DALI 60 IS 40 9 THAT BRINGEST GOOD TIDINGS

PAPA FRANCESCO – LA SPERANZA CRISTIANA – 2. ISAIA 52: “COME SONO BELLI SUI MONTI I PIEDI DEL MESSAGGERO CHE ANNUNCIA LA PACE…”
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 14 dicembre 2016
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Ci stiamo avvicinando al Natale, e il profeta Isaia ancora una volta ci aiuta ad aprirci alla speranza accogliendo la Buona Notizia della venuta della salvezza.
Il capitolo 52 di Isaia inizia con l’invito rivolto a Gerusalemme perché si svegli, si scuota di dosso polvere e catene e indossi le vesti più belle, perché il Signore è venuto a liberare il suo popolo (vv. 1-3). E aggiunge: «Il mio popolo conoscerà il mio nome, comprenderà in quel giorno che io dicevo: Eccomi!» (v. 6).
A questo “eccomi” detto da Dio, che riassume tutta la sua volontà di salvezza e di vicinanza a noi, risponde il canto di gioia di Gerusalemme, secondo l’invito del profeta. E’ un momento storico molto importante. È la fine dell’esilio di Babilonia, è la possibilità per Israele di ritrovare Dio e, nella fede ritrovare sé stesso. Il Signore si fa vicino, e il “piccolo resto”, cioè il piccolo popolo che è rimasto dopo l’esilio e che in esilio ha resistito nella fede, che ha attraversato la crisi e ha continuato a credere e a sperare anche in mezzo al buio, quel “piccolo resto” potrà vedere le meraviglie di Dio.
A questo punto il profeta inserisce un canto di esultanza:
«Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
[…]
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio» (Is 52,7.9-10).
Queste parole di Isaia, su cui vogliamo soffermarci un po’, fanno riferimento al miracolo della pace, e lo fanno in un modo molto particolare, ponendo lo sguardo non sul messaggero ma sui suoi piedi che corrono veloci: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero…».
Sembra lo sposo del Cantico dei Cantici che corre dalla sua amata: «Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline» (Ct 2,8). Così anche il messaggero di pace corre, portando il lieto annuncio di liberazione, di salvezza, e proclamando che Dio regna.
Dio non ha abbandonato il suo popolo e non si è lasciato sconfiggere dal male, perché Egli è fedele, e la sua grazia è più grande del peccato. Questo dobbiamo impararlo, Perché noi siamo testardi e non lo impariamo. Ma io farò la domanda: chi è più grande, Dio o il peccato? Dio! E chi vince alla fine? Dio o il peccato? Dio. Egli è capace di vincere il peccato più grosso, più vergognoso, più terribile, il peggiore dei peccati? Con che arma vince Dio il peccato? Con l’amore! Questo vuol dire che “Dio regna”; sono queste le parole della fede in un Signore la cui potenza si china sull’umanità, si abbassa, per offrire misericordia e liberare l’uomo da ciò che sfigura in lui l’immagine bella di Dio perché quando siamo in peccato l’immagine di Dio è sfigurata. E il compimento di tanto amore sarà proprio il Regno instaurato da Gesù, quel Regno di perdono e di pace che noi celebriamo con il Natale e che si realizza definitivamente nella Pasqua. E la gioia più bella del Natale è questa gioia interiore di pace: il Signore ha cancellato i miei peccati, il Signore mi ha perdonato, il Signore ha avuto misericordia di me, è venuto a salvarmi. Questa è la gioia del Natale!
Sono questi, fratelli e sorelle, i motivi della nostra speranza. Quando tutto sembra finito, quando, di fronte a tante realtà negative, la fede si fa faticosa e viene la tentazione di dire che niente più ha senso, ecco invece la bella notizia portata da quei piedi veloci: Dio sta venendo a realizzare qualcosa di nuovo, a instaurare un regno di pace; Dio ha “snudato il suo braccio” e viene a portare libertà e consolazione. Il male non trionferà per sempre, c’è una fine al dolore. La disperazione è vinta perché Dio è tra noi.
