Archive pour décembre, 2016

Natale del Signore (Armenia)

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Publié dans:immagini sacre |on 22 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

25 DICEMBRE 2016 | NATALE DI GESÙ – A | OMELIA – LA STRANA SCELTA DI DIO

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25 DICEMBRE 2016 | NATALE DI GESÙ – A | OMELIA – LA STRANA SCELTA DI DIO

Un bambino. Tutto qui? È questo il segno di Dio?
Guardiamo a questo segno, chiniamoci su questo bambino. Non ci costa difficoltà. Non è difficile. E ci sembra veramente che in questi giorni l’umanità si fermi un momento con il fiato sospeso. Molti di noi forse vorrebbero che non fosse una finzione un qualcosa che dura una notte, pochi giorni… e poi tutto torna come prima.

Fermiamoci a pensare.
Pensiamo alle migliaia di secoli trascorsi nei fiumi del tempo, questa storia che abbiamo ereditato: dai primi balletti delle stelle e dei pianeti, ai giardini creati dagli uomini, leguerre, le civiltà, le conquiste, i carri dei vincitori che trascinavano i vinti.
E Abramo, Mosè e tutta quella gente che testardamente continuava a parlare di Dio, di un Dio diverso dalle statue, dal sole, dai mostri creati dalla fantasia umana.
Gli uomini restavano lontani da Dio. Camminavano nelle tenebre, lo rifiutavano. In un certo senso, Dio è inutile. E i fiumi del tempo inghiottivano generazioni di uomini senza Dio.
È stato Lui a muoversi, a farsi conoscere. E nelle tenebre è scoppiata la luce. Quella che noi celebriamo, quella che ci illumina stanotte. Non vuole più che facciamo errori, che lo scambiamo con qualche altro. L’Onnipotente, il Creatore si è messo nelle mani degli uomini. È venuto tra noi. Non è incredibile questa notizia?
Come dice Isaia: « Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia ».
La storia ha avuto una svolta. È cambiato tutto. Eppure è cambiato niente. I fiumi dei secoli, duemila anni, sono trascorsi. E quante tenebre ci sono ancora e come sono profonde!
C’è gente che muore, che si odia, che si combatte. Il colore della pelle o il paese di nascita dividono ancora, il denaro e il potere calpestano, opprimono, succhiano le forze di uomini e donne stanchi, delusi. Vivere assomiglia ancora tanto ad una lotta.
Le persone, a causa della povertà, anche nell’Europa e nel subcontinente indiano, vendono i reni per 90.000 euro. Una figlia ha acconsentito a dare un rene a sua madre in cambio di una pelliccia. Una coppia ha cercato di scambiare il figlio con una macchina di seconda mano da 8.800 euro. II proprietario dell’autosalone e stato tentato di accettare, perché aveva perso la sua famiglia in un incendio. « Il primo impulso fu di accettare lo scambio. Ma pochi secondi dopo ho capito che non sarebbe stato giusto, non tanto per me o per il prezzo, ma perché che cosa avrebbe fatto il bambino quando fosse diventato grande? Come avrebbe potuto farcela nella vita, sapendo che era stato barattato con una macchina? »
Ci sono bambini abbandonati nei bidoni della spazzatura o nelle scatole delle scarpe, ci sono matrimoni a pezzi dopo pochi anni che lasciano le persone piene di odio e di rancore.
C’è un bambino che scrive: « Caro signor sindaco, io ho un nonno molto vecchio e malato e siccome all’ospedale non c’era posto l’hanno messo nell’ospedale psichiatrico. Per farlo sembrare matto lo fanno cantare e lo mandano a letto con un cane di stoffa. Ieri sono andato a trovarlo e mi ha detto di scriverti che lui canta, ma poi piange perché non è matto. Tu che ne pensi? »
Quanti anziani sono abbandonati, in casa loro magari, ma scartati, rifiutati, appena tollerati forse solo a Natale…
Chi ha il coraggio di guardare in faccia un giovane che ha vent’anni e non trova lavoro ed è costretto a bighellonare tutto il giorno o un giovane che frequenta una scuola che non gli insegna nulla, che non gli dà nulla per la vita?
Conosco una bambina di 11 anni, Tre giorni fa un medico ha detto ai suoi genitori che ha una grave forma di leucemia. Questo è probabilmente il suo ultimo Natale. Noi abbiamo strumenti da milioni e milioni per ammazzare la gente, parliamo di scudi stellari, abbiamo portaerei ed portaelicotteri, costruiamo torri nello spazio. Davvero è una fatalità se non riusciamo a salvare una bambina di 11 anni?

Quante tenebre ci sono ancora. Ma Dio è qui. È venuto.
È la strada che ha scelto che forse ci riempie di interrogativi: non è venuto con la bacchetta magica, non è venuto con il pugno di ferro…
È arrivato come un bambino piccolo, indifeso. Era appena nato e già lo volevano ammazzare. È venuto nell’indifferenza, come tutti quelli che non contano. Solo bestie e povera gente. Nient’altro che se stesso.
È un’altra strada quella scelta da Dio: la strada dell’amore, la strada della tenerezza. Perché noi riscoprissimo la forza che può vincere le tenebre, perché è lui che l’ha messo dentro di noi.
Perché ci ricordassimo che la forza dell’uomo non viene dall’esterno, ma dal di dentro di lui.

