http://www.naiot.it/LaParolaFile/AAVV/il_valore_del_perdono.htm
Una riflessione sul valore del perdono
FINO A SETTANTA VOLTE SETTE
Molte delle nostre relazioni (in famiglia, sul lavoro, nella chiesa) soffrono momenti di tensione e conoscono anche il dramma della loro rottura, a causa della nostra incapacità a perdonare. Questo è particolarmente grave per noi cristiani, perché sappiamo bene che la relazione che Dio ha stabilito con noi si basa proprio sul perdono. Non essere disposti a perdonare o ad accettare il perdono significa aver perso di vista il fatto che “Dio ci ha perdonati in Cristo”. Ma, oltre che a perdonare gli altri, Dio ci ricorda anche l’importanza di perdonare noi stessi: chi non riesce a perdonare sé stesso cade nella depressione e finisce con il distruggere la sua vita.
Introduzione
Ad un consulente matrimoniale fu chiesto quale fosse l’argomento più utilizzato per aiutare una coppia in crisi o sull’orlo del divorzio.
La risposta mi ha piacevolmente sorpreso:
”Parlo con loro sul significato del perdono. Molte coppie si accorgono di non aver compreso cosa realmente sia. Altre pur comprendendone il senso ammettono di non averlo mai praticato. Alcuni dicono di aver perdonato e poi scoprono che non è veramente così. Altri affermano di non avere nulla da farsi perdonare, ma non ho mai conosciuto nessuno che, in un rapporto di coppia, non avesse qualcosa da farsi perdonare. Poi ci sono gli irriducibili, da loro sento frasi del tipo – non lo perdonerò mai dopo tutto quello che mi ha fatto!- oppure – chiedergli perdono? Non l’avrà mai questa soddisfazione.- Di solito è questo tipo di persone che decidono successivamente di divorziare.”
Tutti riconosciamo l’importanza del perdono e la sua necessità in determinati momenti della vita. Il perdono costruisce i ponti più lunghi del mondo, esso è capace di unire sponde lontane, di superare voragini profonde, di mettere in comunicazione persone e luoghi fino allora isolati.
Il perdono può cambiare la geografia della nostra vita.
Tuttavia, al momento opportuno, dimostriamo di non averne ben capito il significato. Anche perché forse la parola perdono è andata in disuso, è diventata arcaica, poco usata nel nostro linguaggio. Si preferisce sostituirla con “scusa”, “mi dispiace”, “non volevo”, “non lo fatto a posta” e così via. Così facendo si rischia non solo di sostituire una parola con un’altra, ma anche di perderne il significato originale.
Proviamo a dare una definizione di perdono.
Perdono è l’atto del perdonare (questa e le altre definizioni sono tratte dal Dizionario Treccani della Lingua Italiana).
Questo non ci dice molto, però ci avverte che il perdono riguarda un’azione, significa fare qualcosa. La domanda da farsi è allora: “Che cosa è perdonare?”.
Se consultate uno o più vocabolari vi accorgerete che molteplici sono i significati e le definizioni che si attribuiscono al verbo perdonare (una parola contenitore).
• Non considerare il male ricevuto;
• rinunciare a qualsiasi rivalsa;
• reprimere e vincere il sentimento di rancore o d’ira verso chi ci ha danneggiato;
• annullare ogni risentimento verso l’autore del danno o dell’offesa;
• rinunciare alla punizione che si potrebbe dare per la colpa.
Considerando queste definizioni mi sono detto che, se il perdono significa tutte queste cose, allora è difficile realizzarlo pienamente e realmente.
Difatti esso non è un atto formale che si gioca sull’uso di frasi fatte, ma sostanziale, dove c’è qualcuno disposto a chiedere perdono senza accampare scuse e dove c’è qualcun altro pronto a concederlo senza condizioni.
Perdonare non è far finta di niente, al contrario vuol dire essere consapevoli dello sbaglio e non lasciare che questo rovini i rapporti con il nostro fratello o sorella, vicino, collega, amico ecc.
La Bibbia è il libro del perdono
Quando parliamo di perdono non possiamo non riferirci alla Bibbia. Per alcuni questo è il libro del peccato e dei giudizi di Dio. Spesso è descritto come la maggiore fonte di tabù che sia mai stata concepita. Eppure qualunque parte di questo libro considerate esso vi porta in un’unica direzione e ad una sola conclusione: lo scopo di Dio è quello di perdonare (Gv 3:16).