E anche noi siamo sollecitati a svegliarci un po’, come Gerusalemme, secondo l’invito che le rivolge il profeta; siamo chiamati a diventare uomini e donne di speranza, collaborando alla venuta di questo Regno fatto di luce e destinato a tutti, uomini e donne di speranza. Quanto è brutto quando troviamo un cristiano che ha perso la speranza! “Ma io non spero nulla, tutto è finito per me”: così dice un cristiano che non è capace di guardare orizzonti di speranza e davanti al suo cuore soltanto un muro. Ma Dio distrugge questi muri col perdono! E per questo dobbiamo pregare, perché Dio ci dia ogni giorno la speranza e la dia a tutti, quella speranza che nasce quando vediamo Dio nel presepio a Betlemme. Il messaggio della Buona Notizia che ci è affidato è urgente, dobbiamo anche noi correre come il messaggero sui monti, perché il mondo non può aspettare, l’umanità ha fame e sete di giustizia, di verità, di pace.
E vedendo il piccolo Bambino di Betlemme, i piccoli del mondo sapranno che la promessa si è compiuta, il messaggio si è realizzato. In un bimbo appena nato, bisognoso di tutto, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, è racchiusa tutta la potenza del Dio che salva. Il Natale è un giorno per aprire il cuore: bisogna aprire il cuore a tanta piccolezza, che è lì in quel Bambino, e a tanta meraviglia. È la meraviglia di Natale, a cui ci stiamo preparando, con speranza, in questo tempo di Avvento. È la sorpresa di un Dio bambino, di un Dio povero, di un Dio debole, di un Dio che abbandona la sua grandezza per farsi vicino a ognuno di noi.
http://xn--cristianit-q4a.it/storia-delle-apparizioni-della-madonna-di-guadalupe/
STORIA DELLE APPARIZIONI DELLA MADONNA DI GUADALUPE (12 dicembre mf)
Nel 1500 il Messico, e con esso quindi il mondo azteco, venne invaso dagli spagnoli. Seguirono anni difficili per gli abitanti indigeni, ma le due culture, lentamente, cominciarono ad integrarsi. La mattina del 9 dicembre 1531 Juan Diego, un indios convertitosi al cristianesimo, attratto da un canto dolcissimo di uccelli, incontra una Donna, che dopo avergli rivelato di essere la perfetta sempre vergine Maria, madre del verissimo ed unico Dio, chiede di intercedere per Lei presso il Vescovo allo scopo di erigere un santuario.
Juan obbedisce, ma il Vescovo non gli crede. Riferito alla Vergine il proprio insuccesso, il povero Juan è invitato ad insistere, ma il Vescovo continua a dubitare, chiedendo un segno. Il terzo giorno Juan è impossibilitato ad incontrare la Madonna di Guadalupe poiché suo zio è in fin di vita. E così è la Madonna a trovare lui, garantendogli che lo zio è guarito, e che al Vescovo porterà dei fiori trovati su una collina su cui non avrebbero mai potuto crescere.
Juan obbedisce ancora una volta, si reca dal Vescovo, ed aprendo il mantello per estrarre i fiori, si accorge insieme a tutti coloro i quali erano nella sala, che sul mantello si stava miracolosamente imprimendo l’immagine della Madonna. I lavori per il santuario furono subito avviati, ed immediatamente il mantello diventò oggetto di culto per tutto il Sud America, fino ai nostri tempi.
Nel corso degli anni in molti hanno studiato il mantello di Juan, e col progredire della tecnologia, sono aumentati i dettagli miracolosi:
1) La pittura su tela avrebbe dovuto sparire dopo pochi anni. È lì invece da quasi mezzo millennio.
2) La temperatura della tela si mantiene sui 36,5°, come fosse umana.
3) Non c’è materiale terrestre che possa essere identificato come colore per l’immagine della Madonna, che appare impressa direttamente sulla tela.
4) Sviluppando le foto degli occhi di Maria su una scala di 2500:1, vi si scoprono fino a 13 immagini sacre.
5) Nel 1700 si rovesciò sulla tela dell’acido muriatico. In 30 giorni l’immagine si riformò identica a prima.
6) Nel 1900 un attentatore fece esplodere una bomba nelle vicinanze del mantello: tutto fu polverizzato, il mantello rimase intatto.
