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Il peccato originale, la cacciata

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Publié dans:immagini sacre |on 23 mai, 2017 |Pas de commentaires »

IL MISTERO DELLA CREAZIONE NELLA VISIONE BIBLICO-CRISTIANA – PAPA GIOVANNI PAOLO II

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IL MISTERO DELLA CREAZIONE NELLA VISIONE BIBLICO-CRISTIANA – PAPA GIOVANNI PAOLO II

8 gennaio 1986

1. Il senso dell’origine. 2. Verità scientifica e verità religiosa. 3. Le domande di tutte le religioni. 4. La fede cristiana nella creazione. 5. Sulle orme della Scrittura e della Tradizione della Chiesa. 6. la prima testimonianza dell’amore di Dio.

1. Nella immancabile e necessaria riflessione l’uomo di ogni tempo è portato a fare sulla propria vita, due domande emergono con forza, quasi eco della voce stessa di Dio: “Da dove veniamo? Dove andiamo?”. Se la seconda domanda riguarda il futuro ultimo, il traguardo definitivo, la prima si riferisce all’origine del mondo o dell’uomo, ed è altrettanto fondamentale. Per questo siamo giustamente impressionati dallo straordinario interesse riservato al problema delle origini. Non si tratta soltanto di sapere quando e come materialmente è sorto il cosmo ed è comparso l’uomo, quanto piuttosto di scoprire quale senso abbia tale origine, se vi presieda il caso, il destino cieco oppure un Essere trascendente, intelligente e buono, chiamato Dio. Nel mondo infatti c’è il male e l’uomo che ne fa l’esperienza non può non chiedersi da dove esso venga e per responsabilità di chi, e se esista una speranza di liberazione. “Che cosa è l’uomo, perché te ne ricordi?”, si domanda in sintesi il Salmista, ammirato di fronte all’avvenimento della creazione (Sal 8,5).
2. La domanda sulla creazione affiora sull’animo di tutti, dell’uomo semplice e del dotto. Si può dire che la scienza moderna è nata in stretto collegamento, anche se non sempre in buona armonia, con la verità biblica della creazione. E oggi, chiariti meglio i rapporti reciproci fra verità scientifica e verità religiosa, tantissimi scienziati, pur ponendo legittimamente problemi non piccoli come quelli riguardanti l’evoluzionismo delle forme viventi, dell’uomo in particolare, o quello circa il finalismo immanente al cosmo stesso nel suo divenire, vanno assumendo un atteggiamento maggiormente partecipe e rispettoso nei confronti della fede cristiana sulla creazione. Ecco dunque un campo che si apre per un dialogo benefico fra modi di approccio alla realtà del mondo e dell’uomo riconosciuti lealmente come diversi, eppure convergenti a livello più profondo a favore dell’unico uomo, creato – come dice la Bibbia nella sua prima pagina – quale “immagine di Dio” e quindi come “dominatore” intelligente e saggio del mondo (cf. Gen 1,21-28).
3. Noi cristiani poi riconosciamo con intimo stupore, anche se con doveroso atteggiamento critico, come in tutte le religioni, da quelle più antiche ed ora scomparse, a quelle oggi presenti sul pianeta, si cerchi “una risposta ai reconditi enigmi della condizione umana… la natura dell’uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il male, l’origine e lo scopo del dolore… da dove noi traiamo la nostra origine e verso dove tendiamo”. Seguendo il Concilio Vaticano II, nella sua dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, riaffermiamo che “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”, giacché “non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (“Nostra aetate”, 2). E d’altra parte è così innegabilmente grande, vivificante e originale la visione biblico-cristiana delle origini del cosmo e della storia dell’uomo in particolare – e ha avuto una così rilevante incidenza nella formazione spirituale, morale e culturale di interi popoli per oltre venti secoli che il parlarne esplicitamente, anche se sinteticamente, è un dovere a cui ogni pastore e ogni catechista non può mancare.
4. La rivelazione cristiana manifesta veramente una straordinaria ricchezza circa il mistero della creazione, segno non piccolo e ben commovente della tenerezza di Dio che proprio sui nodi più angosciosi dell’esistenza umana, e dunque sulla sua origine e sul suo futuro destino, ha voluto farsi presente con una parola continua e coerente, pur nella varietà delle espressioni culturali. Così la Bibbia si apre in assoluto con un primo, e poi con un secondo racconto della creazione, dove l’origine di tutto da Dio, delle cose, della vita, dell’uomo (Gen 1-2), si intreccia con l’altro doloroso capitolo sulla origine, questa volta dall’uomo, non senza tentazione del maligno, del peccato e del male (Gen 3). Ma ecco che Dio non abbandona le sue creature. E quindi una fiammella di speranza si accende verso un futuro di una nuova creazione liberata dal male (è il cosiddetto “Protovangelo”, Gen 3,15, cf. 9,13). Questi tre fili, l’azione creatrice e positiva di Dio, la ribellione dell’uomo e, già dalle origini, la promessa da parte di Dio di un mondo nuovo, formano il tessuto della storia della salvezza, determinando il contenuto globale della fede cristiana nella creazione.
5. Mentre nelle prossime catechesi sulla creazione sarà dato debito posto alla Scrittura, come fonte essenziale, sarà mio compito ricordare la grande tradizione della Chiesa, prima con le espressioni dei Concili e del magistero ordinario, e anche nelle appassionanti e penetranti riflessioni di tanti teologi e pensatori cristiani.
Come in un cammino costituito da tante tappe, la catechesi sulla creazione toccherà anzitutto il fatto mirabile di essa come lo confessiamo all’inizio del Credo o Simbolo apostolico: “Credo in Dio Creatore del cielo e della terra”; rifletteremo sul mistero della chiamata dal nulla di tutta la realtà creata, ammirando insieme l’onnipotenza di Dio e la sorpresa gioiosa di un mondo contingente che esiste in forza di tale onnipotenza. Potremo riconoscere che la creazione è opera amorosa della Trinità santissima ed è rivelazione della sua gloria. Il che non toglie, ma anzi afferma, la legittima autonomia delle cose create, mentre all’uomo, come a centro del cosmo, viene riservata un’attenzione intensa, nella sua realtà di “immagine di Dio”, di essere spirituale e corporale, soggetto di conoscenza e di libertà. Altre tematiche ci aiuteranno più avanti ad esplorare questo formidabile avvenimento creativo, in particolare il governo di Dio su mondo, la sua onniscienza e provvidenza, e come alla luce dell’amore fedele di Dio l’enigma del male e della sofferenza trovi la sua pacificante soluzione.
6. Dopo che Dio espresse a Giobbe la sua divina potenza creatrice (Gb 38-41), questi rispose al Signore e disse: “Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile a te… Io ti conosco per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5). Possa la nostra riflessione sulla creazione condurci alla scoperta che, nell’atto di fondazione del mondo e dell’uomo, Dio ha seminato la prima universale testimonianza del suo amore potente, la prima profezia della storia della nostra salvezza.

