UN SERIO AMMONIMENTO PER I TEMPI DIFFICILI
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UN SERIO AMMONIMENTO PER I TEMPI DIFFICILI
Christian Briem
Titolo dell’originale: Ein ernstes Wort in ernster Zeit
Indice:
1. Introduzione
2. Principi, e non regole
3. Separazione dal male
4. Indicazioni per il procedimento pratico
5. Allontanarsi dall’errore
6. Come lo Spirito Santo agisce — nessuna democrazia
7. Nessuna indipendenza
8. Argomenti
1. Introduzione
Viviamo in tempi solenni, e siamo giunti agli ultimi giorni del periodo della grazia. La Parola di Dio li definisce «tempi difficili» (2 Timoteo 3:1). Satana è riuscito, a causa delle nostre infedeltà, ad introdurre, non solo tra la cristianità professante, ma anche fra i credenti in particolare dei concetti dottrinalmente nocivi. Favorito da una grande mondanità e da una notevole superficialità spirituale, si è sviluppato tra noi uno spirito di liberalità e di indifferenza contro il quale il Signore ci mette in guardia particolarmente nella lettera a Laodicea.
In considerazione di questa situazione non è sorprendente — benché questo sia affliggente — che, non solo individui, ma gruppi interi o assemblee abbiano adottato dei punti di vista errati per quanto concerne il radunamento dei credenti, cosicché una separazione da costoro si è resa inevitabile. A questo punto sorge evidente la domanda se nelle Sacre Scritture ci sono degli esempi di assemblee che si sono separate da una o più altre assemblee, vale a dire che non sono più riconosciute come essendo in comunione con loro alla tavola del Signore.
Diciamo pure subito che esempi di questo tipo non ce ne sono (come del resto non vi sono che rari esempi che riguardano la vita pratica dell’assemblea). Però nella Parola non troviamo neanche nessun esempio che un’assemblea sia stata «ricevuta» in comunione. Così, per esempio, non possiamo pensare che i credenti in Antiochia abbiano iniziato a rompere il pane, il più grande privilegio collettivo dei cristiani, soltanto al momento in cui Barnaba venne da loro (Atti 11). Essendo cristiani, possedevano questo privilegio e certamente ne avranno approfittato senza un invito particolare da parte di qualcuno. È ciò che vediamo presso i primi cristiani a Gerusalemme (Atti 2:42…). In quel tempo esisteva solo un unico «terreno» sul quale i primi credenti realizzavano la comunione fra di loro. Tutti gli altri uomini erano giudei o pagani; e non avevano parte a questo privilegio.
2. Principi, e non regole
Oggi la condizione della cristianità è diventata molto più difficile e Dio, conformemente alla Sua sapienza, non ci presenta nella Sua Parola una raccolta di regole e di esempi, ma stabilisce dei principi divini che ci dirigono in ogni situazione. Troppo facilmente saremmo tentati di risolvere i problemi in modo schematico, senza un profondo esercizio interiore. Questi principi sono generalmente legati a situazioni particolari allora esistenti. Le situazioni del passato possono anche non più ripresentarsi, ma i principi rimangono. Considereremo adesso un esempio che illustra in particolare il nostro soggetto.
I credenti di Corinto pensavano avere la libertà di entrare nel tempio degli idoli e di mangiare la carne sacrificata agl’idoli, perché sapevano che gli idoli, di per sé, non sono nulla. La cosa pur essendo vera, il modo di fare da essi seguito in questa circostanza non era corretto. E perché? Essi violavano — senza saperlo — due principi divini, che l’apostolo Paolo chiarisce loro:
1. Dietro alle cose visibili si nascondono potenze invisibili, principi, disposizioni, sistemi, sia buoni che malvagi.
2. Partecipando esteriormente a queste cose, si entra in una comunione interiore con questi sistemi, che lo si sappia e che lo si voglia o meno.