Queste sono solo alcune delle ragioni per cui il culto della Vergine di Guadalupe è rimasto invariato nei secoli. Altra ragione risiede nella raffigurazione della Vergine, impressa sul mantello con tratti tipicamente indiani. Nel 2002 Papa Giovanni XXIII dichiarò santo Juan Diego, ufficializzando ciò che nei cuori dei sudamericani era già impresso sin dal 1500.
http://www.leggoerifletto.it/le-13-figure-negli-occhi-della-madonna-di-guadalupe.html
LE 13 FIGURE NEGLI OCCHI DELLA MADONNA DI GUADALUPE
(alcune immagini sul sito)
Gli occhi della Madonna di Guadalupe costituiscono un grande enigma per la scienza, come hanno rilevato gli studi dell’ingegner José Aste Tönsmann del Centro di Studi Guadalupani di Città del Messico.
La storia
Alfonso Marcué, fotografo ufficiale dell’antica Basilica di Guadalupe di Città del Messico, ha scoperto nel 1929 quella che sembrava l’immagine di un uomo barbuto riflessa nell’occhio destro della Madonna. Nel 1951 il disegnatore José Carlos Salinas Chávez ha scoperto la stessa immagine mentre osservava con una lente d’ingrandimento una fotografia della Madonna di Guadalupe. L’ha vista riflessa anche nell’occhio sinistro, nello stesso posto in cui si sarebbe proiettato un occhio vivo.
Parere medico e il segreto dei suoi occhi
Nel 1956 il medico messicano Javier Torroella Bueno ha redatto il primo rapporto medico sugli occhi della cosiddetta Virgen Morena . Il risultato: come in qualsiasi occhio vivo si compivano le leggi Purkinje-Samson, ovvero c’è un triplice riflesso degli oggetti localizzati davanti agli occhi della Madonna e le immagini si distorcono per la forma curva delle sue cornee.
Nello stesso anno, l’oftalmologo Rafael Torija Lavoignet ha esaminato gli occhi della Santa Immagine e ha confermato l’esistenza nei due occhi della Vergine della figura descritta dal disegnatore Salinas Chávez.
Inizia lo studio con processi di digitalizzazione
Dal 1979, il dottore in sistemi computazionali e laureato in Ingegneria Civile José Aste Tönsmann ha scoperto il mistero racchiuso dagli occhi della Guadalupana. Mediante il processo di digitalizzazione di immagini per computer, ha descritto il riflesso di 13 personaggi negli occhi della Virgen Morena , in base alle leggi di Purkinje-Samson.
Il piccolissimo diametro delle cornee (di 7 e 8 millimetri) fa escludere la possibilità di disegnare le figure negli occhi, se si tiene conto del materiale grezzo sul quale è immortalata l’immagine.
I personaggi trovati nelle pupille
Il risultato di 20 anni di attento studio degli occhi della Madonna di Guadalupe è stata la scoperta di 13 figure minuscole, afferma il dottor José Aste Tönsmann.
1.- Un indigeno che osserva
Appare a figura intera, seduto a terra. La testa dell’indigeno è leggermente alzata e sembra volgere lo sguardo verso l’alto, in segno di attenzione e reverenza. Spiccano una specie di cerchio nell’orecchio e sandali ai piedi.
2.- L’anziano
Dopo l’indigeno si apprezza il volto di un anziano, calvo, con il naso prominente e dritto, occhi infossati rivolti verso il basso e barba bianca. I tratti coincidono con quelli di un uomo di razza bianca. La sua spiccata somiglianza al vescovo Zumárraga, per come appare nei dipinti di Miguel Cabrera del XVIII secolo, permette di supporre che si tratti della stessa persona.
3.- Il giovane
Accanto all’anziano c’è un giovane con tratti che denotano stupore. La posizione delle labbra sembra rivolgere la parola al presunto vescovo. La sua vicinanza a lui ha portato a pensare che si tratti di un traduttore, perché il vescovo non parlava la lingua náhuatl. Si crede che si tratti di Juan González, giovane spagnolo nato tra il 1500 e il 1510.
4.- Juan Diego
Si evidenzia il volto di un uomo maturo, con tratti indigeni, barba rada, naso aquilino e labbra socchiuse. Ha un cappello a forma di cartoccio, di uso corrente tra gli indigeni che all’epoca si dedicavano ai lavori agricoli.
L’aspetto più interessante di questa figura è il mantello che porta annodato al collo, e il fatto che stenda il braccio destro e mostri il mantello nella direzione in cui si trova l’anziano. L’ipotesi del ricercatore è che questa immagine corrisponda al veggente Juan Diego.
