Archive pour janvier, 2018

14 GENNAIO 2018 – 2A DOMENICA / TEMPO ORDINARIO – B | LETTURE – OMELIE

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14 GENNAIO 2018 – 2A DOMENICA / TEMPO ORDINARIO – B | LETTURE – OMELIE

2a Domenica – T. Ordinario

Per cominciare
Incominciando la vita pubblica, Gesù chiama alcuni a seguirlo. Così aveva fatto da secoli lo stesso Iahvè, che era entrato in dialogo e in confidenza con alcuni uomini speciali, per associarli ai suoi progetti e affidare loro una missione. È stato così con Abramo, Mosè, con Samuele e i profeti.

La Parola di Dio
1 Samuele 3,3b-10.19. È la famosa chiamata di Dio a Samuele, destinato a diventare profeta nel popolo di Israele. La voce di Dio era rara in quel tempo. Samuele riceve una chiamata personale e diventa ambasciatore di Dio.
1 Corinzi 6,13c-15a.17-20. Per cinque domeniche la chiesa ci invita a leggere alcuni brani tratti dalla lettera ai Corinzi. In quegli anni Corinto era una grande e sviluppata città greca, città evoluta, ma anche disinvolta e problematica nei suoi comportamenti morali.
Giovanni 1,35-42. Giovanni Battista indica Gesù ad Andrea e Giovanni, due dei suoi discepoli, e li invita a seguirlo. I due entrano in dialogo con Gesù e passano l’intera giornata con lui. Giovanni ricorderà persino l’ora di questo primo incontro.

Riflettere…
o Il brano di Samuele è molto noto ed è uno dei più presentati ai ragazzi a catechismo. Samuele è un po’ il modello per ogni ragazzo ben fatto, pronto e disponibile.
o Samuele è figlio di Anna, ed è nato per intervento di Dio. Si manifesta sin da subito un ragazzo docile e obbediente e sarà un profeta che vivrà interamente a servizio di ciò per cui Iahvè lo ha scelto.
o Samuele diventerà il primo profeta dell’antico testamento e durante la sua vita si aprirà una nuova storia del popolo di Israele. Con Saul, il primo re, che verrà indicato e consacrato da Samuele, passerà dall’essere una popolazione tribale a una monarchia.
o La chiamata di Samuele è singolare, in qualche modo è paradigmatica di ogni chiamata. Iahvè gli si fa vicino e gli confida ciò che in un certo senso lo angustia e che Samuele sarà invitato a riparare: la gestione religiosa di Eli e il cattivo comportamento dei suoi figli. Quella di Samuele è chiaramente una chiamata per un compito, una missione.
o Nel brano del vangelo due dei futuri apostoli si incontrano per la prima volta con Gesù. Gli chiedono: « Dove dimori? ». La domanda fa pensare al desiderio di conoscerlo meglio, ma forse anche al bisogno di essere rassicurati, prima di passare dalla sequela di Giovanni Battista a quella con Gesù. Vogliono rendersi conto di persona, avere una conoscenza diretta di questo nuovo maestro a cui il Battista li indirizza. Giovanni potrà scrivere a distanza di anni: « Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi » (1Gv 1,1-3).
o È singolare che il Battista qualifichi Gesù come « Agnello di Dio ». È una caratteristica che Isaia ha attribuito molti secoli prima al messia, ma l’agnello è un animale mite, mentre il Battista presenta altrove il messia come un giudice severissimo.
? Quella del vangelo di questa domenica non è ancora la chiamata degli apostoli, ma è già l’inizio di una sequela. Gli apostoli appaiono disponibili e interessati. C’è curiosità attorno a Gesù. Ben presto li inviterà a lasciare tutto per stare con lui.
o Chiamata, sequela, vita di comunità e missione saranno le caratteristiche principali della vita cristiana. Tutto ciò si ricava già dal racconto di Giovanni: c’è la freschezza di un incontro, c’è il clima che si respira quando ci si incontra con Gesù.
o Essi si confidano con i loro amici. Il vangelo racconta di Andrea che parla di Gesù al fratello Simone. Erano pescatori. Andrea lo presenterà a sua volta a Gesù, che gli cambierà il nome in Pietro, per indicare la nuova vita a cui viene chiamato.

… Attualizzare
* Anche oggi, come al tempo di Samuele e di Gesù, gli uomini sono chiamati da Dio. Ogni battezzato è chiamato, può e deve rispondere all’invito di Dio. Ha scritto un giovane a un periodico cattolico: « Da quando ho capito che Dio esiste, ho anche capito e deciso che l’unica cosa che potevo fare era vivere per lui ». E non stupisce che chiunque abbia fatto questa esperienza forte, ne ricordi spesso anche il momento preciso, il giorno, l’ora.
* Dio chiama certamente, anche se in modo misterioso, ma troppo spesso non siamo capaci di ascoltare, di cogliere l’istante che passa. Soprattutto perché la sua chiamata ci raggiunge per vie normali, ordinarie: l’incontro con una persona, con il proprio parroco, la lettura di un passo del vangelo o di un libro, la partecipazione a un incontro religioso, un momento di preghiera più sentita e personale.
* Non dobbiamo aspettarci un angelo dal cielo, un intervento straordinario come per Paolo, perché Dio ciò che voleva dirci ce l’ha detto. Si trova nella parola di Dio, nella comunità ecclesiale che continua a parlare di lui.
* Chi chiama è il Cristo, atteso dagli ebrei, annunciato dai profeti e dal Battista. La sua è una personalità affascinante e non passa mai inosservata. Con lui dobbiamo tutti confrontarci. È sconvolgente per il suo modo di vivere, per le parole che dice: penetrano in noi e ci toccano profondamente.
* Chi è chiamato è l’uomo, un uomo concreto, un uomo in costruzione, carico di limiti, e magari dei peccati personali e di quelli dell’umanità. È una chiamata prima di tutto a una vita nuova. L’uomo e la donna che si incontrano con Gesù si costruiscono una nuova identità riformulata su di lui: un nuovo modo di pensare, di giudicare, di vivere.
* La seconda lettura è sintomatica al riguardo: anche una cosa così profondamente radicata nell’uomo come la sessualità è investita dalla prospettiva cristiana. Il cristiano fa uso della sessualità secondo Dio e i fini posti da lui.
* Oggi sotto questo aspetto, sia a livello sociale che personale, c’è molta confusione, molto disorientamento, fino a non capire più che cos’è peccato. Nessuno vuole seminare sensi di colpa, ritornando a modi di pensare antichi e forse superati, ma il problema di mantenersi corretti e liberi anche sotto questo aspetto, è importante. Paolo ricorda ai Corinzi, abitanti di una delle città greche più evolute e libertine, a non peccare contro il proprio corpo e a glorificare in questo modo Dio.
aCristo chiama l’uomo, chiama noi, ma non per metterci in una campana di vetro, bensì per inviarci ai fratelli e fare nostra la sua missione. Il passaparola tra Andrea, Giovanni, Pietro e gli altri è stato immediato.
* La nostra risposta tocca il fondo di noi stessi, non è un invito superficiale. È infatti proprio questo essere cristiani: esserci incontrati con lui, aver « dimorato » con lui: o è questo o non è niente. È stato detto durante un convegno lombardo su « Educare i giovani alla fede »: « Se volessimo interrogare i discepoli chiedendo: « Cercate di descriverci l’esperienza che si è mossa dentro di voi », penso che insisterebbero sull’esperienza dell’andare un po’ fuori di sé, un po’ fuori di senno, spiegandola come un innamorarsi di qualcuno, un essere irresistibilmente attratti da qualcuno. « Prima avevamo una certa stima di Gesù ed eravamo anche un po’ curiosi, adesso siamo con lui, dalla sua parte, sentiamo di volergli bene, sentiamo che il nostro cuore è stato preso »".
* È questo che è capitato ai discepoli di Èmmaus. Delusi dalla fine tragica di Gesù, hanno abbandonano la comunità e Gerusalemme. Ma Gesù li incontra, parla a loro ed essi diranno: « Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le scritture? » (Lc 24,32).
* In troppi casi invece il nostro essere cristiani si riduce a una pratica tradizionale religiosa senza troppo fondamento, a una forma di sicurezza, una specie di parafulmine, che non morde la vita e non ci cambia dentro. Non diventa preghiera, ricerca, amore e servizio, non ci fa missionari.
aÈ normale in questa domenica riflettere sulla vocazione. Vocazione alla vita cristiana, come abbiamo fatto finora, ma anche a quella vocazione speciale che è la chiamata a seguire Gesù nella vita religiosa o nel sacerdozio.
* Quando la parrocchia pensa a quali giovani e ragazze possano collaborare più da vicino, magari mettendosi al servizio della chiesa 24 ore su 24, quasi sempre punta su quelli più aperti e simpatici, oppure ai leader del gruppo, ai più generosi, a chi è più fedele e prega di più. In sostanza si dà fiducia a chi pare già predisposto e forse è di buon carattere. A considerare la storia di molte « chiamate », anche di quelle che hanno avuto risonanza nella chiesa (pensiamo a Paolo, da persecutore dei cristiani ad apostolo; al pescatore Pietro), ci si imbatte però in molte sorprese. Dio appare sovranamente libero. Anche l’ultimo arrivato, anche quel tipo così « tranquillo » può diventare un prezioso strumento di animazione e può essere « chiamato ».
* Ricordiamo infine che ai primi due discepoli, Giacomo e Giovanni, che chiedono un incontro con lui, Gesù risponde: « Venite e vedrete » (Gv 1,39). Se qualcuno ci chiedesse oggi un incontro con lui, dovremmo mostrargli la nostra comunità cristiana, la parrocchia: « Guardate la nostra comunità, è questa la casa in cui i cristiani abitano… ».

