Archive pour juin, 2016

The Valley of Dry Bones – Ezekiel 37: 1-14

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Publié dans:immagini sacre |on 20 juin, 2016 |Pas de commentaires »

« E VOI, CHI DITE CHE IO SIA? » – LA FEDE: UN’UMILISSIMA FIDUCIA IN DIO

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« E VOI, CHI DITE CHE IO SIA? » – LA FEDE: UN’UMILISSIMA FIDUCIA IN DIO

Frère Roger di Taizé

Se fosse possibile sondare un cuore umano, che cosa vi scopriremmo? La sorpresa sarebbe di scoprirvi la silenziosa attesa di una presenza. Ed ecco che nel Vangelo percepiamo una risposta a questa attesa. San Giovanni lo esprime con queste sorprendenti parole: «In mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete». Chi è Colui che sta in mezzo a noi? È il Cristo, il Risorto. Forse noi lo conosciamo poco, ma lui è vicino ad ogni essere umano. Chi è quel Gesù di cui parla il Vangelo, quel Cristo amore di ogni amore? Sin prima dell’inizio dell’universo, da ogni eternità, Cristo era in Dio. Dalla nascita dell’umanità, è la Parola vivente. Poi, come un umile, è venuto tra gli esseri umani. Dal Vangelo di San Giovanni, capiamo che non è venuto sulla terra per condannare il mondo, ma affinché, per mezzo di lui, ogni creatura umana sia salvata, riconciliata e trovi un cammino illuminato da lui. Se Gesù non avesse vissuto in mezzo a noi, Dio sembrerebbe lontano, irraggiungibile. Ma, per mezzo della sua vita, Gesù ha lasciato trasparire chi è Dio. E oggi, risorto, Cristo vive in noi mediante lo Spirito Santo. Ancor di più è unito ad ogni essere umano senza eccezioni. Se non fosse risorto, non sarebbe presente accanto a noi. rimarrebbe come uno dei personaggi che hanno segnato la storia dell’umanità. Ma non sarebbe possibile dialogare con lui nella preghiera. Non oseremmo invocarlo: Gesù Cristo, in ogni momento mi appoggio su di te; anche quando non arrivo a pregare ti dico: tu, tu sei la mia preghiera. Prima di lasciarli, Cristo ha detto ai suoi discepoli che avrebbe mandato loro lo Spirito Santo, come un sostegno e una consolazione. Allora possiamo fare questa scoperta: allo stesso modo che Cristo è stato presente sulla terra accanto ai suoi discepoli, oggi continua ad esserlo per noi mediante lo Spirito Santo. Più comprensibile per gli uni, più velata per gli altri, la sua misteriosa presenza è sempre viva. E’ come se potessimo sentirlo dire: «Non sai che io sono accanto a te e che, mediante lo Spirito Santo, io vivo in te? Io non ti abbandonerò mai». «Dio può solo dare il suo amore», scriveva nel VII secolo un teologo, Sant’Isacco di Ninive. E il suo amore ci rende la fede accessibile. Ma che cos’è la fede? La fede è un’umile realtà, un’umilissima fiducia in Dio. Se la fede diventasse pretesa spirituale, non porterebbe da nessuna parte. Allora capiamo l’intuizione di Sant’Agostino: «Se hai il semplice desiderio di conoscere Dio, hai già la fede». Nessuno arriva a conoscere Cristo da solo. Ognuno può dirsi: in quell’unica comunione che è il Corpo di Cristo, la sua Chiesa, ciò che io non capisco della fede, altri lo comprendono e ne vivono. Quindi, non mi appoggio solamente sulla mia fede, ma su quella dei cristiani di ogni tempo, coloro che ci hanno preceduto, dagli Apostoli e la Vergine Maria fino a quelli di oggi; e, giorno per giorno, mi dispongo interiormente ad avere fiducia nel Mistero della Fede. Non vorremmo mai dimenticarlo: Cristo è anzitutto comunione. Non è venuto sulla terra per creare una nuova religione, ma per suscitare una comunione d’amore nel suo Corpo, la Chiesa. A Taizè, vogliamo ricordare che la Chiesa è un mistero di comunione, anzi è la comunione per eccellenza. In questa comunione, mediante lo Spirito Santo, persino i timori e le notti delle nostre vite possono scoprire un’aurora delle riconciliazioni e il destarsi di una gioia semplicissima. E nei nostri cuori, a volte fragili, si accende una fiamma d’amore e possiamo avanzare dal dubbio verso il chiarore di una comunione.

Publié dans:meditazioni, TAIZÉ |on 20 juin, 2016 |Pas de commentaires »

DAI « SERMONI »DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (SERM.20/A,2-7. 8) – IL CALICE DELL’UMILIAZIONE

 

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DAI « SERMONI »DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO  (SERM.20/A,2-7. 8) – IL CALICE DELL’UMILIAZIONE

Nessuna cosa è più cara a Dio di colui che è l’immagine di Dio.