5.- Una donna di razza nera
Dietro il presunto Juan Diego appare una donna dagli occhi penetranti che guarda con stupore. Si riescono a vedere solo il busto e il volto. Ha la carnagione scura, il naso schiacciato e le labbra grosse, tratti che corrispondono a quelli di una donna di razza nera.
Padre Mariano Cuevas, nel suo libro Historia de la Iglesia en México , indica che il vescovo Zumárraga aveva concesso nel suo testamento la libertà alla schiava nera che lo aveva servito in Messico.
6.- L’uomo barbuto
All’estrema destra di entrambe le cornee appare un uomo barbuto e con tratti europei che non si è riusciti a identificare. Mostra un atteggiamento contemplativo, il volto esprime interesse e perplessità; tiene lo sguardo verso il luogo in cui l’indigeno spiega il suo mantello.
Un mistero nel mistero (composto dalle figure 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13)
Al centro di entrambi gli occhi appare quello che è stato definito « gruppo familiare indigeno ». Le immagini sono di dimensioni diverse rispetto alle altre, ma queste persone hanno tra di loro le stesse dimensioni e compongono una scena diversa.
(7) Una donna giovane dai tratti molto fini che sembra guardare in basso. Ha sui capelli una specie di copricapo: trecce o capelli intrecciati con fiori. Sulla sua schiena si distingue la testa di un bambino in un mantello (8).
A un livello più basso e alla destra della giovane madre c’è un uomo con un cappello (9), e tra i due c’è una coppia di bambini (maschio e femmina, 10 e 11). un altro paio di figure, questa volta un uomo e una donna maturi (12 e 13), si trova in piedi dietro la donna giovane.
L’uomo maturo (13) è l’unica figura che il ricercatore non è riuscito a trovare in entrambi gli occhi della Vergine, essendo presente solo nell’occhio destro.
Conclusione
Il 9 dicembre 1531, la Vergine Maria chiese all’indigeno Juan Diego che le venisse costruito un tempio sulla collina del Tepeyac per far conoscere Dio « e per realizzare quello che desidera il mio compassionevole sguardo misericordioso (…) », Nican Mopohua n. 33.
Secondo l’autore, queste 13 figure nel loro insieme rivelano un messaggio della Vergine Maria rivolto all’umanità: di fronte a Dio, gli uomini e le donne di tutte le razze sono uguali.
Quelle del gruppo familiare (figure dalla 7 alla 13) in entrambi gli occhi della Vergine di Guadalupe, secondo il dottor Aste, sono le figure più importanti tra quelle riflesse nelle sue cornee, perché sono ubicate nelle sue pupille, il che vuol dire che Maria di Guadalupe ha la famiglia al centro del suo sguardo compassionevole. Potrebbe essere un invito a cercare l’unità familiare, ad avvicinarsi a Dio in famiglia, soprattutto ora che quest’ultima è stata tanto svalutata dalla società moderna.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
11 DICEMBRE 2016 | 3A DOMENICA DI AVVENTO A | OMELIA
Per cominciare
« Rallegratevi sempre nel Signore », dice l’antifona d’inizio. E anche Isaia nella prima lettura invita « il deserto e la terra arida a rallegrarsi, perché vedranno la gloria del Signore ». San Giacomo (seconda lettura) proclama: « Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina ». L’Avvento procede, siamo ormai a due settimane esatte dal Natale. Ma il motivo più forte di una gioia grande è che Gesù viene per noi, « smarriti di cuore » (Isaia), viene per i ciechi, gli storpi, i sordi, i poveri… (vangelo) ed è beato chi non si scandalizza di un messia così diverso da come gli ebrei se lo aspettavano.
La parola di Dio
Isaia 35,1-6a.8a.10. Gesù rispondendo agli inviati del Battista, fa riferimento in modo esplicito a un passo della cosiddetta Apocalisse Minore di Isaia (capitoli 34-35). Quel testo, opera di un profeta anonimo dell’esilio babilonese (VI secolo a.C.), « canta il gioioso ritorno dell’Israele perseguitato dai campi di concentramento e dai lager di Babilonia verso il focolare nazionale di Palestina… » (Gianfranco Ravasi). Sono parole di gioia.
