05 NOVEMBRE 2017 | 31A DOMENICA T. ORDINARIO – A | OMELIA
05 NOVEMBRE 2017 | 31A DOMENICA T. ORDINARIO – A | OMELIA
Per cominciare
Questa domenica è dedicata a fare l’esame di coscienza ai capi religiosi, a tutti quelli che occupano posti di responsabilità e di comando nella comunità cristiana. Essi, che sono chiamati a fare da ponte tra l’uomo e Dio, con la loro condotta possono oscurane il vero volto.
La parola di Dio
Malachia 1,14b?2,2b.8-10. Il profeta Malachia si rivolge ai sacerdoti e ai leviti, come a coloro che sono posti in autorità nella comunità, condannando il loro perbenismo, il culto vuoto, l’indifferenza morale
Tessalonicesi 2,7b-9.13. Paolo ci presenta il modello del vero pastore: è lui stesso, è la sua vita: spinto dall’amore, zelante, uomo di Dio e accolto come tale dai Tessalonicesi.
Matteo 23,1-12. Un durissimo attacco di Gesù nei confronti dei farisei e dei maestri della legge. Essi sono incoerenti, finti, rituali. E li invita a guardare all’autorità come servizio.
Riflettere
« I maestri della legge e i farisei hanno l’incarico di spiegare la legge di Mosè », dice Gesù. « Fate quel che dicono, ubbidite ai loro insegnamenti, ma non imitate il loro modo di agire: perché essi insegnano, ma poi non mettono in pratica quel che insegnano ».
L’accusa pesantissima viene rivolta da Gesù agli scribi e ai farisei all’interno del tempio santo di Gerusalemme. Essi che sono esperti della sacra scrittura e della legge, la interpretano a loro favore. Sono avidi di potere, vanitosi, complicati, pieni di cavilli giuridici e religiosi.
Si presentano come uomini integerrimi, intransigenti, ma sono esibizionisti, danno peso alle esteriorità, vogliono occupare posti di prestigio ed essere riveriti.
Gesù contesta il loro servizio:
- per il legalismo e l’esteriorità del loro culto;
- per la loro incoerenza e doppiezza: mettono sulle spalle degli altri dei pesi impossibili, ma da parte loro non vogliono muoverli neppure con un dito;
- per la loro ostentazione e il bigottismo: « Tutto quel che fanno è per farsi vedere dalla gente ».
Altrove Matteo, che scrive per la chiesa delle origini, contesta altri limiti riferibili agli apostoli: la mancanza di fede, la mancanza di coraggio.
Se vogliamo completare il quadro, riferendoci ai pastori dei nostri giorni, potremmo aggiungere difetti più comuni e tuttavia poco graditi ai fedeli: l’avarizia, la durezza, l’insensibilità…
Naturalmente la storia del popolo eletto presenta anche esempi di pastori zelanti, di uomini e donne che hanno messo la loro vita a servizio del popolo. Gesù si rivolge soprattutto a quei capi religiosi che conosce più da vicino, che stanno esercitando l’autorità mettendola al loro servizio e non della gente. E Matteo, che scrive pensando alla chiesa del suo tempo, mette in guarda coloro che nella chiesa occupano posti di comando.
Attualizzare
Mi piace pensare che la scelta di questo brano da parte dei liturgisti non sia dettata dal voler parlare dei farisei di ieri, ma di quelli di casa nostra, di quelli di oggi, che vivono nella nostra chiesa.
Una chiesa che è affidata a uomini in carne ed ossa e che ha quindi sempre un buon motivo per convertirsi. Diceva nella sua umiltà san Vincenzo de’ Paoli: « Se avessi conosciuto la sublimità di questa condizione, avrei preferito lavorare la terra, piuttosto che impegnarmi in uno stato così terribile. Più divento vecchio, più mi confermo in questi sentimenti, scoprendo ogni giorno di più quanto io sia lontano dalla perfezione in cui dovrei essere ». E Luisa de Marillac: « Le superiore o quelle che hanno posti di responsabilità devono considerarsi « suore serventi », come gli animali da soma, essere i muli della comunità ». Ma questi sono i grandi santi, dalle grandi coerenze antiche.