L’Evangelo, la buona notizia che ha permesso al cristianesimo di esplodere nell’Impero Romano nonostante la morte del suo fondatore, è stato l’annuncio del perdono di Dio (la grazia), in un mondo governato dall’odio e dalla legge del più forte.
Oggi come allora le persone hanno bisogno del vero perdono, anche chi non crede ne comprende l’importanza al fine di rendere le relazioni umane stabili e durature.
La Bibbia ci dice che il bisogno di perdono affligge gli uomini a causa della loro natura peccaminosa, che tende al male, a ferire, spesso in modo inconsapevole. Ciò provoca un malessere di fondo che molti hanno cercato di esprimere e di spiegare. Dice Paolo: ”…il male che non voglio, quello faccio…misero me…” (Ro 17:16) Ecco perché Dio ha rivelato la legge del perdono (leggi Romani 3:21-24).
Questa legge è superiore a quella dei comandamenti, perché è impossibile, a causa del peccato, obbedire a tutti i comandamenti, perciò quello che era impossibile realizzare attraverso l’applicazione delle regole e stato realizzato con il perdono.
E se Dio ha avuto bisogno del perdono dei peccati per ritornare a parlare al cuore dell’uomo, tanto più ne abbiamo bisogno noi nelle nostre relazioni umane.
Perciò dobbiamo ammettere che spesso le nostre azioni feriscono e rovinano il rapporto con le persone a noi più care (moglie, marito, figli, parenti, amici, colleghi ecc.) che diciamo d’amare e rispettare.
Solo il perdono può ristabilire relazioni ormai compromesse, esso ci permette di ripartire, di eliminare ostacoli fino ad allora insormontabili, di creare un nuovo rapporto, proprio come Dio fa con noi: “… rimetti a noi i nostri debiti come…”
Differenza tra misericordia e perdono
Siamo capaci di perdonare?
Qual è la prima cosa che pensiamo quando subiamo un grave torto?
Che facciamo quando subiamo un torto sempre dalla stessa persona?
Abbiamo già detto che il perdono non è un gesto istintivo, ma è spesso la soluzione estrema che non sempre si realizza. La Bibbia ci informa che c’è una condizione mentale che precede il perdono, essa è chiamata misericordia.
Leggevo l’intervista fatta ad un noto industriale sequestrato e poi liberato dopo un lungo periodo di prigionia, qualche anno fa, dopo aver pagato un ingente riscatto. Egli affermava di perdonare i suoi rapitori e aggiungeva che per lui era una necessità, per poter dimenticare le sofferenze e le violenze di quei giorni, per ritornare ad avere una pace interiore, senza farsi consumare dall’odio.
Si tratta di vero perdono?
Quando Gesù era sulla croce disse: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”(Lu 23:33); così dicendo Gesù intendeva perdonare a tutti gli effetti i suoi carnefici ?
Attenzione!! Non confondiamo l’essere misericordiosi con il perdonare. La misericordia è unilaterale e non richiede la partecipazione dell’altro. La misericordia ci libera dal rancore, dall’ira e dall’odio per il torto subito, ma il perdono è un’altra cosa.
La misericordia precede sempre il perdono. Si tratta di un atteggiamento del nostro pensiero, un sentimento che ci spinge a perdonare anche se le circostanze ci spingono a fare il contrario.
Spesso nella Bibbia troviamo misericordia e perdono usati come sinonimi perché, in realtà, dall’uno discende l’altro, ma è fondamentale coglierne la distinzione.
Da chi impariamo ad essere misericordiosi?
• “Io sono un Dio misericordioso” (Es 22:27).
• “Il Signore è pieno di compassione e di misericordia” (Gm 5:11).
• “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lu 6:36).
Il Dio della Bibbia ci insegna cosa vuol dire essere misericordiosi.
Non significa perdonare sempre e in ogni caso.
Non significa tollerare il peccato.
Non significa non giudicare o non far rispettare le regole.
Significa essere pronti a sospendere il giudizio, il giusto castigo, se vi è un segno di pentimento e di ravvedimento. Dire che Dio è misericordioso e perciò perdonerà tutti significa non aver capito il senso di questa qualità di Dio, che dovrebbe essere anche la nostra.