Dietro ai sacrifici offerti agl’idoli c’erano i demoni, e i Corinti andando nel tempio per mangiare la carne sacrificata agl’idoli si trovavano in comunione con i demoni (1 Corinzi 10). Era ed è moralmente impossibile partecipare alla Tavola del Signore e alla tavola dei demoni. Oggi questo pericolo specifico non esiste per così dire più per noi, però i principi nominati mantengono tutta la loro validità. È quindi necessario farne una giusta applicazione ai problemi attuali. Se non si possono qualificare gli incontri di credenti su un terreno che non è scritturale, come «tavola dei demoni» (sarebbe assurdo e insensato farlo), bisogna tuttavia esaminare su quale base costoro si radunano e secondo quali principi. Se le disposizioni adottate sono inequivocabilmente errate, perché, ad esempio, si pratica un’accettazione aperta delle persone richiedenti, chi si raduna con loro e prende parte alla cena, si unifica all’errore che viene qui praticato. In 2 Giovanni 2, vediamo che tramite una partecipazione esteriore, anche solo tramite un saluto, si può entrare in comunione con il male. Che lo vogliamo o no, che lo facciamo intenzionalmente o no, ha poca importanza: Dio considera la cosa in questo modo.
3. Separazione dal male
Il sentiero e la risorsa che Dio ci indica nei giorni del declino è la separazione da ciò che non corrisponde al Suo pensiero. Se non vogliamo essere privati della presenza del Signore quando il male si manifesta, l’unica via da seguire è la separazione dal male. Questo principio lo troviamo sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento. L’osservanza di questo principio conduce all’unità.
Al momento che il popolo d’Israele si corruppe e cadde nell’idolatria, Mosè prese la tenda di convegno e la piantò «per sé fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento» stesso. «E chiunque cercava il SIGNORE, usciva verso la tenda di convegno, che era fuori dell’accampamento» (Esodo 33,7). È così che Mosè, il servitore di Dio, separò i fedeli da coloro che non lo erano. Il sentiero della verità in quei tempi malvagi, per chi cercava l’Eterno, era fuori dell’accampamento. E là l’Eterno concesse a Mosè il privilegio di parlargli faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico (versetto 11).
E che cosa fece il «buon Pastore» con le sue pecore quando «l’ovile» d’Israele si trovò invaso da ogni sorta di male? Si accinse a riformarlo? È ciò che gli uomini hanno sempre cercato di fare: riformare, migliorare le cose che vanno in rovina. No, il Signore Gesù divenne per essi «la Porta» che permetteva loro di abbandonare «l’ovile», vale a dire il sistema giudaico corrotto. Egli chiamò le proprie pecore per nome e le condusse fuori (Giov. 10,3). Nello stesso modo procede oggi con i Suoi: Li conduce fuori da ciò che Egli non può approvare — o non corrisponde più alla Sua volontà. Egli è l’autorità che ha il potere e il diritto di fare questo, perché è «la Porta».
Passando adesso direttamente all’Apocalisse, l’ultimo libro del Nuovo Testamento, troviamo, a proposito di «Babilonia» (la «grande prostituta», il «ricettacolo di demoni»), che al residuo fedele degli ultimi giorni vien detto: «Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate complici dei suoi peccati» (18:4). Vediamo qui ancora lo stesso principio visto precedentemente, benché le circostanze siano completamente diverse. Naturalmente, applicando oggi questo principio, non possiamo dire a coloro, dai quali ci separiamo, che sono «Babilonia». Sarebbe assurdo affermarlo. Il principio della separazione dal male rimane invariato, che si tratti dell’ «ovile» oppure di «Babilonia» o ancora dei falsi sistemi che ci sono oggi nella cristianità.
Se passiamo alle epistole del Nuovo Testamento, troviamo ancora lo stesso principio. A proposito del sigillo nel passo di 2 Timoteo 2:19 è detto, in rapporto alla responsabilità dell’uomo: «Si ritragga dall’iniquità chiunque pronunzia il nome del Signore». L’«iniquità» è tutto ciò che è in contraddizione con Dio e con la Sua volontà rivelata. Quando l’iniquità non può essere tolta, bisogna che chi vuole essere fedele si separi da essa.