Iddio ha posto tutto al di sotto dell’uomo, e l’uomo al di sotto di sé. Vuoi che sia sotto di te tutto ciò che Dio ha fatto? Sii tu sotto di Dio. Sarebbe grande impudenza che tu pretenda che le creature inferiori stiano sotto di te e intanto tu non riconosci sopra di te colui che le ha create. Iddio dunque ha disposto quel che ha creato ponendo sotto di sé colui che è sua immagine e tutto il resto sotto di questa. Accogli lui e ti innalzerai sull’umano. [...] Anche Cristo fu disprezzato. Lui al quale vien detto: In te mi rifugio (Sal 56, 1), è venuto ad esser disprezzato per te, e ti ha redento proprio perché disprezzato. Tu non saresti salvato, se egli non fosse stato disprezzato. Disprezzato in che senso? Perché ha preso la veste di servo, la tua stessa forma. Altro era infatti quel che si nascondeva, altro quel che si vedeva. Si nascondeva Dio, si vedeva l’uomo (cf. At 3, 13). Così l’uomo fu disprezzato, ma da Dio fu glorificato. Tutto dunque, egli che per noi si fece via, tutto ciò che gli uomini quaggiù ambiscono come qualcosa di grande, egli lo rifiutò; egli che tutto aveva, a cui apparteneva il cielo e la terra, per mezzo del quale erano stati fatti il cielo e la terra, al quale nei cieli e nel più alto dei cieli servivano gli angeli, egli che sfugava i demoni, che scacciava le febbri, che apriva gli orecchi ai sordi e gli occhi ai ciechi, che comandava al mare, ai venti e alle tempeste, che risuscitava i morti. Egli tanto poteva, eppure contro di lui tanto poté colui che egli aveva creato. Benché creatore dell’uomo, si sottomise all’uomo, quando apparve come uomo per liberare l’uomo. Si sottomise all’uomo, ma nelle vesti di uomo, nascondendo la divinità; manifestatosi come uomo, come uomo fu disprezzato, riconosciuto più tardi come Dio; ma riconosciuto proprio perché prima era stato disprezzato. E anche a te non volle dare la gloria, se non dopo averti insegnato l’umiltà. Ogni uomo desidera cose sublimi. Ma sulla terra che c’è di sublime? Se dunque desideri cose sublimi, il cielo desidera, le cose celesti desidera, desidera le cose sopracelesti. Brama di essere concittadino degli angeli, anela verso quella città, verso di essa sospira, là dove non perderai l’amico e non dovrai soffrire il nemico, dove non troverai nessuno liberato, perché da quaggiù nessuno vi può portare il suo schiavo. Quella infatti è città eterna, dove nessuno nasce, nessuno muore, dove è perpetua e perfetta sanità, perché la sanità si chiama immortalità. Se tu brami di essere lassù, veramente aspiri a cose sublimi. Questo è il dove; ma considera anche il come. Perché non c’è nessuno che non brami di essere concittadino degli angeli, di godere in Dio, di Dio, sotto Dio, di restare per sempre, di non essere afflitto da nessuna piaga, raggiunto da nessuna vecchiezza, debilitato da nessuna stanchezza, consumato da nessuna malattia e da nessuna morte. Grande cosa, sublime cosa, desiderabile cosa. Tu desideri di arrivarci; ma guarda per dove ci si arriva. Ecco, quei due discepoli di nostro Signore, i santi e grandi fratelli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, come abbiamo letto nel Vangelo, desiderarono dal Signore Dio nostro di poter sedere nel regno uno alla destra e l’altro alla sinistra (cf. Mt 20-23). Essi dunque non desiderarono di esser dei re sulla terra, non ambirono dal Signore Iddio onori caduchi, non di essere ornati di ricchezze, non di avere una famiglia gloriosa, non di essere onorati di clientela, non di essere ingannati da adulatori, ma chiesero veramente qualcosa di grande e di solido, cioè di avere dei seggi nel regno di Dio, in cui si rimane per sempre. È grande cosa quella che desiderarono, ed essi non vengono rimproverati per il desiderio, ma vengono richiamati nell’ordine. In essi il Signore vide il desiderio delle cose grandi e colse l’occasione per insegnare la via dell’umiltà; come se dicesse: « Vedete dove voi aspirate, vedete chi sono io per voi: io che vi ho fatto sono disceso fino a voi, per voi io mi sono umiliato ». Queste parole che sto dicendo veramente non sono nel Vangelo, io però dico la sostanza delle parole che si leggono nel Vangelo. E le parole che sono nel Vangelo adesso ve le rammento, perché vi rendiate conto che quelle che ho detto io sono nate lì, come se quelle fossero le radici e le nostre i rami (cf. Mt 20, 26-27). Quando dunque il Signore ebbe ascoltato il loro desiderio, disse loro: Voi potete bere il calice che io sto per bere? (Mt 20, 22). Voi desiderate di sedere al mio fianco; prima rispondetemi su quanto vi chiedo: Potete bere il calice che io sto per bere? Voi che cercate dei seggi così sublimi, non sarà per voi amaro il calice dell’umiltà? Però quando il precetto è pesante, grande ne è la ricompensa. Il calice della passione, il calice dell’umiliazione non vogliono, non vogliono berlo gli uomini. Desiderano cose sublimi? Amino quelle umili. Per salire in alto bisogna infatti partire dal basso. Nessuno può costruire una fabbrica alta se prima non ha impiantato in basso le fondamenta. Considerate tutte queste cose, fratelli miei, e da qui partite, da qui costruitevi nella fede, per capire la strada per la quale potrete arrivare dove desiderate. Io lo so, lo riconosco: non c’è alcuno tra voi che non desideri l’immortalità, l’eterna gloria e di avere l’amicizia con Dio. Queste cose tutti le desideriamo. Ma dobbiamo conoscere la strada per arrivare, dato che arrivare è desiderio di tutti. Tu, uomo avevi paura di affrontare l’oltraggio dell’umiliazione. Ma è utile per te bere il calice così amaro della passione. Le tue viscere sono tumide, il petto ti si è gonfiato. Bevi l’amaro, per ritrovare la salute. Lo beve anche il medico sano; non vorrà berlo il malato indebolito? Così infatti disse ai figli di Zebedeo: Potete bere il calice? (Mt 20, 22) Però non disse: « Potete bere il calice degli oltraggi, il calice del fiele, il calice dell’aceto, il calice delle amarezze, il calice pieno di veleno, il calice di tutte le sofferenze? ». Se avesse detto così, più olle incoraggiarli li avrebbe spaventati. Ma quando si è in compagnia si ha anche più spinta. E allora che paura hai, o servo? Quel calice lo beve anche il Signore. Che paura hai, o infermo? Lo beve anche il medico. Che paura hai, o infiacchito? Lo beve anche il sano.

