Archive pour mars, 2017

La Resurrezione di Lazaro

RaisingOfLazarus

Publié dans:immagini sacre |on 31 mars, 2017 |Pas de commentaires »

02 APRILE 2017 |5A DOMENICA DI QUARESIMA – A | OMELIA

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02 APRILE 2017 |5A DOMENICA DI QUARESIMA – A | OMELIA

Io sono la resurrezione e la vita

Per cominciare
Il segno del ritorno alla vita di Lazzaro è più grande di quello della guarigione del cieco nato. È un segno estremo, l’ultimo dei segni, quello che indurrà molti a credere, ma che farà precipitare la situazione di Gesù e segnerà la sua condanna a morte.

La parola di Dio
Ezechiele 37,12-14. Il profeta Ezechiele preannuncia la risurrezione del popolo e il ritorno alla terra promessa, in un linguaggio immaginifico e oscuro, che misteriosamente preannuncia la risurrezione finale. « Spirito vieni dai quattro venti e soffia su questi morti perché rivivano… Ecco, io apro i vostri sepolcri e vi risuscito dalle vostre tombe ». Tra quelle ossa calcificate ci sono anche le nostre. C’è la storia dell’umanità.
Romani 8,8-11. L’apostolo Paolo presenta dialetticamente una vita vissuta secondo la carne e una vita vissuta secondo lo spirito. È lo spirito di Cristo che è causa di giustificazione e che fa morire il peccato che è in noi. Uno spirito che farà risorgere dai morti anche il nostro corpo mortale, così come ha risuscitato Cristo dai morti.
Giovanni 11,1-45. Il vangelo ci presenta il più grande dei miracoli di Gesù: quello della risurrezione di Lazzaro. Gesù strappa dalla tomba Lazzaro e lo riporta in vita, dichiarando in questo modo di essere « la risurrezione e la vita ». Ma nello stesso tempo condanna se stesso alla morte, perché sarà questo miracolo a scatenare l’ira dei suoi nemici e la decisione da parte del Sinedrio di condannarlo e mandarlo a morte.

Riflettere
C’è una progressione nel rivelarsi di Gesù in questa Quaresima. Gesù è l’acqua che disseta il nostro bisogno di felicità e di infinito, dicevamo quindici giorni fa. Gesù è la luce che rischiara le nostre tenebre, che dà fondamento alla nostra fede, che ci fa scoprire il senso della vita, dicevamo domenica scorsa.
Oggi ci viene presentato come colui che è Signore della vita, Signore anche della morte. È il cammino che siamo chiamati a compiere in questi quaranta giorni: lasciarci dissetare, illuminare da Cristo per trovare la vita.
Gesù viene avvisato della morte di Lazzaro, ma non ha fretta. C’è un’evidente drammaticità nel racconto di questo episodio evangelico. Gesù pare non preoccuparsi e quando arriva, il morto è di quattro giorni. « È una malattia per la gloria di Dio », dice.
Questo miracolo rivela l’identità di Gesù: « Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che mi ascolti sempre… ».
Rivela l’umanità di Gesù, che piange presso la tomba dell’amico, si commuove profondamente, si turba, scoppia a piangere. È vicino e solidale con Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro.
Il dialogo intrecciato con Marta e Maria prima del miracolo rivela anche la loro fede profonda. Gesù dice a Marta: « Io sono la risurrezione e la vita… Credi tu questo? ». Marta risponde manifestando un’assoluta fiducia in lui, e le sue parole riassumono tutto: « Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio ».
Il miracolo del ritorno alla vita di Lazzaro è l’ultimo dei segni, il segno estremo, quello che farà credere molti, ma farà precipitare tragicamente anche la sua condanna. Dirà Caifa a farisei e capi dei sacerdoti dopo questo fatto: « Voi non capite! È meglio per voi la morte di un solo uomo piuttosto che la rovina di tutta la nazione! » (Gv 11,49-50).
La risurrezione di Lazzaro è un pegno e un’anticipazione della risurrezione di Gesù. Gesù dovrà morire sulla croce, ma vincerà la morte definitivamente.