Lo Spirito Santo

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Publié dans:immagini sacre |on 19 mai, 2017 |Pas de commentaires »

21 MAGGIO 2017 | 6A DOMENICA DI PASQUA – A | OMELIA

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21 MAGGIO 2017 | 6A DOMENICA DI PASQUA – A | OMELIA

Non vi lascerò orfani, ma verrò a voi…

Per cominciare
In questa domenica è centrale il tema dello Spirito che preannuncia la Pentecoste, che celebreremo tra quindici giorni. È nel segno dello Spirito Santo che si costruisce e si diffonde la nuova comunità cristiana attraverso gli apostoli. Lo Spirito li illumina e li guida nella loro testimonianza e mantiene viva la memoria di Gesù, ricordando a loro tutto ciò che ha detto e fatto.

La parola di Dio
Atti 8,5-8.14-17.
Gli apostoli vengono informati del successo della predicazione del diacono Filippo in Samaria e mandano Pietro e Giovanni a completare e ad autenticarne l’opera di evangelizzazione, ma anche per stabilire rapporti di fraternità fra la chiesa di Gerusalemme e quella nuova comunità. Gli apostoli impongono su di loro le mani e su quei nuovi credenti scende lo Spirito.
1 Pietro 3,15-18.
Pietro invita i nuovi cristiani a non lasciarsi andare di fronte ai contrasti e alle persecuzioni e di reagire nei loro confronti senza perdere la propria identità di cristiani, continuando a comportarsi con dolcezza, rispetto e retta coscienza, sempre pronti a rispondere a chiunque domandi « ragione della speranza » che è in loro.
Giovanni 14,15-21.
Ci viene proposto il seguito del capitolo 14 del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato domenica scorsa. Gesù parla agli apostoli e le sue sono parole di calda amicizia, addirittura di tenerezza verso di loro. Gesù promette lo Spirito Santo agli apostoli e chiede a loro di essere pronti a riceverlo. Egli sarà « un altro consolatore », uno « spirito di verità » che li aiuterà a comprendere il rapporto speciale che c’è tra Gesù e il Padre e che dimorerà sempre con loro.

