27 NOVEMBRE 2016 | 1A DOMENICA DI AVVENTO A | OMELIA
27 NOVEMBRE 2016 | 1A DOMENICA DI AVVENTO A | OMELIA
Per cominciare
È l’Avvento. Ancora una volta ci mettiamo in attesa del più grande evento di tutti i tempi: l’incarnazione del Figlio di Dio. I cristiani lo fanno da molti secoli. Il mondo in questo lungo tempo è cambiato, qualcuno dice in peggio, qualcuno dice in meglio. Anche noi siamo cambiati: forse in meglio, forse in peggio. Gesù viene tra noi ancora una volta perché ci decidiamo a vivere meglio, a costruire un mondo come l’ha pensato Dio.
La parola di Dio
Isaia 2,1-5. La visione di Isaia è grandiosa, smisurata. Il popolo ebraico a quel tempo è davvero poca cosa. Ma egli vede tutti i popoli della terra giungere a Gerusalemme, alla rocca di Sion, per prendere lezioni di vita. Iahvè farà il miracolo di trasformare le loro spade in vomeri, le loro lance in falci: sarà la fine di ogni guerra.
Romani 13,11-14. Paolo invita i Romani a svegliarsi dal sonno, perché la salvezza è ormai vicina. Come Isaia, che invita a « camminare nella luce », anche Paolo dice ai Romani di gettare via le opere delle tenebre e di intraprendere una vita nuova.
Matteo 24,37-44. Gesù dice ai discepoli di vigilare, di vivere nell’attesa della venuta del Signore e di farlo da svegli, con zelo, come se uno sapesse che di notte arriverà in casa sua un ladro. Guai a vivere spensieratamente e con incoscienza, come ha fatto la gente al tempo del diluvio.
RiflettereAttendiamo la venuta di Gesù. È ormai alle porte, verrà presto. Dobbiamo attenderlo non stancamente o lasciandoci prendere dal sonno. Il vangelo parla di attesa di un ladro, in realtà è attesa di un amico, della persona che ci ama e che amiamo più di ogni cosa.
Il vangelo ci presenta le parole amichevoli e severe di Gesù, quasi le ultime raccomandazioni di uno che ama profondamente e vuole mettere all’erta i propri cari.
A quel tempo il rischio poteva essere quello di riferire quelle parole di Gesù a un futuro ancora lontano, a leggere quelle considerazioni allarmate come rivolte ad altri.
Oggi potrebbe avvenire la stessa cosa. Queste parole che la liturgia ci ripropone possiamo considerarle come parole rivolte a un passato che si è già realizzato e concluso con la distruzione di Gerusalemme nell’anno ’70 d.C. a opera dei Romani, oppure a un futuro lontano, che si riferiscono al giudizio finale di Dio.
In realtà Gesù vuol far comprendere a chi lo ascoltava allora e a noi oggi, lo spessore dell’eternità che si trova in ogni scelta che facciamo nel nostro quotidiano.
Scrive la Gaudium et spes: « L’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo… Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero » (39).
L’incontro con il Signore che viene in questo Avvento ci spinge a uscire dalle tenebre e a rinnovarci profondamente, abbandonando « orge e ubriachezze, lussurie e impurità, litigi e gelosie » (seconda lettura).
È attesa di qualcosa di straordinario: Isaia presenta in una visione grandiosa molti popoli in cammino verso il monte di Dio, dove troveranno le indicazioni per condurre una vita nuova e diventare costruttori di pace.
Attualizzare
L’Avvento è tutto questo: attesa di un evento specialissimo, di una vita vissuta a occhi aperti, un metterci in cammino verso Dio.
Gesù fa riferimento ai giorni che precedettero il diluvio: c’era chi mangiava e chi beveva spensieratamente e viveva senza accorgersi della tragedia che stava per compiersi. Non si può non pensare alla superficialità e all’incoscienza della nostra società, di chi vive alla giornata senza farsi domande, senza riflettere, senza programmare. Semplicemente rimuovendo le domande della vita, senza chiedersi chi siamo, dove andiamo, qual è il nostro destino.
È un programma di vita che ci viene proposto, un cambiamento di prospettiva un « rivestirsi del Signore Gesù Cristo, senza lasciarci prendere dai desideri della carne » (Rm 13,14). La prospettiva è quella della seconda venuta: il Signore è venuto, il Signore ritornerà: state pronti e vigilate.
Tempo di penitenza, dunque, di vigilanza nella preghiera, di scelte difficili. Tutto questo è l’Avvento. La liturgia di questa prima domenica lascia l’impressione di cominciare questo mese che ci separa al Natale con sentimenti forti e quasi negativi, calcando la mano sugli aspetti di mortificazione e di attesa un po’ timorosa.
Ma le parole di Gesù solo quelle di chi ci ama, di chi ci mette sull’avviso. Un’attesa paragonabile all’attesa di un amico, di un incontro a lungo desiderato… È normale non dormire, sentire l’ansia di ciò che ci aspetta.
L’Avvento è anche attesa del Natale. Ed è inevitabile ricordare che la nascita di Gesù è avvenuta nell’umiltà, in una grotta-stalla, nel rifiuto dell’ospitalità. Ma anche nell’adorazione dei semplici e nella gioia cantata dagli angeli, vissuta dai pastori e dai magi. Soprattutto questo è Natale. Allora l’attesa, se si fa seria, è anche accompagnata da una gioiosa speranza.
Ogni anno c’è l’Avvento,
ogni anno Natale.
Viene facile dire:
so già tutto quello che succede.
È sempre la stessa cosa,
non cambia nulla.
Eppure ogni anno tu sei diverso,
e ti ritrovi con un anno in più
di esperienze sulle spalle:
belle o brutte,
che rifaresti o no.
Sei comunque cambiato
e quasi non ti riconosci
pensando a come eri un anno fa.
Anche il mondo è cambiato:
nuovi trattati, nuove guerre,
fatti sensazionali, carestie, capitali sprecati,
parole di pace, parole di odio,
uomini giusti, uomini malvagi.
Un po’ come te il mondo è cresciuto:
c’è chi dice in peggio, c’è chi dice in meglio.
Cristo viene perché il mondo cresca in meglio.
Per questo ogni anno celebriamo « Natale ».
Un Natale sempre uguale,
perché sempre Betlemme di 2.000 anni fa,
ma sempre nuovo
per un mondo sempre in cambiamento.
Cristo viene « oggi », nel mondo di oggi,
sempre lui e sempre diverso
perché tu oggi possa capirlo
e perché il mondo sappia accettarlo.
È un cammino che continua.
Don Umberto DE VANNA sdb
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