Attualizzare
Si direbbe che Gesù abbia cominciato i suoi miracoli quasi per scherzo, cambiando l’acqua in vino. Ora invece il miracolo è straordinario e impressionante. Chi era presente o conosceva Lazzaro sarà rimasto colpito per sempre.
Ma cresce anche l’ostilità di chi gli è nemico. È inevitabile: di fronte a un miracolo come questo o ci si inginocchia o si chiudono caparbiamente gli occhi per non doverlo fare.
È un miracolo che ci stimola a uscire dal nostro peccato, dai lati più oscuri della nostra vita, per non finire imputriditi e indifferenti.
Quanti sono oggi i morti viventi? Tante volte noi stessi ci lasciamo vivere, senza dare ai nostri giorni quel senso che si dovrebbe. È la ricerca di uno scopo che ci spinge a vivere. Chi cerca e rivolta la propria vita non sarà mai un deluso, proprio perché ha lottato. Guai a guardare ai propri anni come a un peso, perché ogni momento è irripetibile.
« Lazzaro, vieni fuori! », ci dice oggi Gesù. A noi, chiusi nelle nostre disattenzioni, nella pigrizia, nei nostri mascheramenti. Che rischiamo di finire i nostri giorni senza essere vissuti.
« Non mi sono mai posto il problema di cosa significhi la morte », ha detto una volta con grande serietà il comico americano Red Skelton, « ma mi chiedo ancora oggi se tutti hanno compreso il valore della vita. Per me la cosa più importante è rendere la vita degna di essere vissuta. Io sono certo che l’uomo muore quando dimentica che cos’è la vita. Io conosco un tale che è stato sotterrato a settant’anni, ma era morto a 35 e la tragedia era che non se n’era mai accorto. Aveva dimenticato l’amore ». Cesare Pavese ha detto, forse di sé, forse di altri, con il suo crudo realismo: « Hai perduto il gusto di vedere, di sentire, di accogliere e ora ti mangi il cuore ».
Non si tratta di prolungare la vita di dieci o trent’anni, ma di vivere una vita diversa, di accoglierla come un dono. Lo scrittore poliomielitico Cesare Furesi dichiara così il suo amore per la vita: « Il solo fatto di svegliarmi, anche incazzato se capita, mi riempie di forza ».

Morti si nasce, vivi si diventa
« Credo di poter dire di aver fatto l’esperienza della morte », racconta un giovane, vittima di un incidente stradale. « Mi sono salvato perché in ospedale mi hanno rianimato il cuore. La morte è veramente spaventosa. Non è che abbia avuto paura. Non ho avuto il tempo. È stato come scoprire me stesso in un istante. Ho sentito un desiderio grande di continuare a vivere. Avrei voluto cambiare tutta la mia vita, per viverla con più intensità, con più amore. Adesso anche le cose piccole mi sembrano piene di significato. Penso che morti si nasce, vivi si diventa ».

Umberto DE VANNA sdb

sto cambiando casa, per una decina di giorni non potrò lavorare…

se riesco a postare qualcosa lo farò in data antecedente a questo, poi sotto metto la data reale, ciao a tutti

Publié dans:cambio casa |on 19 mars, 2017 |Pas de commentaires »

La Samaritana

La Samaritana dans immagini sacre Jesus%20and%20the%20Samaritan%20WomanEmail

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Publié dans:immagini sacre |on 16 mars, 2017 |Pas de commentaires »

19 MARZO 2017 | 3A DOMENICA DI QUARESIMA – A | OMELIA

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19 MARZO 2017 | 3A DOMENICA DI QUARESIMA – A | OMELIA

Adorare Dio ‘in spirito e verità

Per cominciare
Il vangelo di questa domenica è tra i più gettonati nella tradizione cristiana. Conosciuto e popolare, molto raffigurato nei dipinti, rappresentato in forma di statue nei grandi santuari e nelle case di ritiro spirituale. Si tratta di un dialogo teologicamente di grande profondità tra Gesù e una donna del popolo dalla vita sregolata e disorientata. Gesù si rivela a questa donna e il dialogo è pienamente funzionale al cammino di conversione e di illuminazione che devono compiere i catecumeni.