Giacomo 5,7-10. La prima comunità cristiana pensava imminente la seconda venuta di Gesù. Forse è questa la prospettiva dell’invito di Giacomo alla pazienza, alla laboriosità, alla testimonianza profetica. Dice: « La venuta del Signore è vicina. Ecco, il giudice è alle porte, rinfrancate i vostri cuori ».
Matteo 11,2-11. Giovanni Battista è in carcere per aver avuto il coraggio di denunciare i potenti di questo mondo. Gesù ne fa un elogio senza misura: « Tra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista »; ma è anche un profeta in crisi di fronte a Gesù, messia così diverso da come se lo aspettava e che invita i suoi discepoli a intervistarlo perché finalmente riveli la sua identità.
Riflettere
Siamo ormai a 15 giorni dal Natale. La terza domenica di Avvento è già attraversata dalla gioia per l’imminenza dell’arrivo del Figlio di Dio nella nostra umanità.
La parola di Dio (la lettura di Isaia) ci invita con maggior chiarezza ad accogliere Gesù nella sua vera identità di messia mite, solidale e pacifico. Sono le caratteristiche a cui si rifà esplicitamente Gesù stesso nel brano di vangelo.
È proprio questo che disorienta il Battista, ancora protagonista in questa domenica. Egli ha una certa idea del messia, che descrive come un personaggio potente, che realizzerà una giustizia implacabile e senza misericordia. Ha visto lo Spirito posarsi su di lui, ha capito che Gesù è l’inviato di Dio, il messia che doveva venire, ma lo trova così diverso da come se lo è figurato e da come lo ha presentato. Non solo, Gesù lascia che lui, il Battista, che pure è dei suoi, che gli ha aperto e preparato la strada, marcisca in prigione. E dal duro carcere del Macheronte, presso il mar Morto, manda i suoi discepoli a chiedere: « Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? ».
Gesù risponde agli inviati del Battista facendo riferimento a ciò che essi stessi possono « vedere e sentire ». Afferma di essere venuto per evangelizzare i poveri, liberare l’umanità ammalata, emarginata e sofferente. Gesù parla e agisce. Sono i fatti che rivelano la sua identità, che assicurano a coloro che vedono che è iniziato il regno di Dio.
Infine aggiunge una nuova beatitudine, quella di chi « non trova in lui motivo di scandalo ». Gesù con queste parole delude le attese dei discepoli del Battista e di quanti sono sempre in attesa dell’intervento di un Dio vincitore, che fa piazza pulita di tutti i nemici del bene. Mentre Gesù presenta il volto di un Dio paziente e mite, che sa attendere e rispettare la libertà dell’uomo.
Gesù però in questa circostanza fa una doppia rivelazione: afferma che il Battista è colui che è venuto a preparargli la strada, e parla di se stesso come del messia, anche se si presenta in modo così diverso da come il Battista lo ha descritto. Riconosce infine la testimonianza del Battista e il suo coraggio: non è « una canna sbattuta dal vento, né un uomo vestito con abiti di lusso ». È un uomo così simile a Gesù, che ha scelto per sé uno stile essenziale di vita.
Attualizzare
La venuta del messia porta pace e novità nel mondo. Sono le immagini piene di suggestioni di Isaia. Sono un’illusione? Il mondo sta realmente diventando il regno di Dio? Va verso il meglio? I giovani stessi dicono che si stava meglio ieri. Anche gli anziani, che però aggiungono: « La storia è sempre la stessa… ». E noi? Ci vuole fede per riconoscere l’intervento di Dio e il progresso che c’è stato. Un progresso che da sempre passa attraverso gli « uomini nuovi », che amano e sono miti e pazienti come Gesù.
Siate costanti, dice Giacomo. E la costanza, così come la pazienza e la mitezza, sono le caratteristiche dei forti, di chi non si arrende, di chi sa che solo così si può portare frutto e costruire la città di Dio. « Se sapessi che il mondo deve finire oggi, io pianterei lo stesso un albero di melo », sembra che abbia detto Martin Lutero, dichiarando di non voler gettare la spugna mai, nemmeno di fronte all’evidenza, fiducioso in Dio.
