1 NOVEMBRE 2017 | TUTTI I SANTI -| OMELIA
Per cominciare
Oggi siamo invitati a festeggiare il numero sterminato di cristiani di cui la chiesa riconosce la « santità » e la propone all’imitazione di tutti i fedeli. Essi rappresentano il trionfo di Dio, dei suoi progetti su persone come noi che hanno raggiunto la maturità della fede e la salvezza. Tra di essi ricordiamo anche alcuni che abbiamo conosciuto, che ci sono cari e vivono già l’esperienza di far parte del mondo di Dio.
La parola di Dio
Apocalisse 7,2-4.9-14. Il brano dell’Apocalisse ci presenta la grandiosa processione della moltitudine immensa dei salvati. Essi, in piedi, lodano Dio. Sono passati attraverso il martirio e hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello.
1 Giovanni 3,1-3. Siamo figli di Dio sin d’ora, dice Giovanni, e quello che ci attende è qualcosa di straordinario. Le parole dell’apostolo alimentano la nostra speranza: saremo simili a Dio e lo vedremo così come egli è.
Matteo 5,1-12a. L’evangelista Matteo ci presenta le beatitudini di Gesù: un modo di vivere e di raggiungere la felicità alternativi, che vanno al cuore del vangelo: povertà, mitezza, misericordia, purezza di cuore…
Riflettere
L’Apocalisse (la prima lettura) parla di 144.000 segnati da ogni tribù dei figli d’Israele (il numero è simbolico: 12 x 12 x 1000 = tantissimi). Sono i cristiani della prima ora, fedeli fino al martirio. Poi presenta una moltitudine immensa che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua… Sono i salvati, i santi che sono lì davanti all’Agnello, avvolti in bianche vesti.
Festeggiamo oggi la santità della chiesa: un numero sterminato di persone, una varietà di tipi altrettanto straordinaria! Nel dizionario dei santi benedettini si trovano 7.000 nomi. Un autore (un certo O’Hanlon) avrebbe scritto la vita di 3.000 santi irlandesi. Il calendario romano attuale fa memoria di qualche centinaio di santi, ma già soltanto i più recenti, quelli proclamati dagli ultimi due papi, sono quasi 500.
Tra i santi ci sono teenager come Maria Goretti (11 anni), Laura Vicuña (13) e Domenico Savio (15). Ma anche molti anziani, per esempio San Gilberto (100 anni) e Maria Maddalena di Postel (90 anni).
Santi che sono vissuti nelle condizioni di vita le più varie. Naturalmente ci sono papi e vescovi, preti, religiosi e suore, ma santa Maria Francesca e santa Zita erano domestiche, sant’Isidoro un contadino, santa Germana una pastorella. Piergiorgio Frassati era un giovane studente universitario, l’eroica mamma Gianna Beretta Molla era medico chirurgo; medico della carità a Napoli è stato Giuseppe Moscati. Qualcuno ha passato tutta la vita in convento, altri sono stati scrittori, predicatori, professori, missionari, funzionari civili ed ecclesiastici, imperatori, re e regine… Il 13 luglio è la festa dell’imperatore sant’Enrico. Luigi IX, re di Francia, muore di peste in esilio, dopo aver condotto l’ottava crociata e cercando di convertire i musulmani.
Oggi ricordiamo anche i santi della nostra famiglia. Santi sconosciuti al mondo, ma conosciuti da Dio. Abbiamo avuto la fortuna, la grazia di conoscerli, di godere della loro presenza, del loro amore. Possiamo pregarli.
Attualizzare
Questa festa è l’invito a guardare al paradiso, al destino che attende ogni cristiano fedele alla propria vocazione. Ad attendere l’incontro con il Signore. Una poesia di Adriana Zarri dice: « Arriveremo con i piedi sporchi e ce li laverai, come facesti con gli apostoli… », come per indicare la fatica della nostra purificazione e l’attesa di un incontro speciale.
Questa festa ci invita soprattutto a dire di sì alla vita, con entusiasmo e coraggio, perché è adesso che ci giochiamo l’eternità. Ad amare quindi il momento in cui viviamo e a essere persone capaci di incarnare le beatitudini, di riscriverle nella lingua e nella cultura odierna, di mostrare che cosa opera oggi il vangelo quando una persona lo accoglie davvero.