IN BREVE… È facile pensare a cose eccelse, è facile compiacersi degli onori, è facile dare ascolto a chi dà assenso e a chi adula. Tollerare la riprensione, udire con pazienza l’ingiuria, pregare per chi oltraggia: ecco il calice del Signore, ecco il convito del Signore. (Serm. 340/A, 5)

Gesù appare a Pietro e Paolo

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Publié dans:immagini sacre |on 16 juin, 2016 |Pas de commentaires »

LA STORIA DELLA SALVEZZA NELLA CATECHESI. RILEGGENDO SOFIA CAVALLETTI, DI ANDREA LONARDO

 

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LA STORIA DELLA SALVEZZA NELLA CATECHESI. RILEGGENDO SOFIA CAVALLETTI, DI ANDREA LONARDO

(ho conosciuto Sofia Cavalletti quando avevo 16 anni, una grande persona)

Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /09 /2011 -

Il 23 agosto 2011 il Signore ha chiamato a sé Sofia Cavalletti all’età di 94 anni. Con questo articolo vogliamo ancora una volta renderle omaggio. Per ulteriori riflessioni sul prezioso contributo di Sofia Cavalletti alla catechesi vedi su questo stesso sito Come pesci nell’acqua di Dio: la potenzialità e l’esigenza religiosa del bambino. La catechesi del “buon pastore”. Per approfondimenti, vedi anche la sezione Catechesi e pastorale e la sezione Sacra Scrittura. Il Centro culturale Gli scritti (3/9/2011)

Le pagine di Heschel sulla differenza tra spazio e tempo sono ormai un classico. La creatura umana può dominare lo spazio, sia muovendosi in esso, sia occupandolo; in contrapposizione a questo, il tempo è «al di là della nostra portata, al di là del nostro potere. È contemporaneamente vicino e lontano, intrinseco a ogni nostra esperienza, eppure trascendente»[1]. Nel suo volume Il potenziale religioso dei bambini tra i 6 e i 12 anni. Descrizione di una esperienza, così Sofia Cavalletti, ripropone nella catechesi le puntuali osservazioni di A. Heschel[2]. La storia della salvezza è così posta immediatamente nell’ordine della grazia ed, insieme, con essa è reso comprensibile il dramma dell’esistenza umana. La Cavalletti sottolinea così che la catechesi è chiamata a mostrare come la storia della salvezza rende la vita dell’uomo intellegibile, quella vita che altrimenti non avrebbe capo e coda[3]: Il messaggio biblico dicevamo – è particolarmente legato al tempo, e al tempo nella concretezza degli eventi della storia. È proprio il senso storico che distingue Israele dagli altri popoli dell’antichità. Per senso storico intendiamo la percezione del concatenamento degli eventi, e quindi di un pensiero che soggiace ad essi; il senso storico è «una forma speciale del pensiero causale, applicato a una successione di eventi politici di una certa estensione»[4]. In Israele non troviamo una filosofia della storia, ma «una intelligenza della storia»[5], cioè una penetrazione sapienziale in essa, una capacità di scrutarne i dati in profondità, per scoprirvi un livello che va oltre i dati. Il profeta, che è l’esponente della spiritualità ebraica, è interprete della storia[6]. E la storia della salvezza opera questa unificazione della storia proprio a partire dalla rivelazione del Dio unico[7]: La storia biblica conserva la necessaria globalità perché in essa gli avvenimenti sono legati insieme dalla costante presenza del Dio unico; è il Dio uno che fa «una» la storia. Le generazioni si susseguono; ma oltre la moltitudine di personaggi maggiori e minori che popolano in folla la scena d’Israele, c’è in essa sempre la presenza costante del Signore della storia. Egli è già presente all’origine di essa e anche prima, perché è l’artefice della creazione, e l’accompagna nel suo fortunoso svolgersi, proiettando la sua presenza alla conclusione di essa. La Cavalletti sottolinea come la “storia della salvezza” acquisisce significato ancor più oggi quando taluni vorrebbero misconoscere le cosiddette “grandi narrazioni” per ritenere plausibili solo micro-narrazioni di frammenti di vita personale. La catechesi è chiamata a custodire tutta l’ampiezza della prospettiva biblica[8]: Il messaggio biblico è un messaggio di speranza. Non si tratta di un progressismo consolatorio, né di un ottimismo preconcetto, che il pensiero post-moderno rifiuta. Lyotard si domanda se oggi sia più possibile «organizzare la folla degli avvenimenti che ci vengono dal mondo, umano e non umano, mettendoli sotto l’Idea di una storia universale dell’umanità»[9]. Vattimo lo nega; per lui «il rendersi conto dell’universalità della storia ha reso impossibile la storia universale»[10]. Perché noi lo affermiamo? Il messaggio biblico si basa su una sapienza, che è così grande da essere considerata rivelata, e su un avvenimento: la risurrezione di Cristo. In lui la vittoria sul male e sulla morte è già una realtà del nostro mondo; ma è limitata alla sua persona. Il progetto di Dio riguarda l’universo. Noi viviamo nel tempo dell’attesa e della speranza. La catechesi del Buon pastore, ideata dalla Cavalletti, non si sofferma così innanzitutto sui singoli episodi della storia biblica, ma prima ancora sulla sua vastità e sulla sua unità[11]: La Bibbia [...] ci permette di parlare dei singoli eventi senza che questi perdano di tensione, a condizione di non perdere d’occhio, nelle singole narrazioni, la globalità della storia in cui esse si realizzano. A nostro avviso la narrazione delle singole bellissime storie bibliche va fatta in riferimento costante al tempo colto nella sua globalità come pure nelle scansioni fondamentali di passato, presente e futuro. È su questa base globale che potranno poi porsi tutte le successive considerazioni sui vari aspetti della storia e sui singoli eventi. La prima considerazione verterà dunque sulla vastità della storia biblica, vastità che va insieme al suo carattere unitario. Il racconto iniziale si appoggia su un materiale che tende a colpire l’immaginazione, guidando alla presa di coscienza della lunghezza della storia[12]: una striscia, lunga oltre 50 metri, viene svolta insieme ai bambini, dicendo che in essa ogni filo rappresenta oltre mille anni. Un filo non è nemmeno un millimetro; quanti fili ci saranno in tutta la storia? Quanti milioni di anni passano fra le nostre mani, mentre svolgiamo la striscia? Il racconto che accompagna questa presentazione parte dalla creazione e dal lunghissimo tempo in cui essa viene realizzata, prima che nel mondo ci sia la presenza della creatura umana. Quando questa appare trova il suo ambiente vitale già pronto; c’è nel mondo tutto quello che può essergli necessario per viverci. Queste sono constatazioni che emergono dall’osservazione stessa della realtà. Da esse può sorgere spontanea la domanda: chi può aver preparato tutto questo per me? La Bibbia fornisce la risposta a questo interrogativo: è Dio che ha creato il mondo, l’uomo e la donna. La Bibbia dà il nome all’artefice della realtà che ci circonda. Tutto è stato fatto per la creatura umana e per questo essa arriva ultima nell’opera della creazione, come l’invitato al banchetto arriva quando la mensa è stata posta e imbandita. Dall’inizio Dio accompagna l’umanità, che, una generazione dopo l’altra, viene a popolare la storia nel suo svolgersi per tappe successive, fino ad entrare egli stesso nella vicenda umana, nella persona di Gesù Cristo. È il momento che chiamiamo redenzione[13]. La presenza costante di Dio dà un senso alla storia e la guida verso una meta: quella di accogliere in pienezza la pienezza di Dio, «Dio tutto in tutto». È quel momento che chiamiamo parusia. Ritroviamo le scansioni fondamentali del tempo – passato, presente e futuro – tenute insieme dalla presenza costante di Dio. Alla percezione di esse – esperienza umana fondamentale – il messaggio biblico aggiunge la presenza di una Persona: quella del Dio della storia. Non siamo soli nel fluire del tempo; c’è Dio che guida la storia con sapienza e amore. La storia si presenta così unitaria e acquista significato: oggi riceviamo l’eredità del passato e conosciamo il traguardo verso cui ci muoviamo. L’incognita del futuro si riempie di speranza. Da questo passaggio emerge la centralità dei tre grandi capisaldi della storia biblica: la creazione, la redenzione che si realizza con l’incarnazione e la parusia. La storia tutta diviene significativa e non è più il regno del caso e della morte di tutto. Proprio questo sguardo ampio come la storia intera permette al bambino di accogliere la propria piccolezza, senza perdere fiducia, anzi maturando la grande speranza[14]: Queste considerazioni si svolgono in un continuo gioco tra piccolo e grande ed educano a prendere il giusto atteggiamento nella realtà. Si dà allora uno strano paradosso: più piccoli ci si sente e più grande è la gioia. La piccolezza diventa in certo modo il «metro» per misurare la grandezza dell’amore di Dio. La piccolezza della creatura, lungi dall’essere coscienza mortificante, dà ali allo spirito, aprendo la persona alla relazione nello stupore e nella gratitudine, in un inno di gioia e di lode. La Cavalletti sottolinea che questa visione unitaria che nasce dall’orizzonte biblico è pienamente confacente alle necessità di un’educazione piena[15]: A nostro avviso ogni opera educativa per essere costruttiva deve essere unitaria, condurre cioè a un punto di convergenza da cui tutto prende significato. Il frammentario non educa nel profondo. Il punto di convergenza però deve essere tale da far spaziare lo sguardo verso l’illimitato. In particolare, proprio la “storia della salvezza” spalanca al bambino orizzonti grandi e non miseri ed ottusi. La Cavalletti si richiama qui alla sua grande ispiratrice pedagogica, Maria Montessori[16]: Queste riflessioni dei bambini sembrano essere espressione di quello che la Montessori chiama «educazione dilatatrice»[17], un’educazione cioè che fa affacciare il bambino a finestre aperte verso l’infinito e l’attrae verso orizzonti sconfinati. L’educazione deve essere tale sul piano conoscitivo, per poterlo essere anche sul piano morale dei comportamenti. «Ingrandire il mondo», ella dice, abbattere ogni barriera che possa impedire la respirazione dell’essere umano nella pienezza delle sue capacità; dare a chi è l’immagine di Dio il cibo che gli corrisponde, perché possa esplicare tutte le sue potenzialità. È quanto già i medioevali chiamavano extensio animi ad magna. Il bambino, infatti, come sottolinea tutto il lavoro della Cavalletti, si nutre e gode di un orizzonte di fede. Esso non si sovrappone a lui come una dura imposizione esterna, bensì gli è connaturale poiché anch’egli è uomo[18]: È nostra convinzione, basata sull’osservazione delle reazioni dei fanciulli, che la teologia essenziale è il cibo che il bambino e il fanciullo cercano, per appagare la loro esigenza di trovare il loro posto nella realtà. E ancora[19]: La sete del fanciullo, non meno di quella del bambino, è teologica. La sete dell’essere umano è teologica.