È grande la tenerezza dell’uomo e della donna: di quanti eroismi, gioie e dolori si nutre..
È grande la tenerezza dei genitori per i figli quando li stringono, li curano, li vegliano, piangono per loro.
È grande la tenerezza dei figli per i genitori (è così bello vedere dei bambini che corrono ad abbracciare il loro papà anche quando arriva con le mani vuote…).
È grande la tenerezza di un amico per un amico.
Gli uomini hanno bisogno di tenerezza come gli alberi d’acqua e di luce. Altrimenti diventano come tronchi rinsecchiti e morti.
Questa notte celebriamo la tenerezza di Dio, che è venuto a cercarci come compagni, che ha voluto fare il suo cammino con noi, partendo dalle tenebre come noi. Fino a quel grido terribile sulla croce: « Dio mio , Dio mio, perché mi hai abbandonato? »
Non un superuomo, ma un essere fragile, piccolo, indifeso come noi.
Per dirci: ripartiamo da questo, ripartiamo dalla tenerezza. Guardiamoci negli occhi e riscopriamo la vita identica che pulsa in noi.
Agli occhi di un certo mondo può sembrare una cosa ridicola, calpestabile, eliminabile, ma noi sappiamo di possedere una forza che può sconvolgere le tenebre.
Gesù è la piccola luce che ci è stata affidata.
Ora tocca a noi.

Non mettete questa luce « sotto il moggio », non soffocatela con la scorza dura dell’affermazione personale. Non ci sono mezzi esterni: è tutto dentro di noi. Basta farlo uscire, basta volerlo donare.
Ciascuno di noi può diventare il messaggero della luce di Dio. E della sua tenerezza.

David Maria Turoldo, in una sua composizione per il Natale, ha scritto:

Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte
e dunque vieni sempre, Signore!

Vieni in silenzio;
noi non sappiamo più cosa dirci,
e dunque vieni sempre, Signore!

Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo;
e dunque vieni sempre, Signore!

Vieni, Figlio della pace;
noi ignoriamo cosa sia la pace,
e dunque vieni sempre, Signore!

Vieni a consolarci;
noi siamo sempre più tristi,
e dunque vieni sempre, Signore!

Noi siamo tutti lontani, smarriti,
ne sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.

Vieni, Signore, vieni sempre, Signore!.

Don Bruno FERRERO sdb

Luk-01,39 Mary visits Elizabeth

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Publié dans:immagini sacre |on 21 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI – SI È FATTO UOMO.

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BENEDETTO XVI – SI È FATTO UOMO.

