15 OTTOBRE 2017 | 28A DOMENICA T. ORDINARIO – A | OMELIA
15 OTTOBRE 2017 | 28A DOMENICA T. ORDINARIO – A | OMELIA
Per cominciare
Dio invita gli uomini a una grande festa ed essi paradossalmente rifiutano. Questo comportamento, che è stato storicamente quello degli israeliti, apre la porta a tanti altri che vengono invitati al loro posto. Dio estende il suo invito a tutti gli uomini, di fatto alla comunità cristiana, invitata per ultima, a cui Gesù affida il suo regno.
La parola di Dio
Isaia 25,6-10a. Sul monte Sion il Signore invita a un banchetto grandioso a cui sono invitati tutti i popoli. Ma non è solo l’invito a una festa, bensì a una vita totalmente salvata, in cui verrà asciugata ogni lacrima e cancellata ogni miseria umana.
Filippesi 4,12-14.19-20. Paolo ringrazia per l’aiuto materiale che gli abitanti di Filippi hanno voluto dargli. Dice grazie, ma nello stesso tempo afferma di essere ormai abituato ad affrontare un po’ tutto nella sua vita di missionario, sia i momenti più confortevoli che quelli più difficili.
Matteo 22,1-14. Ancora una parabola sul rifiuto degli ebrei ad accogliere gli inviti di Dio. Un rifiuto che questa volta suscita una dura reazione da parte del re, che amareggiato, estende il suo invito a ogni genere di persone, a chiunque vorrà accettarlo.
Riflettere
L’esperienza del banchetto, del pranzo condiviso, è una delle più comuni per il popolo ebraico. Ogni grande festa era accompagnata da sacrifici « pacifici », in cui si condivideva il pranzo e c’era allegria per tutti. Il mangiare insieme in festa era addirittura il simbolo del regno messianico, di un tempo di benessere, di grande fraternità, di rapporti radicalmente nuovi.
C’è un bel legame tra la prima lettura (l’apocalisse di Isaia, V secolo) e il vangelo. Le immagini di Isaia sono efficaci, fresche: parlano del banchetto messianico in un quadro di convivialità, gioia, abbondanza. Una situazione di benessere, ma soprattutto di un nuovo rapporto con il Signore, di una nuova conoscenza di lui (strapperà il velo), di una gioia e un destino oltre ogni limite (eliminerà la morte per sempre).
Anche per Gesù il banchetto rappresenta qualcosa di speciale. Lo considera il simbolo della vita futura definitiva. « Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi », dice (Lc 13,29).
Nella sua vita pubblica Gesù partecipa a tantissimi banchetti. A Cana, con la madre e gli apostoli, a casa di Zaccheo e di Simone il lebbroso (con la presenza fuori programma della peccatrice), a casa di Marta e di Maria. Inizia con un banchetto anche la chiamata di Levi, il pubblicano. È durante un pasto che si rivela a Emmaus e ancora durante un pasto decide di lasciare la più bella memoria di sé nel pane e nel vino.
Alcune delle parabole di Gesù hanno come sfondo un banchetto. Così quella che ci viene proposta questa domenica, in cui un re, avendo preparato un grande banchetto per le nozze del figlio, manda i servi a chiamare gli invitati, che però rifiutano. Alcuni lo fanno perché hanno altri impegni (il lavoro dei campi, i propri affari…), ma altri reagiscono con la violenza all’invito: maltrattano i servi e li uccidono.
La reazione del re è durissima: si sdegna e mette a ferro e fuoco la città. L’evangelista Luca che racconta la stessa parabola, non parla di questo particolare, e dice semplicemente: « Nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena » (14,24). Del resto in Luca la parabola ha altre varianti ancora rispetto a Matteo: chi chiama è un uomo qualunque, non un re. Gli inviti vengono fatti una sola volta, e al loro rifiuto, il padrone pieno di sdegno invita quanti più può a partecipare al banchetto: poveri, storpi, ciechi e zoppi. E soprattutto non c’è vendetta nei confronti di chi non accetta l’invito.
Matteo invece usa un linguaggio profetico, diretto e duro: il re « fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città » (22,7). Più degli altri evangelisti Matteo ha il senso della drammaticità della chiamata, del giudizio di Dio sugli atteggiamenti concreti che gli uomini, ebrei e cristiani, assumono nei confronti della proposta evangelica.
Matteo si è legato alla storia d’Israele, ha voluto dire di più, ricordando probabilmente l’incendio di Gerusalemme del 70 d.C.
A proposito degli aspetti più drammatici del racconto di Matteo, della reazione durissima del re, c’è anche chi dice che la parabola, oltre ad avere una finalità teologica, ne avrebbe una pedagogica. Matteo usa quelle similitudini come farebbe una madre, che sgrida il figlio che esce di casa e gli dice di stare attento alle macchine per non essere investito. Però la mamma glielo dice proprio perché non vuole che questo avvenga.
L’evangelista Matteo ha un altro particolare che non compare nel racconto di Luca: tra gli ultimi invitati, buoni e cattivi, c’è uno che non ha indossato l’abito nuziale. Anche in questo caso la reazione del re è severissima: quell’uomo viene legato mani e piedi e gettato fuori nelle tenebre (cf Mt 22,13).
In realtà l’invitato, presentandosi in quel modo, era presente alla festa, ma senza parteciparvi davvero. Matteo aggiunge questo particolare (qualcuno scrive che si potrebbe trattare anche di due parabole accostate) in riferimento alla comunità cristiana delle origini, nella quale qualcuno poteva trovarsi come per caso, non ben motivato, magari per secondi fini.
Attualizzare
La parabola di Gesù, al di là degli aspetti più crudi riportati da Matteo, parla di una grandiosa festa di nozze, di un re che ha cercato di fare l’impossibile per rendere le nozze del figlio memorabili.