NOTE AL TESTO – SUL SITO, DA CONSULTARE

19 GIUGNO 2016 | 12A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/2016/05-Ordinario_C/Omelie/12a-Domenica/12-12a-Domenica-C_2016-UD.htm

19 GIUGNO 2016 | 12A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA

Per cominciare Chi è Gesù? La domanda è molto importante ieri come oggi. Ed è una domanda che coinvolge la storia e ogni persona nei suoi orientamenti di fondo. Gesù sorprende gli apostoli con le parole che rivelano la sua identità. È il « messia sofferente », che realizza la parola dei profeti.

La parola di Dio Zaccaria 12,10-11. Pochi versetti dedicati al messia sofferente, discendente di Davide. Altri profeti descriveranno le sue sofferenze in modo ben più dettagliato. Zaccaria viene citato da Giovanni, quando vede morire Gesù sulla croce (19,37). Galati 3,26-29. In Gesù, dice Paolo, vengono abolite tutte le distinzioni ed è riconosciuta a ogni persona la piena dignità, quella unica e identica dei figli di Dio. Luca 9,18-24. Gesù mette gli apostoli di fronte a una domanda che li costringe a schierarsi: dovranno dire quale opinione si sono fatta finora di lui. È Pietro a rispondere per tutti, ma la sua risposta non ha lo stesso significato per lui e per Gesù.