L’apostolo Paolo, per illustrare la cosa, ci parla di una grande casa nella quale ci sono molti vasi che si distinguono fra di loro in base a due aspetti diversi: quello del materiale e quello dell’uso. L’ingiunzione consiste quindi nel purificarsi e nel separarsi dai «vasi a uso ignobile» — non solo dal loro insegnamento, ma anche dai vasi stessi, cioè: dalle persone. Il fatto che, separandosi da loro, si diventa un «vaso a uso nobile» (versetto 21), dimostra che non dobbiamo considerare i «vasi a uso ignobile» unicamente come dei cristiani professanti, ma anche tutti i credenti che sono contaminati da un male qualsiasi, oppure che sono in contatto con cose che disonorano il Nome del Signore. Quindi anche i credenti possono essere dei «vasi a uso ignobile» quando sono in contatto con l’iniquità. E ciascuno personalmente ha la responsabilità di separarsi da loro. L’espressione «se dunque uno» dimostra inoltre chiaramente che si tratta di tutti i credenti, e non solo di una categoria particolare di servitori del Signore (come a volte vien detto). Ognuno è responsabile di agire così
D’altronde questa istruzione fa parte di ciò che l’apostolo Paolo aveva già scritto a Timoteo, affinché sapesse «come bisognava comportarsi nella casa di Dio» (1 Timoteo 3:15) — in un tempo (e questa è la visuale della seconda epistola a Timoteo) nel quale la manifestazione esteriore dell’Assemblea si era ormai molto discostata dai pensieri di Dio.
Nonostante le espressioni personali («uno», «tu»), la frase del versetto seguente (2 Timoteo 2:22): «con quelli che invocano il Signore con un cuore puro», dimostra che Dio considera anche il lato collettivo della situazione. Se Timoteo si fosse separato dai vasi a uso ignobile e avesse ricercato la giustizia, la fede, l’amore, la pace avrebbe trovato altri che si erano comportati anche così. E ciò avverrebbe pure oggi in circostanze simili. Il ritrarsi dall’iniquità — che si tratti di singole persone o di assemblee intere — non spinge all’isolamento, ma è un obbligo per coloro che desiderano mantenere l’ordine nella casa di Dio e invocare il Signore con un cuore puro. Questo può effettivamente comportare il rifiuto della comunione a un’assemblea intera o addirittura a più assemblee.
In 2 Timoteo 2 ci viene presentato un principio generale che racchiude tutte le forme di iniquità. Siccome l’iniquità può presentarsi sotto differenti aspetti e in misure diverse, è quindi logico che anche il modo di ritrarsi dall’iniquità, impostoci, avvenga in modi diversi.
4. Indicazioni per il procedimento pratico
Cosa si deve fare quando un gruppo di credenti o un’assemblea locale si pone, sia dal lato dottrinale che sia pratico, su un terreno che non è più conforme alla Scrittura? Abbiamo già notato prima che il Nuovo Testamento non ci dà molti esempi che trattano i rapporti tra le assemblee. Considerando però dei passi come Romani 15:4; 1 Corinzi 10:6-11 e 2 Timoteo 3:16 («Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare…») non possiamo fare a meno di credere che anche l’Antico Testamento ci offra esempi e indicazioni che riguardano il nostro soggetto. Vogliamo dunque considerare alcune di queste indicazioni anche nell’Antico oltre che nel Nuovo Testamento.
Che ci possa essere in certo modo un allontanarsi, un abbandonare un’assemblea locale, lo troviamo accennato in Levitico 14, dov’è parlato di una casa colpita interamente dalla lebbra (muffa). Essa doveva essere demolita (versetto 45). Ma qui vorrei fare risaltare con quale prudenza, accortezza e cura il sacerdote doveva prima esaminare la cosa. Quest’esempio ci insegna che una decisione secondo 2 Timoteo 2, non potrà assolutamente essere presa con leggerezza e precipitazione, ma soltanto dopo che tutti i mezzi e gli sforzi per togliere l’iniquità si saranno dimostrati infruttuosi.
Nel capitolo 21 del Deuteronomio, troviamo un’altra indicazione per cui normalmente sono le assemblee vicine che hanno il compito di occuparsi dei problemi di un’assemblea. Siccome però nel Nuovo Testamento l’espressione «assemblee vicine» non esiste, non vorrei dare troppa importanza a questo pensiero. Se le assemblee vicine sono troppo deboli o non vogliono adempiere i propri impegni, saranno allora assemblee più distanti che dovranno interessarsi al caso. Il Corpo di Cristo o la Casa di Dio non è limitato dai confini di una città o di un paese.
Mi sembra che Matteo 18 a partire dal versetto 15, ci porga un aiuto prezioso. Evidentemente si tratta qui del peccato di un fratello contro un’altro fratello; però i principi presentati dal Signore sono certamente applicabili in modo più esteso. Anzitutto ci doveva essere la sollecitudine di «guadagnare» l’altro, o gli altri, cercando di regolare la cosa in un ambito ristretto. Se questo non avesse dato risultati, era necessario che due o tre testimoni «confermassero» la cosa. Qui il Signore non parla già più di «guadagnare»; la questione aveva preso un carattere più serio. Se si rifiutava di ascoltarli, bisognava dirlo alla chiesa: vale a dire che il male era da quel momento reso pubblico, e veniva posto sulla coscienza dell’assemblea; questo procedimento assumeva dunque notevole gravità. Se si rifiutava anche di ascoltare la chiesa, la rottura diveniva inevitabile.