Riflettere
« Se mi amate », dice Gesù agli apostoli. E imbastisce un discorso pieno di tenerezza, quasi per far capire la fatica che fa a doversi separare da loro.
« Non vi lascerò orfani », promette Gesù, « tornerò da voi ». Gesù pronuncia queste parole alla vigilia della sua passione e morte. Nel momento più tragico della sua esistenza appare più preoccupato per loro che per sé, li invita a non avere paura, a non essere turbati, a non sentirsi soli nel momento in cui saranno chiamati alla prova più dura della loro vita e dovranno accorgersi della loro debolezza.
Sono le ultime raccomandazioni di Gesù prima della sua Pasqua. Gesù sa che « la sua ora » sta per compiersi. Sarà un’ora difficile e tragica, ma sarà anche il trionfo dell’amore e della verità, la vittoria del perdono sulla vendetta; la sconfitta della prepotenza e dell’ipocrisia del potere.
Gesù conosce lucidamente che gli apostoli lo tradiranno: lo dice a Pietro, lo dice a Giuda. Sa che lo tradiranno e abbandoneranno, che fingeranno di non conoscerlo, che perderanno fiducia nelle sue parole e si disperderanno. Ma Gesù non li libera da quella prova…
Li invita ad accogliere lo Spirito, che abita già in loro se lo amano e se sono fedeli al Padre osservando i suoi comandamenti.
Gesù lascia fisicamente i suoi, ma intende rimanere ancora tra loro e per sempre. Lo Spirito abiterà in loro, lo Spirito di verità che il mondo non conosce: « Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore ».
Il mondo non conosce lo Spirito, e ci sarà opposizione fra i discepoli e il mondo. Ma Gesù e lo Spirito saranno presenti nel mondo grazie a loro. Ogni volta che saranno pronti a rispondere a chi domanderà ragione della speranza che li anima.

Attualizzare
Nella seconda lettura, Pietro dice che tocca ai cristiani spiegare la speranza che li anima, che non toglie nulla alla vita reale, alle lotte e alle gioie che ognuno si ritrova a vivere.
Il cristianesimo non è prima di tutto una dottrina o un insieme di verità. O di pratiche di pietà e di devozioni. Ma è un incontro di amore con una persona viva, con Gesù di Nazaret. E attraverso di lui, anche con il Padre e lo Spirito Santo, che non solo esistono, ma addirittura abitano nell’animo di ogni credente.
Cristiani che non vivono quindi in un mondo orfano di Dio, ma che ne condividono fino in fondo i « sogni », che sono precisamente quelli della dignità e della promozione di ogni persona. Cristiani che sanno rendere ragione della loro speranza a un mondo che fa fatica ad averla. Cristiani che sono i primi a impegnarsi, gli ultimi a non arrendersi di fronte a un problema della società, nel mondo del lavoro, nel proprio condominio.
Perché ovunque c’è amore, lì c’è lo Spirito di Dio. Gesù sale al cielo e abbandona visibilmente i suoi discepoli, ma si rende presente in ogni persona che un cristiano serve e ama.
Si devono certo osservare i comandamenti, Gesù lo dice due volte in questo brano. Perché si è tanto più maturi, quanto più si è fedeli, quanto più ci si lega a scelte di vita che siano impegnative, su misura per noi, anche se controtendenza. Ma ogni comandamento, dice Gesù, è una manifestazione di amore. « Amare Dio e amare i fratelli », questa è la legge.
Allora viene lo Spirito « consolatore ». Colui che ti fa capire che stai camminando per la strada giusta e che ti illumina il cammino. Spirito che ti mette al fianco degli altri come consolatore, per aiutare anche altri ad affrontare la fatica di vivere e di vincere la solitudine.
« Sentiamo un grande, immenso bisogno che qualcuno ci ami, e il nostro egoismo preferisce quella sufficienza che è la dannata solitudine, l’inferno del cuore » (mons. Antonio Riboldi). La prima esigenza di ogni persona che ha smarrito il senso della vita o che vive come un peso una solitudine esistenziale è fargli conoscere Gesù di Nazaret, dargli la « bella notizia » che grazie allo Spirito egli vive tra noi e ci è di conforto.
Spirito che è novità di vita, fantasia divina, che ci suggerisce le strade giuste per fare del nostro mondo una grande famiglia che si ama. « Gli uomini di chiesa devono essere soprattutto buoni e mirare a uno scopo soltanto: creare degli uomini buoni » (Giuseppe Prezzolini).
Lo Spirito Santo è l’ultimo estremo dono di Gesù agli apostoli. Spirito che li renderà sicuri e forti. Aprirà loro gli occhi, comprenderanno il filo rosso che lega mirabilmente gli avvenimenti della vita di Gesù e la storia della salvezza.
Dopo che Filippo ha battezzato in Samaria, sono gli apostoli Pietro e Giovanni a donare lo Spirito. Da allora sarà sempre così. Sarà compito degli apostoli invocare lo Spirito sui nuovi battezzati. Oggi lo fanno quando amministrano la confermazione.
Si discute oggi sull’età della cresima, e anche sulla sua collocazione. Posta al termine del cammino di iniziazione cristiana, dopo il battesimo e l’eucaristia, dà la sensazione della conclusione di un cammino e i ragazzi sentono il bisogno di cambiare aria, come di chi ha terminato un corso di studi e non vuole ritornare sui banchi di scuola.
Un numero crescente di ragazzi sospende il catechismo già dopo al prima comunione e parecchi finiscono per non celebrare la cresima. Rimandandola forse alla vigilia del matrimonio.
Ma è la cresima che conferma la vita cristiana. Tanto che chi non è cresimato non può ritenersi pienamente inserito nella comunità cristiana e non dovrebbe svolgere attività significativa in parrocchia, come leggere in pubblico la parola di Dio.
Di questo sono sempre più consapevoli i vescovi, che sollecitano l’intervento della famiglia, e in sua assenza, dei nonni. Nonni che non hanno più la barba bianca, perché sono persone ancora vitali e spesso sono gli unici a potersi occupare dei nipoti, quando entrambi e genitori lavorano.
I vescovi si sono rivolti anche dei padrini e delle madrine, affermando che non dovrebbero sparire nel loro impegno il giorno dopo la celebrazione e la festa, ma dovrebbero trasformarsi in una specie di tutor, e accompagnare i ragazzi per tutta la vita.

