”. E per questo che in alcuni casi l’angelo nella Bibbia sembra quasi ritirarsi per lasciare spazio a Dio che entra in scena direttamente. Così nel racconto del roveto ardente ad apparire a Mosè tra quelle fiamme è innanzitutto “l’angelo del Signore”, ma subito dopo è «Dio che chiama dal roveto: Mosè, Mosè!» (cf Esodo 3,2-4). La funzione dell’angelo è, quindi, quella di rendere quasi visibili e percepibili in modo mediato la volontà, l’amore e la giustizia di Dio, come si legge nel Salterio: «L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva. [...] Il Signore darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi; sulle loro mani ti porteranno, perché non inciampi nella pietra il tuo piede» (34,8; 91,11-12). Si ha qui l’immagine tradizionale dell”’angelo custode”, bene raffigurata nell’angelo Azaria­Raffaele del libro di Tobia. Il compito dell’angelo è, quindi, quello del mediatore tra l’infinito di Dio e il finito dell’uomo e questa funzione la espleta anche per il Cristo. Come scriveva il teologo Hans Urs von Balthasar, «gli angeli circondano l’intera vita di Gesù, appaiono nel presepe come splendore della discesa di Dio in mezzo a noi; riappaiono nella risurrezione e nell’ascensione come splendore della ascesa in Dio». La loro è ancora una volta la missione di mettersi vicini all’umanità per svelare il mistero della gloria divina presente in Cristo in un modo che non ci accechi come sarebbe con la luce divina diretta. L’angelo è un segno dell’Unico che dev’essere adorato, Dio; è solo un indice puntato verso l’unico mistero, quello divino; è un mediatore al servizio dell’unico perfetto Mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Signore: «A quale degli angeli — si chiede la Lettera agli Ebrei (1,5) — Dio ha detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato?»
È, quindi, pericolosa la deriva cui ha condotto il movimento di New Age con l’immissione di elementi magico-esoterici e di “misteriose presenze” nella concezione degli angeli. L’angelo può, infatti, per questa via sconfinare parados­salmente in demonio. Il tema della caduta degli angeli, in verità, è molto caro alla tradizione giudaica e cristiana soprattutto popolare, ma ha una presenza solo allusiva nella Bibbia: ad esempio, c’è la Lettera di Giuda che parla di «angeli che non conservarono lo loro dignità ma lasciarono la propria dimora» (v. 6); oppure ci si può riferire alla Seconda Lettera di Pietro che presenta «gli angeli che avevano peccato, precipitati negli abissi tenebrosi dell’inferno» (2,4). Ciò che è netta è l’affermazione biblica della presenza oscura di Satana che cerca proprio di spezzare quel dialogo di vita e di amore tra Dio e l’umanità che l’angelo, invece, favorisce e sostiene.
Gianfranco Ravasi, Angeli: figure sovrumane, ma non divine in Vita Pastorale, periodici S. Paolo n. 10/2006 p. 56

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Marco 1, 29-39, Gesù guarisce molti

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Publié dans:immagini sacre |on 2 février, 2018 |Pas de commentaires »

04 FEBBRAIO 2018 – 5A DOMENICA / TEMPO ORDINARIO – B | LETTURE – OMELIE

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04 FEBBRAIO 2018 – 5A DOMENICA / TEMPO ORDINARIO – B | LETTURE – OMELIE

5a Domenica – Tempo Ordinario Ba

Per cominciare
Le letture di questa domenica presentano praticamente più di un tema. Quello della sofferenza, a cui Gesù risponde con i miracoli (qui in particolare guarisce la suocera di Pietro); il tema dell’evangelizzazione, a cui si sente chiamato Paolo, ma che ha in Gesù un modello perfetto. Infine, volendo, vi è anche il tema della preghiera: Gesù assediato dalla folla si ritira in disparte per incontrarsi a tu per tu con il Padre. La preghiera è fondamentale, sia per accettare e capire il senso della sofferenza, sia per caricarsi in vista della predicazione.