Andate su un qualsiasi vocabolario e leggete la definizione di misericordia:
“Sentimento di pietà e di comprensione che spinge al perdono”.
La misericordia ci spinge verso il perdono, ci predispone, ci prepara, ci fa comprendere ed amare colui che perdoneremo, ci libera dall’odio e dal rancore.
Quando la Bibbia ci dice di amare i nostri nemici o di volgere l’altra guancia, non vuol dire che dobbiamo perdonare sempre e in ogni caso (siamo forse migliori di Dio?), ma che dobbiamo usare misericordia, non rispondere al male con altro male, essere pronti a incontrare il nostro nemico se c’è in lui uno spiraglio di pentimento per quello che ci ha fatto o un desiderio di riconciliarsi con noi: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro”. Guardate coloro che vi fanno del male come Gesù guardò dalla croce i suoi carnefici. Se impariamo a guardare così allora si realizzerà il vero perdono.
“Al Signore, che è il nostro Dio appartengono la misericordia e il perdono…” (Da 9:9).
Perciò non confondiamo le due cose, perché ciò potrebbe creare in noi l’idea che il misericordioso è uno che perdona sempre, che passa sulle cose sbagliate facendo finta di niente, un debole, che non sa far rispettare le regole.
Cosa accadrebbe se un genitore facesse capire al proprio figlio che qualunque cosa farà sarà sempre perdonato, senza subire il giusto castigo? Semplice, avremo un figlio che fa quello che vuole, giusto o sbagliato che sia e terrà in scarsa o nessuna considerazione il parere dei suoi genitori.
Un genitore misericordioso sarà pronto a perdonare il proprio figlio, ma non prima di averlo educato al rispetto delle regole attraverso la disciplina. Pur castigando a malincuore il proprio figlio egli non rinuncia ad amarlo, perché il fine ultimo della misericordia è far comprendere la gravità del peccato. Non è una questione di severità o di avere una educazione rigida.
Gesù accusava i farisei di trascurare le cose “…gravi della legge: il giudizio, la misericordia e la fede” (Mt 23:23) e in Osea 12:7 leggiamo: “…pratica la misericordia e la giustizia”.
Cos’è che rende possibili la giustizia e il perdono, cose in contraddizione fra loro? La misericordia.
Essa si nutre di verità e di giustizia, ma sa vedere all’orizzonte il perdono. Non è forse ciò che Dio ci mostra nella Sua Parola? “Poiché il Signore non ripudia in perpetuo; ma, se affligge, ha altresì compassione, secondo la moltitudine delle Sue benignità; giacché non è volentieri ch’Egli umilia ed affligge i figlioli degli uomini” (La 3:31-33).
Il vero perdono
Abbiamo compreso due aspetti importanti del perdono. Primo non è qualcosa di consueto che facciamo volentieri, secondo bisogna essere misericordiosi, cioè preparati, predisposti a perdonare.
Le Scritture ci dicono con semplicità e chiarezza quando si realizza il perdono:
“Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” 1Gv 1:9).
Secondo voi è più facile perdonare o essere perdonato? È più facile dimenticare, non considerare il torto subito, o riconoscersi colpevole e dire: Sono io che ho sbagliato!”. Entrambe sono situazioni nelle quali non vorremmo mai venirci a trovare. Entrambe richiedono umiltà e onestà.
Alcuni aspetti pratici possono chiarire meglio il senso di quanto si è detto.
• Se devi chiedere perdono.
Sappi che il vero perdono nasce da una confessione, dal riconoscimento della propria colpa, da un ravvedimento, un pentimento, dal desiderio di non voler più ripetere quello sbaglio. Il vero perdono si realizza quando sentiamo nel nostro cuore il bisogno di riconquistare la stima e l’affetto perduto a causa del nostro sbaglio. Per fare questo la Bibbia ci dice che dobbiamo confessare, non c’è un’altra possibilità. Spesso ci capita di partire decisi verso l’altro per chiedergli perdono, ma ci portiamo dietro bagagli carichi di giustificazioni. Senza rendercene conto forniamo a noi stessi una bella scusa per il nostro comportamento. Non “inganniamo noi stessi” con scuse più o meno valide, perché questo ci priverà di quella che è spesso l’unica soluzione possibile a sbagli ed errori non più rimediabili. Ricordiamoci che il Signore stesso ha condizionato il perdono dei peccati a un “se” e non sta a noi scegliere delle strade alternative per sperimentare il vero perdono.