Ho deciso: voglio buttarci l’anima
Luca: « Mi sono reso conto che non basta gridare qualche slogan e sfogare la mia rabbia. È necessario buttarci dentro l’anima, la vita intera, la testa e il cuore… Allora ho deciso: divento prete! Ho smesso di gridare al mondo di cambiare; ho iniziato a cambiare me stesso. Ho piantato tutto e a 18 anni sono entrato in seminario. Da allora non ho smesso mai di ricevere la possibilità di fare grandi esperienze: sono stato al Cottolengo per un mese di servizio; ho vissuto tre anni in una comunità di giovani che, come me, desiderano diventare preti; sono stato in Africa tra la bellissima gente del Malawi; ho incontrato centinaia di giovani che… vorrebbero volare e tanti altri che non sanno nemmeno camminare. Non smetterò mai di gridare il mio grazie! Fra quattro anni sarò prete. Solo con la vita giocata veramente, si può cambiare il mondo. Non tutti devono diventare preti, certo, ma tutti devono aspirare a cose grandi, e sui grandi ideali perdere la vita ».

Luigi e Zelia Martin: vocazione al matrimonio
Nel secolo scorso un ragazzo ventenne, di nome Luigi Martin. si presentò al convento Grand Saint Bernard nelle Alpi francesi. Chiese al superiore di entrare nella congregazione. Il superiore, dopo aver conosciuto meglio il carattere e le capacità del ragazzo, disse: « Dovresti scegliere un’altra strada nella vita ». Qualche anno più tardi, sempre in Francia, una giovane di nome Zelia Maria Guérin venne al convento delle Suore della Carità e chiese di poter entrare nella congregazione. Dopo un lungo colloquio la superiora. anche se aveva di fronte una ragazza buona e religiosa, le diede una risposta negativa: « II tuo posto non è qui. La tua vocazione è quella di mettere su una buona famiglia cristiana ».
Passò qualche anno. Luigi, che non era stato ammesso alla congregazione, conobbe Zelia Maria, s’innamorò di lei e la sposò. Ebbero cinque figlie che educarono con cura. Tutte e cinque divennero brave suore, e una anche santa: Teresina di Gesù Bambino. Anche Luigi e Zelia Maria sono stati proclamati « beati » il 19 ottobre 2008 da Benedetto XVI.

Fonte autorizzata in: Umberto DE VANNA

Pater noster

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Publié dans:immagini sacre |on 10 janvier, 2018 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI – IL POPOLO DI DIO CHE PREGA: I SALMI (2011)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2011/documents/hf_ben-xvi_aud_20110622.html

BENEDETTO XVI – IL POPOLO DI DIO CHE PREGA: I SALMI (2011)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 22 giugno 2011

L’uomo in preghiera (7)