La parola di Dio
Esodo 17,3-7. Nel lungo viaggio attraverso il deserto, il popolo ebraico, liberato dalla sua schiavitù, soffre la sete e teme di perire. Si lamenta e si ribella, perde la fiducia nel Dio liberatore, ma il Signore continua ad assisterli e dona loro l’acqua per mano di Mosè.
Romani 5,1-2.5-8. Tutto è grazia, e il sentirsi giustificati e in pace con Dio è un dono che ci viene dalla persona di Gesù. Perché l’amore di Dio si è manifestato in Gesù, che ci ha salvati e ha dato la vita per noi, nonostante fossimo peccatori e non meritevoli di salvezza.
Giovanni 4,5-42. Un lungo brano, un prezioso dialogo tra Gesù e una donna samaritana incontrata al pozzo. Gesù è in viaggio, ha sete e lo chiede alla donna, superando un tabù fortemente consolidato tra gli ebrei. L’incontro con la samaritana salva la donna, che si fa annunciatrice di Gesù tra la sua gente.

Riflettere
Gesù e gli apostoli scelgono la via dei Samaritani per passare dalla Giudea alla Galilea. Non era necessario: potevano scegliere la valle del Giordano, per evitare incontri indesiderati. Gesù non lo fa. Questo incontro lo ha voluto.
Il posto è ben individuato: il pozzo di Giacobbe: è l’unico pozzo profondo di tutta la regione. Si sa che è stato sfruttato dall’anno mille a.C. al 500 d.C.
Gesù prende l’iniziativa, chiede l’acqua, e il dialogo e la rivelazione possono cominciare.
È un Gesù per così dire moderno e simpatico, umano. Supera la barriera legale, le convenzioni sociali e religiose del suo tempo. « Nessuno parli con una donna sulla strada, neppure con la propria moglie », diceva una tradizione rabbinica. Un’altra disposizione affermava anche più nettamente: « Le figlie dei samaritani sono impure dalla culla ». Ciò può far capire perfettamente fino a che punto l’iniziativa di Gesù sia stato un gesto di novità e di rottura. Gli stessi apostoli sono meravigliati e sorpresi.
La samaritana scopre progressivamente Gesù: è un giudeo, un viandante, un profeta, il messia… qualcosa di più… parla davvero a nome di Dio.
È un Gesù che non ha paura di fare discorsi seri, profondi, personali a una donna che non sembra disposta e probabilmente non è in grado di capire. Mentre noi rinunciamo facilmente a fare questo genere di discorsi per voler essere rispettosi, prudenti, non inopportuni e invadenti! E invece sono proprio questi i discorsi che l’uomo e la donna di ogni tempo e condizione desiderano sentire.

Attualizzare
La struttura di questa domenica è tutta battesimale. Sono tre le domeniche centrali da questo punto di vista, di cui questa è la prima. Alla samaritana viene donata l’acqua della vita. Delle cinque domeniche di Quaresima, la prima, quella delle tentazioni di Gesù è la premessa, il superamento, la lotta che deve fare chi vuole diventare catecumeno. Domenica scorsa, la trasfigurazione indica la mèta finale del cammino catecumenale. Domenica prossima ci verrà proposto il vangelo del cieco nato e il dono dell’illuminazione, infine la risurrezione di Lazzaro: il passaggio dalla morte alla vita, la rinascita alla vita nuova.
Si tratta di un cammino catecumenale che viene proposto a tutta la comunità cristiana e che dobbiamo fare nostro, sia perché la vita ci ripropone a ogni stagione la lotta quotidiana e la necessità del suo superamento, sia perché la Quaresima è un forte invito alla conversione.
Come si diventa cristiani oggi? Il discorso si farebbe davvero lungo. Bisognerebbe tracciare almeno a grandi linee i più importanti modelli pastorali presenti oggi nella chiesa. C’è chi propone soprattutto una calda esperienza evangelica (« Vieni e vedi! »), e chi sceglie esperienze totalizzanti e si contrappone alla società. Ma c’è chi adotta un metodo che parte dall’ »altro » preso così com’è, gli chiede di prendere in mano la sua vita e lo affianca nella ricerca. Un modello, questo, molto simile al modo di evangelizzare di Gesù con la samaritana.
L’incontro avviene tra due persone differenti, per sesso, cultura, abitudini. Stranamente quella donna va ad attingere acqua al pozzo a mezzogiorno. Da quelle parti il caldo è feroce. Qualcuno ha potuto pensare, e forse a ragione, che sia stata invece attratta da quel bel giovanotto seduto sul bordo del pozzo. L’acqua era dunque un pretesto per tutti e due?
Gesù, passando sopra i muri di divisione più consolidati, le parla e le chiede da bere. Poi a sorpresa: « Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui », le dice, raggiungendola all’interno della sua vera sofferenza. È una donna sempre alla ricerca del grande amore, incapace di costruire un rapporto importante e definitivo. Gesù la costringe a riflettere, a fermare quella catena che non la porta alla felicità.
È a questo punto che la donna incomincia a fare domande religiose, prima di maniera, contestando il luogo del culto dei giudei, poi facendogli capire che anche lei in qualche modo era in attesa del messia. Infine riceve la rivelazione: pianta lì la sua brocca e corre a testimoniare questo incontro singolare con il messia.
Come dicevamo, in questo episodio si può individuare una linea di azione pastorale. Anzitutto non fermarsi alle apparenze. Gesù non ha pensato che con quella donna avrebbe perso tempo. E poi non fa un astratto corso di teologia, ma entra nel cuore e nella vita di chi lo ascolta. Una proposta di fede che è risposta alle sue vere domande.
La samaritana è rimasta coinvolta e trasmette il suo entusiasmo ai compaesani. Non conosciamo il seguito della storia. Ma non è difficile immaginare che quella donna avrà ripensato e approfondito il significato di quell’incontro. Ed è ciò che avviene sempre quando si tocca il fondo, e si riceve l’occasione di uscirne.

