20 AGOSTO 2017 | 20A DOMENICA T. ORDINARIO – A | OMELIA
Per cominciare
La salvezza è destinata a tutti. Gesù ha annunciato il vangelo anzitutto a quelli della sua terra, ma ha dato ai suoi apostoli il mandato di evangelizzare tutti i popoli. E lui stesso ha fatto un grande elogio della fede di alcuni stranieri.
La parola di Dio
Isaia 56,1.6-7. Il profeta Isaia afferma che la salvezza viene offerta a tutti i popoli. Lo stesso tempio di Gerusalemme è destinato a diventare un luogo di preghiera universale.
Romani 11,13-15.29-32. Paolo ha aperto la salvezza anche ai pagani e questo ha fatto ingelosire gli ebrei. Ma – dice Paolo – questa è una cosa positiva, se può servire a salvarli. Perché se è vero che agli ebrei per primi è stata donata la salvezza, tutti, sia gli ebrei che i pagani, sono coinvolti allo stesso modo, dal momento che tutti hanno bisogno della misericordia di Dio.
Matteo 15,21-28. Gesù viene pregato da una donna straniera ricca di fede e proprio per lei fa un miracolo in territorio pagano.
Riflettere
Matteo nello stendere questo brano ha avuto delle preoccupazioni teologiche e pastorali. La comunità primitiva degli apostoli doveva spiegare come mai la chiesa stava avendo un’enorme diffusione tra i pagani, mentre Gesù aveva predicato quasi esclusivamente « alle pecore perdute della casa di Israele ».
All’evangelista Matteo, per legittimare questa nuova prosenza nella chiesa, è servito bene questo episodio che Gesù ha vissuto nel territorio di Tiro e Sidone, cioè in territorio pagano, e che ha per protagonista una donna cananea. Il dialogo di Gesù con questa donna riflette probabilmente le discussioni vivaci, che i primi cristiani avevano tra di loro proprio sul tema dell’apertura della chiesa ai pagani, discussioni che erano state molto tese tra gli stessi apostoli.
Matteo in sostanza dice, sottolineando la fede grande di questa donna non ebrea, che ciò che davvero diventa discriminante per diventare cristiani non è più l’appartenenza a un popolo, ma la fede in Gesù.
E la fede questa donna l’aveva giusta. Rivolgendosi a Gesù lo chiama « Figlio di Davide », dimostrando di riconoscerlo come messia, cosa che sfuggirà a molta parte degli ebrei.
Invece le parole di Gesù verso questa donna sono di una durezza che non trova facilmente riscontro altrove nel vangelo. Forse il dialogo è stato schematizzato da Matteo, o forse Gesù ha voluto davvero mettere in risalto la fede e l’umiltà di quella straniera.
Una umiltà che è dettata prima di tutto da amore verso la figlia. Così com’era l’amore che l’aveva spinta a farsi avanti, superando il disagio e l’imbarazzo, andando contro certe usanze che facevano ritenere sconveniente a una donna fermarsi a parlare liberamente con degli uomini.
Ed è un’umiltà che nasce dalla certezza che Gesù ha il potere di fare quel miracolo. In questo senso la sicurezza di questa donna è la stessa di Maria, la madre di Gesù, quando a Cana, noncurante di ciò che le aveva detto il figlio (« Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora ») dice ai servi di casa di aspettare ordini da lui (Gv 2,1-11).
Ed è infine un’umiltà che nasce da un’intesa profonda che si è creata tra Gesù e lei. Essa legge in Gesù una rettitudine e una bontà che va al di là delle parole e che le permettono di avere piena fiducia e confidenza in lui. Anzi la durezza crescente di Gesù la interpreta come un invito a chiedere con più coraggio, come una provocazione che prelude l’esaudimento pieno.
È Gesù del resto che aveva invitato a pregare con insistenza, senza stancarsi: « Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto » (Mt 7,7, ma anche Lc 11,5-13).
Gesù conclude facendo l’elogio della fede grande di questa donna: « Donna, grande è la tua fede! » e per lei compie il miracolo.
Attualizzare
Domenica scorsa ricordavamo la fede incerta e debole di Pietro. Oggi la fede forte e ferma di questa donna straniera, che non si ferma davanti al rifiuto durissimo di Gesù e continua a pregarlo.
Si rimane sconcertati di fronte all’indifferenza di Gesù e poi alle sue dure parole. Appare quasi crudele, insensibile, impietoso verso le lacrime di questa madre che chiede la guarigione della figlia.
Gesù, uomo del suo tempo, può davvero aver usato questo linguaggio tipico del modo di esprimersi degli ebrei nei confronti dei pagani.