Chi è costante non si rassegna. Si impegna con serenità. È costante chi sa dove vuole arrivare e ci arriva con tutti i mezzi, raggirando gli ostacoli e attendendo il momento giusto. È costante colui che è molto saggio e motivato. Che sa che Dio e la nostra fede sono l’unica certezza che esista al mondo. Mentre tutto il resto passa e non ha senso attaccarci il cuore.
Il Battista sembra anche lui impaziente, anzi, quasi dubbioso o in crisi. È uno sconfitto, eppure si è affidato unicamente a Dio. È lo scandalo che possiamo patire anche noi di fronte alla grotta di Betlemme. Di fronte a Dio che sceglie un modo così indifeso e mite di entrare nel mondo.
Guardando questa grotta si può essere presi immediatamente da tanta tenerezza, ma andando oltre, al di là della poesia, si può cogliere lo stile di Dio nel proporre all’uomo la salvezza. È così, con mezzi poveri, senza fare alleanze con i potenti e senza violenza che Gesù sceglie di predicare il suo vangelo per la salvezza del mondo.
Siamo ormai vicini al Natale. La grancassa del consumismo ha già rispolverato tutto il suo splendore di luci per sbalordirci e farci vivere un Natale fatto di una allegria senza interiorità. Natale che invece è attesa di una realtà e di una festa ben più grande, quella di Dio che viene a noi.
Il mio Dio è fragile.
« Il mio Dio
non è un Dio duro,
impenetrabile,
insensibile,
impassibile.
Il mio Dio è fragile.
È della mia razza.
E io sono della sua.
Il mio Dio conosce
la gioia umana,
l’amicizia.
Le cose belle della terra.
Il mio Dio ha avuto fame,
ha sognato,
ha conosciuto la fatica.
Il mio Dio ha tremato
davanti alla morte.
Il mio Dio ha conosciuto
la tenerezza di una mamma »
(Juan Arias).
Don Umberto DE VANNA sdb
PAPA FRANCESCO – LA SPERANZA CRISTIANA – 1. ISAIA 40: “CONSOLATE, CONSOLATE IL MIO POPOLO…”
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 7 dicembre 2016
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Iniziamo oggi una nuova serie di catechesi, sul tema della speranza cristiana. E’ molto importante, perché la speranza non delude. L’ottimismo delude, la speranza no! Ne abbiamo tanto bisogno, in questi tempi che appaiono oscuri, in cui a volte ci sentiamo smarriti davanti al male e alla violenza che ci circondano, davanti al dolore di tanti nostri fratelli. Ci vuole la speranza! Ci sentiamo smarriti e anche un po’ scoraggiati, perché ci troviamo impotenti e ci sembra che questo buio non debba mai finire.
Ma non bisogna lasciare che la speranza ci abbandoni, perché Dio con il suo amore cammina con noi. “Io spero, perché Dio è accanto a me”: questo possiamo dirlo tutti noi. Ognuno di noi può dire: “Io spero, ho speranza, perché Dio cammina con me”. Cammina e mi porta per mano. Dio non ci lascia soli. Il Signore Gesù ha vinto il male e ci ha aperto la strada della vita.
E allora, in particolare in questo tempo di Avvento, che è il tempo dell’attesa, in cui ci prepariamo ad accogliere ancora una volta il mistero consolante dell’Incarnazione e la luce del Natale, è importante riflettere sulla speranza. Lasciamoci insegnare dal Signore cosa vuol dire sperare. Ascoltiamo quindi le parole della Sacra Scrittura, iniziando con il profeta Isaia, il grande profeta dell’Avvento, il grande messaggero della speranza.
Nella seconda parte del suo libro, Isaia si rivolge al popolo con un annuncio di consolazione:
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio.
Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele che la sua tribolazione è compiuta,
la sua colpa è scontata […]».
Una voce grida:
«Nel deserto preparate la via al Signore,
spianate nella steppa la strada per il nostro Dio.
Ogni valle sia innalzata,
ogni monte e ogni colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in vallata.
Allora si rivelerà la gloria del Signore
e tutti gli uomini insieme la vedranno,
perché la bocca del Signore ha parlato» (40,1-2.3-5).
Dio Padre consola suscitando consolatori, a cui chiede di rincuorare il popolo, i suoi figli, annunciando che è finita la tribolazione, è finito il dolore, e il peccato è stato perdonato. È questo che guarisce il cuore afflitto e spaventato. Perciò il profeta chiede di preparare la via al Signore, aprendosi ai suoi doni e alla sua salvezza.