Bevi ciò che vedi e ciò che ascolti

« Il Verbo è la fonte
ed è insieme la luce:
è fonte per chi è assetato;
è luce per chi è cieco.
Apri gli occhi per vedere la luce,
spalanca le labbra del cuore
per bere alla sorgente:
bevi ciò che vedi e ciò che ascolti.
Dio diventa il tuo tutto,
perché egli è tutto ciò che ami.
Dio è tutto per te:
se hai fame, è il tuo pane;
se hai sete è la tua acqua;
se sei nell’oscurità,
è la tua luce che non ha tramonto »
(Sant’Agostino)

Umberto DE VANNA sdb

Trasfigurazione del Signore

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Publié dans:immagini sacre |on 9 mars, 2017 |Pas de commentaires »

12 MARZO 2017 | 2A DOMENICA DI QUARESIMA – A | OMELIA

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12 MARZO 2017 | 2A DOMENICA DI QUARESIMA – A | OMELIA

E fu trasfigurato davanti a loro……

Per cominciare
Pietro, Giacomo e Giovanni vedono in Gesù un volto trasfigurato che non dimenticheranno più, nonostante che l’avrebbero poi visto sfigurato, senza alcuna bellezza e splendore (cf Is 53,2). Nel nostro cammino verso la Pasqua siamo chiamati a comprendere meglio l’identità del Signore Gesù, sia nel momento che subisce e supera le tentazioni, sia quando ci mostra il suo volto luminoso che prelude la Pasqua.

La parola di Dio
Genesi 12,1-4a. È la chiamata di Abramo, a cui Dio propone un cambiamento di vita radicale: lasciare la propria terra per diventare padre di un nuovo popolo: « In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra », gli dice. Sono quasi due miliardi, tra ebrei, cristiani e musulmani, che si riconoscono in Abramo, che è all’origine della loro fede. Abramo si fida e parte « come gli aveva ordinato il Signore ». 
2 Timoteo 1,8b-10. Timoteo è un giovanissimo vescovo a Efeso. Discepolo di Paolo, è affidabile e stimato, ma l’apostolo sente il dovere di incoraggiarlo per le difficoltà che incontra. Lo invita a sopportare il peso dell’annuncio del vangelo, sapendo che la forza di Dio non gli verrà a mancare. Perché tutto è dono di Dio, sia la chiamata alla missione, sia la perseveranza nel suo nome. 
Matteo 17,1-9. L’incontro con il trascendente e l’esperienza esaltante della trasfigurazione sconvolge chi vi partecipa: « Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne… », dice Pietro. Ma poi non capiranno le parole di Gesù, quando dirà che « il Figlio dell’uomo deve soffrire molto ed essere disprezzato » (Mc 9,9), né quelle di Mosè ed Elia, che parlano con Gesù « del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme », come racconta Luca (9,31)