Riflettere « Chi è Gesù? » è una delle domande più impegnative a livello personale, ma è anche una di quelle domande che può cambiare il senso della storia. Se la sono posta miliardi di persone negli ultimi duemila anni. Una domanda che non è nuova e che era già sulla bocca di tanti durante la sua vita pubblica. La domanda la si trova nei tre vangeli sinottici e viene fatta agli apostoli da Gesù stesso. Da sempre Gesù fa discutere. C’è chi ha scelto di vivere come lui ed è disposto a dare la vita per lui. C’è chi vuole difenderlo e mette la sua cultura a servizio delle proprie convinzioni. Montagne di libri hanno analizzato e meditato ogni episodio della sua vita. Qualche tempo fa una rivista underground ha fatto circolare un manifesto con l’identikit di Gesù. Presentava Gesù come un ricercato a piede libero: in alto la scritta Wanted, al fondo l’elenco delle sue scelte controcorrente e libere. Perché Gesù è stato insieme un profeta itinerante, apparentemente un po’ anarchico, ma anche il Figlio di Dio che parla con autorità, affascina e manda in crisi. « Mai un uomo ha parlato così! » (Gv 7,46). Perdona i peccati come solo Dio può fare e fa miracoli. Alla domanda di Gesù seguono le risposte degli apostoli: la gente lo considera un grande profeta, il Battista o Elia ritornati in vita. Gesù però li incalza e rende personalissima la sua domanda: « Ma voi, chi dite che io sia? ». Pietro esprime il suo atto di fede pieno a nome di tutti: « Tu sei il Cristo di Dio ». Altrove Gesù fa l’elogio delle parole di Pietro, qui invece, l’evangelista Luca precisa che Gesù immediatamente corregge l’idea che Pietro e gli altri potevano avere del messia: « Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno ». La parola di Gesù scende su di loro come una doccia fredda. Morivano qui le loro ambizioni, anche se l’idea di un messia glorioso e vittorioso rimarrà ancora in loro ben radicata. Lo scandalo della croce rivelerà la fragilità della loro fede. Si riveleranno delusi, traditori e codardi. Eppure alla fine, nonostante tutto, gli apostoli lo seguiranno e conosceranno anch’essi il travaglio e l’umiliazione del martirio.

Attualizzare « Una mattina di primavera dell’anno 30 circa dell’Era Volgare, tre uomini furono giustiziati in Giudea dalle autorità romane. Due erano briganti, cioè predoni, banditi o assassini interessati solo al profitto personale, o forse ribelli le cui azioni di brigantaggio avevano un fine politico. Il terzo fu giustiziato come criminale politico di altro tipo. Non si era reso responsabile di razzie, non aveva depredato, assassinato o magari accumulato armi. Era stato invece condannato per aver preteso di essere re dei Giudei » (E.P. Sanders). In quella mattina di primavera, i Romani, senza saperlo, avevano messo in croce l’uomo più libero della storia. Un ebreo che si era consegnato alla morte per non rimangiarsi nessuna delle parole che aveva pronunciato nella sia vita. « Chi è Gesù? » ci domandiamo ancora oggi, dopo duemila anni. Ma la domanda non è nuova ed era sulla bocca di tanti già durante la sua vita pubblica. È originario di Nazaret di Galilea (Mc 1, 9), a quel tempo poco più di un villaggio. Tutti si conoscono sin da bambini tra quelle case, dove non avviene mai niente di straordinario. Ma Gesù, raggiunti i trent’anni, cambia vita, si presenta in piena libertà e autorità, provoca tra i suoi compaesani sorpresa, scandalo e indignazione (Lc 4, 14 30). Gesù porta con sé tutte le caratteristiche di chi è nato in campagna, in un ambiente agreste e famigliare, ed è probabile che non abbia mai avuto l’occasione di spingersi fuori dai confini della sua regione. Eppure dimostra di avere una conoscenza profonda delle persone e della storia, di conoscere le grandi culture del suo tempo. Ha trent’anni, ma non ha messo su famiglia. Sceglie invece di darsi alla predicazione e alla vita itinerante, attirando l’attenzione di molte persone. E il suo modo di agire suscita reazioni divergenti. « C’è gioia per le aperture che offre, ma genera anche confusione. Per alcuni provoca addirittura scandalo perché non ha peli sulla lingua e perché si muove in ambienti ritenuti poco raccomandabili dalla gente osservante del suo tempo. Gesù dispone di poteri straordinari. I malati sono guariti e gli indemoniati sono liberati dagli spiriti che li tormentano. La gente lo ammira. Ma egli incontra anche opposizione ed entra in conflitto con i capi religiosi » (Cees J. den Heyer). La vita di Gesù non finirà mai di sorprenderci. Risponde pienamente alle attese della storia e nello stesso tempo scandalizza chi lo avrebbe voluto diverso, e soprattutto chi non si è rassegnato a vederlo uomo indifeso, umanissimo, sconfitto. Inchiodato a una croce. Carlo Carretto parlando di Gesù, dice che gli ebrei in lui si aspettavano « un Dio potente, un Dio che risolvesse tutti i problemi, un Dio che eliminasse i cattivi, che vincesse i nemici in modo visibile a tutti ». Invece Gesù apparve come un bambino, fu un semplice artigiano, e non si servì dei suoi poteri per trovare il pane. Non si alleò coi potenti per dominare, non si buttò giù dal tempio per fare un miracolo e far crescere le nostre sicurezze. E quando venne la prova non scappò. « Come uomo, uomo vero, uomo uomo, accettò il processo e la condanna, prese la croce sulle spalle, marciò piangendo verso il luogo dei cranio dove sarebbe stato crocifisso ». Di fronte a questo Gesù così umano e così vicino a noi, difficilmente rimaniamo indifferenti. L’importante è metterci davanti a lui con una curiosità nuova, rifiutando l’idea che sono cose che conosciamo già fin dalla prima comunione.

Gesù è così « Gesù è strano, perché non è farina dei nostro mulino… La fede è come l’amore. Ti incanti e ti butti senza avere la prova, la certezza matematica che ci stai azzeccando. Davvero Gesù è strano. Se avesse voluto che tutti credessero senza dubbio alla sua risurrezione, avrebbe potuto apparire sulla piazza di Gerusalemme, o nel palazzo di Pilato! Macché! Ha affidato la notizia della sua risurrezione alle donne, che erano ritenute bugiarde per natura… » (Tonino Lasconi) Don Umberto DE VANNA sdb

Apse mosaic of Santa Pudenziana, 4th century C.E., Rome

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https://tr.khanacademy.org/humanities/medieval-world/early-christian1/a/santa-pudenziana

Publié dans:immagini sacre |on 14 juin, 2016 |Pas de commentaires »

NON CEDETE AL DOLORE, C’È UN FUTURO OLTRE LA VITA – DI CARLO MARIA MARTINI

http://paroledivita.myblog.it/2011/11/02/non-cedete-al-dolore-c-e-un-futuro-oltre-la-vita/