Cari fratelli e sorelle,

nelle precedenti catechesi, ci siamo soffermati su alcune figure dell’Antico Testamento particolarmente significative per la nostra riflessione sulla preghiera. Ho parlato su Abramo che intercede per le città straniere, su Giacobbe che nella lotta notturna riceve la benedizione, su Mosè che invoca il perdono per il suo popolo, e su Elia che prega per la conversione di Israele. Con la catechesi di oggi, vorrei iniziare un nuovo tratto del percorso: invece di commentare particolari episodi di personaggi in preghiera, entreremo nel “libro di preghiera” per eccellenza, il libro dei Salmi. Nelle prossime catechesi leggeremo e mediteremo alcuni tra i Salmi più belli e più cari alla tradizione orante della Chiesa. Oggi vorrei introdurli parlando del libro dei Salmi nel suo complesso.
Il Salterio si presenta come un “formulario” di preghiere, una raccolta di centocinquanta Salmi che la tradizione biblica dona al popolo dei credenti perché diventino la sua, la nostra preghiera, il nostro modo di rivolgersi a Dio e di relazionarsi con Lui. In questo libro, trova espressione tutta l’esperienza umana con le sue molteplici sfaccettature, e tutta la gamma dei sentimenti che accompagnano l’esistenza dell’uomo. Nei Salmi, si intrecciano e si esprimono gioia e sofferenza, desiderio di Dio e percezione della propria indegnità, felicità e senso di abbandono, fiducia in Dio e dolorosa solitudine, pienezza di vita e paura di morire. Tutta la realtà del credente confluisce in quelle preghiere, che il popolo di Israele prima e la Chiesa poi hanno assunto come mediazione privilegiata del rapporto con l’unico Dio e risposta adeguata al suo rivelarsi nella storia. In quanto preghiere, i Salmi sono manifestazioni dell’animo e della fede, in cui tutti si possono riconoscere e nei quali si comunica quell’esperienza di particolare vicinanza a Dio a cui ogni uomo è chiamato. Ed è tutta la complessità dell’esistere umano che si concentra nella complessità delle diverse forme letterarie dei vari Salmi: inni, lamentazioni, suppliche individuali e collettive, canti di ringraziamento, salmi penitenziali, salmi sapienziali, ed altri generi che si possono ritrovare in queste composizioni poetiche.
Nonostante questa molteplicità espressiva, possono essere identificati due grandi ambiti che sintetizzano la preghiera del Salterio: la supplica, connessa al lamento, e la lode, due dimensioni correlate e quasi inscindibili. Perché la supplica è animata dalla certezza che Dio risponderà, e questo apre alla lode e al rendimento di grazie; e la lode e il ringraziamento scaturiscono dall’esperienza di una salvezza ricevuta, che suppone un bisogno di aiuto che la supplica esprime.
Nella supplica, l’orante si lamenta e descrive la sua situazione di angoscia, di pericolo, di desolazione, oppure, come nei Salmi penitenziali, confessa la colpa, il peccato, chiedendo di essere perdonato. Egli espone al Signore il suo stato di bisogno nella fiducia di essere ascoltato, e questo implica un riconoscimento di Dio come buono, desideroso del bene e “amante della vita” (cfr Sap11,26), pronto ad aiutare, salvare, perdonare. Così, ad esempio, prega il Salmista nel Salmo 31: «In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso […] Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia difesa» (vv. 2.5). Già nel lamento, dunque, può emergere qualcosa della lode, che si preannuncia nella speranza dell’intervento divino e si fa poi esplicita quando la salvezza divina diventa realtà. In modo analogo, nei Salmi di ringraziamento e di lode, facendo memoria del dono ricevuto o contemplando la grandezza della misericordia di Dio, si riconosce anche la propria piccolezza e la necessità di essere salvati, che è alla base della supplica. Si confessa così a Dio la propria condizione creaturale inevitabilmente segnata dalla morte, eppure portatrice di un desiderio radicale di vita. Perciò il Salmista esclama, nel Salmo 86: «Ti loderò, Signore, mio Dio, con tutto il cuore e darò gloria al tuo nome per sempre, perché grande con me è la tua misericordia: hai liberato la mia vita dal profondo degli inferi» (vv. 12-13). In tal modo, nella preghiera dei Salmi, supplica e lode si intrecciano e si fondono in un unico canto che celebra la grazia eterna del Signore che si china sulla nostra fragilità.
Proprio per permettere al popolo dei credenti di unirsi a questo canto, il libro del Salterio è stato donato a Israele e alla Chiesa. I Salmi, infatti, insegnano a pregare. In essi, la Parola di Dio diventa parola di preghiera – e sono le parole del Salmista ispirato – che diventa anche parola dell’orante che prega i Salmi. È questa la bellezza e la particolarità di questo libro biblico: le preghiere in esso contenute, a differenza di altre preghiere che troviamo nella Sacra Scrittura, non sono inserite in una trama narrativa che ne specifica il senso e la funzione. I Salmi sono dati al credente proprio come testo di preghiera, che ha come unico fine quello di diventare la preghiera di chi li assume e con essi si rivolge a Dio. Poiché sono Parola di Dio, chi prega i Salmi parla a Dio con le parole stesse che Dio ci ha donato, si rivolge a Lui con le parole che Egli stesso ci dona. Così, pregando i Salmi si impara a pregare. Sono una scuola della preghiera.
Qualcosa di analogo avviene quando il bambino inizia a parlare, impara cioè ad esprimere le proprie sensazioni, emozioni, necessità con parole che non gli appartengono in modo innato, ma che egli apprende dai suoi genitori e da coloro che vivono intorno a lui. Ciò che il bambino vuole esprimere è il suo proprio vissuto, ma il mezzo espressivo è di altri; ed egli piano piano se ne appropria, le parole ricevute dai genitori diventano le sue parole e attraverso quelle parole impara anche un modo di pensare e di sentire, accede ad un intero mondo di concetti, e in esso cresce, si relaziona con la realtà, con gli uomini e con Dio. La lingua dei suoi genitori è infine diventata la sua lingua, egli parla con parole ricevute da altri che sono ormai divenute le sue parole. Così avviene con la preghiera dei Salmi. Essi ci sono donati perché noi impariamo a rivolgerci a Dio, a comunicare con Lui, a parlarGli di noi con le sue parole, a trovare un linguaggio per l’incontro con Dio. E, attraverso quelle parole, sarà possibile anche conoscere ed accogliere i criteri del suo agire, avvicinarsi al mistero dei suoi pensieri e delle sue vie (cfr Is 55,8-9), così da crescere sempre più nella fede e nell’amore. Come le nostre parole non sono solo parole, ma ci insegnano un mondo reale e concettuale, così anche queste preghiere ci insegnano il cuore di Dio, per cui non solo possiamo parlare con Dio, ma possiamo imparare chi è Dio e, imparando come parlare con Lui, impariamo l’essere uomo, l’essere noi stessi.
A tale proposito, appare significativo il titolo che la tradizione ebraica ha dato al Salterio. Esso si chiama tehillîm, un termine ebraico che vuol dire “lodi”, da quella radice verbale che ritroviamo nell’espressione “Halleluyah”, cioè, letteralmente: “lodate il Signore”. Questo libro di preghiere, dunque, anche se così multiforme e complesso, con i suoi diversi generi letterari e con la sua articolazione tra lode e supplica, è ultimamente un libro di lodi, che insegna a rendere grazie, a celebrare la grandezza del dono di Dio, a riconoscere la bellezza delle sue opere e a glorificare il suo Nome santo. È questa la risposta più adeguata davanti al manifestarsi del Signore e all’esperienza della sua bontà. Insegnandoci a pregare, i Salmi ci insegnano che anche nella desolazione, nel dolore, la presenza di Dio rimane, è fonte di meraviglia e di consolazione; si può piangere, supplicare, intercedere, lamentarsi, ma nella consapevolezza che stiamo camminando verso la luce, dove la lode potrà essere definitiva. Come ci insegna il Salmo 36: «È in Te la sorgente della vita, alla tua luce vedremo la luce» (Sal 36,10).
Ma oltre a questo titolo generale del libro, la tradizione ebraica ha posto su molti Salmi dei titoli specifici, attribuendoli, in grande maggioranza, al re Davide. Figura dal notevole spessore umano e teologico, Davide è personaggio complesso, che ha attraversato le più svariate esperienze fondamentali del vivere. Giovane pastore del gregge paterno, passando per alterne e a volte drammatiche vicende, diventa re di Israele, pastore del popolo di Dio. Uomo di pace, ha combattuto molte guerre; instancabile e tenace ricercatore di Dio, ne ha tradito l’amore, e questo è caratteristico: sempre è rimasto cercatore di Dio, anche se molte volte ha gravemente peccato; umile penitente, ha accolto il perdono divino, anche la pena divina, e ha accettato un destino segnato dal dolore. Davide così è stato un re, con tutte le sue debolezze, «secondo il cuore di Dio» (cfr 1Sam 13,14), cioè un orante appassionato, un uomo che sapeva cosa vuol dire supplicare e lodare. Il collegamento dei Salmi con questo insigne re di Israele è dunque importante, perché egli è figura messianica, Unto del Signore, in cui è in qualche modo adombrato il mistero di Cristo.
Altrettanto importanti e significativi sono il modo e la frequenza con cui le parole dei Salmi vengono riprese dal Nuovo Testamento, assumendo e sottolineando quel valore profetico suggerito dal collegamento del Salterio con la figura messianica di Davide. Nel Signore Gesù, che nella sua vita terrena ha pregato con i Salmi, essi trovano il loro definitivo compimento e svelano il loro senso più pieno e profondo. Le preghiere del Salterio, con cui si parla a Dio, ci parlano di Lui, ci parlano del Figlio, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), che ci rivela compiutamente il Volto del Padre. Il cristiano, dunque, pregando i Salmi, prega il Padre in Cristo e con Cristo, assumendo quei canti in una prospettiva nuova, che ha nel mistero pasquale la sua ultima chiave interpretativa. L’orizzonte dell’orante si apre così a realtà inaspettate, ogni Salmo acquista una luce nuova in Cristo e il Salterio può brillare in tutta la sua infinita ricchezza.
Fratelli e sorelle carissimi, prendiamo dunque in mano questo libro santo, lasciamoci insegnare da Dio a rivolgerci a Lui, facciamo del Salterio una guida che ci aiuti e ci accompagni quotidianamente nel cammino della preghiera. E chiediamo anche noi, come i discepoli di Gesù, «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1), aprendo il cuore ad accogliere la preghiera del Maestro, in cui tutte le preghiere giungono a compimento. Così, resi figli nel Figlio, potremo parlare a Dio chiamandoLo “Padre Nostro”. Grazie