Riflettere
La trasfigurazione è un episodio specialissimo del vangelo. Ed è anche uno dei più documentati. Lo si trova nei tre sinottici e anche Pietro nella sua seconda lettera scrive: « Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: « Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento ». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte ». (1,17-18). 
Marco, che solitamente è così breve e stringato nei suoi racconti, qui dà molti particolari: i vestiti splendenti e bianchissimi (« Nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche », e riferisce le parole di Pietro: « Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia ». Precisando: « Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati » (Mc 9,3-6). Sappiamo che Marco riporta la predicazione di Pietro. 
Appaiono Mosè ed Elia, i grandi dell’antico testamento (la legge e i profeti) e la scena è solenne, piena di significato, consolatoria: è il passaggio di consegne dall’antico popolo al nuovo popolo che è la chiesa. 
« Ascoltatelo », dice il Padre, rivelando l’identità del Figlio, l’amato, colui su cui « ha posto il suo compiacimento ». Evidentemente si tratta di un ascolto che nasce dalla fede di chi ascolta, dal cuore.
Gesù in questa circostanza parla della sua « risurrezione dai morti » e, stando al racconto di Luca, insieme a Mosè ed Elia, fa riferimento alla sua pasqua, al suo « esodo », a ciò che vivrà a Gerusalemme. Gli apostoli non capiscono e ben presto Pietro rimprovera Gesù per quello che dice (Mt 17,23), così come aveva fatto poco prima della trasfigurazione, proprio dopo aver riconosciuto in Gesù il messia (Mt 16,22-23). Pietro e gli altri capiranno il senso pieno di queste parole solo dopo la sua risurrezione.

Attualizzare
Tutti noi almeno una volta nella nostra vita abbiamo fatto l’esperienza della trasfigurazione e abbiamo visto il volto splendente di Gesù che ci toccava il cuore e l’esistenza nel profondo. Altrimenti non saremmo qui a celebrare l’eucaristia nel suo nome. 
Il giornalista Carlo Cremona parlando alla radio presentò Gesù come un uomo bellissimo. I pittori di ogni tempo si sono sbizzarriti e lo hanno dipinto per lo più come una persona particolarmente attraente. In realtà non conosciamo com’era fisicamente Gesù. La Sindone trasmette l’idea di un uomo imponente, così come fanno pensare a una personalità affascinante la folla che lo segue e gli apostoli che si abbandonano a lui. A Gesù vengono attribuiti i versetti del Salmo 45: « Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia… ». 
Di fatto in questa vita non ci è dato di conoscere Gesù se non per fede. Ma per fede milioni di persone hanno dato la vita per lui. Affermano di averlo incontrato, e dicono che quell’incontro ha cambiato la loro vita. 
Una disponibilità e un abbandono che si sono già visti in alcuni personaggi dell’antico testamento come Abramo, Mosè e Isaia. Ma sono diventati un fiume immenso dopo la risurrezione di Gesù e la nascita della chiesa. 
Effettivamente Gesù è nostro e noi siamo suoi. Anche umanamente, ne siamo certi, come lui nessuno mai potrà amarci, perché il suo cuore di uomo ha amato al di sopra di ogni possibilità umana. 
Gesù è nostro fratello e amico, nostro sposo e nostro premio, nostra libertà. 
A tutto questo fa pensare la trasfigurazione di Gesù. Al nostro bisogno di Dio, alla nostra nostalgia di Dio. Ma anche a quelle persone che non hanno avuto la fortuna di incontrare Gesù. 
L’invito ad Abramo è secco: « Lascia la casa di tuo padre, vattene dalla tua terra… », gli dice Iahvè. Abramo non può capire, ma obbedisce e stringe un’alleanza che lo renderà padre e capostipite di un popolo numeroso « come le stelle del cielo ».
È curioso l’accostamento che la liturgia fa tra il viaggio verso l’ignoto di Abramo e l’esperienza di Pietro. Coinvolto nella trasfigurazione, Pietro esclama estasiato di volersi fermare lì, sul colle, di voler preparare per Mosè, per Elia e Gesù tre capanne e prolungare quell’esperienza: « È bello per noi essere qui! ». 
Due atteggiamenti, quello di Abramo e di Pietro, che in ogni tempo sono stati presenti nella storia della chiesa. La spinta a uscire, ad abbandonare, a pestare nuovi terreni per vie insicure e alla ricerca del nuovo, fidando nello Spirito e nella parola di Dio che incalza e invia. Ma anche l’atteggiamento opposto, quello che parte da una sicurezza raggiunta, da un’esperienza talmente positiva e affascinante che ti prende in profondità e ti spinge a fermarti, a dedicarti solo a quello. 
I tre apostoli sono colti di sorpresa e incontrano un Gesù diverso, finora sconosciuto, che si rivela nella sua identità messianica. È un’esperienza forte che i tre apostoli vivono come un privilegio da cui sembrano esclusi gli altri. Ma forse non è così. Ogni cristiano che non aderisca a una fede di maniera e di pura tradizione, nella sua vita è stato anche lui coinvolto in qualcosa di simile. « Dio si fa conoscere a coloro che lo cercano », dice Blaise Pascal. 
« Non so come sia accaduto », racconta un ragazzo coinvolto in una forte esperienza di fede: « Non l’ho voluto io e non ho fatto nulla perché accadesse… Mi è accaduto qualcosa che mi ha reso diverso, l’unica cosa davvero grande da quando sono vivo. Non avevo mai preso sul serio la sua presenza. Mi sento così bene davanti a lui… ». 
È un’esperienza che in Quaresima dovremmo fare tutti. Ma com’è capitato agli apostoli, Gesù non apre lì sul Tabor un convento o una casa di spiritualità, e li rimanda invece alla loro quotidianità. « Alzatevi », dice ai tre, presentandosi nel suo aspetto di sempre. Non più vesti bianche, volti luminosi come il sole e voci dall’alto che invitano e rassicurano. Com’è stato per Abramo, bisogna partire, testimoniare, annunciare. Non è lecito fermarsi anche se è stato bello.