La Parola di Dio
Giobbe 7,1-4.6.7. Giobbe è un uomo diventato quasi il simbolo dell’uomo che soffre, dell’uomo schiacciato dal dolore. Si lamenta con Dio per quanto gli sta capitando. Non sopporta più le notti insonni, i giorni che passano senza speranza, e prega che il Signore della vita gli usi misericordia e gli venga in aiuto.
1 Corinzi 9,16-19.22-23. Paolo afferma di essere soprattutto un predicatore, un annunciatore del vangelo, ma questo non lo inorgoglisce, perché ne sente l’obbligo. È questo infatti l’incarico che gli è stato affidato dal Signore. E proclama di predicare il vangelo gratuitamente, con la massima disponibilità, facendosi servo di tutti, pur di « salvare a ogni costo qualcuno ».
Marco 1,29-39. L’evangelista Marco descrive una giornata di Gesù. Prima va in sinagoga, poi resta ospite a casa di Pietro e Andrea. Qui guarisce la suocera di Pietro e trascorre il pomeriggio con loro. A sera vengono tantissimi ammalati per essere guariti. All’alba del giorno dopo, quando è ancora buio, Gesù cerca un posto deserto per pregare. Cercato dagli apostoli, parte con loro per annunciare il vangelo in altri paesi.

Riflettere…
o La prima lettura presenta il lamento di Giobbe. Giobbe è il simbolo di chi si trova improvvisamente assalito dalla malattia e dalla sofferenza. La malattia, soprattutto quella grave, rende relativa la vita dell’uomo. Fa capire che la nostra esistenza è appesa a un filo, che tutto è provvisorio. Dice Giobbe: « La vita è un soffio ». Tra le tante definizioni, questa sembra la più pessimistica, ma esprime tutta la brevità e l’inconsistenza del nostro esistere su questa terra. « I giorni scorrono più veloci di una spola ».
o Il vangelo presenta quasi una risposta a tanto pessimismo. Una parola di speranza espressa nei gesti di Gesù che compie miracoli. Un terzo del vangelo di Marco presenta miracoli. I vangeli domenicali dell’anno B ce li presentano fino alla nona domenica. Ma spesso si sospende prima, per l’inizio della quaresima.
o Questo brano di vangelo sembra presentarci una giornata tipo di Gesù. Egli passa dalla sinagoga alla casa di Pietro e Andrea. Guarisce la suocera di Pietro e incontra una folla di ammalati, anzi, « tutti » gli ammalati e gli indemoniati della città, dice il vangelo. È così diffusa la malattia! Gesù ne guarisce molti. Gesù è pieno di misericordia. Lo si vede qui e in tante altre circostanze in cui non riesce per così dire a frenare la sua compassione per l’uomo e la donna che soffrono.
o Gesù ci viene raccontato come un pastore zelante e infaticabile. La sua giornata è intensissima. Ma alla sera si ritira in un luogo deserto e passa la notte in preghiera. Cercato dagli apostoli, andrà altrove, ancora una volta in cammino. Essere sempre di passaggio da una località all’altra, così ama vedere Gesù il vangelo di Marco.
o Gesù guarisce in particolare la suocera di Pietro. Le si avvicina, la solleva prendendola per mano. È una scena piena di umanità. Un rabbino non si sarebbe mai degnato di accostarsi a una donna e di prenderla per mano. Anche il fatto stesso di fermarsi a casa di Simone è un gesto singolarmente umano.
o Gesù però non è un medico o un mago e tutti i suoi gesti sono orientati alla scopo di suscitare la fede. Come predica, così fa miracoli. Ma non vuole strappare la nostra fede con i miracoli e obbligarci a credere. Quando qualcuno gli chiederà un miracolo per poter credere in lui con certezza, o volendo metterlo alla prova, Gesù rifiuterà: « Non gli sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona », dirà, facendo riferimento al più grande dei miracoli, quello della sua risurrezione (Mt 12,39).
o Il breve brano di vangelo in poche righe traccia in modo efficace la fisionomia di Gesù: un uomo che annuncia, guarisce e prega. Senza mai perdere la propria identità.
o È in qualche modo una giornata « trionfale » per Gesù, e avrebbe potuto lasciarsi prendere dall’entusiasmo. Invece appena può si ritira a pregare. Durante il giorno è stato preso dall’incontro con gli uomini, a contatto con la sofferenza e la malattia; di notte si incontra con il Padre e ? non c’è dubbio ? presenta al Padre le sofferenze dell’uomo.
o Gesù è all’inizio della sua vita pubblica, ma è già il grande evangelizzatore. Lo fa con la sua vita e la sua parola, ma anche con i suoi miracoli, che rendono presente la bontà e la misericordia di Dio sulle sofferenze umane