 

Cristo Pantocrator

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Publié dans:immagini sacre |on 9 janvier, 2018 |Pas de commentaires »

IL TEMPO PER ANNUM SUI PASSI DELLA LITURGIA

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IL TEMPO PER ANNUM SUI PASSI DELLA LITURGIA

Tempo ordinario? Penso che ci aiuti molto poco, o forse nulla, chiamare così le trentatrè o trentaquattro settimane che scandiscono la parte maggiore dell’anno liturgico e non sono destinate a celebrare un particolare aspetto del mistero di Cristo, come avviene nell’Avvento, nel tempo di Natale, nella Quaresima e nel tempo di Pasqua. Preferisco chiamarlo come il Messale ci suggerisce, tempo « per annum », ossia « tempo durante l’anno ». Un tempo che scorre, un tempo che si dipana, un tempo ritmato e fluido, giorni settimane e mesi che vedono crescere i figli, maturare gli adulti, nel nascere e nel morire, annoverando gioie e incassando sconfitte. Allora il primo beneficio di tale scelta mi pare proprio questo: veder spalancarsi, davanti a noi, l’amplio orizzonte del vivere, dell’amare e del faticare, nello scorrere di un cammino che qui, grazie alla liturgia, già riconosce e annuncia la presenza del Signore risorto, amato e venerato nella globalità e interezza della sua presenza e della sua opera. Lui, sole che sorge dall’alto per illuminare le genti, è salutato, accolto, celebrato, nel ritmo domenicale e quotidiano, intessendo al suo mistero la nostra vita nazarena. Senza questo tempo la vita cristiana cadrebbe nell’episodico e nello straordinario, nell’eclatante addirittura, privata della possibilità di radicarsi ogni giorno, giorno dopo giorno, nell’opera di salvezza del Cristo. Questo itinerario, struttura portante di tutto l’anno liturgico, comincia il lunedì seguente alla domenica dopo il 6 gennaio e si protrae fino al martedì prima della Quaresima; riprende poi con il lunedì dopo la Pentecoste per terminare prima dei Vespri della I domenica di Avvento. Per apprezzare questo lungo periodo va presa in considerazione l’incredibile abbondanza dei testi biblici proclamati nella Liturgia della Parola (contenuti nel Lezionario, sia festivo che feriale), come ha ardentemente auspicato e disposto il Vaticano II per recuperare la lettura della maggior parte della Scrittura. Che tesoro ci è dato, tanto nell’assemblea domenicale quanto nelle più modeste assemblee feriali.
La comunità è radunata attorno al Cristo per approfondire nella fede il mistero pasquale e incarnarlo nelle esigenze morali della vita nuova.
I Vangeli domenicali, che nella II domenica « per annum » sono tratti da Giovanni e in continuità con l’Epifania si riferiscono alla manifestazione del Signore, a partire dalla III domenica offrono la lettura semicontinua del vangelo di Matteo (anno A), di Marco (anno B), di Luca (anno C). I testi sono stati scelti per comporre una certa armonia tra la presentazione narrativa dei vangeli, il loro sviluppo dottrinale e lo svolgimento dell’anno liturgico.
Trovo importanti queste sottolineature per comprendere come la Chiesa, nel corso dei secoli e ultimamente nella grazia fecondissima del Vaticano II, ha sempre vissuto e strutturato il « tempo per annum » come un itinerario di sequela che radica le vicende salvifiche del Cristo nelle vicende umane dei fedeli. Per quel che riguarda la scelta della prima lettura, l’attenzione si è rivolta nella ricerca di testi che fossero annuncio e preparazione delle vicende narrate nelle pericopi evangeliche, per poter dimostrare l’unità dei due Testamenti. Pur con il chiaro intento di comporre una proclamazione unitaria la riforma è riuscita a non perdere il richiamo alle pagine più importanti della Bibbia che tornano, dopo secoli di silenzio, ad essere proclamate a tutto il popolo radunato nella santa assemblea. La seconda lettura offre la proclamazione semicontinua delle lettere di Paolo e di Giacomo (quelle di Pietro e di Giovanni si leggono nel tempo pasquale e nel tempo natalizio), scegliendo brani brevi, non troppo difficili, e distribuendo le lettere più lunghe (Corinzi ed Ebrei) nell’arco dei tre anni.
Durante i giorni feriali non si proclama la Scrittura secondo la tripartizione domenicale (anno A, B, C) ma, svolgendo la lettura dei vangeli di Marco (settimane I-IX) , poi di Matteo (X-XXI), poi di Luca (XXII-XXXIV), si alternano due cicli di prima lettura distinti in « anno I » (anni civili che terminano con cifra dispari) e « anno II » (anni civili che terminano con cifra pari). L’idea soggiacente è la medesima del lezionario domenicale: mostrare l’unità dei due Testamenti.
Ed è proprio in quei giorni così “ordinari” che, oltre alle Lettere Apostoliche, si possono udire nuovamente le vicende degli inizi, con Genesi e Esodo, le lotte di Deuteronomio e Giosuè, l’epopea di Saul e Davide, il coraggio di Rut, le parole infuocate dei Profeti o la disperazione di Giobbe preceduta dal disincanto di Qoelet. Non vi pare un banchetto lauto ed abbondante? Questa Parola ci accompagna e ci sostiene, senza squilli di trombe, tra le viuzze e le autostrade del nostro quotidiano compito, e ci impasta, ci plasma, ci sprona e veglia con noi e su di noi. Quante volte è stata proprio l’Eucarestia del ?«tempo durante l’anno?», feriale e festivo, a distillare in me le gocce più preziose e saporite della fede….
Se poi volessimo dare uno sguardo (e quanto bene ci fa!) alle orazioni di questo periodo liturgico, ci accorgeremmo della varietà e globalità con cui il mistero di Cristo viene considerato. Fin d’ora dico: testi così intensi e belli da essere ottimo nutrimento anche per la preghiera personale, la meditazione, la condivisione di fede, la predicazione di esercizi spirituali, anche al di fuori dell’Eucarestia. In modo particolare la seconda edizione italiana del Messale di Paolo VI (15 agosto 1983) ha aggiunto per ogni domenica una nuova colletta (l’orazione iniziale, che si annuncia con il “preghiamo!” del sacerdote dopo il Gloria) modellata sul testo del vangelo del giorno (tre collette in tutto, quindi, visto che le domeniche si scandiscono in anno A, B, C). Esse, vive di quella spiritualità, immediatezza, spontaneità proprie dell’uomo contemporaneo, testimoniano la presenza dello Spirito nella Chiesa del XX secolo, che sa ancora offrire nella lingua dei vivi la lode al Dio vivente. Il pregio di queste collette e di concludere-unire i riti d’ingresso sulla soglia della Liturgia della Parola, alla quale si ispirano, gettando più o meno esplicitamente un ponte sulla Liturgia Eucaristica, pienezza e fondamento di lode e salvezza. Permettetemi poi di invitarvi a considerare i Prefazi, inizio della Preghiera Eucaristica: quelli previsti per il « tempo durante l’anno » considerano il mistero pasquale nel suo insieme e lodano il Padre per la mirabile opera della redenzione attuata in Cristo che dona senso al nostro esistere come primizia e attesa, nello Spirito, della venuta del Regno. La domenica è detta giorno nel quale la comunità umana disgregata dal peccato è riunita nel vincolo di amore della Trinità, per divenirne tempio vivo ed esercitare la cura e la custodia su tutto il creato.
Ecco l’orizzonte del quale parlavo: questo periodo ci chiama a considerare e a coltivare il senso della domenica come Pasqua settimanale e giorno della comunità cristiana, educati attraverso la lettura dei Vangeli sinottici che, attraverso il ministero dell’omelia, nutrono una fede finalmente radicata sulla vicenda terrena di Gesù. Allora permettetemi una battuta. Il tempo « per annum » possiamo ancora chiamarlo ?«tempo ordinario?»? No, direi…. Straordinario!