Nostalgia di Dio
Antoine de Saint-Exupéry, scrittore e aviatore francese, racconta di avere allevato, con l’aiuto di alcuni amici, alcune gazzelle in un’oasi ai margini del Sahara. « Le rinchiudemmo all’aperto, in una capanna recinta da un graticolato, perché le gazzelle hanno bisogno della libera circolazione dei venti, e non vi è nulla di più sensibile di loro. Se sono catturate da giovani, esse rimangono in vita e vengono a cibarsi dalla vostra mano. Si lasciano accarezzare e tuffano il loro muso umido nel palmo della vostra mano. E così si crede di averle addomesticate… Ma viene il giorno in cui le ritrovate mentre premono con le loro piccole corna contro lo steccato, verso il deserto. E come se fossero calamitate. Non sanno che vi sfuggono; bevono il latte che portate loro, si lasciano ancora accarezzare, spingono ancor più affettuosamente di prima il loro muso nella vostra mano… Eppure appena le lasciate libere, vi accorgete che dopo una sgroppata apparentemente felice, ritornano contro il reticolato. E se non intervenite, rimangono là. Non cercano nemmeno di lottare contro l’ostacolo, ma si limitano a premervi contro, con la nuca abbassata, con le loro piccole corna, finché muoiono. Quel che cercano lo sapete: è lo spazio fatto per loro. Esse vogliono diventare gazzelle e danzare la loro danza. A centotrenta chilometri all’ora vogliono conoscere la fuga rettilinea, interrotta da piccoli balzi, come se qua e là scaturissero dalla sabbia delle fiamme. Che importa loro degli sciacalli o dei leoni, se è proprio la paura che le fa correre più veloci! Esse sono prese dalla nostalgia… ».

