29 OTTOBRE 2017 | 30A DOMENICA T. ORDINARIO – A | OMELIA

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29 OTTOBRE 2017 | 30A DOMENICA T. ORDINARIO – A | OMELIA

Per cominciare
Un fariseo, dottore della legge, interroga Gesù. La sua domanda non è sincera, ma Gesù non si rifiuta e risponde trasmettendo il messaggio centrale della legge, che è quello dell’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.

La parola di Dio
Esodo 22,20-26. Nella legge ebraica troviamo queste norme a difesa dei forestieri, degli orfani, delle vedove, dei poveri. Gesti di amore e di carità che hanno già il sapore del vangelo.
1 Tessalonicesi 1,5c-10. Paolo fa l’elogio della comunità di Tessalonica, che si comporta in maniera esemplare, secondo gli insegnamenti e l’esempio di vita che ha dato lo stesso apostolo.
Matteo 22,34-40. Ancora un altro tentativo di mettere alla prova Gesù da parte dei farisei e dei dottori della legge. È la loro ultima manovra, che offre però a Gesù di esprimere il suo pensiero a proposito del cuore della legge e del vangelo.

Riflettere
Nel brano di vangelo letto in questa domenica Gesù celebra nel modo più alto l’amore di Dio, che è il vertice di ogni spiritualità. Afferma che deve essere amato « con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente ». Cioè con tutto l’essere. Egli è la fonte del nostro esistere.
Ma c’è anche l’esaltazione dell’amore del prossimo: Dio e l’uomo vengono associati: sono due facce della stessa medaglia, uno rimanda all’altro.
L’episodio è centrale ed riportato dai tre evangelisti sinottici, ma non allo stesso modo. Luca lo inserisce nel viaggio verso Gerusalemme, fuori da ogni controversia e serve a introdurre la parabola del buon samaritano. In Marco il contesto è simile a quello di Matteo, ma è assente la polemica. Lo scriba loda Gesù: « Hai detto bene, maestro », e Gesù a sua volta gli dice: « Non sei lontano dal regno di Dio » (Mc 12, 32-34).
Qui invece interrogano Gesù per metterlo alla prova, dato che ha chiuso la bocca ai sadducei (cf il vangelo di domenica scorsa). « Maestro, nella legge, qual è il grande comandamento? ».
La domanda è raffinata, peccato che sia animata da rancore. I rabbini, maestri della legge, maniacali nel trasformare in centinaia di precetti la legge di Mosè, probabilmente si interrogavano davvero su quale fosse il « grande comandamento », cioè la disposizione più importante tra quelle che essi stessi nella storia si erano date
Ricordiamo che essi avevano raccolto la legge in 613 comandamenti: 365 proibizioni (una ogni giorno dell’anno) e 248 precetti (tanti quanti, secondo loro, erano le ossa umane).
La risposta di Gesù è inequivocabile, splendida, semplice. « Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti ».
Gesù dà valore anche in questo caso alla legge di Mosè. E presenta un atteggiamento filiale che lui osserverà per tutta la vita, in tutte le circostanze.
A noi questo amare « con tutto il cuore » fa problema, almeno praticamente. Amare con tutto il cuore ricorda che è un impegno che presuppone un oggi e un domani. Che domani sarà possibile amare Dio più di oggi. Sappiamo anzi che dal nostro amore di oggi dipende anche l’intensità del nostro amore di domani. Dice Ranher: « Il nostro è vero amore oggi, solo se si protende per diventare più di quanto è oggi, se è amore che si mette in viaggio, se si apre al domani ».
Sappiamo poi che concretamente questo amore lo si vive soprattutto « lasciandoci amare da Dio ». Ma questo è un altro discorso.
Gesù aggiunge: « Il secondo comandamento poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso ». Un precetto conosciuto anche nell’antico testamento, come abbiamo appena letto nel libro dell’Esodo. Dove si dice di avere cura e attenzione per i forestieri, le vedove e gli orfani, per i più indigenti. Dio si fa vendicatore nei confronti di chi opprime e maltratta, perché « chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora » (Pr 14,31).
Ma sarà tra i cristiani della nuova comunità nata dalla Pasqua che il precetto dell’amore diventerà pienamente centrale. E diventerà la caratteristica di un’infinità di santi. In tempi recenti basti nominare Madre Teresa e Giovanni XXIII. Ma gli esempi di vita sono tantissimi, con sfumature incredibili, una fioritura di episodi di eroica generosità. È del resto l’atteggiamento di ogni cristiano quando si converte davvero e incontra in qualche modo Dio.