Don Gaetano Comiati

Cappella Ortodossa

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Publié dans:immagini sacre |on 8 janvier, 2018 |Pas de commentaires »

SUL COME RICONOSCERE I SANTI

http://www.oodegr.com/tradizione/tradizione_index/insegnamenti/comericonsanti.htm

SUL COME RICONOSCERE I SANTI

Questo scritto è una provocazione. Per due motivi.
Il primo: oggi non si sente il “bisogno” di santi come, d’altronde, non si sente il “bisogno” di Dio.
Il secondo: tale argomento pare scontato ad alcuni mentre, in realtà, non lo è affatto. Chi vorrà leggere capirà il perché.
Il santo, di primo acchito, pare uno qualsiasi. La sua figura non ha nulla di particolarmente eccezionale. Potrebbe pure passare per un essere di poco conto. Nel libro dell’Esodo notiamo che Dio, per rivolgersi al popolo, preferisce Mosè ad Aronne. Un particolare rivela la “bizzarria” di Dio: Mosè era balbuziente (Es 4, 12). È dunque scelto un balbuziente, un “minorato”, per comunicare una rivelazione divina!
La nostra mentalità si pone all’esatto contrario. Per noi il santo dovrebbe essere una specie di star, una persona in grado di soddisfare la nostra idealità umana. In realtà non è nulla di tutto ciò! Basti pensare che il santo, con il suo stile, spacca tutte le nostre sicurezze perché ne ha scoperte di altre, più solide e fondate, e c’invita a coglierle. Ma osserviamo qualche suo aspetto o caratteristica.
Il santo ha uno “strano” atteggiamento. Non fa girare lo sguardo qua e là, non va in cerca di sapere tutto su tutti, non si agita e non crea agitazioni, non ha impeti passionali, evita di giudicare, non ha attaccamenti o feticci borghesi… È assolutamente tranquillo e pare stia con la mente “da un’altra parte”. Dalla sua persona promana una particolare concentrazione. Pare che non osservi, pare che non ascolti, pare che non si ricorderà di chi lo visita… Invece bisogna ricredersi! Osserva ma attraverso “qualcosa” che gli vive dentro, un po’ come un miope mette a fuoco il suo sguardo attraverso gli occhiali che porta. Ascolta, ma ad un livello più profondo. Passa il tempo e, anche se lo si ha visto per cinque minuti e una sola volta, si ricorderà bene di chi ha incontrato.
Il nostro amore verso le persone è sempre, più o meno, “appiccicoso”. Amiamo perché vogliamo essere riamati. Il santo no. Ha un amore intenso ma assolutamente puro e libero. Ama ma non chiede nulla perché ha un altro orizzonte, un orizzonte che non si chiude davanti a chiunque gli sta di fronte: egli si rivolge alle realtà che non si consumano.
Il santo è un uomo che fugge dagli uomini e che, se può, non si fa trovare da loro: aborrisce la notorietà. Fugge da qualsiasi cosa lo deconcentri perché ha colto il cuore della rivelazione neotestamentaria: il regno di Dio è dentro di voi! Il santo è colui che ha fatto il vuoto in sé privandosi di tutto fuorché dell’essenziale. Egli si è avvicinato alla porta del Cielo che ha dentro e l’ha spalancata. Dietro ad essa ha scoperto “fiumi di acqua viva” (Gv 7, 38) e una Presenza dalla quale non si vuole mai allontanare. Con questa Presenza, nascosta dentro la sua vita, s’intrattiene in preghiera senza contare il tempo che passa. Incontra il suo prossimo senza staccarsi dal volto del Cristo che porta in sé e che continuamente considera. Nell’incontro con una persona così si percepisce qualcosa di “diverso” qualcosa, appunto, di “Altro”.
“Hai incontrato quel santo monaco?” chiesi un giorno ad un pellegrino. Da cosa ti sei accorto che era santo? Mi rispose: “Lo senti!”. In queste due parole c’è racchiuso uno splendido mistero, un mistero che ci tocca nel profondo.
Lo senti. Significa che, anche se nessuno ce lo ha mai insegnato, abbiamo una facoltà con la quale “sentiamo” con certezza qualcosa di particolare e di positivo.
Lo senti. Significa che queste cose non possono essere descritte. Si vivono e basta.
Il santo ci dispiega altri orizzonti, c’illustra qualcosa che non è più umano ed è in grado di donarci una stabile speranza. Dio, per lui, non è una filosofia, un pensiero consolatorio; è il centro della sua stessa vita e lo sente come noi sentiamo il battito del nostro cuore, nei rari momenti in cui vi prestiamo attenzione.
Dicono che il santo è uno che ama le persone. È una frase che, soprattutto oggi, ha bisogno di essere ben definita. Il santo ama gli uomini attraverso qualcosa di non umano: Dio. Per questo può disattendere aspettative troppo “umane”, perché vede ben oltre i piccoli ed angusti nostri orizzonti. Egli può, a volte, leggere nei pensieri, riconoscere la storia di un uomo e il suo nome anche se nessuno gliene ha mai parlato. Come fa? Immaginiamo che su un tavolo ci siano due radio accese. Se sono tutte e due sintonizzate sulla stessa emittente suoneranno entrambe la stessa musica. La prima radio non “indovina” o “rapisce” la musica dalla seconda. La riceve dal trasmettitore sul quale è sintonizzata. Il santo è “sintonizzato” sull’energia di Dio il quale dona vita sia a lui che al suo prossimo. Attraverso la forza di Dio, riceve informazioni dell’altro e, così, lo “legge” come se fosse un libro aperto. Ecco perché il santo monaco Paissios del Monte Athos diceva a qualche suo visitatore: “Ti leggo come se fossi un libro aperto!” La sua virtù non era quella d’indovinare i pensieri dell’altro, era quella di sintonizzarsi in Chi lo faceva entrare nell’altro. Il resto era un gioco…
Dio, vivendo nel santo, lo rivela agli altri. Tutto quello che il santo compie lo “tradisce” perché porta un marchio particolare che lo contraddistingue. Ecco perché è la Chiesa, popolo di Dio, che “riconosce” il santo. La Chiesa non può certo “fare” un santo, può solo “riconoscerlo”, riconoscendo in lui i segni di Dio. Essa lo può riconoscere perché pure lei è segno di Dio. Chi, nella Chiesa, inventasse dal nulla dei “santi” elevando uomini, magari buoni ma non “santificati”, agirebbe contro Dio e confonderebbe la Chiesa. Il santo, infatti, è la più autentica immagine della Chiesa; non lo si può sostituire con qualcosa che non gli sia all’altezza.
Il santo non ha bisogno di leggi scritte: ha scoperto che la legge è nel suo cuore. Sente da dentro cosa deve fare e cosa deve evitare. Perciò non rimprovera né accusa gli altri ma solo se stesso. Non accusa nessuno, a meno di non essere costretto a denunciare le eresie, ossia le idee che rendono l’uomo refrattario all’azione di Dio! E qui ha un’autorità che colpisce. Non ha bisogno di urlare, come gli animatori di certe sette o di certi movimenti cristiani settari. Essi infatti urlano perché sono deboli e instabili. Hanno bisogno di farlo per colpire esternamente le persone. Il santo, invece, può benissimo parlare piano ma le sue poche parole sono scandite con una forza e una stabilità notevole. Giungono direttamente al cuore. Rivelano che egli si appoggia sulla roccia ferma ed è divenuto lui stesso roccia ferma della fede sulla quale si edifica la Chiesa.