La consolazione, per il popolo, comincia con la possibilità di camminare sulla via di Dio, una via nuova, raddrizzata e percorribile, una via da approntare nel deserto, così da poterlo attraversare e ritornare in patria. Perché il popolo a cui il profeta si rivolge stava vivendo la tragedia dell’esilio a Babilonia, e adesso invece si sente dire che potrà tornare nella sua terra, attraverso una strada resa comoda e larga, senza valli e montagne che rendono faticoso il cammino, una strada spianata nel deserto. Preparare quella strada vuol dire dunque preparare un cammino di salvezza e di liberazione da ogni ostacolo e inciampo.
L’esilio era stato un momento drammatico nella storia di Israele, quando il popolo aveva perso tutto. Il popolo aveva perso la patria, la libertà, la dignità, e anche la fiducia in Dio. Si sentiva abbandonato e senza speranza. Invece, ecco l’appello del profeta che riapre il cuore alla fede. Il deserto è un luogo in cui è difficile vivere, ma proprio lì ora si potrà camminare per tornare non solo in patria, ma tornare a Dio, e tornare a sperare e sorridere. Quando noi siamo nel buio, nelle difficoltà non viene il sorriso, ed è proprio la speranza che ci insegna a sorridere per trovare quella strada che conduce a Dio. Una delle prime cose che accadano alle persone che si staccano da Dio è che sono persone senza sorriso. Forse sono capaci di fare una grande risata, ne fanno una dietro l’altra, una battuta, una risata … ma manca il sorriso! Il sorriso lo dà soltanto la speranza: è il sorriso della speranza di trovare Dio.
La vita è spesso un deserto, è difficile camminare dentro la vita, ma se ci affidiamo a Dio può diventare bella e larga come un’autostrada. Basta non perdere mai la speranza, basta continuare a credere, sempre, nonostante tutto. Quando noi ci troviamo davanti ad un bambino, forse possiamo avere tanti problemi e tante difficoltà, ma ci viene da dentro il sorriso, perché ci troviamo davanti alla speranza: un bambino è una speranza! E così dobbiamo saper vedere nella vita il cammino della speranza che ci porta a trovare Dio, Dio che si è fatto Bambino per noi. E ci farà sorridere, ci darà tutto!
Proprio queste parole di Isaia vengono poi usate da Giovanni il Battista nella sua predicazione che invitava alla conversione. Diceva così: «Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore» (Mt 3,3). È una voce che grida dove sembra che nessuno possa ascoltare – ma chi può ascoltare nel deserto? – che grida nello smarrimento dovuto alla crisi di fede. Noi non possiamo negare che il mondo di oggi è in crisi di fede. Si dice “Io credo in Dio, sono cristiano” – “Io sono di quella religione…”. Ma la tua vita è ben lontana dall’essere cristiano; è ben lontana da Dio! La religione, la fede è caduta in una espressione: “Io credo?” – “Sì!”. Ma qui si tratta di tornare a Dio, convertire il cuore a Dio e andare per questa strada per trovarlo. Lui ci aspetta. Questa è la predicazione di Giovanni Battista: preparare. Preparare l’incontro con questo Bambino che ci ridonerà il sorriso. Gli Israeliti, quando il Battista annuncia la venuta di Gesù, è come se fossero ancora in esilio, perché sono sotto la dominazione romana, che li rende stranieri nella loro stessa patria, governati da occupanti potenti che decidono delle loro vite. Ma la vera storia non è quella fatta dai potenti, bensì quella fatta da Dio insieme con i suoi piccoli. La vera storia – quella che rimarrà nell’eternità – è quella che scrive Dio con i suoi piccoli: Dio con Maria, Dio con Gesù, Dio con Giuseppe, Dio con i piccoli. Quei piccoli e semplici che troviamo intorno a Gesù che nasce: Zaccaria ed Elisabetta, anziani e segnati dalla sterilità, Maria, giovane ragazza vergine promessa sposa a Giuseppe, i pastori, che erano disprezzati e non contavano nulla. Sono i piccoli, resi grandi dalla loro fede, i piccoli che sanno continuare a sperare. E la speranza è la virtù dei piccoli. I grandi, i soddisfatti non conoscono la speranza; non sanno cosa sia.