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI

Mercoledì, 9 gennaio 2013

Cari fratelli e sorelle,

in questo tempo natalizio ci soffermiamo ancora una volta sul grande mistero di Dio che è sceso dal suo Cielo per entrare nella nostra carne. In Gesù, Dio si è incarnato, è diventato uomo come noi, e così ci ha aperto la strada verso il suo Cielo, verso la comunione piena con Lui.
In questi giorni, nelle nostre chiese è risuonato più volte il termine “Incarnazione” di Dio, per esprimere la realtà che celebriamo nel Santo Natale: il Figlio di Dio si è fatto uomo, come recitiamo nel Credo. Ma che cosa significa questa parola centrale per la fede cristiana? Incarnazione deriva dal latino “incarnatio”. Sant’Ignazio di Antiochia – fine del primo secolo – e, soprattutto, sant’Ireneo hanno usato questo termine riflettendo sul Prologo del Vangelo di san Giovanni, in particolare sull’espressione: “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Qui la parola “carne”, secondo l’uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l’uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazaret tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi. Dio ha assunto la condizione umana per sanarla da tutto ciò che la separa da Lui, per permetterci di chiamarlo, nel suo Figlio Unigenito, con il nome di “Abbà, Padre” ed essere veramente figli di Dio. Sant’Ireneo afferma: «Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (Adversus haereses, 3,19,1: PG 7,939; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 460).
“Il Verbo si fece carne” è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime. Ed effettivamente in questo periodo natalizio, in cui tale espressione ritorna spesso nella liturgia, a volte si è più attenti agli aspetti esteriori, ai “colori” della festa, che al cuore della grande novità cristiana che celebriamo: qualcosa di assolutamente impensabile, che solo Dio poteva operare e in cui possiamo entrare solamente con la fede. Il Logos, che è presso Dio, il Logos che è Dio, il Creatore del mondo, (cfr Gv 1,1), per il quale furono create tutte le cose (cfr 1,3), che ha accompagnato e accompagna gli uomini nella storia con la sua luce (cfr 1,4-5; 1,9), diventa uno tra gli altri, prende dimora in mezzo a noi, diventa uno di noi (cfr 1,14). Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma: «Il Figlio di Dio … ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Cost. Gaudium et spes, 22). E’ importante allora recuperare lo stupore di fronte a questo mistero, lasciarci avvolgere dalla grandezza di questo evento: Dio, il vero Dio, Creatore di tutto, ha percorso come uomo le nostre strade, entrando nel tempo dell’uomo, per comunicarci la sua stessa vita (cfr 1 Gv 1,1-4). E lo ha fatto non con lo splendore di un sovrano, che assoggetta con il suo potere il mondo, ma con l’umiltà di un bambino.
Vorrei sottolineare un secondo elemento. Nel Santo Natale di solito si scambia qualche dono con le persone più vicine. Talvolta può essere un gesto fatto per convenzione, ma generalmente esprime affetto, è un segno di amore e di stima. Nella preghiera sulle offerte della Messa dell’aurora della Solennità di Natale la Chiesa prega così: «Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce, e per questo misterioso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria». Il pensiero della donazione, quindi, è al centro della liturgia e richiama alla nostra coscienza l’originario dono del Natale: in quella notte santa Dio, facendosi carne, ha voluto farsi dono per gli uomini, ha dato se stesso per noi; Dio ha fatto del suo Figlio unico un dono per noi, ha assunto la nostra umanità per donarci la sua divinità. Questo è il grande dono. Anche nel nostro donare non è importante che un regalo sia costoso o meno; chi non riesce a donare un po’ di se stesso, dona sempre troppo poco; anzi, a volte si cerca proprio di sostituire il cuore e l’impegno di donazione di sé con il denaro, con cose materiali. Il mistero dell’Incarnazione sta ad indicare che Dio non ha fatto così: non ha donato qualcosa, ma ha donato se stesso nel suo Figlio Unigenito. Troviamo qui il modello del nostro donare, perché le nostre relazioni, specialmente quelle più importanti, siano guidate dalla gratuità dell’amore.
Vorrei offrire una terza riflessione: il fatto dell’Incarnazione, di Dio che si fa uomo come noi, ci mostra l’inaudito realismo dell’amore divino. L’agire di Dio, infatti, non si limita alle parole, anzi potremmo dire che Egli non si accontenta di parlare, ma si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana. Il Figlio di Dio si è fatto veramente uomo, è nato dalla Vergine Maria, in un tempo e in un luogo determinati, a Betlemme durante il regno dell’imperatore Augusto, sotto il governatore Quirino (cfr Lc 2,1-2); è cresciuto in una famiglia, ha avuto degli amici, ha formato un gruppo di discepoli, ha istruito gli Apostoli per continuare la sua missione, ha terminato il corso della sua vita terrena sulla croce. Questo modo di agire di Dio è un forte stimolo ad interrogarci sul realismo della nostra fede, che non deve essere limitata alla sfera del sentimento, delle emozioni, ma deve entrare nel concreto della nostra esistenza, deve toccare cioè la nostra vita di ogni giorno e orientarla anche in modo pratico. Dio non si è fermato alle parole, ma ci ha indicato come vivere, condividendo la nostra stessa esperienza, fuorché nel peccato. Il Catechismo di san Pio X, che alcuni di noi hanno studiato da ragazzi, con la sua essenzialità, alla domanda: «Per vivere secondo Dio, che cosa dobbiamo fare?», dà questa risposta: «Per vivere secondo Dio dobbiamo credere le verità rivelate da Lui e osservare i suoi comandamenti con l’aiuto della sua grazia, che si ottiene mediante i sacramenti e l’orazione». La fede ha un aspetto fondamentale che interessa non solo la mente e il cuore, ma tutta la nostra vita.
Un ultimo elemento propongo alla vostra riflessione. San Giovanni afferma che il Verbo, il Logos era fin dal principio presso Dio, e che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo e nulla di ciò che esiste è stato fatto senza di Lui (cfr Gv 1,1-3). L’Evangelista allude chiaramente al racconto della creazione che si trova nei primi capitoli del Libro della Genesi, e lo rilegge alla luce di Cristo. Questo è un criterio fondamentale nella lettura cristiana della Bibbia: l’Antico e il Nuovo Testamento vanno sempre letti insieme e a partire dal Nuovo si dischiude il senso più profondo anche dell’Antico. Quello stesso Verbo, che esiste da sempre presso Dio, che è Dio Egli stesso e per mezzo del quale e in vista del quale tutto è stato creato (cfr Col 1,16-17), si è fatto uomo: il Dio eterno e infinito si è immerso nella finitezza umana, nella sua creatura, per ricondurre l’uomo e l’intera creazione a Lui. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «La prima creazione trova il suo senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera quello della prima» (n. 349). I Padri della Chiesa hanno accostato Gesù ad Adamo, tanto da definirlo «secondo Adamo» o l’Adamo definitivo, l’immagine perfetta di Dio. Con l’Incarnazione del Figlio di Dio avviene una nuova creazione, che dona la risposta completa alla domanda «Chi è l’uomo?». Solo in Gesù si manifesta compiutamente il progetto di Dio sull’essere umano: Egli è l’uomo definitivo secondo Dio. Il Concilio Vaticano II lo ribadisce con forza: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l’uomo all’uomo e gli svela la sua altissima vocazione» (Cost. Gaudium et spes, 22; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 359). In quel bambino, il Figlio di Dio contemplato nel Natale, possiamo riconoscere il vero volto, non solo di Dio, ma il vero volto dell’essere umano; e solo aprendoci all’azione della sua grazia e cercando ogni giorno di seguirlo, noi realizziamo il progetto di Dio su di noi, su ciascuno di noi.
Cari amici, in questo periodo meditiamo la grande e meravigliosa ricchezza del Mistero dell’Incarnazione, per lasciare che il Signore ci illumini e ci trasformi sempre più a immagine del suo Figlio fatto uomo per noi.

Publié dans:NATALE 2016, Papa Benedetto XVI |on 21 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

The nativity scene

 The nativity scene dans immagini sacre Krippe

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Publié dans:immagini sacre |on 19 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

RIDARE ALLA MISERICORDIA LA SUA RICCHEZZA

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RIDARE ALLA MISERICORDIA LA SUA RICCHEZZA

Editoriale

Canterò in eterno le misericordie del Signore
(Sal 89,1)