Evidentemente il re è Dio, il creatore, che ha profuso nel mondo meraviglie incredibili e chiama alla festa della vita.
Moravia e Nietzsche hanno scritto che i cristiani si annoiano e sono noiosi. « Dovrebbero farci sentire altri canti », dice Nietzsche; e Moravia: « La religione è noiosa. Nelle chiese la gente si annoia ». Ma le parole di Gesù ci dicono che dobbiamo pensare al regno di Dio come a qualcosa di gioioso, a una splendida festa senza fine.
Molti potrebbero testimoniare di aver accolto l’invito di Cristo nella loro vita proprio per essere stati affascinati dalla bellezza, dalla gioia e dalla pienezza di vita che proviene dalla proposta cristiana.
Il succo della parabola è l’intenzione di Dio di chiamare tutti, indistintamente, alla festa per le nozze del figlio. La scelta universale nella parabola appare conseguenza del rifiuto degli ebrei, ma in realtà Dio offre a tutti la sua salvezza. A qualcuno può non piacere, ma di fronte alla salvezza siamo tutti uguali, senza categorie, senza posizioni privilegiate.
Si tratta anche di una chiamata urgente, unica, irripetibile, che esige prontezza: non vuoi venire tu? Chiamo un altro. Dio non forza la mano. Non manda le guardie a portarci l’invito o a costringerci a entrare.
Naturalmente il banchetto a cui Dio chiama non è la messa. È la chiamata alla vita cristiana, alla vita di fede, all’impegno di trasformare il mondo per mezzo dell’amore, del vangelo.
La partecipazione a questo banchetto esige la veste della conversione. Bisogna cambiare vita per vivere nella chiesa e trasformare il mondo.
Invece quello che non indossa l’abito nuziale è uno che si trova tra i salvati per caso, che vive tra i cristiani senza sentirsi a casa sua, che chiede magari i sacramenti e le benedizioni, ma non porta nel cuore una fede personale che lo riscalda veramente. Troppo comodo, però, immaginarsi nella comunità, pensarsi cristiano perché battezzato, senza condividerne gli ideali, senza rinunciare al proprio modo sbagliato di vivere.
Pensiamo al caso limite dei grandi camorristi o dei mafiosi: tutte persone battezzate, che nei loro covi incollano le immaginette di padre Pio e della Madonna, ma non hanno scrupoli a tiranneggiare la gente e a usare violenze di ogni tipo.
Ma il fatto che l’invito sia rivolto a ogni genere di persone ci fa capire che qualunque sia il passato di un uomo ? il nostro passato ? è sempre possibile entrare al banchetto di nozze, diventare costruttori di un mondo nuovo.
Ritornando alla prima parte della parabola e attualizzandone al massimo il significato, possiamo affermare che il Signore oggi chiama al suo banchetto concretamente nella chiesa, nella vita della chiesa. E possiamo chiederci qual è la nostra risposta, qual è la nostra disponibilità nei suoi confronti. Da qualche anno gli inviti si moltiplicano: si organizzano incontri di ogni tipo. Ma chi partecipa? C’è chi dice: siamo sempre gli stessi. Molti si accontentano di vivere ai margini, dicono di non avere tempo. Ma davvero è il tempo che manca?
Sta di fatto che anche oggi, come nella parabola, è difficile convocare la gente al banchetto. Ma se si perdono i contatti con la vita della comunità parrocchiale si corre il rischio di vivere una vita di fede individuale, di diventare spiritualmente sottoalimentati. Oggi si sente di tutto ? pensiamo a quante ore dedichiamo alla televisione ? bisogna ascoltare anche la parola di Dio.
Dobbiamo sicuramente domandarci però se quello della chiesa è l’invito a una festa. Non tanto se una parrocchia è capace di organizzare qualcosa di effervescente e di festoso, ma se ciò che viene organizzato risponde davvero ai bisogni profondi dell’uomo d’oggi, alla sua curiosità esistenziale, alla sua sete di felicità. Nelle parrocchie infatti a volte c’è tempo per iniziative di contorno, ma non per incontri seri sulla parola di Dio.
È comunque difficile oggi convocare i cristiani. Troppa gente ha quasi tagliato i ponti con la chiesa e si limita ad avere nei suoi confronti soltanto i contatti inevitabili. E allora l’unica cosa che può funzionare è spesso la testimonianza personale. Ognuno di noi deve farsi portatore di Dio e della sua salvezza. Far arrivare il regno di Dio dove la gente vive. Del resto è lì che il regno deve diventare visibile realtà.
La comunione dal Papa
Durante la visita di Giovanni Paolo II a Reims (Francia) dovettero scegliere cinquanta persone per ricevere la comunione dalle mani del papa. L’arcivescovo decise di scegliere le 50 persone più coinvolte nelle attività parrocchiali. In questo modo furono escluse molte persone ragguardevoli, tra cui una ricchissima nobildonna francese, che, per poter esserci aveva assicurato un bell’assegno per le opere diocesane. Ma il vescovo non cambiò idea. Il giorno prima però uno di quelli che erano stati scelti si ammalò. Con chi sostituirlo? Il parroco si rivolse al vescovo, che disse: « Faremo come dice il vangelo: esci di qui e la prima persona che incontrerai l’inviterai a ricevere la comunione dal papa ». Così fece. Il Signore dimostrò un bel senso dell’umorismo, perché il cinquantesimo invitato fu André, il barbone che chiedeva l’elemosina all’uscita della cattedrale (il primo che il parroco aveva incontrato), che ricevette quindi con sorpresa la comunione dalle mani di Giovanni Paolo II.
Da (fonte autorizzata): Umberto DE VANNA sdb
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