La nostra vera vita
L’autore austriaco Thomas Bernhard (1931-1989) parla di tre vite vissute in qualche modo da ognuno di noi. C’è l’esistenza reale, registrata anche dai documenti o dai nostri ricordi. C’è un’altra vita fatta di fantasticherie, di castelli in aria, di chimere e miraggi. È anch’essa necessaria, purché non debordi cancellando la prima e rendendoci persone alienate e paranoiche. Ma è la terza vita che spesso sfugge a molti ed è quella interiore, profonda, spirituale. Veleggiamo sulla superficie degli eventi o ci astraiamo nel sogno, ma non scaviamo nell’anima, nella coscienza, nel recesso segreto del cuore.

Da (fonte autorizzata): Umberto DE VANNA sdb

PAPA FRANCESCO – 22. MARIA MADDALENA APOSTOLA DELLA SPERANZA

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2017/documents/papa-francesco_20170517_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – 22. MARIA MADDALENA APOSTOLA DELLA SPERANZA

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 17 maggio 2017

La Speranza cristiana -

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In queste settimane la nostra riflessione si muove, per così dire, nell’orbita del mistero pasquale. Oggi incontriamo colei che, secondo i vangeli, per prima vide Gesù risorto: Maria Maddalena. Era terminato da poco il riposo del sabato. Nel giorno della passione non c’era stato tempo per completare i riti funebri; per questo, in quell’alba colma di tristezza, le donne vanno alla tomba di Gesù con gli unguenti profumati. La prima ad arrivare è lei: Maria di Magdala, una delle discepole che avevano accompagnato Gesù fin dalla Galilea, mettendosi a servizio della Chiesa nascente. Nel suo tragitto verso il sepolcro si rispecchia la fedeltà di tante donne che sono devote per anni ai vialetti dei cimiteri, in ricordo di qualcuno che non c’è più. I legami più autentici non sono spezzati nemmeno dalla morte: c’è chi continua a voler bene, anche se la persona amata se n’è andata per sempre.
Il vangelo (cfr Gv 20,1-2.11-18) descrive la Maddalena mettendo subito in evidenza che non era una donna di facili entusiasmi. Infatti, dopo la prima visita al sepolcro, lei torna delusa nel luogo dove i discepoli si nascondevano; riferisce che la pietra è stata spostata dall’ingresso del sepolcro, e la sua prima ipotesi è la più semplice che si possa formulare: qualcuno deve aver trafugato il corpo di Gesù. Così il primo annuncio che Maria porta non è quello della risurrezione, ma di un furto che ignoti hanno perpetrato, mentre tutta Gerusalemme dormiva.
Poi i vangeli raccontano di un secondo viaggio della Maddalena verso il sepolcro di Gesù. Era testarda lei! E’ andata, è tornata … perché non si convinceva! Questa volta il suo passo è lento, pesantissimo. Maria soffre doppiamente: anzitutto per la morte di Gesù, e poi per l’inspiegabile scomparsa del suo corpo.
E’ mentre sta china vicino alla tomba, con gli occhi pieni di lacrime, che Dio la sorprende nella maniera più inaspettata. L’evangelista Giovanni sottolinea quanto sia persistente la sua cecità: non si accorge della presenza di due angeli che la interrogano, e nemmeno s’insospettisce vedendo l’uomo alle sue spalle, che lei pensa sia il custode del giardino. E invece scopre l’avvenimento più sconvolgente della storia umana quando finalmente viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16).
Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! Che c’è qualcuno che ci conosce, che vede la nostra sofferenza e delusione, e che si commuove per noi, e ci chiama per nome. È una legge che troviamo scolpita in molte pagine del vangelo. Intorno a Gesù ci sono tante persone che cercano Dio; ma la realtà più prodigiosa è che, molto prima, c’è anzitutto Dio che si preoccupa per la nostra vita, che la vuole risollevare, e per fare questo ci chiama per nome, riconoscendo il volto personale di ciascuno. Ogni uomo è una storia di amore che Dio scrive su questa terra. Ognuno di noi è una storia di amore di Dio. Ognuno di noi Dio chiama con il proprio nome: ci conosce per nome, ci guarda, ci aspetta, ci perdona, ha pazienza con noi. E’ vero o non è vero? Ognuno di noi fa questa esperienza.
E Gesù la chiama: «Maria!»: la rivoluzione della sua vita, la rivoluzione destinata a trasformare l’esistenza di ogni uomo e donna, comincia con un nome che riecheggia nel giardino del sepolcro vuoto. I vangeli ci descrivono la felicità di Maria: la risurrezione di Gesù non è una gioia data col contagocce, ma una cascata che investe tutta la vita. L’esistenza cristiana non è intessuta di felicità soffici, ma di onde che travolgono tutto. Provate a pensare anche voi, in questo istante, col bagaglio di delusioni e sconfitte che ognuno di noi porta nel cuore, che c’è un Dio vicino a noi che ci chiama per nome e ci dice: “Rialzati, smetti di piangere, perché sono venuto a liberarti!”. E’ bello questo.
Gesù non è uno che si adatta al mondo, tollerando che in esso perdurino la morte, la tristezza, l’odio, la distruzione morale delle persone… Il nostro Dio non è inerte, ma il nostro Dio – mi permetto la parola – è un sognatore: sogna la trasformazione del mondo, e l’ha realizzata nel mistero della Risurrezione.
Maria vorrebbe abbracciare il suo Signore, ma Lui è ormai orientato al Padre celeste, mentre lei è inviata a portare l’annuncio ai fratelli. E così quella donna, che prima di incontrare Gesù era in balìa del maligno (cfr Lc 8,2), ora è diventata apostola della nuova e più grande speranza. La sua intercessione ci aiuti a vivere anche noi questa esperienza: nell’ora del pianto, e nell’ora dell’abbandono, ascoltare Gesù Risorto che ci chiama per nome, e col cuore pieno di gioia andare ad annunciare: «Ho visto il Signore!» (v. 18). Ho cambiato vita perché ho visto il Signore! Adesso sono diverso da prima, sono un’altra persona. Sono cambiato perché ho visto il Signore. Questa è la nostra forza e questa è la nostra speranza. Grazie.