• Se devi perdonare.
Se ti trovi dalla parte di chi ha subito il torto ricordati che non sei tu a decidere il tipo di confessione che farà chi ti ha danneggiato. Non sta a te giudicare se il pentimento è vero o falso. Spesso ci capita di pensare che le parole che l’altro ha usato per chiedere perdono sono insufficienti: “Avrebbe dovuto almeno dire che…”. Altre volte non ci basta la confessione, vogliamo vedere la persona umiliata: “Ti perdono però non pensare di cavartela così”.
Spesso, e questo accade frequentemente tra persone che vivono insieme, il torto che subiamo è sempre lo stesso e quella persona che ce lo fa torna ripetutamente da noi a chiederci perdono. Ci sembra quasi di essere presi in giro, ma ricordiamo allora quello che Gesù ci dice: “Badate a voi stessi! Se tuo fratello pecca, riprendilo e se si ravvede, perdonalo. Se ha peccato contro di te sette volte al giorno e sette volte ritorna da te e ti dice: – Mi pento – Perdonalo” (Lu 17:3-4).
Quando c’è un segno, una parola che ci indica pentimento non dobbiamo esitare, non perdiamo l’occasione, perdoniamo! Gesù disse al suo discepolo di perdonare anche “sette volte nello stesso giorno” e, se questo poteva essere un limite, troviamo Gesù che dice allo stesso discepolo “… fino a settanta volte sette” (Mt 18:21-22).
Proviamo a riflettere sulla parabola del figlio prodigo (Lu 15:11-32) e rispondiamo a queste domande:
In che cosa peccò il figlio prodigo?
Come si manifesta il suo pentimento?
In quali comportamenti vediamo la misericordia del padre?
Quando e come si realizza il perdono?
Perché il fratello maggiore non ebbe la stessa reazione del padre?
Il perdono non ha limiti. Quando c’è il pentimento e la confessione del peccato, Dio perdona sempre.
E noi? Abbiamo ancora qualche dubbio in merito?
Forse sì…
Perdonatevi gli uni gli altri
Le parole tendono spesso a semplificare, e dobbiamo ammettere che ci sono situazioni nelle quali e difficile stabilire chi ha commesso il torto e chi l’ha subito. In certe situazioni intricate ed equivoche sembra che tutti abbiano una buona dose di ragione e di torto nello stesso tempo. Questo si verifica a tutti i livelli: sul lavoro, per strada, fra amici, nella chiesa, anche e non raramente tra marito e moglie.
Provate a tirare un elastico dalle estremità. Esso pian piano si tenderà fino al suo punto di rottura e poi si spezzerà. I rapporti umani sono qualcosa di simile. A volte ci sentiamo molto vicini all’altro, altre volte errori e circostanze della vita ci allontanano, cosi la vita di relazione diventa come un elastico che si tende e si allenta. In certi momenti la tensione può salire fino a raggiunge un punto di rottura e “l’elastico” del nostro rapporto si spezza. Ma quando si spezza un elastico ha senso stabilire chi ha tirato di più? Tanto chi è rimasto fermo sulla sua posizione, mantenendo l’elastico, che colui che lo ha tirato dall’altro lato, hanno contribuito a far aumentare la tensione fino al punto di rottura. Entrambi sono responsabili, anche se ognuno ha avuto un comportamento diverso.
Quando una relazione si spezza è difficile, a meno di evidenti ed indiscutibili torti (es. adulterio, violenza fisica, furto, menzogna ecc.), stabilire chi perdona e chi deve essere perdonato.
Allora pensate alle parole della Bibbia:
“Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate invece benevoli misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Ef 4:31-32).
Non si dice qui di fare finta di niente; difatti per confessare gli uni gli altri occorre che ognuno valuti i propri comportamenti per cercare ciò che può aver ferito l’altro. Si crea cosi uno scambio di colpe e la relazione riparte anche se in un modo doloroso, ma se siamo pronti, se la misericordia di Dio ci ha preparati allora non sarà difficile perdonarci a vicenda, riabbracciarci, condividere nuovamente la stima e l’affetto che ci univano.