5. Allontanarsi dall’errore
In Romani 16 vediamo un esempio di applicazione pratica dei principi esposti in 2 Timoteo 2. L’argomento trattato qui può essere espresso nel modo seguente: Cosa bisogna fare quando la predizione, che l’apostolo Paolo aveva fatto agli anziani a Mileto, si avvera e che fra i credenti o addirittura fra i sorveglianti stessi «sorgono uomini che insegnano cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli» (Atti 20:30)? La risposta la troviamo nell’istruzione che l’apostolo Paolo dà ancora in Romani 16: «Ora vi esorto, fratelli, a tener d’occhio quelli che provocano le divisioni e gli scandali in contrasto con l’insegnamento che avete ricevuto. Allontanatevi da loro. Costoro, infatti, non servono il nostro Signore Gesù Cristo, ma il proprio ventre; e con dolce e lusinghiero parlare seducono il cuore dei semplici» (versetti 17-18).
Forse il Nome del Signore è sovente sulla bocca di tali uomini, ma non c’è in loro una vera sottomissione a Lui e alla Sua Parola. Per quanto lusinghiere possano essere le loro parole, dovranno essere controllate alla luce della dottrina apostolica. Se ciò che questi dottori dicono, è in contrasto con l’insegnamento che abbiamo ricevuto, provocherà immancabilmente divisioni e scandali; poiché saranno spalleggiati da coloro che sostengono le loro opinioni. Le divisioni che ne risultano manifestano chiaramente che il loro autore insieme ai suoi complici, malgrado tutto lo zelo che mostrano, servono in realtà i propri interessi («il proprio ventre») e non quelli del Signore. I figli di Dio devono allontanarsi da tali persone, quand’anche i seduttori e i loro seguaci avessero avuto il loro posto in mezzo ai credenti, come sembra che tale fosse stato il caso di Roma. Il settarismo è iniquità, e le sette sono opere della carne (Galati 5:20). Dobbiamo allontanarci da esse e dai loro sostenitori.
Questo principio conserva tutta la sua validità — concorde con i versetti 19 a 22 di 2 Timoteo 2 — anche quando si tratta di una assemblea intera che viene trascinata su un terreno errato. Allora saranno altre assemblee — come abbiamo già visto, possibilmente vicine — che dovranno occuparsi della cosa.
Normalmente saranno dei fratelli assennati, che godono della fiducia dei fratelli e sorelle locali, ad occuparsi di questa assemblea. Se tutti gli sforzi per un ristabilimento dei fratelli e sorelle di una località vengono a fallire, se la base per poter continuare a camminare insieme non esiste più, le assemblee non possono fare altro che prendere atto della situazione e, anche se questo passo è molto doloroso, alla fine allontanarsi da loro.
Naturalmente ciò non vuol dire che quella assemblea sia esclusa. A motivo della presenza del Signore in mezzo a loro, le assemblee locali hanno l’autorità di legare e sciogliere individui (Matteo 18:18-20), che fanno parte del loro ambito locale. È evidente che il Signore in Matteo 18 parla di una assemblea in un certo luogo. Le assemblee locali però non possono né ammettere, né escludere un’altra assemblea. Non hanno nessuna autorità per farlo.Quando si verificano tali evoluzioni deplorevoli, che fratelli e sorelle di un’assemblea locale abbandonano ciò che essi stessi avevano un tempo professato, allora non vengono «messi fuori comunione» da qualcuno, ma si sono messi loro stessi fuori comunione. Hanno effettivamente abbandonato di propria iniziativa il terreno comune che avevano fino ad ora riconosciuto e ritenuto valido. Dunque i protagonisti di una separazione non sono coloro che mantengono fermamente i principi delle Sacre Scritture, ma bensì coloro che li abbandonano.