In «Bibbia Aperta», associazione di cultura biblica attenta alle letture delle diverse confessioni religiose, è stato ideato e organizzato questo percorso di studio biblico sulla misericordia dopo le prime parole del papa, il confronto con il lavoro di Walter Kasper ed un informale giro di colloqui con alcuni biblisti.
Per prima cosa ci ha colpiti il fatto che Israele ha intrecciato l’intera propria storia con lo sforzo di capire, chiedere a Dio il senso e i frutti della sua misericordia. Una storia tormentata che per i cristiani ha avuto il suo culmine nella testimonianza e nella predicazione di Gesù, ed è continuata ad opera degli stessi cristiani: molti ne hanno fatto l’ispirazione della propria testimonianza, altri uno strumento di potere. Dopo questa fase dello studio vi sono alcune osservazioni, storiche, sociali, culturali, che possono essere condivise.
Tutti ricordiamo la storia delle «misericordie», associazioni caritatevoli di nobilissima memoria, e tutte le azioni di coloro che in questi secoli si sono spesi interpretando la misericordia come assistenza a malati, poveri, carcerati, comunque a fare opere buone. Misericordia focalizzata in opere, in gesti, in clemenza concessa da un’autorità[1]. Tuttavia, dallo studio biblico, la misericordia non si presenta anzitutto come un gesto o una serie di gesti, ma come un atteggiamento radicale, un modo generativo di aprirsi, di essere verso l’altro. La misericordia di Dio si manifesta nel momento stesso in cui egli osserva il disagio del suo popolo e ne ascolta il grido: è la storia di una relazione prima di essere questo o quell’atto. È il primo elemento, di assoluta importanza, che continuerà intrecciandosi con la storia degli uomini che sanno essere misericordiosi, come Mosè che si fa intercessore (altro aspetto attivo, coraggioso, della misericordia). Tutto nasce dalle viscere (rahamim), centro della generazione e non solo della commozione, dall’alleanza che Dio sceglie di fare con il popolo, dalla sua fedeltà nelle relazioni.
Eppure Dio minaccia spesso cose terribili al suo popolo, e molti cristiani tuttora lo sentono come un Dio tutt’altro che «lento all’ira» (cf. Sal 144,1): da Osea, invece, si capisce che sono un modo, arcaico ma anche moderno (si pensi ai normali rimbrotti di un genitore a un figlio recalcitrante), di cercare di scuotere una persona cui si vuol molto bene, perché torni in sé. Dio minaccia e, contemporaneamente, promette a Sion di ri-accoglierla, in una storia che egli ha promesso non finirà mai.
In questa alleanza Israele per secoli ha creduto che la misericordia si manifestasse nella diversa retribuzione che Dio dava nella vita all’operato dei giusti e degli empi: Giobbe, però, non ha creduto più a questo e ha voluto discuterne con gli amici e con Dio, e Dio dà ragione a lui e non ai suoi amici tradizionalisti. Gli chiede di fidarsi di lui, creatore di tutto. Qohelet è ancora più critico, perché ha visto che alla fin fine tutto è un soffio (cf. Qo 1,2), ma anche lui crede che l’unica cosa sia fidarsi di Dio.
Il chiarimento, inaudito, arriva dalle parole di Gesù che reinterpreta la regola aurea, «fa’ agli altri quello che vorresti fosse fatto a te» (cf. Mt 7,12), dandole un senso pratico sconvolgente per tutti i tempi: comincia tu ad amare i tuoi nemici, a rompere il modo abituale di scambiarsi le cose buone e quelle cattive (regalo con regalo, ferita con ferita, così fanno tutti). E mostrando la misericordia con tale indicazione assolutamente controcorrente nelle relazioni con gli altri, afferma in modo altrettanto netto una motivazione che noi non sopportiamo: «La vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35).
La maggior parte dei cristiani da secoli chiede a Dio che punisca i malvagi, non che sia benevolo con loro; che la zizzania sia strappata, non lasciata. Il lector in fabula ha letto per secoli la Parola della Scrittura in modi che oggi percepiamo riduttivi, e ne ha fatto ampiamente strumento di governo imitando gli altri regni del mondo. Gli storici, guardando ai fatti come Jean Delumeau o Adriano Prosperi, e alle idee, alle parole come Michel Foucault, hanno mostrato come il controllo delle coscienze (la paura del peccato e delle punizioni che l’autorità può definire e comminare, inclusa la tortura e la morte) sia stato determinante per il potere spirituale e sociale della chiesa, soprattutto cattolica.
La complessità del messaggio di Gesù, che presenta un Dio che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, si fatica a sopportarla. La parabola del padre e dei suoi due figli è esattamente in questa linea: è un padre insopportabilmente benevolo verso questi due, non è «giusto» nel senso corrente (e secondo il figlio rimasto a casa) del termine. Non rispetta le regole del Talmud che gli impedirebbero di distribuire l’eredità prima della propria morte, è lui che esce per vedere se mai il figlio ritorna, e lo ri-accoglie senza fargli nemmeno un piccolo «processo», un’umanissima sgridata; è di nuovo lui che esce incontro al figlio maggiore, che gli parla in modo sprezzante e non gli dice niente nonostante la sua insolenza infondata. Tuttavia questo è il Padre di cui parla Gesù! E dato che il suo discorso sulla misericordia del Padre è inaudito, è stato modificato, ridotto e irrigidito nei secoli, e non a caso la tradizione ha parlato di questa parabola come del «figliol prodigo» e solo di recente l’ha chiamata la parabola «del padre buono», concentrandosi però sulle regole per ri-accogliere i figli che se ne vanno, cercando di individuare i peccati e le condizioni di pentimento, di misurare le pene. Ma se Dio, invece, riesce a far tornare in sé gli ingrati e i malvagi in modo imperscrutabile, dovremmo essere invidiosi? Potremmo (secondo il nostro modo di ragionare) accusarlo di ingiustizia[2]? Il figlio è un ingrato, ma accetta senza dir nulla il fatto che suo padre non lo riaccolga come servo ma come figlio, e il figlio maggiore non ha un briciolo di gratitudine, pensa da servo e insolentisce suo padre. Finora non abbiamo lasciato spazio alla meraviglia di Giobbe, che non è moderno solo perché sopporta tanto e poi viene premiato, ma perché resta aperto alla fiducia in Dio senza mettergli confini.
È ragionevole che Gesù dica per tutti al Padre di perdonarci perché non sappiamo quello che facciamo (cf. Lc 23,34)? Affermazioni che vanno comprese in coerenza con tutte le affermazioni di Gesù, che altrimenti vengono sminuite od omesse: a lungo si è rifiutata nei fatti la complessità del suo linguaggio e di tutto il suo atteggiamento, di quello che dice dei «pensieri» del Padre, che non sono i «nostri».