Perché i santi furono persone ben incarnate tra la gente del loro tempo. Anche noi: per annunciare il vangelo, per farci capire, per usare il linguaggio giusto, per entrare nella lunghezza d’onda di chi ci sta vicino… dobbiamo sentirci parte del nostro ambiente di vita, capire che questo è il nostro campo di azione, dove ci giochiamo la nostra santità e l’aldilà.
Mons. Sandro Maggiolini dice: « Non si parla mai di chi è contento di vivere o almeno accetta la vita com’è, di chi paga le tasse e coltiva l’orto, e fa una passeggiata nei campi; di chi fa una vita buona tutti i giorni e osserva le regole, la santità feriale, quella di tutti i giorni, paragonabile a chi guida l’auto e osserva i limiti di velocità e non finisce sui giornali ».
Ancora mons. Maggiolini: « Vale di più un sacrista sorridente che un vescovo con il broncio ». A comportarsi così c’è più gusto, in ogni caso alla fine l’armonia è più grande, si vive meglio.
Siamo tutti chiamati alla santità. Siamo già figli di Dio, ma ciò che questo vuol dire lo scopriremo pienamente solo un giorno. Dobbiamo imparare a riconoscere e a realizzare la nostra vocazione. Abbiamo una sola vita, la dobbiamo giocare nel modo migliore. Un prete ricorda che una signora dopo la messa gli ha voluto parlare e gli ha detto: « Sono una pensionata, ho una casa e tutto ciò che mi occorre e anche di più. Desidero fare qualcosa di speciale prima di morire: mi insegni a fare un’adozione a distanza. Voglio aiutare un bambino che fa fatica a vivere ».
Voglia di eternità
« Non dico che meritiamo un aldilà, né che la logica ce lo dimostri, dico che ne abbiamo bisogno, lo meritiamo o no, e basta. Dico che ciò che passa non mi soddisfa, che ho sete d’eternità, e che senza questa tutto mi è indifferente. Senza di essa non c’è più gioia di vivere… È troppo facile affermare: « bisogna vivere, bisogna accontentarsi di questa vita ». E quelli che non se ne accontentano? » (Miguel de Unamuno).
Guardando i santi impariamo a volare
C’era una volta un contadino che andò nella foresta vicina a casa sua per catturare un uccello da tenere prigioniero. Riuscì a prendere un aquilotto. Lo mise nel pollaio insieme alle galline e lo nutrì a granturco e becchime, incurante del fatto che l’aquila fosse la regina di tutti gli uccelli. Dopo cinque anni, quest’uomo ricevette a casa sua la visita di un naturalista. Mentre passeggiavano per il giardino, il naturalista disse: « Quell’uccello non è una gallina. È un’aquila ». « È vero », rispose il contadino, « è un’aquila. Ma io l’ho allevata come una gallina, e ora non è più un’aquila. È diventata una gallina come le altre, nonostante le ali larghe quasi tre metri ». « No », obiettò il naturalista. « È e sarà sempre un’aquila. Perché ha un cuore d’aquila, un cuore che un giorno la farà volare verso le vette ».
« No, no », insistette il contadino, « è diventata una gallina e non volerà mai come un’aquila ». Allora decisero di fare una prova. Il naturalista prese l’animale, lo sollevò ben in alto e sfidandolo gli disse: « Dimostra che sei davvero un’aquila, dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola! ». L’aquila, appollaiata sul braccio teso del naturalista, si guardava distrattamente intorno. Vide le galline là, in basso, intente a razzolare dei chicchi. E saltò vicino a loro. Il contadino commentò: « Te l’avevo detto, è diventata una semplice gallina! ». « No », insistette di nuovo il naturalista. « È un’aquila. E un’aquila sarà sempre un’aquila. Proviamo di nuovo domani ». Il giorno dopo, il naturalista e il contadino si alzarono molto presto. Presero l’aquila, la portarono fuori città, lontano dalle case degli uomini, in cima a una montagna. Il sole nascente dorava i picchi delle montagne. Con un gesto deciso, il naturalista sollevò verso l’alto il rapace e gli ordinò: « Dimostra che sei un’aquila, dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola! ». L’aquila si guardò intorno. All’improvviso comparve nel cielo un’aquila con le ali distese che puntava nella direzione del sole. In quel momento, lei apri le sue ali potenti, gracchiò con il tipico kau-kaii delle aquile e si alzò, sovrana, al di sopra di se stessa. Iniziò a volare, a volare sempre più in alto, fino a congiungersi con l’altra aquila.
Da (fonte autorizzata): Umberto DE VANNA sdb