San Paolo – viaggio a Roma

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Publié dans:immagini sacre |on 16 mai, 2017 |Pas de commentaires »

LA SPERANZA TRA MISERICORDIA E GIUSTIZIA – Pietro Coda (1)

http://www.collevalenza.it/Riviste/2008/Riv0708/Riv0708_05.htm

CONGRESSO APOSTOLICO MONDIALE DELLA MISERICORDIA

LA SPERANZA TRA MISERICORDIA E GIUSTIZIA – Pietro Coda (1)

1. Vorrei riflettere con voi su di un fatto che ha delle incalcolabili conseguenze sotto il profilo personale e sotto il profilo sociale e oggi addirittura globale: i discepoli di Gesu, i cristiani, sono chiamati a diventare cin che sono per dono – il lievito e il sale della speranza per il mondo.
I discepoli di Gesu, in effetti, poggiano la loro speranza su di un fondamento che piu non pun essere distrutto: la misericordia di Dio che ha raggiunto il mondo in Gesu. Per questo, il loro impegno per la giustizia c chiamato a costruire un futuro realistico, che vale per tutti e non pun essere smentito da nessuna sconfitta: perché c garantito da Dio, da Dio in persona.
Dunque, speranza, misericordia, giustizia: l’una non si pun dare senza l’altra. E oggi il mondo, ciascuno di noi, la societr in cui viviamo, il villaggio globale di cui siamo cittadini, han bisogno proprio di questo: di speranza, di misericordia, di giustizia – di una speranza che attinge alla fonte della misericordia e lavora realisticamente per la giustizia.
2. Ma andiamo per ordine, cominciando dal primo tassello del nostro trittico: la speranza.
Se c’c un atteggiamento fondamentale dell’esistere umano che oggi difetta, questo c la speranza. Ce l’ha ricordato con accenti intensi e netti Benedetto XVI nella sua seconda enciclica, la Spe salvi: «nella speranza siamo stati salvati» (Rm 8, 24). «L’attuale crisi della fede, nel concreto – puntualizza il Papa –, c soprattutto una crisi della speranza cristiana» (n. 17).
Basta che guardiamo a fondo, con occhio lucido e amico, nel cuore dell’uomo e della donna di oggi, degli adulti, degli anziani, ma soprattutto dei giovani, basta che guardiamo agli ideali e ai progetti che reggono le proposte e i sentieri di vita e d’impegno del nostro mondo, per renderci conto di un vuoto spaventoso. Nascosto, il piu delle volte, rimosso, ricoperto da fronzoli o maschere: ma che di tanto in tanto esplode virulento e che tutti ci colpisce per la desolante indifferenza o per la tragica disperazione che mette allo scoperto. Questo vuoto ha un volto: c assenza di speranza. E come se anche essa, l’ultima a morire tra le risorse dell’uomo, avesse fatto naufragio.
Non c’c speranza, troppo spesso, tra i giovani chiamati ad affrontare con rischio e creativitr la vita che si spalanca davanti a loro.
Non c’c speranza, troppo spesso, nel combattere le tante ingiustizie che, vicine o lontane, come un cancro devastano la vita delle persone, degli ambienti sociali, dei popoli.
Non c’c speranza, troppo spesso, per il futuro del mondo: nella possibilitr, cioc, di trasformare la societr sanando le piaghe che la infettano, nella volontr di gettare ponti di riconciliazione e d’incontro tra le civiltr, nell’impegno a salvaguardare e promuovere l’habitat naturale e cosmico nel quale e col quale viviamo: fiumi, mari, ghiacci, alberi, fiori, pesci, uccelli, animali domestici e selvatici…
Se, c drammatico il vuoto di speranza che come un buco nero divora da dentro le nostre esistenze. E proprio quando le risorse della tecnologia paiono ormai potere tutto: ma senz’anima, senza orientamento, senza meta – appunto, senza speranza.
C vero che vi sono tanti, piccoli e meno piccoli segnali che testimoniano la volontr di cambiare rotta, insieme all’indignazione per la miseria, l’ingiustizia e l’oppressione e all’impegno nell’individuare vie praticabili di solidarietr, di fraternitr, di rispetto e promozione dell’uomo e della natura nel loro insondabile mistero.
Ma tutto sembra – ed c – troppo poco e troppo debole.
3. Ed c qui ed c ora – eccoci al secondo tassello – che i discepoli di Gesu, con atteggiamento di umiltr, di condivisione, di apertura verso tutti coloro nei quali sinceramente vivono la ricerca e la lotta per la veritr e la giustizia, c qui e ora che i discepoli di Gesu son chiamati a giocare una carta decisiva: la carta della speranza.
Perché la speranza non c ottimismo a poco prezzo, non c velleitr alla fine illusoria, non c utopia ideologica. La speranza cristiana – come ci ricorda Benedetto XVI – c fondata su di un fatto, su di un avvenimento, su di una persona: Gesu, il Figlio di Dio fatto uomo, che ha donato la sua vita per noi.
