7 AGOSTO 2016 | 19A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA
7 AGOSTO 2016 | 19A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA
Per cominciare Stiamo vivendo un tempo di vacanza, ma il tema di questa domenica si direbbe poco adatto a un periodo di riposo, di distensione, di festa. Gesù ci invita a essere fedeli, vigilanti, saggi e svegli anche nel mese di agosto.
La parola di Dio Sapienza 18,3.6-9. Il libro della Sapienza ricorda agli ebrei come i loro padri si prepararono e come vissero la prima Pasqua. Essi furono liberati prodigiosamente mentre erano in attesa che si realizzassero le promesse del Signore. È l’atteggiamento che essi devono conservare in ogni tempo: prepararsi a condividere successi e pericoli futuri nella concordia e nella preghiera. Ebrei 11,1-2.8-19. Nelle prossime quattro domeniche leggeremo alcuni brani della Lettera agli Ebrei. In questo capitolo 11 si fa l’elogio della fede, che è a fondamento della speranza. Così è stato per Abramo e i patriarchi, che si sono fidati delle promesse di Dio. Così è stato per Sara, che divenne madre in un’età in cui non era più possibile. Luca 12,32-48. Gesù racconta tre parabole per i suoi discepoli e invita il suo « piccolo gregge » a una vita fatta di autenticità e di coraggio, di distacco e di vigilanza.
Riflettere I cristiani della chiesa primitiva vivevano nell’attesa del ritorno glorioso di Gesù. Questa attesa era talmente viva, che gli apostoli saranno costretti a intervenire per precisare che questo ritorno non sarebbe stato immediato. Anche l’evangelista Luca pare fare queste precisazioni, non tanto per offrire particolari sulla seconda venuta di Gesù, quanto per invitare i cristiani a essere vigilanti. Forse qualcuno di loro, sorpreso o deluso perché il Signore tardava a venire si trovava nella tentazione di ritornare alla vita di prima, di troncare quella stressante attesa e di stordirsi nei divertimenti. Luca precisa: il Signore verrà certamente; quando non lo sappiamo. Verrà però senza preavviso, così come farebbe un ladro. Bisogna quindi tenersi pronti. Nella seconda parte del discorso, Gesù, attraverso una parabola, propone come modello del discepolo un amministratore « fedele e saggio ». Gesù definisce « beato » questo amministratore prima di tutto perché è fedele, cioè perché si comporta non come se fosse padrone assoluto di ciò che gli è sta affidato, ma come un esecutore scrupoloso di incarichi ricevuti. Ma è anche beato perché è avveduto, cioè perché lavora e si impegna come se da un momento all’altro il suo padrone dovesse tornare. Naturalmente Gesù prevede anche il rovescio della medaglia, quando il padrone tarda a tornare e l’amministratore ha la tentazione di approfittare della sua assenza per godersela e togliersi la soddisfazione di spadroneggiare sui servi. Gesù assicura che il padrone verrà inaspettato e che quel servo incosciente dovrà passare un brutto quarto d’ora: anzi, verrà privato del suo incarico.
Attualizzare L’incoscienza del discepolo che abbandona la speranza della venuta di Gesù è l’incoscienza propria di un cristiano in crisi. Non riuscendo più a vedere il senso di una vita di fede, si abbandona a una vita disordinata, spremendo da ogni esperienza tutto il godimento possibile. Tutto sommato si accorge di riuscire a condurre la sua vita senza vedersi cadere addosso chissà quali sciagure e si illude che tutto fili liscio ancora a lungo e che magari non arrivi mai il momento di dover rendere conto a qualcuno di come è vissuto. Non si può negare che la vita di chi attende nella vigilanza sia anche snervante, dura, difficile, tanto più se il padrone pare non dare segni di vita. Fuori dalla metafora, la vita di fede è vissuta spesso accompagnata da molte incertezze, nella impazienza e forse nella delusione di chi vive un’esperienza importante in un quotidiano piuttosto grigio e che non pare modificare nulla; nel rischio di chi ha l’impressione di impegnare la propria vita senza garanzie. Bisogna tenersi pronti, dice Gesù, « con la cintura ai fianchi e la lampada accesa » (v. 35). È un’immagine che applicata alle scelte di vita indica l’impegno a essere liberi di fronte a ciò che ingombra, attivamente impegnati, come per un viaggio importante. A Gesù sta a cuore la vita del discepolo e la costruzione del regno, non tanto il problema del momento della morte e del giudizio finale. Certo, la parabola – a prendere il discorso fino in fondo – conduce sicuramente anche al momento del rendiconto finale, quando il « padrone » arriverà nella sua gloria e « davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra (Mt 25, 32-33). A Gesù però sta a cuore prima di tutto la vita dei discepoli, la situazione di chi vive distratto e superficiale e li invita a non perdere le occasioni importanti della vita, a non sottovalutare la portata e le conseguenze che le proprie scelte possono comportare per sé e per gli altri. Gesù dice queste parole soltanto per i suoi apostoli o a tutti i discepoli in generale? La domanda di Pietro (v. 41) farebbe pensare a delle precisazioni rivolte ai responsabili della comunità. D’altra parte la parabola è intimamente legata ai discorsi fatti prima e che si riferivano certamente a tutti. È evidente comunque che la responsabilità di un apostolo nell’amministrazione e nella vigilanza è più grande di quella degli altri. La fedeltà e il senso di responsabilità sono proporzionati infatti alla funzione e alla coscienza che ognuno ha di fronte alla salvezza. Chi più ha ricevuto dovrà rendere maggior conto di ciò che ha ricevuto. Chi fa fatica a comprendere perfettamente la volontà di Dio a suo riguardo, sarà punito meno severamente di chi si è dato una vita incosciente, pur conoscendo con chiarezza i progetti di Dio su di lui.
Alla fine dello spettacolo si tolgono le maschere « Qui sulla terra siamo come in un teatro: nel teatro voi vedete splendide rappresentazioni. Entrano molti attori e recitano la loro parte. Un attore diventa saggio, e non lo è; un altro diventa re, e non lo è, ha soltanto l’aspetto del re; un altro diventa medico, e non sa curare nessuno: è solo vestito come un medico. Tutti non sono nulla di ciò che appaiono. Quando giunge la sera, lo spettacolo finisce. Le maschere sono tolte, l’inganno è finito, la verità si afferma. Così avviene anche alla fine della vita. La recita è finita, le maschere sono tolte: si giudica ciascun uomo e le sue opere » (san Giovanni Crisostomo).
Don Umberto DE VANNA sdb

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