Sono loro i piccoli con Dio, con Gesù che trasformano il deserto dell’esilio, della solitudine disperata, della sofferenza, in una strada piana su cui camminare per andare incontro alla gloria del Signore. E arriviamo al dunque: lasciamoci insegnare la speranza. Attendiamo fiduciosi la venuta del Signore, e qualunque sia il deserto delle nostre vite – ognuno sa in quale deserto cammina – diventerà un giardino fiorito. La speranza non delude!
PROFETI HANNO ANNUNZIATO CHE GLI UOMINI AVREBBERO VISTO DIO – SANT’IRENEO *
S. Ireneo di Lione (seconda metà del Il secolo), originario dell’Asia Minore, è il primo grande teologo dell’età patristica. Il suo pensiero, d’ispirazione profondamente biblica, è nello stesso tempo semplice, vigoroso e profondo. Opposto al dualismo gnostico, tale pensiero si sintetizza in una visione d’unità: la ricapitolazione universale nel Cristo. L’unione con il Figlio, preparata dallo Spirito Santo, ci conduce alla visione del Padre annunciata dai profeti.
Uno solo è Dio che, nel Verbo e nella Sapienza, ha fatto tutte le cose disponendole con armonia. Egli è il Creatore, colui che ha destinato questo mondo al genere umano. Per la sua grandezza, egli è inconoscibile a tutti quelli che sono stati fatti da lui: nessun essere infatti, né passato né presente, ha mai potuto investigare la sua altezza. Ma per la sua bontà, egli è sempre conosciuto in colui, grazie al quale ha creato ogni cosa. Questi è il suo Verbo, il nostro Signore Gesù Cristo. Egli, negli ultimi tempi, si è fatto uomo in mezzo agli uomini, per ricongiungere il termine con il suo principio, cioè l’uomo con Dio. Per questo i profeti, che ricevevano dallo stesso V’erba il carisma della profezia, preannunciarono la sua venuta nella carne. Grazie alla sua incarnazione, si è compiuta – secondo il desiderio del Padre – la fusione e la comunione di Dio con l’uomo. Sin dall’inizio, il Verbo aveva fatto sapere che Dio si sarebbe manifestato agli uomini, avrebbe vissuto con loro sulla terra, avrebbe parlato e si sarebbe reso presente alla sua creatura, salvandola e facendosi conoscere sensibilmente. In tal modo egli ci avrebbe salvati dalle mani dei nostri nemici (Lc. 1, 71), cioè da ogni spirito del male, e ,ci avrebbe concesso di servirlo in santità e giustizia ogni giorno della nostra vita (Lc. 1, 74-75), perché l’uomo intimamente unito allo Spirito di Dio potesse entrare nella gloria del Padre…
Preannunciavano perciò i profeti che Dio sarebbe stato visto dagli uomini, così come dice il Signore: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt. 5, 8). In realtà, data la sua grandezza e la sua gloria ineffabile, nessuno potrà vedere Dio e vivere (Es. 33, 20), perché il Padre è incomprensibile. Ma, per la sua bontà, per H suo amore verso gli uomini e per la sua onnipotenza, egli dà a coloro che lo amano anche la capacità di vederlo. Questo precisamente avevano affermato i profeti, perché ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio (Lc. 18, 27). L’uomo, da se stesso, non potrà mai vedere Dio: sarà Dio stesso che, di sua propria volontà, si mostrerà agli uomini, a chi vuole, quando vuole, come vuole. Dio è onnipotente: egli si manifestò un tempo per mezzo dello Spirito nella parola dei profeti, si fa vedere per mezzo del Figlio nell’adozione a figli, si farà contemplare – ne,I regno dei cieli – nella sua paternità. Lo Spirito prepara l’uomo per il Figlio di Dio, il Figlio lo conduce al Padre e il Padre dona l’incorruttibilità e la vita eterna. E la vita eterna nasce, per chi lo contempla, dalla visione di Dio. Come infatti chi vede la luce è nella luce e partecipa al suo splendore, così chi vede Dio è in Dio e partecipa alla sua luce. Ora, lo splendore di Dio dà vita: così, chi vede Dio entrerà nella vita.
* Contra haereses, liber IV, 20, 4-5: «Sources Chrétiennes» 100, Le Cerf, Parigi 1965, pp. 635-641.