Da (fonte autorizzata): Umberto DE VANNA sdbA DOMENICA DI QUARESIMA – A | OMELIA

greek Orthodox icon

greek orthodox cross

Publié dans:immagini sacre |on 6 mars, 2017 |Pas de commentaires »

L’UMANESIMO BIBLICO DI ABRAHAM JOSHUA HESCHEL

https://mondodomani.org/dialegesthai/eb10.htm

L’UMANESIMO BIBLICO DI ABRAHAM JOSHUA HESCHEL

(molti studi ne metto uno)

2. Esperienza dell’ineffabile
Il punto di vista fenomenologico, appreso da Heschel nei suoi anni di studio a Berlino, parte dal dato elementare fondamentale «io sono». Un ‘dato’ che tuttavia non ha una propria autoevidenza; la posizione interrogativa conseguente, ‘chi sono? ‘ e ‘perché sono? ‘, dimostra che c’è una paradossale sproporzione tra la datità ontico-ontologica e l’autoconoscenza a cui non possiamo però rinunciare.8 L’affermazione ontologica prelude allo stupore, lo stupore d’esistere.9 Si potrebbe affermare che nell’uomo, il dato richiede l’interrogativo. La tonalità emotiva fondamentale non è né la Geworfenheit (deiezione, essere gettato), né l’Angst (angoscia), per utilizzare la terminologia di Heidegger, bensì piuttosto lo stupore che manifesta la dicotomia tra l’essere e la capacità di dire l’essere, che si meraviglia del suo stesso essere. Io sono, ma non sono in grado di esprimere chi sono e perché sono.10 Questo stupore apre l’uomo al mistero e lo rende insoddisfatto di qualsiasi risposta che pretenda di essere totalizzante e definitiva sul senso del suo esistere. Nel saggio citato «Il concetto di uomo nel pensiero ebraico», Heschel inizia con questa affermazione: «Le nostre teorie svaniranno, e una dopo l’altra ci getteranno polvere negli occhi, a meno che non osiamo affrontare non solo il mondo, ma anche l’anima e iniziare a stupirci della nostra mancanza di stupore di fronte al fatto di essere vivi, stupirci di dare la vita per scontata».11 L’esercizio dell’esistenza non è un’anonima ripetizione di atti, bensì una ‘pretesa di significato’ e per Heschel ciò significa che «la coscienza è dedizione a un disegno».12
Esiste una radice metafisica dello stupore, e qui il termine ‘metafisica’ assume una valenza che trascende le critiche portate a questo concetto dalla modernità, una radice che fenomenologicamente appartiene all’umano nella sua struttura essenziale. Lo stupore nasce dal senso dell’ineffabile. Quest’ultimo non è semplicemente l’espressione della negatività e del limite, ma paradosso di un soggetto che nella sua finitezza non può non aprirsi all’infinito intravisto nell’essere e nella propria esistenza. Mancanza di stupore e assenza del senso dell’ineffabile sono quindi drammaticamente correlati e ben esprimono una delle caratteristiche dell’uomo occidentale contemporaneo, la sua natura prometeica che, come dice il nome dell’eroe greco,13 è caratterizzata da un sapere preveggente. Stupirsi significa riconoscere che non tutto ciò che è, è dicibile e, tuttavia, non siamo condannati al silenzio sterile dell’ignoranza, piuttosto al silenzio fecondo della contemplazione del mistero.14 L’ineffabile ha trovato molti interpreti, tra i più interessanti nella nostra prospettiva possiamo ricordare almeno Kant, Wittgenstein, Jaspers, per citare autori la cui ispirazione non è immediatamente legata al contesto biblico. Il senso dell’ineffabile è il senso dell’infinito, della totalità del senso, misura dell’incommensurabile.
Dell’ineffabile, per definizione, non c’è conoscenza, ma possiamo farne esperienza; anzi costituisce la condizione stessa della possibilità dell’esperienza. Il piano dell’esperienza è più ampio di quello della ragione e della conoscenza. Sperimentare l’ineffabile, non significa ricondurre a concetto o a nome ciò che non ha nome, a parola ciò che non può essere detto; piuttosto significa attingere una dimensione originaria, un’ottica che permette di vedere altrimenti il mondo. Non più soltanto mondo di cose conoscibili, ma anche orizzonte di eventi al di là delle cose. Scrive Heschel: «Divenire consapevole dell’ineffabile vuol dire entrare in urto con le parole. L’essenza, la tangente alla curva dell’esperienza umana, è al di là dei confini del linguaggio. Il mondo delle cose che percepiamo altro non è che un velo. Il suo fluire è musica, il suo ornamento è scienza, ma ciò che vi si cela è imperscrutabile. Il suo silenzio rimane intatto: nessuna parola riesce a cancellarlo».15