Il santo è una persona che può guarire e compiere miracoli. Qui, però, bisogna fare altre distinzioni che il nostro mondo non è in grado normalmente di cogliere. Dietro alla realtà, diciamo così, materiale esiste una realtà spirituale di varia natura e genere. Ci sono forze che ordinariamente non conosciamo ma che le società antiche riconoscevano meglio di noi. Pensiamo a cosa potevano fare gli sciamani con i loro riti, alla conoscenza spirituale di alcuni monaci buddisti o, ancora, agli strani poteri che esistono presso certi stregoni animisti. Questa sfera entra all’interno dell’ordine “spirituale” ma non appartiene a Dio. Dio, tuttavia, ne permette l’ esistenza esattamente come permette all’uomo di andare contro se stesso.
Ciò significa che un uomo che compie miracoli e guarisce persone, può benissimo non essere santo. Prima dell’avvento di Cristo esistevano molti uomini che compivano miracoli. La letteratura biblica apocrifa è colma di descrizioni di fatti miracolosi. Credo che il nostro tempo stia scoprendo sempre più i “santoni” e i “guaritori” forse perché costoro non sono spiritualmente “esigenti” come i santi, non conducono sullo stesso percorso! D’altra parte i santi vogliono portare le persone al loro livello: non amano avere presso di sé degli schiavi! Per non essere schiavi o passivi bisogna lavorare, rinunciare e faticare e ciò è odiato dalla gente del nostro comodo mondo…
I santoni possono attrarre a sé anche per la loro alta moralità e il loro amore verso il prossimo. Un esempio per tutti: Sai Baba. Egli è in grado di materializzare oggetti, guarisce dal cancro molti, apre case di cura e ospedali… Ma la forza di Sai Baba è in Dio, nel Dio rivelato da Cristo, nel Dio che non vuole chiamare l’uomo “schiavo” ma “amico”? No! Il santone potrà certo guarire il corpo ma non elevare il corpo e lo spirito come un santo! Non ha lo stesso livello ma uno molto inferiore. I Padri della Chiesa davanti a ciò erano netti: tutto ciò che non viene da Dio viene dal Maligno. Se in una realtà cristiana si ha bisogno di santoni pagani vuol dire che la qualità del cristianesimo è scesa ad un livello “inferiore” rispetto allo stesso paganesimo. D’altronde, i risultati stessi ce lo mostrano. C’è da chiedersi cosa abbia scatenato tutto ciò…
Si racconta che un giorno giunse da padre Paissios un monaco buddista in grado di rompere piccole pietre con la forza del pensiero. Cominciò ad operare i suoi prodigi davanti all’anziano athonita. “Sei molto bravo”, gli disse Paissios senza lasciarsi minimamente scomporre né meravigliare. “Ora prova a spaccare questa pietra” aggiunse. E, così dicendo, gli diede una piccola pietra sulla quale, un istante prima, aveva tracciato un segno di croce. Il buddista provò molte volte ma invano…
Il santo conosce veramente Dio. Per i Padri della Chiesa, gli amici di Dio conoscono Colui che amano altrimenti non gli sono amici, ossia intimi. Conoscendo Dio e avendone intimità ne sono “plasmati” e ricevono da Lui il dono della santificazione. Nella continua interazione tra la creatura e il Creatore, la prima scopre le “caratteristiche” del Secondo, per quanto gli è consentito. Nei veri santi non esiste, dunque, una separazione tra dogma e spiritualità. Essi, ad esempio, sanno che in Dio c’è qualcosa d’immanente e qualcosa di trascendente, sanno cosa sia spiegabile e cosa non lo sia, sanno, ad esempio, che Cristo è Dio, che non si potrebbe mai ritrarre la sua divinità, ma unicamente la sua apparizione nella carne e via dicendo… Così la santità cristiana significa intimità con Dio, “conoscenza” di Dio. Ecco perché la santità è inscindibile dall’ortodossia (= la retta fede). La retta fede diviene, a sua volta, il principale criterio per riconoscere il vero santo. Ecco perché il livello del santo si stacca decisamente da quello dell’uomo buono, da quello dell’uomo comune, da quello dell’uomo negligente… Altra è, infatti, la tenebra, altra la luce di una candela, altra la luce di un neon, altra la luce del sole.
Recentemente è stato composto un “Martirologio Ecumenico” che raccoglie assieme testimoni e santi di tutte le confessioni cristiane. Considerando questa pubblicazione e alla luce di quanto appena esposto, risulta un vero inganno poter pensare di porre gli uomini significativi di ogni confessione cristiana sullo stesso piano. D’altronde questo genere di iniziativa, inglobando santi e testimoni di ogni confessione, si presta e può suggerire equivoci di tal genere. Ma ciò, oggettivamente parlando, è una violenza a chi si vuole esaltare. Martin Luther King non avrebbe mai desiderato essere avvicinato al concetto di santo se non altro perché, nella confessione alla quale apparteneva, non esiste il culto dei santi! Inoltre, questa confusione è ingannevole anche per un altro motivo. All’interno di ogni confessione cristiana gli uomini possono raggiungere gradi differenti di perfezione. Ciò dipende anche dagli strumenti che ogni confessione possiede, strumenti che esprimono l’identità, l’ethos, il modo di essere di quella Chiesa. Gli strumenti donati dal Protestantesimo, per l’elevazione umana, non coincidono con quelli del Cattolicesimo, quelli del Cattolicesimo non coincidono con quelli dell’Ortodossia. Quest’ iniziativa potrebbe spingere verso una totale mancanza di discernimento in tal campo! Ciò che è peggio, (e che qualcuno definirebbe propriamente “eretico”) sta esattamente nel fatto che non si può parificare chi conosce Dio intimamente con chi lo ha sentito solo nominare ed ha amato il suo prossimo come ha potuto o come meglio gli è riuscito. Un conto sono i filantropi, un conto sono i filotei, un conto sono i teofori. Un conto è amare l’uomo, un conto è amare l’uomo in nome di un ideale generico o evangelico, un conto è amare l’uomo attraverso il Dio vivente in sé.
Il santo si pone solo su quest’ultimo livello, un livello, oggi, sempre più raramente assunto e sempre più incompreso perché tutto viene giudicato a partire da criteri molto riduttivi ed egocentrici. Sarà sempre più così fintanto che non s’incontrerà sulla propria strada un santo…