NON CEDETE AL DOLORE, C’È UN FUTURO OLTRE LA VITA – DI CARLO MARIA MARTINI

Posted on 2 novembre 2011

, CORRIERE DELLA SERA di domenica 30 ottobre 2011

Sono un’insegnante, sposata, con tre figli tra i venti e i trent’anni. Per molto tempo ho fatto catechesi nella mia ex parrocchia. Poi sono stata invitata ad entrare nel movimento «Rinnovamento nello Spirito». Per più di tre anni ho partecipato agli incontri di preghiera con convinzione. Poi è accaduto qualcosa che mi ha fatto ricredere sulla bontà di questi gruppi e il loro servizio alla Chiesa. Sono uscita con difficoltà, però questa esperienza mi ha lasciato male, un po’ confusa e credo non mi abbia fatto crescere nella fede, forse perché non ho più trovato amicizia.               (Lettera firmata – Ancona)

Forse pochi sanno che insieme al padre Beck s.j., mio carissimo amico, negli anni 60, io stesso sono stato uno degli iniziatori in Europa del Rinnovamento nello Spirito che avevo conosciuto in America. Avevo molti impegni e non potevo dedicarmi ad esso con continuità. Nel periodo che precedeva la morte di mia madre, chiesi una preghiera comune per lei che mi fu negata perché non si prevedevano intenzioni di preghiera personali e ciò mi lasciò molto amareggiato. I movimenti possono dare molto alla Chiesa come si vede nel movimento ecumenico e nel movimento biblico. Ma quando in essi prevalgono le dinamiche del potere e del profitto la Grazia può andare perduta e la Chiesa invece di arricchirsi di nuova energia spirituale, sperimenta emorragie debilitanti.

Gentile Cardinale Martini, da sette anni soffro del morbo di Parkinson e da cinque di artrite reumatoide. Un anno fa mio marito è morto di cancro e con lui sono morta anch’io. Ho avuto due aborti spontanei e quindi non ho figli. Sono stata un’infermiera e quindi so quello che mi aspetta. Prego Dio di farmi morire al più presto perché non voglio più vivere, non posso, non ne ho la forza né riesco a trovare un motivo per alzarmi la mattina. Ho 72 anni e non passa giorno che io non dubiti dell’esistenza di Dio, ma mi sforzo di sperarci perché è l’unica ragione che mi impedisce di togliermi la vita.               (Lucia Renghi – Città di Castello / Perugia)

Sono consapevole di tornare su un tema da lei già affrontato (Corriere, 24 aprile 2011), ovvero la umana paura della morte. Dopo la morte non si è. Come prima della nascita. Ma lei dice che si è in un altro modo. Rivedremo coloro che abbiamo amato? Presumo sia una metafora. E mi limito a chiedere: rivedrà coloro che ha amato anche chi non ci aveva creduto?                  (Silvia Delaj – Milano)

La fede è un dono? Mi piacerebbe avere la sua stessa certezza dell’esistenza di Dio; ma purtroppo non è così. Speravo di avvertire la presenza di Dio quanto meno nel momento del trapasso di mio padre, che nei momenti finali ha voluto accanto a sé l’icona di Suora Maria della Passione. È spirato tra le mie braccia, eppure in quel momento e in presenza della morte ho sentito in lui solo un gran senso di solitudine. Un vuoto, un nulla che, a distanza di ben quattro anni, sento ancora vivissimo dentro me.            (Daniele Perna Cercola – Napoli)

Ho messo insieme queste tre lettere perché mi pare che esse trattino di argomenti affini, pur nella diversità delle situazioni, come la paura della morte e insieme il desiderio di morire, che cosa ci aspetta dopo la morte e la nostra debole fede. Anzitutto la morte: essa è dolorosa per tutti. Ma succede talora che chi è oberato pesantemente da grandi dolori giunga a dire: come potrò continuare a soffrire così? Meglio andarmene! Non è un peccato pensarla a questo modo, ma dobbiamo stare attenti che esso non porti a un vero suicidio. Manifestare semplicemente la nostra domanda a Dio perché ci porti presto con sé è una domanda lecita. Dobbiamo però abituarci a tener conto di tutto ciò che è positivo. Nel caso di Lucia Renghi, intravvedo molte cose positive. Ma lei stessa deve rendersene conto. Il marito è morto di cancro e certamente lei lo ha servito con molto amore. Lo stesso ha fatto nel suo lungo servizio di infermiera professionale. Pur nel disagio causato dal Parkinson, è possibile partecipare a piccole iniziative di carità, che allargano il cuore e lo riempiono di speranza. Per quanto riguarda, al contrario, la paura della morte, di cui ci parla Silvia Delaj, non vi sono rimedi facili, non basta per esempio imporre a se stessi di non pensarvi. Io non conosco metodo migliore che quello di concentrarsi nel presente. Si può così attualizzare anche il modo con cui Cristo ha sconfitto la morte, offrendosi tutto a Dio Padre. Pur morendo di una morte ingiusta e crudele, disse: «Nelle tue mani, Padre, affido il mio Spirito». Questo è il segreto! Se non ci affidiamo a Dio come bambini, lasciando a Lui di provvedere al nostro avvenire, non arriveremo mai a fare quel gesto di totale abbandono di sé, che costituisce la sostanza della fede. Certamente rivedremo coloro che abbiamo amato. Anche quelli che hanno amato pur non avendo conosciuto Gesù. Come dice Dante «la bontà divina ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei». Ma donde viene una fede così docile? Daniele Perna risponde: essa è un dono di Dio. Ma ciò non significa che non siamo chiamati a fare tutto quanto è nelle nostre possibilità per ricevere questo dono. Che poi l’assenza prolungata di una persona a noi molto cara generi solitudine, è qualcosa che va compreso e rispettato. Non è difficile della nostra vita lo sperimentare momenti drammatici in occasione della morte di uno stretto parente o di un nostro carissimo amico. Non serve guardare il defunto per cogliere in lui qualche segno di risurrezione. La sua anima, come dice il pensiero indù «ha lasciato il suo corpo» ed è inutile trovare in esso segni di una vita nuova. Quanto poi all’osservazione di Daniele, che dice «Mi piacerebbe avere la sua stessa certezza dell’esistenza di Dio; ma purtroppo non è così», debbo dire che sento molto la fragilità di questa mia fede e il pericolo di perderla. Per questo, prego molto il Signore e gli affido la mia vita, la mia morte e tutti quelli che vanno alla morte con poca fiducia nella potenza di Dio.

