09 APRILE 2017 |6A DOMENICA DI QUARESIMA: LE PALME – A | OMELIA

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09 APRILE 2017 |6A DOMENICA DI QUARESIMA: LE PALME – A | OMELIA

Gesù entra in Gerusalemme….

Per cominciare
Luca 19,28-40. Gesù entra in Gerusalemme dopo un periodo di apparente indecisione o di riflessione. In realtà Gesù aspettava solo che giungesse « la sua ora », la sua Pasqua. Entra in Gerusalemme e lo fa con solenne regalità, a cavallo di un puledro « su cui non è mai salito nessuno », secondo la parola dei profeti, mentre la gente gli spiana la strada stendendo a terra rami di fronde tagliate dai campi e i loro mantelli, e agitano rami di palme proclamandolo re. Ancora una volta i farisei non capiscono, qualcuno cerca di impedirlo. La scena ha tutto il sapore di una sfida. « Se tacessero loro, griderebbero le pietre », dice Gesù. Ma questo episodio apre la settimana più difficile della sua vita.

La parola di Dio
Isaia 50,4-7. Quando si dice che Isaia è il « quinto evangelista » non ci si sbaglia. Molte delle sofferenze del messia sono state previste e descritte con una straordinaria concordanza ai vangeli. Isaia prevede però anche la vittoria finale e l’assistenza da parte di Dio.
Filippesi 2,6-11. Paolo descrive l’abbassamento del Figlio di Dio, che non solo ha assunto la condizione umana, ma ha accettato l’umiliazione e l’obbedienza della croce. È per questo che Dio « lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome ».
Matteo 26,14-27,56. È il racconto della passione di Gesù secondo Matteo. Si tratta di un racconto « sinottico », parallelo a quello di Marco e Luca. La descrizione dettagliata ci ricorda che gli ultimi fatti della vita di Gesù sono rimasti più facilmente impressi nei suoi discepoli. Gesù per Matteo è colui che realizza le profezie: è il servo sofferente descritto da Isaia.

Riflettere
Anche il profeta Zaccaria fa riferimento al messia e lo presenta con le caratteristiche che vediamo oggi in Gesù: « Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino… Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà pace alle genti » (9,9-10).
Gesù di fatto non raggiunge la città a cavallo, come di chi fa la guerra, ma avanza su un puledro d’asino, la cavalcatura di un re in tempo di pace.
L’entrata solenne in Gerusalemme è l’episodio che condurrà Gesù al dramma della morte, una morte che sarà un abisso di iniquità, in linea con tutte le atrocità e ingiustizie compiute nella storia.
Gesù è condannato a morte dal potere politico. Eppure Ponzio Pilato lo dichiara innocente: « Non vedo in lui nessuna colpa ».
Ma viene condannato anche dal potere religioso, preoccupato dalla popolarità di Gesù e dal suo modo libero di collocarsi di fronte a loro. Dice Caifa, sommo sacerdote: « È meglio che muoia uno piuttosto che perisca l’intera nazione » (Gv 18,14).
Per accusarlo viene calunniato: « È un bestemmiatore, un indemoniato, un agitatore del popolo, un bugiardo… ».
Viene abbandonato da quel popolo, che finora lo ha seguito e lo ha ascoltato con entusiasmo, ma che adesso è condizionato dal parere di chi sta guidando le folle contro di lui.
Viene abbandonato dagli apostoli, tradito dagli amici, venduto da Giuda. Dove sono finite le parole piene di coraggio di Pietro: « Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte »? (Lc 22,33). Ben presto affermerà per tre volte nemmeno di conoscerlo.
C’è poi contro di lui l’accanirsi di una violenza inaudita da parte della soldataglia. La Sindone presenta un corpo tumefatto e coperto di piaghe.
La passione secondo Matteo presenta tuttavia un Gesù che non è travolto dagli eventi, ma che è pienamente consapevole della propria identità. Dice apertamente che potrebbe avere a disposizione dodici legioni di angeli (26,53), ma ci rinuncia e non oppone violenza a violenza. Anche le molte citazioni bibliche confermano che Gesù ha scelto lucidamente la via dell’umiltà e dell’obbedienza alle Scritture e al Padre.

Attualizzazione
Al termine della Quaresima, un momento di bilancio: magari deludente. Non c’è più lo spirito di un tempo, quando tutto aiutava a fare penitenza e a darsi ad atteggiamenti religiosi. Il rischio è di ritrovarsi oggi a mani vuote
La « settimana santa » potrà però dare più intensità al nostro prepararci alla Pasqua.
Questa domenica ci apre al mistero della morte di Gesù, della morte di Dio. Mistero della sua impotenza, del silenzio di Dio, della sconfitta di Dio.
Lo stesso Gesù sembra non capire, ma si abbandona al Padre: « Nelle tue mani affido il mio spirito… ».
Ciò che più colpisce nella settimana di Passione è l’abbandono assoluto e la solitudine in cui Gesù viene a trovarsi. Una settimana in cui Gesù vive insieme tutti i drammi più faticosi della condizione umana. Dopo il trionfo di Gerusalemme e il momento della condivisione più amichevole del Cenacolo, ecco il tradimento di Giuda, la tristezza e lo strazio del Getsemani, il farsi avanti della soldataglia, l’abbandono nelle mani dei torturatori e dei carnefici, la perdita di ogni diritto e di ogni dignità davanti ai potenti.
Gli apostoli si fanno timorosi e vigliacchi, Pietro spergiura: « Io quell’uomo neanche lo conosco! ». E il voltafaccia del popolo, il cammino della croce, la crocifissione, il sentirsi solo anche di fronte al Padre: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ».
Una settimana atroce, in cui si impara fino in fondo che cosa sono l’amicizia, la paura, il tradimento, la sofferenza, il martirio, il potere. Per questo la settimana di Passione è davvero rivelazione. Si impara realmente chi è l’uomo, di che cosa è capace l’uomo. « Ecce homo », questo è l’uomo.
Eppure proprio nella sera in cui fu tradito, in quella drammatica vigilia di Passione, Gesù decide di rimanere tra noi per sempre: « Ecco il mio corpo dato per voi; ecco il mio sangue sparso per voi ». « Uno di noi è Dio », ha scritto qualcuno. Fabrizio De André canta che non è del tutto normale un amore così grande, di un uomo che « rantola senza rancore, perdonando con l’ultima voce chi lo uccide fra le braccia di una croce ».

Alla luce del sole
Una delle scene più crudeli del recente film Alla luce del sole è quella conclusiva, quando don Pino Puglisi nel giorno del suo compleanno viene colpito a morte e si trova riverso a terra in una pozza di sangue, mentre le finestre si chiudono per non vedere e la gente si allontana frettolosa girando il capo dall’altra parte. Eppure la stessa mafia aveva capito le intenzioni nobilissime del prete quando parlava di dignità, dell’importanza di dare la scuola e un futuro ai ragazzi del Brancaccio.
La solitudine dei grandi può diventare addirittura drammatica. Ma è terribilmente ricorrente nella nostra storia. Diceva Ernesto Balducci: « Un giorno chiederemo a Dio perché gli uomini migliori se ne vanno, mentre ci governano gli uomini peggiori ».

Umberto DE VANNA sdb

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