Attualizzare
* Dobbiamo anzitutto toglierci due idee sbagliate, ma molto diffuse: la prima, che se stiamo male è per un castigo di Dio, o perché Dio non ci ama; la seconda, che sia facile avere fede quando si è ammalati. Perché non è così. Anzi, la malattia è una tentazione proprio contro la bontà di Dio. Non per niente, c’è un sacramento specifico per trovare la forza di sopportare la malattia grave.
* Il senso della sofferenza ci sfugge. Ogni sofferenza è un invito a imparare ad amare, a scoprire la solidarietà. I miracoli di Gesù sono un appello a metterci a servizio dell’uomo, a mettere le risorse della scienza e la medicina a servizio dell’amore, anche se può sembrare utopistico.
* Del resto i tentativi di comprendere il dolore e la sofferenza si rivelano fallimentari anche per i cristiani. Non si può che tacere, come farà Giobbe di fronte al mistero del suo dolore. Sapendo che Dio è dalla nostra parte, perché vede la nostra sofferenza; in Gesù l’ha condivisa e l’ha salvata.
* La malattia ci rivela nella nostra piccolezza e fragilità. Pone interrogativi angoscianti sul senso della vita e del dolore. Ma la malattia aiuta anche ciascuno a entrare in se stesso, a vivere in modo meno superficiale, a dare un senso ai suoi giorni.
* Anche la certezza della possibilità del miracolo collegato a una precisa richiesta da parte di qualcuno non ci tranquillizza. È certo che a volte le leggi della natura sembrano prendere un corso diverso: pensiamo alla canonizzazione dei santi, per i quali è richiesto un fenomeno « miracoloso », umanamente inspiegabile.
* Noi infatti di fronte a un grave problema o a una malattia che non si risolve con l’aiuto dei medici, passiamo ordinariamente attraverso questi atteggiamenti: ci abbandoniamo con fiducia alla preghiera, nella speranza di ottenere il miracolo, lo aspettiamo, confidiamo di risolvere con l’intervento straordinario di Dio il nostro problema; poi ci diciamo: perché ad alcuni sì, e a noi no? Infine spesso nasce la delusione: Dio non mi ascolta quando prego e gli chiedo qualcosa.
* Ma anche i bambini a catechismo sanno che le nostre preghiere sono certamente ascoltate, forano il cielo, ottengono l’aiuto di Dio. Ma non sempre la risposta è automaticamente quella che noi vorremmo. E si deve lasciare a Dio di intervenire e di operare ciò che è meglio per noi: « Sia fatta la tua volontà ». È stata questa anche la preghiera di Gesù al Getsemani.
* Quanto alla preghiera di Gesù, egli anche in altre circostanze si alza prestissimo e si raccoglie in preghiera quando è ancora buio, in un luogo solitario. Sappiamo che la preghiera è di grande aiuto per comprendere il significato delle nostre sofferenze, ma anche per avere la forza e l’entusiasmo di portare il vangelo ai nostri fratelli. Tutto questo è detto per noi. Se Gesù ha avuto bisogno della preghiera, è grave che noi di fatto ne facciamo così facilmente a meno. Qui si parla di preghiera vera, personale, di un dialogo intimo con il Padre.
* Tanti cristiani fanno solo l’esperienza della preghiera biascicata e di domanda, oppure si lasciano smuovere solo dallo straordinario, per il quale sono disposti ad affrontare anche lunghi viaggi e pesanti disagi. Mentre per la preghiera del cuore, quella che alimenta la fede quotidiana e attinge alla parola di Dio, il tempo non lo si trova facilmente.
* E poi c’è la predicazione. Quella di Paolo e degli apostoli, quella di Gesù. Egli predica dove c’è la gente: nella sinagoga, all’aperto, nelle piazze. Il mistero dell’incarnazione, cioè il fatto che Dio si è fatto uomo ? « parola » ? per incontrarci e parlarci, ci dice che la predicazione è parte integrante del messaggio cristiano. Non la si può lasciare ad altri o sperare che Dio in qualche modo parli all’animo della gente. Se tiriamo alle estreme conseguenze questo ragionamento, Gesù non avrebbe avuto bisogno di farsi uomo, e la parola di farsi carne.
* È questo il senso delle parole di Paolo, il significato del suo zelo missionario, la sua riconoscenza per essere stato chiamato a essere servitore della parola. Paolo è diventato veramente un uomo nuovo, ha un fuoco dentro ed è pieno di passione per il vangelo. Ci ricorda che annunciare il vangelo è una conseguenza dell’essersi incontrati con Cristo.
* Dicevamo che nella parola di Dio di quest’oggi viene tracciato un identikit di Gesù, ma in realtà anche del cristiano. Solidale e amorevolmente vicino a chi soffre; contemplativo anche all’interno della propria attività, annunciatore del vangelo: così è il cristiano, che non interrompe il passaparola ricevuto dagli apostoli e continua sull’oggi la predicazione di Gesù.