 

Publié dans:meditazioni |on 8 janvier, 2018 |Pas de commentaires »

Battesimo del Signore

pens e it - Copia

Publié dans:immagini sacre |on 5 janvier, 2018 |Pas de commentaires »

7 GENNAIO 2018 – BATTESIMO DI GESÙ – B | LETTURE – OMELIE

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7 GENNAIO 2018 – BATTESIMO DI GESÙ – B | LETTURE – OMELIE

Battesimo di Gesù – Anno B

Per cominciare
L’incarnazione di Gesù non finisce di sorprenderci. Gesù che riceve il battesimo di Giovanni e si mescola con i peccatori, scandalizza chi lo aspettava diverso, soprattutto chi non si è rassegnato a vederlo uomo apparentemente come gli altri, anzi indifeso, umanissimo, sconfitto. Gesù inaugura oggi il battesimo cristiano e ci induce a riflettere sul nostro battesimo.

La Parola di Dio
Isaia 55,1-11. Dio è fedele alle sue promesse e si realizzano. Per questo l’esilio è finito e gli ebrei tornano a Gerusalemme; per questo il trono di Davide avrà un periodo di nuova gloria. Ma l’empio abbandoni i suoi cattivi propositi e ritorni al Signore.
1 Giovanni 5,1-9. In questa seconda breve lettura, l’apostolo Giovanni ricorda alcune verità importanti: l’amore per i fratelli, l’osservanza dei comandamenti come segno del nostro essere figli in Gesù, la nostra vittoria sul mondo grazie a Gesù che ci ha salvati con il suo battesimo e con la sua morte in croce (con acqua e sangue).
Marco 1,7-11. È la forma più breve del racconto del battesimo di Gesù. Giovanni preannuncia il messia e lo battezza mentre i cieli si aprono e si sente la voce del Padre che riconosce in Gesù il « Figlio amato », chiamato a compiere la missione per cui lo ha mandato.

Riflettere…
o « Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio », così comincia il vangelo di Marco, che salta in questo modo i circa trent’anni di vita che intercorrono tra la nascita di Gesù e l’inizio della sua vita pubblica. Lo abbiamo appena festeggiato bambino una quindicina di giorni fa, lo abbiamo visto circondato dai pastori, in braccio alla madre, visitato nel giorno dell’Epifania dai magi, straordinari « cercatori di Dio », e ora quasi d’improvviso ci troviamo davanti a un uomo di circa trent’anni, saltando d’un balzo tutti i suoi anni giovanili.
o Di fatto gli apostoli e gli evangelisti cominciarono a trasmettere e a scrivere subito per primi i racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù e solo dopo hanno cercato di scavare almeno un poco negli anni precedenti della sua vita. Presentarono soprattutto la sua predicazione e i suoi insegnamenti, di cui erano stati spettatori e testimoni. Con Luca e Matteo troviamo anche qualche notizia sulla sua nascita e sulla sua infanzia.
o Ma il racconto del battesimo di Gesù è presente in tutti e quattro gli evangelisti, ed è citato dallo stesso Pietro negli Atti (10,37-38). Il battesimo di Gesù è un episodio molto amato sin dall’antichità e immortalato in molti mosaici e celebri dipinti.
o Vediamo Gesù in fila con i peccatori, come se si trovasse in coda davanti a un confessionale. È il messia e il Battista lo ha presentato e ha invitato ad attenderlo. Ma Gesù non è lì per fare da spettatore, o per farsi battere le mani, e nemmeno per farsi giudice. Lui è senza peccato, ma entra nell’acqua e riceve anche lui il battesimo di penitenza. Lo fa per umiltà e per dirci che ognuno di noi prima di ogni cosa nell’organizzare la sua vita deve cancellare il suo peccato e cambiare vita.
o Gesù riceve il battesimo di Giovanni e si inserisce pienamente nel popolo. Il suo è un atto di abbassamento, così come è stata la sua incarnazione, la nascita a Betlemme nel nascondimento e nella povertà: è in questo modo che ha assunto intera la nostra umanità.
o Ma con il battessimo Gesù offre una prima manifestazione di sé agli altri. In linea con l’Epifania e con le nozze di Cana. È la sua « investitura », la presa di coscienza della sua figliolanza divina: Gesù è il figlio « l’amato », su cui Dio ha posto il suo compiacimento.
o Gesù esce oggi dalla lunga e misteriosa vita privata, per entrare nella vita pubblica: è per lui l’inizio della raggiunta maturità, la sua prima uscita allo scoperto, l’inizio della responsabilità e della predicazione.
o La sua missione inizia sotto l’impulso dello Spirito Santo. Lo Spirito presente all’inizio della creazione, che ha fecondato il ventre di Maria rendendola Madre di Dio, scende ora su Gesù: è la sua Pentecoste, l’inizio di una esperienza di vita sorprendentemente nuova.
o Gesù inaugura anche il nuovo battesimo nello Spirito Santo e fuoco. Gesù santifica le acque, quelle del nostro battesimo: « Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio » (Gv 3,5).