Nota della redazione
«Bibbia Aperta» nasce nel 1987 a Padova, come associazione culturale con l’obiettivo di diffondere la conoscenza della Bibbia e di promuovere la riflessione sulle tematiche ad essa legate su diversi piani: religioso, storico, filologico, etico, filosofico, artistico…
Il programma del 2013-2014, prendendo spunto dai ripetuti e ben noti interventi di papa Francesco, è stato dedicato al tema della misericordia e approfondito in una serie di convegni dall’ottobre 2013 all’aprile 2014. In questo fascicolo riportiamo i vari interventi, trascritti dalla registrazione effettuata sul momento e inviati agli autori per una loro revisione e/o approvazione. Oltre al testo di queste relazioni, abbiamo aggiunto tre saggi: il primo di carattere storico, che commenta l’attuale momento socio-ecclesiale (C. Urbani, «Noi stiamo vivendo in tempo di misericordia». Un tema antico per un pontificato di novità); il secondo di carattere teologico-pastorale (G. Trentin, Il sacramento della misericordia e del perdono. Problemi e attese); il terzo saggio è un confronto, che ci sembrava necessario, sul tema con la tradizione islamica (C. Saccone, La misericordia [rahma] di Allah nel Corano e nella tradizione islamica). Anche l’Invito alla lettura è stato curato dalla nostra redazione.
Ringraziamo l’associazione «Bibbia Aperta», in particolare nella persona del suo presidente, e tutti gli autori che ci hanno concesso di pubblicare il loro testo.
[1] Evocando la parola, può venire in mente che questo era il nome dato a uno stiletto usato per «finire» i feriti in guerra allo scopo di abbreviarne l’agonia, con il consenso di certo clero.
[2] La tensione si sta riaprendo nel cammino verso il prossimo sinodo su matrimonio e famiglia (Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione), forse anche per screditare lo stesso fatto di aver aperto discussioni.

Publié dans:BIBLICA APPROFONDIMENTI |on 19 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