Che cos’c che fa il cristiano… cristiano? che cos’c che sprigiona e plasma da cima a fondo la sua vita nuova nella fede?
L’apostolo Paolo lo esprime con chiarezza cristallina: «Io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20).
C questo l’avvenimento su cui poggiano l’esistenza del cristiano, la novitr e la missione della Chiesa, il futuro del mondo: Gesu ha dato la sua vita per me, per noi, per tutti, per il mondo!
«Ora – incalza l’apostolo Paolo – a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci pun essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo c morto per noi!» (Rom 5,7-8). Il fondamento della fede cristiana, in una parola, c l’amore di misericordia che Dio inequivocabilmente e definitivamente ha mostrato per noi in Gesu crocifisso e risorto.
«L’essere umano – spiega Benedetto XVI – ha bisogno dell’amore incondizionato» (n. 26). «Chi viene toccato dall’amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe « vita ». Comincia a intuire che cosa vuol dire la parola di speranza» (n. 27).
In queste semplici parole, che traducono per noi il messaggio del vangelo, c condensato il principio vivo di una straordinaria ed incisiva visione dell’uomo, della societr, della storia.
L’uomo nasce dalla misericordia di Dio. In questa nascita che accade nella pasqua di Gesu, che si celebra nel battesimo, che c’investe e ci trasforma nell’Eucaristia, c’c il segreto del suo destino personale e sociale, terreno e definitivo. E c’c il motore della speranza che non si spegne e non delude.
«La mia vita personale e la storia nel suo insieme – sono ancora parole del Papa – sono custoditi nel potere indistruttibile dell’Amore» (n. 35).
C perché mi so accettato, accolto, sanato e ricreato nuovo, ogni volta come fosse la prima, dalla misericordia di Dio in Gesu, c per questo che posso guardare avanti con fiducia e speranza. Tutto cose acquista senso, anche la fatica, la sofferenza, gli ostacoli, le inevitabili sconfitte che punteggiano il nostro cammino.
C come se, affidandomi alla misericordia di Dio che mi raggiunge in
Gesu, io fossi messo in contatto, una volta per sempre, con una fonte inesauribile di energia vitale, fresca e corroborante: che c fiducia, amore, fortezza, gioia, perseveranza, pazienza, attesa …
Una fonte, « la » fonte inesauribile della speranza!
4. Senza la speranza non c’c futuro veramente umano. Ma senza la misericordia di Dio in Gesu per noi, non c’c vera speranza.
Ed c di qui – da questo indissolubile intreccio di speranza e misericordia – che nasce e si alimenta l’inderogabile e responsabile impegno dei discepoli di Gesu per la giustizia: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarr dato in sovrappiu» (Mt 6, 33).
Una parola soltanto vorrei spendere a proposito di questo terzo e ultimo tassello della nostra riflessione.
Come discepoli di Gesu siamo oggi chiamati a risvegliare in noi questa coscienza: la nostra speranza c sterile, c vuota, in definitiva non c speranza cristiana, se – sottolinea Benedetto XVI – non produce fatti e non cambia la vita: «La porta oscura del tempo, del futuro, c stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli c stata donata una vita nuova» (n. 2).
La speranza cristiana – spiega il Papa – «attira dentro il presente il futuro, cose che quest’ultimo non c piu il puro « non ancora ». Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtr futura, e cose le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future» (n. 7).
La speranza della vita che ha il sapore di cin che piu non muore, quella speranza che risplende nella vittoria di Gesu risorto sul peccato e sulla morte, c un lievito che fermenta la pasta della storia nel segno della giustizia, della pace e della fraternitr. Costi quel che costi. Anche la vita. I martiri cristiani sono martiri della speranza – e percin della giustizia.
Ma l’impegno cristiano per la giustizia, che nasce e si alimenta dalla misericordia di Dio in Gesu, ha uno stile inconfondibile: c esso stesso, prima di tutto e sempre di nuovo, esercizio della misericordia, ministero – vorrei dire – della misericordia verso i fratelli e le sorelle, verso tutti e verso ciascuno.
«Siate misericordiosi com’c misericordioso il Padre vostro» (Lc 6, 36).
C qui compendiato tutto il vangelo di Gesu, tutto lo stile della presenza e dell’azione dei suoi discepoli nella storia, uomo accanto a uomo, nella costruzione di un mondo nuovo.