Al fine di rendere la cosa più comprensibile, è forse utile considerare il caso contrario, il caso positivo, che fortunatamente si è già verificato più volte. Supponiamo che, tramite il lavoro di alcuni missionari in un paese lontano, un certo numero di persone abbiamo creduto nel Signore Gesù. Prima o poi, avranno il desiderio di rompere il pane. Se rispondono alle condizioni essenziali, chi potrebbe rifiutare loro la comunione alla Tavola del Signore? Ma cosa bisogna fare adesso per evitare la formazione di un gruppo indipendente?
Dei fratelli di fiducia dovranno venire da vicino o da lontano, per unirsi a loro come rappresentanti delle assemblee delle loro località A questo punto, non sono questi fratelli che hanno «eretto la Tavola del Signore». È il Signore stesso che lo fa. E non si tratta neppure di «ammissione» di quel gruppo di credenti. Né fratelli, né assemblee locali possono ammettere altre assemblee. Però assemblee locali possono riconoscere uno o più gruppi di credenti come trovandosi sullo stesso terreno scritturale. Anche questo avviene, come già detto, tramite alcuni fratelli, ma non senza l’esercizio della coscienza delle assemblee locali, come abbiamo già visto. Nei capitoli 8 e 11 degli Atti, troviamo dei belli esempi di questo modo di procedere.
6. Come lo Spirito Santo agisce — nessuna democrazia
Sulla base di alcuni passi della Scrittura, vedremo in qual modo Dio desidera che la Sua volontà venga realizzata nella Sua assemblea; e ciò per contrastare la tendenza, che si sta propagando nei nostri tempi, di voler fare dell’assemblea uno strumento sempre più democratico, parlamentare. Questa volontà dev’essere messa in evidenza, per la salvaguardia del gregge, per mezzo di uomini da Lui abilitati, sotto la guida e nella potenza dello Spirito Santo. Questo però non ha nulla a che fare con il dominare, come è detto in 1 Pietro 5:3. Si tratta del mantenimento dei diritti di Dio di fronte al male; potremmo anche definirlo come «amministrazione dell’assemblea».
I versetti che considereremo dimostrano chiaramente due cose diverse: in primo luogo che una tale amministrazione o guida esiste: e in secondo luogo che non tutti i credenti hanno ricevuto la mansione di esercitare una tale funzione.
Dio ha dato al Suo gregge dei «vescovi» (sorveglianti) perché, in vista dei pericoli che lo minacciavano sia di dentro che di fuori, badassero a lui e provvedessero a pascerlo (Atti 20:28-30). Il compito benedetto, ma non facile, dei vescovi è di aver cura della chiesa di Dio (1 Timoteo 3:5).
Pietro parla degli «anziani» in un senso più generale e pensa semplicemente a dei fratelli maturi di una certa età, in contrasto con dei più giovani (1 Pietro 5:1-5). Sono loro che hanno l’incarico di pascere il gregge di Dio e di sorvegliarlo. I giovani invece devono essere sottomessi agli anziani.
Fra molti altri doni che Dio ha fatto alla Sua chiesa, in 1 Corinzi 12:28, troviamo pure i «doni di governo» (o di guida, di direzione, di amministrazione).
Nella descrizione dei diversi doni di grazia in Romani 12:8, è parlato anche di «chi presiede», e viene esortato a farlo con diligenza.
In 1 Tessalonicesi 5:12 vengono nominati coloro che sono «preposti nel Signore» ai santi e che li «istruiscono». Costoro dovevano essere stimati e amati. Anche in 1 Timoteo 5:17 è parlato di anziani «che tengono bene la presidenza» — della chiesa, naturalmente. Una premessa fondamentale per chi aspira all’incarico di vescovo, è quella di saper governare bene la propria famiglia (1 Timoteo 3:4-5). Due sfere diverse — lo stesso modo di procedere.
Già all’inizio c’erano nell’assemblea degli «uomini autorevoli tra i fratelli» (Atti 15:22), e di coloro che erano «reputati colonne» (Galati 2:9). La caratteristica dei conduttori, secondo Ebrei 13:7 è che «annunzino la parola di Dio»; più tardi segue poi l’esortazione: «Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro, perché essi vegliano per la vostra vita come chi deve renderne conto» (versetto 17).
Rendere attenti a questi rapporti, non significa assolutamente voler appoggiare il clericalismo. Questo sarebbe altrettanto riprovevole quanto la ribellione contro l’autorità stabilita da Dio. Non dobbiamo neppure pensare che gli «anziani» possano agire indipendentemente dai fratelli o dall’assemblea, e tanto meno contro di essa. Essi agiscono per lei, come suoi sostituti.