PAOLO VI – IIL NATALE: UNA FONDAMENTALE LEZIONE DI UMILTÀ 1976

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PAOLO VI – IIL NATALE: UNA FONDAMENTALE LEZIONE DI UMILTÀ 1976

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 29 dicembre 1976

Il Natale è passato. Ma il Natale rimane. Rimane come fatto storico intorno al quale si organizza e si sviluppa successivamente il cristianesimo, che, tutt’altro che superato ed estenuato, arriva fino a noi. Rimane come concezione della storia, che vede secoli passati, come un momento del tempo iniziato col Natale di Cristo, e vede secoli futuri come logico svolgimento di quell’umile e sommo avvenimento che fu la venuta del Verbo di Dio sulla terra e nel tempo, e che guida i destini dell’umanità fino alla fine dei secoli. Ma rimane come filosofia della vita, come scuola che ci insegna il disegno della nostra esistenza nel tempo, come modello esemplare di ciò che dobbiamo essere e di ciò che dobbiamo fare: dobbiamo essere cristiani e dobbiamo comportarci come tali. Quest’ultimo aspetto del Natale, quello filosofico-morale, è ora per noi tema di questa breve riflessione, nella quale potrebbero confluire i contributi enciclopedici dell’ascetica cristiana sul Natale.
Limitiamoci ad una domanda riassuntiva: qual è l’insegnamento fondamentale e sommario che la nascita di Cristo raccomanda all’umanità, a ciascuno di noi? Noi ci atterremo ancora alla parola di S. Agostino; ma mille maestri ci possono ripetere nel repertorio della letteratura sacra la medesima lezione. Del resto il quadro del presepio parla da sé: se questo è il modo scelto dal Verbo di Dio per farsi uomo, che cosa c’insegna il Signore se non l’umiltà? «Cum esset altus humilis venit» (S. AUGUSTINI Enarr. in Ps. 31, 18: PL 36, 270). E S. Paolo non ha lui racchiuso in una memorabile sintesi il disegno dell’Incarnazione: «Abbiate – egli scrive ai Filippesi – in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso (annientò se stesso) assumendo la condizione di servo, e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Phil. 2, 5-8). E sarà questo pensiero che alimenterà alla radice la cristologia di Sant’Agostino; egli narra nelle «Confessioni» d’aver compreso la missione di Cristo quando capì che l’umiltà era stata scelta da Cristo come via della sua mediazione per condurre l’uomo dalla sua decaduta umanità all’altezza della divinità (Cfr. S. AUGUSTINI Confessiones, VII, c. 28, 24: PL 32, 745). Il florilegio delle citazioni non avrebbe più termine a volerlo raccogliere dalle opere del santo Dottore. (Cfr. E. PORTALIÉ Dict. Théol. Cath., II, 2372)
L’umiltà, di cui si tratta, non è la virtù specifica che S. Tommaso cataloga nella sfera della temperanza, pur riconoscendole un posto principale in una classifica più ampia, quella d’un ordinamento generale della vita morale (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-IIæ, 161, 5); ma è quella relativa alla verità fondamentale del rapporto religioso, alla realtà essenziale delle cose, che mette al primo e sommo livello l’esistenza di Dio, personale, onnipotente, onnipresente, al momento in cui Egli viene a confronto con l’uomo: è l’umiltà della Madonna nel «Magnificat», che dà alla creatura il senso di se stessa nella totale dipendenza da Dio, nella sproporzione incolmabile fra l’infinita grandezza di lui e la misura, sempre infima, di chi tutto deve a Dio, nell’avvertenza d’una assoluta necessità della sua provvidenza, che per noi peccatori vuol essere misericordia.Scaturisce da questo punto centrale del Natale, l’umiltà di Cristo-Dio e Uomo, la logica del Vangelo, nel quale sentiamo risuonare le parole del Signore: «imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Matth. 11, 29), e ne ascolteremo l’insegnamento ripercuotersi sui seguaci del Vangelo: «beati i poveri di spirito (cioè gli umili), perché di essi è il regno dei cieli» (Ibid. 5, 3).
Qui occorrono due fugaci, ma importanti osservazioni. La prima ci ricorda che questa fondamentale lezione di umiltà non annulla né la grandezza di Cristo, né curva nel nulla la nostra pochezza. L’umiltà è una attitudine morale che non distrugge i valori ai quali essa si applica; essa è una via per riconoscerli e per ricuperarli (Cfr. Phil. 2, 9 ss.; Eph. 3, 2; Matth. 23, 12). La seconda presenta un confronto fra la mentalità cristiana, tutta imbevuta di umiltà, e la mentalità profana che non apprezza l’umiltà, e la giudica come offesa alla dignità dell’uomo, come criterio debilitante al volontarismo creativo dell’uomo, e come, al più (come già gli Stoici), una saggezza rassegnata alla mediocrità umana. Non staremo a discutere la debolezza di queste posizioni; potremmo piuttosto ricordarne i pericoli (come quelli del superuomo, della sopraffazione di potenza, della cecità dell’infatuazione orgogliosa, del disorientamento pedagogico quando non sia più diretto dalla verità del Vangelo). Ma ci limiteremo a ricordare il premio che accompagna una sapiente umiltà: la grazia, come ci ammoniscono gli Apostoli Pietro (1 Petr. 5, 5) e Giacomo (Iac. 4, 6).

Publié dans:NATALE 2016, Papa Paolo VI |on 18 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

DAI « DISCORSI » DI SAN LEONE MAGNO, PAPA – CIASCUNO RACCOGLIERÀ CIÒ CHE AVRÀ SEMINATO

http://www.collevalenza.it/Riviste/2001/Riv1101/Riv1101_03.htm

DAI « DISCORSI » DI SAN LEONE MAGNO, PAPA – CIASCUNO RACCOGLIERÀ CIÒ CHE AVRÀ SEMINATO

(Disc. 92, 1.2.3; PL 54, 454-455)

Il Signore dice: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5, 20). Ma come potrà abbondare la giustizia, se la misericordia non trionfa sul giudizio? (cfr. Gc 2, 13).
È giusto e conveniente che la creatura imiti il suo creatore, la copia il suo modello, ad immagine e somiglianza del quale é stata fatta. Orbene Dio fa consistere la riparazione e la santificazione dei credenti nella remissione dei peccati. Rimessi i peccati, cessa la severità della vendetta e viene sospesa ogni punizione, il colpevole viene restituito all’innocenza e la fine del peccato diventa inizio della nuova santità. L’uomo deve fare come Dio,.
La giustizia cristiana può superare quella degli scribi e dei farisei, non svuotando la legge, ma rifiutandone ogni interpretazione materiale.
Perciò il Signore, proponendo ai discepoli il modo di digiunare, disse: “Quando digiunate, non assumete aria melanconica, come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: Hanno già ricevuto la loro ricompensa” (Mt 6, 16). Quale ricompensa, se non quella della lode, spesso si ostenta una parvenza di giustizia, non ci si preoccupa della coscienza e si va in cerca di una falsa rinomanza. Così l’iniquità, che già si condanna da se stessa nascondendosi, si contenta poi di una stima ipocrita.
A chi ama Dio é già sufficiente sapere di essere gradito a colui che ama; e non brama ricompensa maggiore dell’amore stesso.
L’anima pura e santa é talmente felice di essere ripiena di lui, che non desidera compiacersi in nessun altro oggetto al di fuori di lui. E’ quanto mai vero, infatti, ciò che dice il Signore: “Là dov’é il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6, 21). Ma qual é il tesoro dell’uomo se non la messe delle sue opere e il raccolto delle sue fatiche? “Infatti ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato” (Gal 6, 7); e qual é la prestazione di ciascuno, tale sarà anche il compenso che riceverà. Inoltre dove si ripone la felicità del godimento, lì si concentra anche la preoccupazione del cuore. Ma, essendo molteplici le specie di ricchezze e diversi i motivi e le fonti di piacere, per ognuno il tesoro consiste in ciò che forma l’oggetto delle proprie aspirazioni. Però se queste tendono ai beni terreni, anche se pienamente appagate, non rendono felici.
Portano alla felicità, invece, quelle orientate alle cose di lassù. Coloro, infatti, che aspirano alle cose celesti e non a quelle della terra e non si protendono verso i beni caduchi, bensì verso i beni eterni, hanno riposto le loro ricchezze incorruttibili in quel bene di cui parla il profeta, dicendo: “E’ giunto il nostro tesoro e la nostra salvezza, sapienza e scienza e pietà dal Signore: sono questi i tesori della giustizia” (Is 33, 6 volg.). Per mezzo di questi beni, con l’aiuto della grazia di Dio, anche i beni terreni si trasformano in beni celesti.
Effettivamente sono molti quelli che si servono delle ricchezze, o giustamente ereditate o altrimenti acquisite, come mezzi per esercitare la misericordia. E quando, per sostenere i poveri, elargiscono il loro superfluo, accumulano per sé ricchezze che non si perdono, perché ciò che hanno messo da parte per i poveri non va più soggetto a perdita. A ragione costoro hanno il loro cuore dove hanno posto il loro tesoro, perché la loro più grande felicità sarà quella di godersi le ricchezze conseguite e di accrescerle sempre di più senza alcun timore che vadano perdute.

