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IL CANTICO DEI CANTICI (stralcio, commento)
(Pedron Lino)
Introduzione
«Il Cantico dei cantici è il gioiello della Bibbia» (E. Osty). «Non c’è nulla di più bello del Cantico dei cantici» (R. Musil). Cantico dei cantici significa «cantico per eccellenza», «cantico sublime». «Non c’è libro biblico che abbia esercitato sull’anima cristiana un effetto di seduzione comparabile a quello del Cantico» (A. Robert). Attorno a questi 117 versetti si sono accaniti esegeti e teologi, scrittori e interpreti, lettori rigorosi e fantasiosi.
«L’amore è forte come la morte» (8,6). Queste tre parole ebraiche (‘azzah kammavet’ ahabah) sono state considerate come la sigla poetica, simbolica e spirituale del poemetto, un libro sigillato dall’amore, dedicato alla coppia, a lei e a lui che appaiono sulla scena della vita e del mondo ogni giorno. Il Cantico è prima di tutto un «manuale della Rivelazione sull’amore, sull’affetto e sulla sessualità» (G. Krinetski) e quindi la «Magna Charta dell’umanità» (K. Barth). C’è al suo interno, a prima vista, una religiosità quasi «laica», segno di una profonda incarnazione della parola di Dio, tant’è vero che il nome di Dio è in pratica assente dalle pagine dell’opera, se si esclude la «fiamma di Iah» o meglio «fiamma divina» di 8,6. Al centro c’è l’amore umano, giovanile e primaverile, che rimane tale anche nella tenerezza della coppia fedele e innamorata. Per ricorrere a un’intuizione di Simone Weil, è il «percepire l’essere amato con tutta la propria superficie sensibile, come un nuotatore il mare. Vivere all’interno di un universo che sia lui… Ecco perché la castità è indispensabile all’amore. E l’infedeltà lo contamina. Dal momento in cui vi è bisogno, desiderio, anche reciproco, esiste oltraggio». È per questo che il Cantico liquida le ipocrisie e vive con intensità la corporeità, perché essa non è «desiderata», ma amata, è frutto non del senso, ma dell’amore.
Il poema accoglie con passione lo splendore dell’eros, della natura, della tenerezza, degli aromi, dei suoni, dei colori, dell’intimità anche fisica, ma sempre come segno di una relazione interpersonale. Il motto emblematico è «il mio amato è mio e io sono sua» (2,16) o quello parallelo «io sono del mio amato e il mio amato è mio» (6,3). Come si dice nella Genesi (1,31), la sessualità bipolare è «molto buona», cioè adatta all’uomo e creata da Dio. Ma lo è in quanto intrisa di eros, cioè di senso della bellezza, dell’armonia, del sentimento. Lo è soprattutto in quanto è animata dall’amore, sorgente della comunione piena che illumina e trasfigura sessualità, desiderio, eros, passione. Solo in questo senso si può ripetere con Lutero che il Cantico proclama implicitamente che «il corpo viene da Dio…; il desiderio per la donna è un bel dono divino».
In questo senso l’orizzonte spirituale del Cantico è più ampio del tema matrimoniale. «Il tema dell’opera è l’amore, non il matrimonio, un amore descritto come una tensione costante verso l’unità e la totalità» (D. Lys). Al Cantico non interessa neppure quel dato così rilevante dell’Antico Testamento che è la fecondità, segno esplicito della benedizione divina (Gen 1,28; ecc.). È l’amore in quanto tale, nella sua assolutezza, purezza e totalità, il cuore del Cantico ed è così che esso può inglobare anche rimandi all’infinito di Dio. Come tenteremo di dimostrare in tutto il nostro commento, non ha molto senso procedere per alternative, opposizioni o sostituzioni: amore umano o amore divino? Uomo o Dio? Eros o agàpe? Nell’unico, perfetto amore umano balena l’amore unico e infinito. «Bisogna rinunziare a opporre erotismo ad allegoria, senso naturale a senso mistico. Si tratta dell’eterna realtà, divina e umana, dell’Amore» (R.J. Tournay).
L’amore del Cantico è fieramente umano, ma ha in sé una scintilla divina, è il paradigma per la conoscenza del «Dio che è amore» (1Gv 4,8.16). L’amore del Cantico è squisitamente «simbolico», nel senso genuino del termine perché unisce, mette insieme (sun–ballein) amore e Amore, umanità e divinità. Si tratta di due dimensioni intrecciate tra loro, «inseparabili eppure distinte, come la natura umana e divina del Cristo» (D. Bonhoeffer).