E ribadisce la dimensione non immediatamente universalistica della sua missione pubblica, che si rivolge alla gente della sua terra, pur sottolineando – ogni volta che gli capita – la fede straordinaria e la generosità di alcuni pagani, dal centurione romano al samaritano guarito dalla lebbra, e affermerà la destinazione universale del vangelo: « Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli » (Mt 28, 19).
Ma probabilmente Gesù vuole prima di tutto purificare la fede di questa donna e rifiuta di essere scambiato semplicemente per un guaritore. Lei lo ha chiamato « figlio di Davide », ma in realtà è lì soprattutto per la guarigione della figlia.
Una donna nella quale spiccano la determinatezza e l’umiltà. La sua è la tenacia dei deboli, il coraggio della gente semplice. Quando c’è di mezzo un bene da fare, spesso sono proprio i più umili che si fanno sotto per primi, che spingono gli indecisi, che spazzano gli ultimi dubbi sulla possibilità di poter portare a compimento un’impresa.
Non si può non rimanere stupiti della serena maturità di questa donna, della sua umiltà e « fede grande », così come emergono proprio dalle parole impietosamente sferzanti di Gesù.
Se per gli ebrei il fatto di essere fuori dal popolo eletto era già motivo di disapprovazione, per Gesù, e poi per Paolo, la fede e la salvezza non sono legate alla « carne e al sangue », ma sono un dono di Dio per tutti e dipendono dalla apertura del cuore di ognuno.
La storia è piena di episodi di persone lontane dalla fede e a volte anche dalla legalità e dalla moralità, che nell’occasione, per istinto o per amore, per un richiamo della coscienza, diventano capaci di grandi atti di bontà e di eroismo.
È necessario allora che ogni cristiano diventi « cattolico » e riconosca che siamo tutti fratelli o perché già credenti o perché siamo chiamati a diventarlo. Perché tutti siamo figli di Dio. Papa Giovanni XXIII si rivolse ai carcerati di Regina Coeli dicendo: « Miei cari figlioli, miei cari fratelli… ».
L’episodio può apparire addirittura emblematico della preferenza di Gesù per i lontani. Come dicevamo, Matteo potrebbe averlo riportato per togliere i dubbi alla chiesa primitiva, indecisa di fronte all’apertura ai pagani. La tenacia di questa donna può essere portata di esempio anche ai credenti, proprio per dire: « Guardate la sua fede incrollabile, che non si ferma neanche di fronte alle dure parole di Gesù ».
Del resto, ogni volta che gli è possibile Gesù sottolinea la sua simpatia per i semplici, per i lontani, per i peccatori, per gli stranieri. A differenza di quelli che si sentono i destinatati primi della salvezza che invece gli girano attorno solo per coglierlo in difficoltà.
Ma anche i semplici provano simpatia per Gesù. Lo cercano, lo ascoltano, si rivolgono a lui con fiducia piena, come ha fatto questa donna.
La preghiera insistente di questa cananea e l’atteggiamento di Gesù ci fa anche pensare ai silenzi di Dio. Quante volte la nostra preghiera appare inascoltata e accusiamo Dio di essere insensibile alle nostra difficoltà, alle nostre preghiere. In realtà Dio intende proprio purificare la nostra preghiera, mettere alla prova la nostra fede.
Tra i temi di forte attualità che possono essere sviluppati in questa domenica c’è anche quello del bisogno di accoglienza legato al fenomeno migratorio che coinvolge il nostro paese. Non è facile spalancare le porte della propria abitazione a chi si presenta con una cultura diversa dalla nostra e segue una religiosità che non ispira simpatia, anzi che è spesso vista carica di violenza.
Essi che spesso ricevono solo le briciole della nostra solidarietà, dovrebbero almeno ricevere le briciole della nostra disponibilità a concedere loro spazi per esprimere la loro fede. Ma anche l’occasione per realizzare un confronto che li apra a sentieri di una fede più genuina.
La preghiera insistente
San Tommaso a proposito di preghiera insistente dice che la preghiera insistente fatta agli uomini ci rende a loro fastidiosi, mentre la preghiera insistente fatta a Dio ci rende a lui familiari e amici. Come a dire che questo modo di pregare più che a Dio serve a noi: per purificare le nostre intenzioni, per corresponsabilizzarsi, per approfondire il nostro rapporto con Lui. Diceva Padre Pio: « La preghiera deve essere insistente. L’insistenza denota fede ».
Don Lorenzo Milani: « Io non ho patria »
« Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia patria, gli altri i miei stranieri ».