Gesù non è stato tenero con i farisei e i dottori della legge. Ma così facendo ha manifestato nei loro confronti un atteggiamento di profondo amore. Non è raro che per paura, per servilismo o per disprezzo, non ci si cura di correggere chi è in autorità. Mentre Gesù coraggiosamente smaschera la loro ipocrisia, la loro vanità, i loro interessi.
Correggere fraternamente chi è in autorità è una cosa difficile. Ma chi potrebbe farlo si assume una grande responsabilità a tacere, proprio perché per la posizione che occupano, si trovano nelle condizioni di creare più guai.
Nella storia della chiesa non mancano esempi clamorosi di chi ha preferito sbattere la porta e andarsene. Giovanni Calvino confidava a un amico: « Volendo stare in pace con quelli che nella chiesa rivendicano un posto di preminenza e pretendono essere colonne della fede, avrei dovuto rinunciare alla verità. Ho preferito affrontare tutti i pericoli del mondo piuttosto che cedere a un ricatto così odioso ». E ha scelto di abbandonare la barca della chiesa, portandosi dietro una buona fetta di credenti.
Naturalmente tutto è più facile se chi è in posizioni di comando si dimostra disponibile alla correzione e non alza steccati, trincerandosi in castelli inaccessibili. Filippo di Spagna diceva di san Carlo Borromeo: « Purché siano santi come lui e poi non ci dispiace che ci richiamino all’ordine… ».
Quando però non ci si sente di correggere fraternamente chi ci è superiore, è un po’ meschino sparlare di loro, criticarli negativamente, contribuire ? come diceva don Milani ? a creare il vuoto attorno a loro. Non così ha fatto Gesù, che proprio in forza della sua schiettezza ha preparato la sua condanna.
Se Gesù tornasse da noi oggi, troverebbe una situazione del tutto nuova? Forse. In ogni caso, di fronte ai nostri difetti penso che ci richiamerebbe con minor veemenza. Ma anche oggi, almeno in qualcuno, quanto desiderio di apparenza, abiti e ruoli che separano, quanto desiderio di onorificenze.
Ma per non infierire unicamente contro il clero, penso che si potrebbe estendere la riflessione a chiunque nella nostra società si trova in autorità (politici, genitori, insegnanti, funzionari pubblici…): tutti dobbiamo sentirci al servizio della crescita nella libertà di tutti. È triste avere a volte la sensazione di essere schiacciati da chi esercita un ruolo che per sua natura è a servizio degli altri. Benedetto XVI: « I veri maestri e i maestri di cristianesimo non opprimono la liberta altrui in nome della propria autorità ».
Ma anche in famiglia, dove nessuno dovrebbe prevaricare o tiranneggiare gli altri. È noto ciò che diceva il grande generale greco e capo di stato Alcibiade, che un giorno ha dovuto ammettere: « Il mio figlioletto dev’essere davvero molto potente, se comanda a sua madre, la quale comanda a me, che comando a tutti i cittadini di Atene ».
Essere coerenti
« Quando i pagani sentono le parole del Vangelo, rimangono ammirati e desiderosi di imitarle, ma quando vedono che non siamo coerenti con l’insegnamento del maestro divino, ci dicono che siamo bugiardi » (Tertulliano).
Saper condividere
« Sapevo che non ero degno di esser chiamato all’episcopato… Donami, Signore, di saper condividere in fondo al cuore l’afflizione di coloro che si pentono… Ogni volta che si tratta del peccato di qualcuno che è caduto, possa io piuttosto compatire! Invece che dilungarmi con orgoglio in violenti rimproveri, possa piuttosto gemere e piangere in tal modo che piangendo l’altro, anch’io pianga me stesso » (sant’Ambrogio).
La chiesa siamo tutti noi
Alla beata Madre Teresa – disse papa Benedetto nel suo viaggio in Germania – fu richiesto una volta di dire quale fosse, secondo lei, la prima cosa da cambiare nella chiesa. La sua risposta fu: « Lei e io! ». Questo piccolo episodio ci rende evidenti due cose: da un lato, che la chiesa non sono soltanto gli altri: la gerarchia, il papa e i vescovi, ma chiesa siamo tutti noi, i battezzati.
Da (fonte autorizzata): Umberto DE VANNA sdb
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