È anche ciò che troviamo in passi come Romani 16:17; 1 Tessalonicesi 5:14 e 2 Tessalonicesi 3:6-15 dove di volta in volta, «i fratelli» vengono esortati a fare una determinata cosa. Naturalmente, l’espressione «i fratelli» è sinonimo di tutta l’assemblea: tutti, fratelli e sorelle devono agire in quel modo. Ma è altre si evidente che non ogni individuo possiede la condizione spirituale necessaria per poter esercitare il servizio richiesto in ogni caso particolare. I «semplici» in Romani 16 non sono all’altezza di poter tenere d’occhio gli altri né i loro insegnamenti. Lo Spirito Santo saprà mobilitare gli strumenti adatti per questo, e l’assemblea intera sarà sottomessa a Lui e a quanto dice. Così almeno è il caso normale. C’è forse qualcuno che creda sul serio che «ammonire i disordinati» sia il compito che tocca ad ogni credente, sia pure giovane e privo d’esperienza? Qui ancora sarà lo Spirito Santo che si servirà, per questo compito difficile, di strumenti adatti che posseggono il peso morale necessario. Però tutti, fratelli e sorelle, si associeranno a questo servizio e così potranno, in questo senso, tutti ottemperare all’esortazione ricevuta. Il procedimento non sarà diverso quando si tratta di «notare» qualcuno che si comporta disordinatamente (2 Tessalonicesi 3).
7. Nessuna indipendenza
Un passo interessante in Deuteronomio 17, sottolinea quanto detto. Quando in Israele capitava una controversia fra due parti, che era «troppo difficile» da giudicare, allora i contendenti dovevano salire al luogo che il Signore aveva scelto. «Andrai dai sacerdoti levitici e dal giudice in carica a quel tempo; li consulterai ed essi ti faranno conoscere ciò che dice il diritto; tu ti conformerai a quello che essi ti dichiareranno nel luogo che il Signore avrà scelto, e avrai cura di fare tutto quello che ti avranno prescritto. Ti conformerai alla legge che essi ti avranno insegnata e alle sentenze che avranno pronunziate; non devierai da quello che ti avranno insegnato, né a destra né a sinistra. L’uomo che avrà la presunzione di non dare ascolto al sacerdote che sta là per servire il Signore, il tuo Dio, o al giudice, quell’uomo morirà; così toglierai via il male da Israele» (versetti 9-12). Questo insegnamento ci fa vedere due cose: Qui ancora erano i sacerdoti, i leviti, il giudice che emettevano la sentenza — un giudizio che corrispondeva al pensiero di Dio. E tutti dovevano conformarsi a questa sentenza. Dio non tollerava nessuna indipendenza in Israele.
Anche il Nuovo Testamento non riconosce l’indipendenza delle assemblee locali fra di loro. L’esempio di Atti 15 lo dimostra molto chiaramente. Anche se questo avvenimento non lo si può più riprodurre come tale nei nostri giorni, i principi però perdurano. Cosa impariamo dunque da questo notevole capitolo? Che Dio non permette nessuna indipendenza tra le assemblee. La questione era di sapere se i credenti delle nazioni dovevano essere circoncisi e osservare la legge di Mosè (versetti 1 e 5). Sebbene in Antiochia, dove la questione fu sollevata, ci fosse un’assemblea sana e benché l’apostolo Paolo e Barnaba, in quel tempo, soggiornassero anche lì, Dio non permise che la questione fosse risolta da loro. Dovettero salire a Gerusalemme, ed è là che la cosa fu decisa. In questo modo fu mantenuta l’unità, ed evitata una rottura in due blocchi diversi, l’uno a carattere giudaico, l’altro a carattere greco.
L’unità pratica fra i credenti dei primi tempi viene sottolineata dal fatto che in seguito Paolo e Barnaba, passando da una città all’altra, dove c’erano delle assemblee, «trasmisero ai fratelli, le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani che erano a Gerusalemme» (Atti 16:4). Le cose erano allora così semplici che quelle decisioni furono volentieri accettate! Non c’è quindi da stupirsi se nel versetto che segue troviamo che: «Le chiese dunque si fortificavano nella fede e crescevano ogni giorno di numero».