La lettura esclusivamente erotica e, paradossalmente, anche quella spiritualistica è dunque diabolica (dia–ballein), cioè disgiuntiva di due elementi inseparabili. «L’amore umano nel Cantico si apre ad essere il simbolo più eloquente e degno per parlare di Dio, senza per questo stingere in un angelismo disincarnato. Non cessa di essere pienamente umano, ma assume una valenza mistica, tale da renderlo la migliore tavolozza per affrescare l’amore di Dio» (G. Borgonovo). Il punto di partenza del Cantico è terrestre e umano, ma è aperto all’epifania del teologico e del mistico. Nell’amore umano autentico c’è Dio. Per questo esso diviene il simbolo reale, anche se talora appannato (cfr. i cap. 3 e 5), dell’amore totale e infinito di Dio. L’amore umano si eclissa quando subentra l’odio fisico della violenza, l’odio erotico del sadismo, del dominio e della pornografia, l’odio interiore della volontà malvagia, cancellazione della triplice scala del corpo, dell’eros e dell’agàpe.
La Bibbia registra spesso il trionfo dell’anti–Amore che è anti–Dio e anti–Cristo, ma ci insegna che l’ultima parola tocca all’amore che, dopo l’eclisse dell’odio, ritornerà a sfolgorare. Lo dicono molto bene due testi rabbinici tra loro in contrappunto: «Quando Adamo peccò, Dio salì al primo cielo, allontanandosi dalla terra e dagli uomini. Quando peccò Caino, salì al secondo cielo. Con la generazione di Enoc salì al terzo, con quella del diluvio al quarto, con la generazione di Babele al quinto, con la schiavitù d’Egitto salì al sesto cielo e al settimo cielo, l’ultimo e il più lontano dalla terra» (Genesi Rabbah 19,13). «Dio, però, ritornò sulla terra il giorno in cui fu donato il Cantico a Israele» (Zohar Terumah, 143–144a). C’è, però, anche un’altra eclisse meno grave, costituzionale quasi con la finitudine della creatura umana, ed è quella dell’assenza temporanea, del silenzio della parola, e del dialogo tra i due, fulgidamente tratteggiata in 3,1–5 e 5,2 – 6,3, due straordinari «notturni». L’amore non cancella del tutto il timore. E il rischio dell’estraneità è sempre in agguato. Ma, anche in questo caso, nell’amore genuino l’ultima parola resta sempre quella della vittoria dell’amore sulla morte e sul silenzio. Fondamentalmente, è, dunque, il dialogo, la comunione da ricostituire o ritessere. «Quando un uomo e una donna si amano, ma non dichiarano il loro amore, non sono ancora innamorati. Il loro stesso silenzio significa che il loro amore non è ancora arrivato alla dedizione e al dono di sé. È l’amore che uno liberamente e senza riserve rivela all’altro che costituisce la situazione radicalmente nuova dell’essere innamorati» (B. Lonergan).
Entriamo, dunque, in questo meraviglioso mondo disegnato dalle 1250 parole del Cantico. Ci farà da guida Lei, la protagonista femminile, la cui presenza è decisamente superiore a quella del suo amato, l’uomo. Il Cantico è curiosamente un testo «femminile», sorprendente in un orizzonte com’era quello orientale, contrassegnato da un maschismo ben sedimentato. Il nostro percorso proseguirà quasi per cerchi concentrici, in una specie di progressivo avvicinamento al centro dell’opera.
La fortuna goduta dal Cantico nel giudaismo è quasi paragonabile a quella della torah, e il successo nel cristianesimo è comparabile quasi a quello riscosso dai vangeli. Basti pensare che nelle università medievali il «magister» apriva la sua «lectio prima» proprio col commento al Cantico. Anche noi continueremo questa tradizione.
«Toccheremo le più alte vette della mistica, pur restando sul letto lussureggiante dove si consuma il più intenso degli abbracci. Tutto avverrà con delicatezza, lasciando intatta la carne, profumati i corpi. Si attraverserà il mare della sensualità conservando candida la veste… Ma per questo bisogna avere i sensi lavati e limpida la mente. È allora che potrai entrare in questo santuario, nel vero ‘Santo dei santi’ del mondo» (D.M. Turoldo).