Consapevoli, certo, dei limiti umani e della provvisorietr terrena di quest’impegno e dei frutti che ne vengono: ma nella speranza certa dei « cieli nuovi e della terra nuova » che gir sono realtr in Gesu risorto e in Maria con lui assunta nel seno del Padre, trasfigurati dalla luce senza tramonto dello Spirito che c Amore.
5. Mi ha sempre colpito la centralitr, nella preghiera che Gesu ha insegnato ai suoi – il Padre nostro –, di una delle petizioni che fa da cerniera tra cin che si chiede a Dio in rapporto a Dio che c Padre, e cin che si chiede a Dio in rapporto agli altri che sono fratelli: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».
«Rimetti a noi i nostri debiti». Il perdono c per lo spirito cin che il pane c per il corpo. Senza misericordia che perdona lo spirito non vive, c morto, pur sembrando vivo. Il perdono nel suo ultimo principio c per-dono: c cioc gratuitr di Dio che c cor-risposta dalla gratitudine dell’uomo – e da nient’altro.
C questo il primo, l’insolvibile debito che abbiamo contratto con Dio dal momento in cui ci ha pensati, voluti, creati – per amare. Ma cin che ci suggerisce con forza semplice e realistica Gesu, c di chiedere a Dio perdono per i debiti contratti via via che la nostra esistenza si squaderna nel tempo. Occasioni perdute, grazie non corrisposte, e rifiuti, chiusura, cattiverie, ostinazioni…
Poter guardare Dio negli occhi, ogni giorno di nuovo, come fosse la prima volta, c riconoscersi davanti a Lui per cin che siamo, peccatori come il pubblicano salito al tempio, e non accampare inesistenti meriti come il fariseo (cf. Lc 18,10-14). Riconoscere che «tutto c grazia» (come scrive Bernanos) e che il Padre c «ricco di misericordia» (Ef 2,4). Senza quietismi, senza flagellazioni o piagnistei. Con realismo. Con vera umiltr.
Allora, lo sguardo di Dio ci fa rinascere nuovi e immacolati.
«Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Ecco uno degli sconvolgenti come di Gesu!
Egli l’aveva gir detto poco prima: «come in Cielo cose in terra».
Il come c il legame vero, l’unico, tra Cielo e terra. La vita del Cielo ha da trasferirsi in terra. La quale, terra ha da restare: non solo nel tempo presente, ma anche in quello definitivo che ancora ha da venire. Non si parlerr anche allora di « cieli nuovi e terra nuova »?
Come: la stessa legge di vita che vive in Cielo – la santificazione del nome di Dio che c Padre da parte del Figlio, quel soffio infinito di reciproco amore che c lo Spirito Santo – ha da vivere in terra nei nostri rapporti. Questa c la volontr del Padre.
Dio rimette a noi i nostri debiti come: e cioc se e in quanto noi li rimettiamo ai nostri debitori. Ma noi siamo capaci di perdonare, solo se prima ci sappiamo perdonati da Dio.
Colpisce che Gesu inviti a chiedere proprio questo al Padre. In fondo, c l’unica petizione del Padre nostro che riguardi esplicitamente i rapporti interpersonali.
Gesu non c’invita a chiedere d’esser capaci di amare, accogliere, servire: ma di … perdonare. Perché la gratuitr del perdono c l’unica che, riaccendendo la relazione spezzata dal male, fa rinascere l’altro – nel tuo cuore e nel suo cuore.
C stato detto: se amare c come generare un figlio, perdonare c come risuscitare un morto. La misericordia c l’immagine piu alta e piu vera di Dio. Ed c per noi la possibilitr donata e trafficata, in Gesu, di far nascere e crescere rapporti veri tra gli uomini. Non solo tra i singoli, ma tra i popoli e le nazioni.
La capacitr di essere misericordiosi nasce dalla capacitr – ricevuta come grazia – di guardare agli altri come ad essi guarda Dio. C questo sguardo di misericordia la radice della speranza che costruisce nel mondo la giustizia.
1 Piero Coda si laurea in Filosofia presso l’Universitr di Torino e consegue il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Universitr Lateranense, dove inizia a insegnare nel 1985. Dal 1993 c docente di Teologia Sistematica. Collabora alla redazione di numerose riviste: Lateranum, Filosofia e Teologia e Nuova umanitr. C consultore del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e membro della Pontificia Accademia Teologica, preside dell’Istituto universitario Sophia; Presidente dell’Associazione Teologica italiana e segretario della Pontificia Accademia di Teologia. Tra le sue numerosissime opere ne segnaliamo solo alcune: Abitando la Trinitr. Per un rinnovamento dell’ontologia, Cittr Nuova, Roma 1998; Il logos e il nulla. Trinitr, religioni, mistica, Cittr Nuova, Roma 2003; Dio che dice amore. Lezioni di teologia, Cittr Nuova, Roma 2007; Sul luogo della Trinitr. Rileggendo il «De Trinitate» di Agostino, Cittr Nuova, Roma 2008.