SANT’AGOSTINO OMELIA 34 – LA LUCE DEL MONDO.

http://www.augustinus.it/italiano/commento_vsg/omelia_034.htm

SANT’AGOSTINO OMELIA 34 – LA LUCE DEL MONDO.

Rimanendo presso il Padre, Cristo è la verità e la vita; rivestendosi di carne, è diventato la via. Alzati, la via stessa è venuta a te. Alzati e cammina!

1. Certamente, tutti ci siamo sforzati di capire ciò che adesso abbiamo ascoltato e con attenzione abbiamo accolto dalla lettura del santo Vangelo, e ciascuno di noi, secondo la sua capacità, ha preso ciò che ha potuto da una ricchezza così grande; e sono certo che nessuno dovrà rammaricarsi di non aver potuto gustare in qualche modo il pane della Parola che ci è stato messo davanti. Ma non posso credere che qualcuno sia riuscito a capire tutto. Perciò, anche ammesso che ci sia qualcuno che ha compreso sufficientemente tutte le parole di nostro Signore Gesù Cristo, che adesso sono state proclamate, ci consenta di esercitare il nostro ministero, destinato, con l’aiuto del Signore e attraverso il commento del sacro testo, a far comprendere, se non a tutti, almeno a molti, ciò che ora solo pochi sono contenti di aver compreso. [Cristo luce del mondo, e fonte della vita.]

2. L’affermazione del Signore: Io sono la luce del mondo (Gv 8, 12), ritengo sia chiara a quanti hanno occhi che consentono loro di venire a contatto con questa luce; chi invece possiede soltanto gli occhi della carne, rimane sorpreso di fronte all’affermazione del Signore Gesù Cristo: Io sono la luce del mondo. Probabilmente non manca chi tra sé dice: forse Cristo Signore è questo sole che, sorgendo e tramontando, segna il giorno? Non sono mancati infatti degli eretici che così hanno pensato. I Manichei hanno creduto che Cristo Signore fosse questo sole, visibile agli occhi di carne, che apertamente compare alla vista non solo degli uomini, ma anche degli animali. Ma la retta fede della Chiesa cattolica riprova tale invenzione e sa che è un insegnamento del diavolo. E non soltanto lo sa per fede, ma lo dimostra anche, a chi può, con argomenti di ragione. Respingiamo, dunque, tale errore, che la santa Chiesa condannò fin dall’inizio. Non dobbiamo pensare che il Signore Gesù Cristo sia questo sole che vediamo nascere in oriente e tramontare in occidente, al cui corso segue la notte, i cui raggi vengono coperti dalle nubi e che con determinati movimenti si sposta da un luogo ad un altro. Non è questo Cristo Signore! Non è Cristo Signore un sole creato, ma colui per mezzo del quale il sole è stato creato. Tutto – infatti – per mezzo di lui è stato creato, e senza di lui niente è stato creato (Gv 1, 3). 3. Egli è, dunque, la luce che ha creato quella che vediamo Amiamola, questa luce, aneliamo alla sua comprensione, siamone assetati, affinché, sotto la sua guida, possiamo finalmente pervenire ad essa e vivere in essa, così da non morire mai più. Questa è la luce di cui un’antica profezia in un salmo ha cantato: Salverai gli uomini e gli animali, o Signore; secondo l’abbondanza della tua misericordia, o Dio (Sal 35, 7-8). Son parole del salmo ispirato. E notate come l’antico Testamento si esprime a proposito di questa luce: Tu salverai, o Signore, gli uomini e gli animali; secondo l’abbondanza della tua misericordia, o Dio. Siccome tu sei Dio e la tua misericordia è molteplice, questa tua misericordia si estende, non solo agli uomini che hai creato a tua immagine, ma anche agli animali che hai sottomesso agli uomini. Da chi dipende la salute degli uomini, dipende anche la salute degli animali. Non vergognarti di pensare così del Signore Iddio tuo; anzi sii sicuro, fidati, e guardati dal pensare in modo diverso. Chi dà la salute a te, la dà anche al tuo cavallo, alla tua pecora e, giù giù, fino alla tua gallina. Dal Signore viene la salvezza (Sal 3, 9), e Dio dà la salute anche a queste cose. Vedo che sei perplesso, che hai dei dubbi, ed io mi stupisco dei tuoi dubbi. Disdegnerà di salvare, colui che si è degnato di creare? Dal Signore viene la salvezza degli angeli, degli uomini, degli animali: dal Signore viene la salvezza. Come nessuno ha l’essere da sé, così nessuno si salva da sé; per cui con piena verità e ottimamente il salmo dice: Salverai, o Signore, gli uomini e gli animali. E perché? Perché molteplice è la tua misericordia, o Dio. Siccome tu sei Dio e mi hai creato, tu mi salvi; tu che mi hai dato l’essere, mi dài di essere sano.