Si diceva sopra che lo stupore nasce dal senso dell’ineffabile. Quest’espressione nella visione di Heschel va presa alla lettera. Se stupirsi appartiene in maniera essenziale all’uomo, ciò significa che «Il senso dell’ineffabile non è una capacità esoterica, ma una facoltà di cui tutti gli uomini sono dotati; è una qualità potenzialmente comune a tutti, come la vista o la capacità di formulare sillogismi. Infatti, come l’uomo è dotato della capacità di conoscere determinati aspetti della realtà, così è dotato della capacità di sapere che nella realtà esiste più di quanto egli sappia. La sua mente si interessa all’ineffabile e a ciò che è esprimibile, e la consapevolezza del suo stupore radicale è universalmente valida quanto il principio di contraddizione o quello di ragion sufficiente». [...] «Il senso dell’ineffabile percepisce qualcosa di oggettivo che non si lascia concepire dalla mente o captare dall’immaginazione o dal sentimento, qualcosa di reale che, per la sua stessa natura, trascende la portata del pensiero e del sentimento».16 Tutto ciò significa che «l’ineffabile è concepibile, nonostante che sia inconoscibile».17
Ho sopra ricordato Kant, Wittgenstein e Jaspers, si può aggiungere Levinas e la sua proposta filosofica imperniata sull’idea dell’infinito ripresa da Descartes, ma tutto ciò che cosa ha a che fare con la prospettiva biblica, se è ancora questo l’obiettivo della nostra breve analisi? La lettura hescheliana dell’ineffabile, a mio avviso, apre delle prospettive particolarmente interessanti per l’autocomprensione dell’uomo ed è qui che si intreccia con l’ottica biblica. A differenza di gran parte della filosofia occidentale, in particolare moderna, Dio non è né il grande assente, né la presenza ingombrante che sovrasta e nega l’autonomia dell’uomo. Heschel intorno all’ineffabile presenta un ‘intrico’ in cui Dio e uomo si annodano con forza liberante e creativa. «La nostra consapevolezza di Dio è una sintassi del silenzio, in cui l’anima si mescola al divino, in cui l’ineffabile che è in noi si unisce all’ineffabile che è al di là di noi. [...] Nel regno dell’ineffabile Dio non è un’ipotesi derivata da presupposti logici, ma un’intuizione immediata, evidente di per sé come la luce. Egli non è qualcosa che si debba cercare al buio col lume della ragione. Al cospetto dell’ineffabile Egli è la luce».18
L’esperienza dell’ineffabile oltrepassa la sfera teoretica e diventa carne di un’esperienza esistenziale radicale in cui si dischiude un significato che trasfigura l’esistenza stessa. La trasfigurazione consiste nel riconoscimento, che è però rovesciamento, che ‘essere è obbedire’. «Essere — scrive Heschel — è obbedire al comandamento della creazione. Nell’essere è in gioco la parola di Dio. Vi è una religiosità cosmica nel mero essere. Ciò che esiste rimane come risposta a un comando. » [...] «La mia esistenza infatti non è frutto della mia volontà di esistere. Essere è obbedienza, è una risposta: ‘Tu sei’ viene prima di ‘io sono’. Io sono perché sono chiamato ad essere».19
Una costante del pensiero ebraico nella molteplicità delle sue espressioni è quella di vedere nella creazione dell’uomo un evento qualitativamente diverso rispetto agli altri enti, nella fenomenologia dell’esperienza dell’ineffabile si annuncia questa differenza. La capacità dell’esperienza dell’ineffabile è il fenomeno della sua spiritualità, a sua volta, differenza qualitativa nell’essere. La narrazione biblica della creazione dell’uomo è, in primis, un racconto su Dio, perché Egli ne è il paradigma.

 

Publié dans:ebraismo, EBRAISMO A.J. HESCHEL |on 6 mars, 2017 |Pas de commentaires »

Mat 4,1 Tentation et liberte

Mat 4,1 Tentation et liberte dans immagini sacre 15%20ANGELICO%20TEMPTATION%20OF%20CHRIST

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-04,01-Temptation_and_freedom_Tentation_et_%20liberte/slides/15%20ANGELICO%20TEMPTATION%20OF%20CHRIST.html

Publié dans:immagini sacre |on 3 mars, 2017 |Pas de commentaires »
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