Comincia a guardarti a fondo
« Ti casca addosso una malattia e da un giorno all’altro devi fare i conti con l’inattività anche se breve, con la sofferenza anche se limitata, con la morte, anche se apparentemente lontana. Diventi un oggetto anziché un soggetto, una « cosa » gestita da altri, un « paziente », anche se poco paziente. E allora cominci – se prima non lo hai mai fatto – a esaminarti a fondo, magari senza saperlo, dalla prospettiva di Dio » (Italio Alighiero Chiusano).

Dio soffre con noi
« Il Dio vivo è un Dio nomade che cammina con i diseredati della Terra. Come diceva l’amico Turoldo, forse « anche Dio è infelice », soffre con noi, con i perdenti della Storia. È il Dio che ha viscere di donna, viscere materne, che è toccato dalla sofferenza di Wangoi, di Njeri, di Minoo. È il Dio crocifisso, il Dio impotente. Sto forse bestemmiando? Ma anche Gesù ha bestemmiato nella sua vita: « Bestemmia », dicevano i sacerdoti; e Lui, sulla croce: « Dio mio, perché mi hai abbandonato? »" (Alex Zanotelli).

« Leggi ciò che è scritto qui! »
Rabbi Mendel soleva dire che tutti gli uomini che gli avevano chiesto di pregare Dio per loro gli passavano nella mente quando diceva la tacita preghiera delle Diciotto Benedizioni (preghiera che si recita tre volte al giorno stando in piedi). Un giorno un tale si stupì che ciò fosse possibile, poiché il tempo non bastava certo. Rabbi Mendel rispose: « Una traccia della pena di ognuno rimane incisa nel mio cuore. Nell’ora delle preghiera io apro il mio cuore e dico: Signore del mondo, leggi ciò che è scritto qui! » (Martin Buber).

Fonte autorizzata in: Umberto DE VANNA:

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