Ricordo nitidamente in un Campo biblico del sud Italia, una decina di anni fa, un fratello relatore proveniente dall’estero, che nel bel mezzo di un’avvincente incontro, di cui conservo ancora gli appunti, si mise a criticare giustamente le parole di un canto, con il risultato di umiliare pesantemente, davanti a tutti, chi ce lo aveva proposto. Un campione quanto alla conoscenza biblica, un dilettante quanto alla misericordia.
Per quanto valide possono essere le nostre ragioni non vuol dire che sia altrettanto valido il modo con cui le sosteniamo e le portiamo avanti. Conosco persone che hanno sacrificato sull’altare delle loro ragioni, spesso discutibili, grandi amicizie, importanti relazioni familiari, l’amore e la stima di fratelli e sorelle nella fede.
Alcuni fratelli e alcune sorelle dimenticano che la Bibbia non è una spada a doppio taglio, ma è come una spada a doppio taglio, attraverso cui esaminare noi stessi e i nostri comportamenti, non certo da usare come strumento di offesa.
Pertanto se la Parola ci esorta a perdonarci vicendevolmente vuol dire che di solito la ragione o il torto non sono tutte da una parte. Quindi se si rompe un rapporto o una relazione va in crisi non sprecate troppe energie nel sottolineare le colpe dell’altro o nel cercare chi vi dia ragione, ma esaminate i vostri comportamenti e certamente vi accorgerete di aver mancato in qualcosa. Seguiamo l’esortazione di Giacomo: “Confessate dunque i vostri peccati gli uni gli altri…” (Gm 5:16).
Recentemente, in occasione dell’ultima influenza ho visitato una coppia molto originale. Lui novantasette anni, lei centouno anni. La coppia più anziana d’Italia, credo. In quell’occasione tra le altre cose chiesi al marito scherzosamente come avevano fatto a restare insieme per così tanti anni. Lui con una serietà e un garbo di altri tempi mi ha risposto: “Ci siamo sempre amati e ci siamo sempre perdonati.”
Qualunque relazione ha vita breve, se è basata su un generico amore o rispetto per l’altro e trascura la pratica della misericordia e del perdono, così come il Signore c’insegna.
Il perdono di sé
Il bisogno di perdono non interessa solo le relazioni umane, ma anche la persona singola. Vi è mai capitato di sentire o di dire a voi stessi: “Ho fatto un errore imperdonabile”. Oppure: “Non riesco ad accettare di aver fatto quella scelta sbagliata”. O anche: “La mia vita è una serie di sbagli”. E ancora: “Se potessi tornare indietro!”.
Le persone sincere con sé stesse, che sanno guardare la loro vita per quello che è, spesso sono incapaci di perdonare sé stesse. Il perdono di sé è condizione necessaria per realizzare il perdono con chi ci è vicino. “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”
Non ci è difficile ammettere che non siamo portati istintivamente al bene, al contrario, fin dai primi mesi di vita l’essere umano ha bisogno di imparare a rispettare, per il suo bene, delle regole e delle norme di comportamento; ciò che noi definiamo generalmente “educazione”.
Quando si dice che l’uomo è per sua natura un essere morale non vuol dire che è sempre capace di comportamenti morali, l’esperienza di tutti i giorni lo conferma. Questa profonda contraddizione tra ciò che l’uomo pensa e ciò che fa è la sorgente d’ogni senso di colpa, di quel malessere di fondo che conduce tante anime alla disperazione e alla depressione.
L’apostolo Paolo nel descrivere questa condizione conclude dicendo: “…misero me chi mi trarrà da questo corpo di morte?”.
L’uomo è incapace di accettare e di perdonare sé stesso, prima o poi si scontrerà con questa realtà. Ci sono esperienze della vita che fanno sì che ciò accada prima, altre che rimandano questo momento alla vecchiaia, quando ci guardiamo indietro.
Mi è capitato di recente di parlare con un alcolizzato che mi diceva: “Non capisco come ho potuto ridurmi in queste condizioni”. Nel corso della nostra vita ci sorprendiamo a commettere errori che non pensavamo possibili. Avete mai parlato con un genitore che ha un figlio tossicodipendente? La domanda che si fa è sempre quella: “Dove ho sbagliato?”.
l dubbio di aver sbagliato cose importanti, quali l’educazione dei figli, è un peso, una colpa spesso insopportabile, che non riusciamo a perdonarci.