 

Publié dans:DOCENTI - STUDI, FILOSOFIA |on 16 mai, 2017 |Pas de commentaires »

Paolo guarisce un paralitico a Lystra

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Publié dans:immagini sacre |on 15 mai, 2017 |Pas de commentaires »

V SETTIMANA DI PASQUA – MARTEDI – UFFICIO DELLE LETTURE

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V SETTIMANA DI PASQUA – MARTEDI – UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni, apostolo 20, 1-15
L’ultima lotta del dragone
Io, Giovanni, vidi un angelo che scendeva dal cielo con la chiave dell’Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il dragone, il serpente antico — cioè il diavolo, satana — e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo. Poi vidi alcuni troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni.
Quando i mille anni saranno compiuti, satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magog, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare. Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli.
Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé. Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco. E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco.

Responsorio Breve 1 Cor 15, 25. 26; Ap 20, 13. 14
R. Bisogna che Cristo regni, finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. * l’ultimo nemico annientato sarà la morte, alleluia.
V. La morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi, poi la morte e gli inferi furono gettati nel lago di fuoco:
R. l’ultimo nemico annientato sarà la morte, alleluia.

Seconda Lettura
DDal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d’Alessandria, vescovo (Lib. 10, 2; PG 74, 331-334)
Io sono la vite, voi i tralci
i ci siamo accostati a Cristo nella fede per una buona deliberazione della volontà, ma partecipiamo della sua natura per aver ottenuto da lui la dignità dell’adozione. Infatti, secondo san Paolo, «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6, 17).
Noi siamo edificati su Cristo, nostro sostegno e fondamento e siamo chiamati pietre vive e spirituali per un sacerdozio santo e per il tempio di Dio nello spirito. Non possiamo essere edificati se Cristo non si costituisce nostro fondamento. La medesima cosa viene espressa con l’analogia della vite.
Dice di essere lui stesso la vite e quasi la madre e la nutrice dei tralci che da essa spuntano. Infatti siamo stati rigenerati da lui e in lui nello Spirito per portare frutti di vita, ma di vita nuova che consiste essenzialmente nell’amore operoso verso di lui. Quelli di prima erano frutti marci di una vita decadente.
Siamo poi conservati nell’essere, inseriti in qualche modo in lui, se ci atteniamo tenacemente ai santi comandamenti che ci furono dati, se mettiamo ogni cura nel conservare il grado di nobiltà ottenuto, e se non permettiamo che venga contristato lo Spirito che abita in noi, quello Spirito che ci rivela il senso dell’inabitazione divina.
Il modo con il quale noi siamo in Cristo ed egli in noi, ce lo spiega san Giovanni: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1 Gv 4, 13).
Come la radice comunica ai tralci le qualità e la condizione della sua natura, così l’unigenito Verbo di Dio conferisce agli uomini, e soprattutto a quelli che gli sono uniti per mezzo della fede, il suo Spirito, concede loro ogni genere di santità, conferisce l’affinità e la parentela con la natura sua e del Padre, alimenta l’amore e procura la scienza di ogni virtù e bontà.

Responsorio Breve Gv 15, 4. 16
R. Rimanete in me e io in voi. * Io vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga, alleluia.
V. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me.
R. Io vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga, alleluia.

IL volto di Cristo

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Publié dans:immagini sacre |on 12 mai, 2017 |Pas de commentaires »
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