Publié dans:meditazioni, Papi |on 16 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

L’annuncio a Giuseppe

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http://www.parrocchiasanpietro.it/2011/01/02/il-sogno-veicolo-dannuncio-principio-di-realta/

Publié dans:immagini sacre |on 15 décembre, 2016 |Pas de commentaires »

18 DICEMBRE 2016 | 4A DOMENICA DI AVVENTO A | OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/2017-Anno_A/01-Avvento_A/Omelie/4-Domenica/10-4a-Avvento_A_2016-UD.htm

18 DICEMBRE 2016 | 4A DOMENICA DI AVVENTO A | OMELIA

Per cominciare
Tutte e tre le letture proposte dalla liturgia alla vigilia di questo Natale ci presentano Gesù come discendente di Davide, erede delle promesse. In Gesù la fedeltà di Dio si completa e diventa indiscutibile. È lui il messia promesso, l’Emmanuele, il Dio-con-noi, « uomo come noi, che Dio ha costituito Figlio suo, con potenza, risuscitandolo dai morti » (seconda lettura).

La parola di Dio
Isaia 7,10-14. Isaia invita Acaz a chiedere un segno dal cielo, ma Acaz ipocritamente risponde di non voler « tentare il Signore ». Isaia profetizza ugualmente, assicurando la continuità del regno di Giuda, da cui nascerà il messia.
Romani 1,1-7. È l’inizio della lettera ai cristiani di Roma. Paolo si presenta, dichiarandosi servo di Gesù Cristo e apostolo, scelto per annunciare il vangelo e saluta i romani, amati da Dio e santi per vocazione. Vangelo che riguarda Gesù, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza mediante lo Spirito, in forza della risurrezione.
Matteo 1,18-24. Il brano è ritenuto « l’annunciazione a Giuseppe » e non a torto. L’imbarazzo di Giuseppe, uomo giusto, di fronte alla maternità di Maria è naturale. Ma gli viene chiesto di collaborare alla venuta del Figlio di Dio, di fare la sua parte, come Maria, come l’hanno fatta tanti altri nei lunghi secoli di attesa. Matteo qui interpreta chiaramente la frase del profeta Isaia in senso messianico, secondo la versione greca dei Settanta: « Tutto è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: « Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio »".

Riflettere
Siamo ormai alla vigilia del Natale. Come una macchina da presa, la liturgia spazia sulle vicende bibliche per individuare i protagonisti della storia più bella del mondo: l’incarnazione del Figlio di Dio. I protagonisti sono lo Spirito Santo, che opera il prodigio di una nascita eccezionale; Maria, la vergine misteriosamente adombrata nella profezia di Isaia, e Giuseppe, il giusto che decide di prendere con sé Maria, dopo aver capito che « quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo ».
Isaia ci ha accompagnati lungo tutto il tempo dell’Avvento. Oggi la lettura fa riferimento a una precisa situazione storica. È il 734 a.C., la dinastia di Davide, sotto l’empio re Acaz, rischia di sparire. Si legge in 2Re 16,3 che Acaz bruciò persino in sacrificio agli idoli uno dei suoi figli. Il re di Samaria e il re di Damasco lo attaccano e lui, per difendersi, chiede aiuto all’Assiria. Isaia lo invita a fidarsi di Iahvè, a non cercare alleanze, perché il regno di Giuda può contare sulle promesse davidiche. Ma Acaz non accetta e finirà lui stesso sottomesso agli Assiri.
Acaz rappresenta la tentazione di cavarsela da soli, senza Dio, senza consultarlo specie nelle scelte difficili. Non accoglie la parola del profeta e cerca l’alleanza con l’Assiria, finendo con il mettere il regno di Giuda in mani straniere. La vita ci mette di fronte a queste scelte: dobbiamo chiederci se la vogliamo vivere insieme all’Emmanuele, il Dio-con-noi, o da soli.
Nel brano che ci viene presentato oggi, Isaia assicura ad Acaz che avrà una discendenza e che quindi avrà un seguito il regno di Davide. La sua profezia, che lì per lì poteva essere applicata a una ragazza da marito che sia il profeta che il re conoscevano bene (si realizzerà con la nascita di Ezechia, figlio di Acaz e suo successore sul trono di Davide), in realtà è stata interpretata dalla tradizione in senso messianico.
Anche Paolo nella lettera ai Romani ricorda che Gesù è discendente di Davide secondo la carne… Paolo si è messo al seguito di questo Gesù ed è diventato suo apostolo.
Il vangelo ci presenta l’imbarazzo di Giuseppe di fronte a Maria che aspetta un figlio. È un imbarazzo comprensibile ed è tanto più naturale in un uomo vero, che ha fatto con Maria un fidanzamento-matrimonio vero. Giuseppe è stato presentato a lungo come un vecchio impotente o come un anziano vedovo. Ma nulla nel vangelo fa pensare a che sia così, tanto meno questa reazione così naturale e virile.
Rassicurato da Dio, Giuseppe accetta di giocare il suo ruolo di padre giuridico di Gesù e sposo della madre di questo ancora misterioso messia. Giuseppe, essendo discendente di Davide, assicura all’umanità di Gesù la discendenza davidica.