Un mio caro amico perse il padre improvvisamente per un incidente stradale, a distanza di qualche anno mi confessò che non riusciva a perdonarsi di essere stato sempre critico con suo padre, non un gesto d’affetto, mai un abbraccio, mai una passeggiata insieme.
Ci sono persone che tradiscono gli affetti più cari, che tradiscono i propri ideali, che rinnegano i principi per cui hanno lottato e non riescono a perdonarselo. Altre persone avrebbero voluto offrire ai propri cari una vita più agiata, benessere e sicurezza economica, una bella casa e tutte le comodità, ma sono disoccupati o stentano a pagarsi l’affitto e si sentono responsabili del loro stato.
Dopo cinque anni di fidanzamento la tua ragazza ha preferito un altro e senti di non avere fatto abbastanza per la persona che amavi: “Dove ho sbagliato?”. Quante volte c’è capitato di sentire mogli o mariti dire: “Ho sposato la persona sbagliata e non riesco a farmene una ragione”. È successa una disgrazia a tuo figlio e ti convinci che avresti potuto evitarlo e sei schiacciato dal peso del rimorso.
La Bibbia ci dà alcuni esempi emblematici di persone incapaci di perdonare sé stesse. Giuda Iscariota, il discepolo di Gesù, non perdonò a sé stesso di aver “tradito il sangue innocente”, questa consapevolezza lo portò al suicidio. Pietro fece la stessa esperienza quando rinnegò per ben tre volte Gesù; è detto che “pianse amaramente”.
Giona fuggì dalla volontà di Dio e quando si accorse che Dio stesso gli sbarrava la strada chiese di essere buttato in mare. Saul il primo re d’Israele dopo aver peccato ripetutamente, volle lo stesso andare in battaglia pur sapendo che vi avrebbe trovato la morte.
Nessuno di loro, almeno inizialmente, pur pentendosi della scelta fatta trovò il coraggio di chiedere perdono. Le conseguenze per Giuda e Saul furono terribili.
Solo due di questi personaggi cambiarono il corso della loro vita. Essi sono Giona e Pietro. Perché?
Entrambi ricevettero il perdono di Dio nella loro vita. Se questo perdono lo avesse cercato anche Giuda, non si sarebbe impiccato e così anche Saul non sarebbe partito col figlio per una missione suicida.
Giuda aveva vissuto con Gesù, aveva conosciuto la sua misericordia e il suo amore, ma al momento del tradimento, anche se pentito, considerò quell’errore imperdonabile.
Così fece Saul. Egli aveva conosciuto la fedeltà di Dio, il modo come Dio l’aveva scelto, eppure dopo aver peccato ed essersi pentito non chiese perdono a Dio, ma pensò di eliminare i suoi sensi di colpa eliminando sé stesso.
Pentimento e perdono
Pensando a questi personaggi abbiamo imparato un’altra differenza che non dovrebbe mai sfuggirci, quella tra il pentimento ed il perdono. Il pentimento è un sentimento di colpa, la frustrazione e la tristezza per lo sbaglio fatto, che si accompagna al desiderio di non voler più sbagliare. Attenzione! Se sei pentito per ciò che hai fatto, non vuol dire che automaticamente ti senti perdonato.
Pentimento e perdono sono cose ben diverse. Giuda, pentitosi del suo tradimento riportò i sicli d’argento ai sacerdoti e riconobbe di aver tradito “il sangue innocente”, ma ciò non gli servì a sopire i suoi sensi di colpa. Ci sono persone che si crogiolano nei pentimenti, sospirando, vivendo di malinconie e tristezze e ciò costituisce un alibi paralizzante. Il pentimento è una sorta di scomoda anticamera del perdono, guai se rimanessimo in quel luogo per troppo tempo.
Vi sarà capitato di dover andare dal dentista per un mal di denti. Non succede quasi mai di trovare la sala d’aspetto vuota e il dentista pronto a curarci. Perciò ci tocca aspettare qualche minuto, all’inizio siamo tranquilli perché sappiamo che di lì a poco avremo il sollievo dal mal di denti. Così inganniamo l’attesa, sfogliamo una rivista o conversiamo con un’altra persona nella nostra situazione, abbiamo anche l’impressione di stare meglio e intanto prosegue l’attesa. Dopo mezz’ora che aspettiamo però la conversazione si fa noiosa e le riviste non ci attirano più, il dolore diventa sempre più protagonista e non vediamo l’ora di uscire da quella sala d’attesa per entrare nello studio del dentista ed essere curati.