E come vediamo le cose nei nostri giorni? Certo, oggi non abbiamo più gli apostoli, e non si possono più prendere decisioni del genere. Ma abbiamo il Signore: Lui è in mezzo ai due o tre radunati nel Suo Nome. Quanto è penoso oggi dover vedere come sovente si contrappone il proprio giudizio ai giudizi delle assemblee. Questo non è altro che indipendenza. Il risultato sarà per certo una rovina più grande. È lì che lo spirito d’indipendenza conduce immancabilmente.
8. Argomenti
È inutile argomentare che le membra del Corpo dipendono unicamente dal capo, da Cristo. Questa è solo una parte della verità. Dio ha anche reso le membra del Corpo di Cristo dipendenti le une dalle altre. Leggiamo pure il capitolo 12 della 1a epistola ai Corinzi: «L’occhio non può dire alla mano: Non ho bisogno di te» (versetto 21). Le singole membra avevano bisogno le une delle altre, come pure le singole assemblee. Erano unite insieme, formavano insieme il Corpo unico di Cristo. Ci poteva e ci può forse essere in questo divino organismo una qualsiasi indipendenza?
Oltre a ciò, l’assemblea è anche la Casa di Dio, la colonna e il sostegno della verità (1 Timoteo 3:15). In ogni «stanza», in ogni ambito di questa casa regna lo stesso «regolamento» di Dio. E quando tramite il Suo intervento, diverse assemblee giungono ad un determinato giudizio nei confronti di una certa cosa, non è forse conforme al Suo regolamento, che tutte le assemblee riconoscano questo giudizio? Il fatto che certe lettere provenienti da alcune assemblee non vengono tenute in conto o vengono addirittura nascoste all’assemblea locale, rappresenta una dolorosa violazione di questo regolamento. Questo modo di agire non corrisponde forse a quello di Diotrefe, anche se nel suo caso si trattava di un rifiuto dell’autorità apostolica (3 Giovanni 9)?
Oggi si mette sovente in avanti l’argomento che il giudizio di qualche fratello e di alcune assemblee può essere errato. Infatti questo è possibile, benché normalmente si tratti di un caso eccezionale, che non bisognerebbe citare continuamente — forse per poter ignorare giudizi che non ci garbano. La Parola di Dio parte sempre dal caso normale (vedi i diversi passi citati più sopra), e noi dovremmo fare lo stesso; vale a dire riconoscere che il giudizio di coloro che si sono occupati della cosa, corrisponde al pensiero di Dio, ed è stato prodotto dal Suo Spirito. Il fatto di mettere continuamente in dubbio certi giudizi, tradisce uno spirito d’indipendenza e d’orgoglio. Se effettivamente un giudizio si avverasse essere errato, dovrà essere riesaminato.
Contro il pensiero di doversi allontanare da una assemblea viene anche detto che il Signore non ingiunge ai fedeli di Sardi di abbandonare l’assemblea, anzi considera Sardi ancora come una assemblea. A questo punto c’è da dire che nelle sette lettere la questione della disciplina dell’assemblea non viene per niente presa in considerazione, poiché il Signore stesso — come Colui che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro — giudica il loro stato e agisce di conseguenza verso le assemblee. Per di più, dal punto di vista storico, il male allora esisteva solo in germe, all’inizio, ma il Signore parlava in quei termini perché conosceva anticipatamente il suo pieno sviluppo. Dal punto di vista profetico abbiamo qui una figura dei diversi stadi o epoche della chiesa, della cristianità, ed è quindi manifesto che non dobbiamo né possiamo uscire dalla cristianità. Quando però ci viene presentato un sistema religioso malvagio, come «Babilonia», allora udiamo anche nell’Apocalisse l’ordine concreto del Signore: «Uscite da essa, o popolo mio».
Che il Signore ci aiuti a salvaguardare i Suoi diritti, in un tempo in cui molti fanno ciò che pare loro meglio! Che ci dia anche un discernimento adeguato per capire quanto Lo abbiamo disonorato! E non dimentichiamo la santità di Colui che è in mezzo a noi! Al grande privilegio della Sua presenza, è collegata una solenne responsabilità.
La nostra benedizione riposa, in ogni tempo, in un cammino che tenga costantemente conto della nostra dipendenza dal Capo, e l’uno dall’altro! Dipendenza e obbedienza sono principi morali che vengono da Dio e conducono all’ordine e alla pace. Indipendenza e disubbidienza sono invece dei principi ispirati dal Diavolo, e sono distruttivi e nefasti.