Attualizzare
Oggi accendiamo la quarta candela della « corona di Avvento », che è presente in tutte le chiese accanto all’altare. L’accensione della quarta candela ci ricorda che siamo di fronte all’ultima settimana che ci separa dal Natale. Il tempo di Avvento è passato velocemente. Noi che siamo sempre in lotta con il tempo ce lo siamo visto forse scivolare tra le mani, forse senza che nulla cambiasse davvero nelle nostre giornate.
Queste quattro candele accese ci ricordano che Gesù è la luce del mondo, che quel bambino che contempliamo nel presepe è davvero il « Dio tra noi », venuto a illuminare il mondo, a dare significato alla nostra vita. Perché noi, come cristiani, siamo illuminati dalla sua parola e conosciamo ciò che altri ignorano: che i nostri giorni non sono un susseguirsi di ore senza traguardo, ma c’è un obiettivo grande che ci aspetta e che orienta le nostre scelte.
Iniziamo la quarta settimana, e andiamo a ripescare i messaggi che la parola di Dio ci ha consegnato nelle varie domeniche. Nella prima l’invito è stato quello di svegliarci dal sonno. Ed era un messaggio opportuno iniziando l’Avvento, perché è facile nel clima in cui viviamo oggi lasciarci andare, dormicchiare, o lasciarci stordire da ciò che ci circonda.
Nella seconda domenica il Battista ci ha invitati a convertirci, a cambiare vita, a preparare la strada al Signore che viene. Giovanni Battista ci ha fatto da battistrada, lui così determinato, con la scelta del deserto e la sua vita austera.
Domenica scorsa Gesù si è presentato come il messia atteso, descrivendosi però in modo ben diverso da come lo ha presentato Giovanni in Battista. Gesù è discendente del re Davide, ma non nasce in una casa regale, né presenta il volto umano di un Dio potente, che risolve alla radice con un gesto della mano tutti i problemi del mondo. Ma presenta nella sua umanità il volto di un Dio mite e solidale, che si colloca sempre dalla parte di chi soffre, dei poveri, degli ammalati, sulla linea della parola profetica di Isaia. Un Dio sempre dalla parte dell’uomo, che ci comanda di affidarci all’amore per cambiare il volto della terra e realizzare il regno di Dio.
Questo è Gesù, colui che attendiamo, l’atteso Emanuele, che testimonia con tutta la sua vita un profondo desiderio di comunione con ogni uomo e ogni donna. Per questo si è fatto uno di noi: per entrare nella nostra vita, per farsi dare del tu.
In questi giorni di Natale molti vivranno una festa senza Dio. Qualcuno addirittura potrebbe pensare che il far posto a Gesù nelle feste di Natale ci potrebbe togliere qualcosa. Al contrario, la vera gioia nasce da questo Dio vicino che in Gesù ha predicato e vissuto il vangelo, la « lieta notizia », e che ci chiede di rendere il nostro amore concreto perché la nostra gioia sia completa.
In altri anni nella quarta domenica di Avvento ci viene presentato l’annuncio a Maria (anno B), o la visita a santa Elisabetta (anno C). Maria è la prima collaboratrice di Dio, ed è inevitabile imbattersi in lei, parlando del Natale di Gesù e di Betlemme.
Oggi la parola di Dio ci presenta però l’annuncio a Giuseppe, padre di Gesù e sposo di Maria. Una vocazione più oscura e scomoda, ma che lui ha accolto lasciandosi illuminare dallo parola udita in sogno, accettando di mettersi a servizio di Maria e soprattutto di Gesù.
Giuseppe viene presentato come un uomo giusto, come un fedele e pronto esecutore degli ordini di Dio. È un uomo disponibile, a cui non occorrono tante parole per capire ciò che gli viene chiesto, gli basta sapere che ciò che gli sta capitando viene da Dio.
Dio ha potuto servirsi di Giuseppe senza troppe complicazioni. Tuttavia rimane sempre piuttosto in ombra e durante la vita pubblica di Cristo non si parlerà di lui, se non per segnalarlo come suo umile padre. La sua però è una fede solida e poco complicata.
Il Natale è segnato anche dalla sua angoscia di sposo e padre che non riesce a dare alla nascita del suo primo figlio un ambiente decente. Ma anche questo era nei piani di Dio, che voleva collocare suo Figlio sin dalla nascita tra i poveri della terra.

Paternità di Giuseppe
« Giuseppe ha dato a Cristo, Figlio di Dio, lo stato civile terreno; Gli ha dato la famiglia, la patria, l’eredità storica della stirpe di David, l’abitazione, il pane, il linguaggio, l’educazione del popolo, il servizio dell’autorità domestica, il lavoro e la professione, la classifica sociale di artigiano, e specialmente la difesa, la custodia, la protezione durante la sua infanzia tribolata ed insidiata, e la sua fiorente e nascosta adolescenza » (Paolo VI).
Don Umberto DE VANNA sdb

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