Attualizzare
Se chiedessimo a qualcuno qual è il comandamento più importante, molti probabilmente risponderebbero: non rubare, non bestemmiare, saltare la messa di domenica, tradire la moglie o il marito…
Molti sarebbero anche oggi colti di sorpresa dalla parola di Gesù. Anche se l’amore è certamente la parola più gettonata nella comunità cristiana, nella predicazione, nella catechesi, tra i bambini e tra gli adulti. Una parola forse abusata, che non sempre ha riscontro nella vita.
Accanto ai santi, infatti, non è difficile vedere tra i cristiani i guerrafondai, gli usurai, i colonizzatori, i furbastri dell’economia, i razzisti, i violenti, i vendicatori, quelli che vedono sempre nell’altro un nemico.
E se vai a scavare a fondo, ti accorgi che gli stessi hanno forse anche di Dio un’idea sbagliata e non timbrata dall’amore, ma dalla discriminazione, dalla divisione, dalla separazione: un Dio rigorista e inflessibile, sempre pronto a punire e a condannare.
La risposta di Gesù non lascia dubbi sulla centralità dell’amore e i due precetti « simili », che di fatto sono messi sullo stesso piano, nelle sue parole sono destinati a segnare il ritmo della vita di ogni vero discepolo, ne danno la prospettiva dalla quale va guardata tutta la legge.
Un amore che è risposta all’amore di Dio che ci ama per primo. Amore per il fratello che verifica l’amore per Dio. Lo afferma l’evangelista Giovanni: « Se uno dice: « Io amo Dio » e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello » (1Gv 4,20-21); « Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore (4,7-8);
Come dicevamo, è stato prescritto anche qualcosa del genere già nell’antica legge. Lo abbiamo appena ascoltato: « Non molesterai, né opprimerai il forestiero, non maltratterai la vedova o l’orfano… » (Es 22,20). Già a quel tempo l’attenzione a queste categorie di persone non la si praticava per puro spirito umanitario ? che sarebbe già un fatto notevole per quel tempo. Ma lo si doveva fare perché così voleva Dio, perché « l’ira di Iahvè si sarebbe accesa e avrebbe fatto morire di spada » chi non avesse fatto in questo modo, dal momento che « Dio ascolta chi grida verso di lui, essendo pietoso » (Es 22,20-26).
Per l’ebreo però l’amore non si estendeva a tutti indistintamente. Se era prescritto questo sentimento di apertura in alcune situazioni, l’amore veniva per lo più inteso nel cerchio dei propri connazionali, nel proprio clan, nella famiglia.
Il cristiano invece ama il prossimo non perché è della stessa sua tribù, del proprio gruppo famigliare (il racconto di Luca lo precisa: nella sua parabola chi ama davvero è un samaritano, un nemico). Tanto meno ama solo quelli che gli sono simpatici o che la pensano come lui.
Ci amiamo perché siamo creature di Dio e perché Dio ci ama. Dobbiamo amarci perché siamo tutti figli di Dio in Gesù, fratelli tra di noi nella fede.
L’amore dell’uomo inoltre per noi cristiani nasce dall’amore di Dio: è per questo che può diventare grande, eroico, senza misura. Un amore per Dio così fedele e appassionato, da renderci simili a lui e che ci porta a vivere la misericordia verso l’uomo.
È proprio questo brano di vangelo che ci fa capire quanto sia falsa l’idea che la fede in Dio diminuisce l’uomo e il suo impegno nel mondo. C’è chi pensa che chi guarda al cielo è un alienato e non gli interessa più ciò che capita attorno a sé. C’è chi ha scritto che affinché Dio sia tutto, l’uomo deve diventare nulla (Feuerbach, Nietzsche, Sartre).
Gesù risponde con la sua vita a questa visione delle cose. Salendo al cielo è rimasto tra noi incarnato nel volto di ogni uomo, che per noi oggi è in qualche modo « sacramento di Dio ». Questo ci dice oggi con la sua parola: amare Dio e amare l’uomo sono un unico precetto, sono « il » comandamento, la legge della nostra vita. Nessuna gelosia da parte di Dio, nessun antagonismo.
Invece potremmo riflettere a lungo dove può condurre un impegno per l’uomo che non sia animato e orientato dalla fede in Dio. Quante deviazioni e quante velleità si sono concretizzate nella nostra storia e nella storia a volte tragica degli ultimi secoli.
Senza Dio siamo troppo poveri. La carità inventiva di Madre Teresa
Madre Teresa. A lei, i teorici della carità posero una montagna di obiezioni e mossero critiche. L’accusarono su giornali e pamphlet di sfruttare le sofferenze dei poveri, di rifiutare le soluzioni scientifiche e politiche ai mali dell’India. Di essere colpevole di non spendere le molte offerte che le pervenivano per costruire ospedali moderni e ben attrezzati. Mentre lei, convinta di dover usare mezzi poveri per poter servire i poveri, si metteva all’opera ogni giorno tra i più bisognosi, chiedendo alle sue suore di mantenersi povere, servendosi semplicemente della loro voce, delle loro mani, delle risorse disponibili per servire e assistere i più poveri. « Per capire i poveri ed essere accettate dai poveri, noi dobbiamo vivere come i poveri », diceva a loro. Non teorizzava Madre Teresa, ma era tenacissima quando capiva che una soluzione poteva funzionare davvero per i suoi poveri. Spendeva parole solo per ricordare a se stessa e agli altri di « pregare ». Diceva: « Pregando, Dio mi mette il suo amore nel cuore e così posso amare i poveri. Senza Dio siamo troppo poveri per aiutare i poveri ».

Da (fonte autorizzata): Umberto DE VANNA sdb

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