Ci sono persone che inconsapevolmente rimangono nella sala d’attesa, esse conoscono bene i loro errori e sono sinceramente pentite, ma preferiscono chiacchierare o sfogliare vecchi ricordi conditi di malinconia ed autocommiserazione. La Bibbia ci dice che dobbiamo lasciare la sala d’attesa del pentimento per entrare in quella del perdono. Altrimenti ci accorgeremo ben presto che quella situazione d’attesa è assurda oltre che insopportabile, perché il nostro senso di colpa è ancora lì e c’eravamo accontentati di metterlo a tacere per un po’. Se hai commesso uno sbaglio e non te lo sei perdonato, il pentimento, per nobile ed apprezzabile che sia ti porterà ad una schiavitù insopportabile.
Quando pensiamo di aver fatto qualcosa d’inaccettabile ed imperdonabile possiamo arrivare a gesti estremi ed irrazionali.
Pensate ad esempio a quella ragazza (se ne sentono tanti oggi di esempi del genere!), che getta nell’immondizia la figlia che ha appena dato alla luce. Ella pensa in questo modo di nascondere la sua colpa agli occhi dei genitori e dei suoi conoscenti, pensa che, se nessuno saprà, allora i suoi problemi saranno risolti. Ben presto però diventa consapevole di ciò che ha fatto a sé stessa e alla sua bambina e comincia a soffrire di disturbi fisici e psichici, non mangia più, si isola da tutti, prende psicofarmaci per dormire il più possibile. Ricorre per alcuni anni a cure psicologiche, ma nessuno scorge il suo bisogno di sentirsi perdonata. Nella sua mente c’è una culla vuota e una ninna nanna per una bimba che non c’è più. Il suo pentimento non seguito dal perdono la porta ad essere schiava della colpa.
“Chi commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8:34). Forse non abbiamo riflettuto abbastanza sul valore psicologico di questo principio.
Un toccante esempio nei Vangeli
Un giorno, mentre Gesù era a tavola da un notabile di quel tempo, accadde qualcosa che stupì ed imbarazzò tutti.
Una donna entrò timidamente e furtivamente nella sala da pranzo, si avvicino a Gesù, aprì una bottiglietta di olio profumato e iniziò a cospargerne i suoi piedi; si emozionò e cominciò a piangere e le lacrime cadevano sui piedi di Gesù, tanto che dovette usare i suoi capelli per asciugarli.
Chi era quella donna?
È scritto che tutti sapevano chi era: era una prostituta.
Cosa era andata a fare li? Proprio dall’uomo più giusto che la storia ricordi, lei rifiuto della società?
Chiediamoci: cosa cercava questa donna col suo pesante carico di sensi di colpa e pentimenti?
Ce lo dice Gesù:
“Vedi questa donna? – dice Gesù al padrone di casa – io sono entrato in casa tua, e tu non mi hai dato dell’acqua per i piedi; ma ella mi ha rigato i piedi di lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato alcun bacio; ma ella, da che sono entrato non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non mi hai unto il capo d’olio; ma ella mi ha unto i piedi di profumo. Perciò, io ti dico le sono rimessi i suoi molti peccati, perché ha molto amato; ma a colui cui poco è stato rimesso, poco ama.”
Poi rivolgendosi alla donna Gesù le dice: “I tuoi peccati sono perdonati.” E ancora “La tua fede ti ha salvata; vattene in pace.” (vale sicuramente la pena di leggere tutto il testo integrale nell’evangelo di Luca 7:36-50).
Cosa sarebbe stato del pentimento di quella donna se non avesse incontrato Gesù?
Gesù, questa Persona straordinaria, non solo ci ha fatto comprendere l’importanza del perdono, ma è pronto a donarcelo, proprio come fece per quella donna. Il pentimento è una strada che dobbiamo percorrere fino in fondo, con la fiducia, che essa ci porterà ad incontrare “il Perdono”.
Qualunque siano i vostri errori o i sensi di colpa non rimanetene schiavi, che siate o non siate credenti. Gesù, l’Agnello di Dio, pagò un prezzo altissimo per rendere possibile il perdono di voi stessi.
Riuscite ad aver fede in questo?
Saverio Bisceglia
Tratto da «IL CRISTIANO»Luglio 2003