… Attualizzare
* Nel film Il Messia di Rossellini è singolare una delle prime sequenze. La macchina da presa spazia presso l’ansa di un fiume, si abbassa e si posa su un gruppo indistinto. L’obiettivo mette a fuoco lentamente le persone, un volto dopo l’altro, poi si posa su uno di loro, uno dei tanti, Gesù. Anche lui è lì, in atto di penitenza, per ricevere il battesimo di Giovanni.
* È ormai un uomo fatto Gesù. Finora ha santificato per trent’anni la vita quotidiana, condividendo l’esperienza di tutti, il quotidiano apparentemente normale della gente di Galilea. In questo modo ci assicura che ogni vita, accolta con fede dalle mani di Dio e vissuta con motivazioni profonde, in piena solidarietà con gli altri, acquista un senso pieno.
* Gesù conserva tutte le caratteristiche della gente del suo paese. Ne I Giardini dell’Eden il regista Alatri immagina un Gesù viaggiatore alla ricerca di esperienze religiose esoteriche, ascetiche, da iniziati. Ma è molto probabile che non abbia mai avuto l’occasione di spingersi fuori dai confini della sua regione. Nei paesi vicini forse c’è andato con papà Giuseppe per il suo mestiere di fabbro. Gesù è originario di Nazaret di Galilea (Mc 1, 9), a quel tempo poco più di un villaggio. Tutti si conoscono fin da bambini tra quelle case dove non avviene mai niente di straordinario.
* Ma Gesù, giunto ai trent’anni, dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni, cambia radicalmente vita, si presenta in piena libertà e autorità, provoca tra i suoi compaesani sorpresa, scandalo e indignazione (Lc 4, 14 30). Dimostra di avere una conoscenza profonda delle persone e della storia, di conoscere le grandi culture del suo tempo. Alla sua età non ha ancora messo su famiglia, sceglie invece di darsi alla vita itinerante, attirando l’attenzione delle folle. E il suo modo di agire suscita reazioni divergenti. « C’è gioia per le aperture che offre, ma genera anche confusione. Per alcuni provoca addirittura scandalo perché non ha peli sulla lingua e perché si muove in ambienti ritenuti poco raccomandabili dalla gente osservante del suo tempo » (Cees J. Den Heyer).
* Gesù è il figlio prediletto del Padre, è il volto di Dio fatto uomo, ed è venuto ad annunciare a tutti l’amore di Dio: questa è la sua missione, questo è il contenuto della sua predicazione, questo dirà durante gli anni della vita pubblica con le parole e con la sua vita. aNon si può vivere questa giornata senza pensare concretamente a quello che è stato il nostro battesimo e a quello che viene amministrato nelle nostre comunità. Il nostro battesimo è stato un atto di accoglienza, di amore, di predilezione di Dio e della chiesa. Eravamo bambini inconsapevoli, ma questo non rende il nostro battesimo meno vero.
* Potremmo dire che è stato una specie di « pacco dono », che però poi molti non si preoccupano di aprire. Si tratta invece ora di vivere da adulti un sacramento che porta in sé un cammino di impegno, di morte-vita al seguito di Gesù. Cammino faticoso: lo è stato per Gesù che pure non aveva peccato. Ma è anche l’assunzione di una missione: la stessa di Gesù, il grande comunicatore del Padre, il vangelo fatto uomo.
* Il battesimo non è solo un rito di accoglienza da parte della chiesa o un gesto sociale legato a tradizioni popolari. Non è nemmeno soltanto la festa della vita, il dire grazie a Dio per il dono di una nuova nascita. Il battesimo è una condizione di vita: è un rinnovarsi profondamente, convertirsi, assumere su di sé una missione.
* Gesù riceve il battesimo di Giovanni Battista, un gesto penitenziale per partecipare alla condizione di ogni uomo del suo tempo. quasi a dirci che il nostro itinerario di conversione incomincia quando sappiamo calarci nelle povertà altrui con tutto il peso di colpe, di sofferenze, di miserie che ci portiamo dentro. È per questo che lo Spirito scende su Gesù e il Padre si compiace di lui.
* Se il battesimo di Gesù è stato l’ingresso ufficiale nella vita pubblica, dopo il nostro battesimo non poteva avvenire nulla di tutto questo. Per questo motivo compito di ogni famiglia e di ogni comunità è quello di far percorrere a ogni bambino battezzato un cammino catecumenale post-battesimale, in modo che possa appropriarsi in modo cosciente di ciò che è avvenuto in lui per puro dono di Dio e della comunità cristiana.
* Man mano che un bambino cresce e prende coscienza della propria identità cristiana dovrebbe assumerne anche gli impegni, quelli stessi vissuti da Gesù: l’amore vissuto, la bontà del Padre, la predicazione e la costruzione del regno di Dio, l’attenzione agli ultimi e agli svantaggiati della società.
* Molti genitori, anche in situazioni famigliari irregolari, chiedono il battesimo per i figli. Lo fanno per tradizione, qualcuno per non far mancare proprio nulla ai loro figli, per avere una « benedizione », per festeggiare la nuova nascita. Sono abbastanza rare le famiglie consapevoli del significato del battesimo e non mancano i parroci che si accontentano di poco per « non spezzare una canna incrinata », per « non spegnere uno stoppino dalla fiamma smorta » (Is 42,3). Gli stessi vescovi francesi, già parecchi anni fa, posti di fronte al problema del battesimo dei bambini, hanno concluso che è difficile capire e valutare appieno la fede di questi genitori e scelsero di non rifiutare la loro richiesta.
* Non sarà inutile ricordare che l’attuale rito del battesimo prevede che per ben tre volte i genitori esprimano pubblicamente il compito di assumersi in prima persona la crescita nella fede del loro bambino. Sin dall’inizio sono loro che chiedono il battesimo del figlio, poi il ministro dice: « Voi vi impegnate a educarli nella fede, perché, nell’osservanza dei comandamenti, imparino ad amare Dio e il prossimo, come Cristo ci ha insegnato. Siete consapevoli di questa responsabilità? ». Infine si rivolge ancora a loro dicendo: « Cari genitori, padrino e madrina… a voi il compito di educarlo nella fede, perché la vita divina che riceve in dono sia preservata dal peccato e cresca di giorno in giorno. Se dunque, in forza della vostra fede, siete pronti ad assumervi questo impegno, memori delle promesse del vostro battesimo, rinunciate al peccato, e fate la vostra professione di fede in Cristo Gesù: è la fede della chiesa nella quale il vostro figlio viene battezzato ».
* Se si battezza male, non si evangelizza. E se vogliamo essere missionari e far crescere la chiesa, si deve battezzare meglio. Il battesimo di Gesù gli ha cambiato vita: anche i nostri battesimi dovrebbero lasciare un segno, con il tempo nei bambini, subito nella loro famiglia.

È lo Spirito che dà la vita
« Senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo è nel passato, l’evangelo è lettera morta, la chiesa una semplice organizzazione, l’autorità una dominazione, la missione è propaganda, il culto una evocazione e l’agire cristiano una morale da schiavi. Ma in lui… Cristo risorto è qui, l’evangelo è potenza di vita, la chiesa vuol dire comunione trinitaria, l’autorità è un servizio liberatore, la missione è una Pentecoste, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano è deificato » (Ignazios Hazim, patriarca ortodosso di Antiochia).

Fonte autorizzata in: Umberto DE VANNA

Adorazione dei Magi (Leonardo da Vinci)

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Publié dans:immagini sacre |on 4 janvier, 2018 |Pas de commentaires »
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