[Bevi e vivi!] 4. Se dunque, nella sua molteplice misericordia, Dio salva gli uomini e gli animali; forse gli uomini non hanno qualcosa di particolare che Dio creatore concede ad essi e non concede agli animali? Forse che non esiste alcuna differenza tra il vivente creato ad immagine di Dio e il vivente sottomesso all’immagine di Dio? Certamente sì! Oltre questa salute che hanno anche gli animali, c’è qualcosa che Dio concede a noi e non concede ad essi. Che cos’è? Continua la lettura del salmo: I figli degli uomini, però, si rifugeranno all’ombra delle tue ali (Sal 35, 8). I figli degli uomini, che hanno già in comune la salute con i propri animali, si rifugeranno all’ombra delle tue ali. Possiedono una salute nella realtà presente, un’altra nella speranza: c’è una salute del tempo presente che gli uomini hanno in comune con gli animali, e ce n’è un’altra che gli uomini sperano, e la ricevono quelli che sperano, non quelli che disperano. I figli degli uomini – dice infatti il salmo – spereranno all’ombra delle tue ali. Coloro, dunque, che perseverano nella speranza, godono la tua protezione e il diavolo non può allontanarli dalla speranza: spereranno all’ombra delle tue ali. Ma che cosa spereranno se non ciò di cui sono privi gli animali? Saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa, e li disseterai al torrente della tua dolcezza (Sal 35, 9). Che vino è questo di cui è bello inebriarsi? che vino è questo che non perturba ma illumina la mente, che anziché privarti della coscienza inebriandoti ti rende sapiente per sempre? Saranno inebriati. Di che cosa? Dell’abbondanza della tua casa, e li disseterai al torrente della tua dolcezza. In che modo? Perché presso di te è la fonte della vita (Sal 35, 10). La fonte stessa della vita camminava in terra e diceva: Chi ha sete venga a me e beva! (Gv 7, 37). Ecco la fonte. Ma noi si parlava della luce, si trattava il tema della luce propostoci dal Vangelo. Abbiam sentito l’affermazione del Signore: Io sono la luce del mondo. Donde la preoccupazione che qualcuno, guidato dalla sapienza carnale, identificasse questa luce con il sole: siamo giunti poi al salmo, con la guida del quale abbiamo trovato nel Signore la fonte piena della vita. Dunque, bevi e vivi. Presso di te – dice – è la fonte della vita e perciò i figli degli uomini spereranno all’ombra delle tue ali desiderosi di inebriarsi a questa fonte. Ma noi si parlava della luce Ebbene, prosegui la lettura del salmo, che dopo aver detto: Presso di te è la fonte della vita, aggiunge: E nella tua luce vedremo la luce (Sal 35, 10): Dio da Dio, luce da luce. Per mezzo di questa luce è stata creata la luce del sole; e la luce che ha creato il sole, sotto il quale ha creato anche noi, è diventato luce per noi sotto il sole. Sì, è diventato luce per noi sotto il sole colui che ha creato il sole. Non disprezzare la nube della carne: essa copre la luce, non per oscurarla ma per temperarne lo splendore. 5. Parlando, dunque, attraverso la nube della carne, la luce che non conosce tramonto, la luce della sapienza, dice agli uomini: Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nella tenebra, ma avrà la luce della vita (Gv 8, 12). In che modo ti ha distolto dagli occhi della carne per richiamarti agli occhi del cuore? Non si è accontentato di dire: Chi segue me, non camminerà nella tenebra, ma avrà la luce, ma ha aggiunto della vita, in linea col salmo che dice: Presso di te è la fonte della vita. Notate, fratelli, come concordano le parole del Signore con la verità del salmo: nel salmo la luce si trova unita alla fonte della vita, e il Signore parla di luce della vita. Nel linguaggio ordinario e commensurato alle cose d’ogni giorno, una cosa è la luce e un’altra è la fonte: la bocca cerca la fonte, gli occhi cercano la luce; quando abbiamo sete cerchiamo la fonte, quando siamo al buio cerchiamo la luce; e se abbiamo sete di notte, accendiamo la luce per cercare la fonte. In Dio non è così: luce e fonte sono la medesima cosa: colui che ti illumina perché tu veda, egli stesso è la fonte cui puoi dissetarti. 6. Guardate dunque, fratelli miei, guardate, se sapete guardare profondamente, la luce di cui parla il Signore dicendo: Chi segue me, non cammina nella tenebra. Segui questo sole materiale e vediamo se davvero non camminerai nelle tenebre. Eccolo che sorge e avanza verso di te; seguendo il suo corso si dirige verso occidente, e tu probabilmente sei diretto in oriente; se tu non vai in senso contrario al suo, seguendo la sua direzione senz’altro sbaglierai andando in occidente anziché in oriente. Sbaglierai tu che lo segui in terra, sbaglierà il marinaio che lo segue in mare. Insomma, se credi di dover seguire il corso del sole e ti dirigi anche tu verso occidente, al quale esso tende, vedremo, quando sarà tramontato, se tu non camminerai nelle tenebre. Ecco dunque che, anche se tu farai di tutto per non abbandonarlo, sarà lui ad abbandonarti, obbligato com’è a compiere ogni giorno, a nostro servizio, il suo corso. Invece nostro Signore Gesù Cristo, anche quando non si mostrava a tutti, avvolto com’era nella nube della carne, aveva tutto in mano con la potenza della sua sapienza. Il tuo Dio è tutto dappertutto; se tu non ti allontani da lui, egli non tramonterà mai per te.

[Cercare Dio da Dio.] 7. Chi segue me – dice – non camminerà nella tenebra, ma avrà la luce della vita. Ciò che ha promesso lo esprime con un verbo al futuro; non dice, infatti, « ha », ma dice avrà la luce della vita. E tuttavia non dice: chi mi seguirà, ma chi mi segue. Usa il presente per indicare ciò che dobbiamo fare, il futuro per indicare la promessa riservata a chi fa: Chi segue me, avrà. Adesso deve seguirmi, poi avrà; adesso deve seguirmi credendo, poi avrà; vedendo faccia a faccia. Finché siamo nel corpo – dice l’Apostolo – siamo esuli, lontani dal Signore; camminiamo infatti al lume della fede e non della visione (2 Cor 5, 6-7). Quando vedremo faccia a faccia? Quando avremo la luce della vita, quando saremo pervenuti alla visione, quando questa notte sarà trascorsa. Proprio di quel giorno che dovrà spuntare, è detto: Al mattino starò davanti a te, e ti contemplerò (Sal 5, 5). Perché al mattino? Perché sarà trascorsa la notte di questo mondo, saranno finiti gli incubi delle tentazioni, sarà vinto il leone che di notte va attorno ruggendo in cerca di chi divorare (cf. 1 Pt 5, 8). Al mattino starò davanti a te, e ti contemplerò. Adesso però, o fratelli, non credete che questo sia il tempo di fare quanto ancora si dice nel salmo: Vo bagnando ogni notte il mio letto, rigando di lacrime il mio giaciglio (Sal 6, 7)? Ogni notte, dice il salmista, piango; brucio dal desiderio della luce. Il Signore vede il mio desiderio; per questo in un altro salmo gli si dice: Ogni mio desiderio ti sta davanti, non ti è nascosto alcun mio gemito (Sal 37, 10). Cerchi l’oro? Non puoi tener nascosto il tuo desiderio: se cerchi l’oro, tutti se ne accorgeranno. Desideri del grano? Ti rivolgi a chi ce l’ha, manifestandogli il desiderio che hai di averlo. Desideri Dio? Chi vede questo desiderio se non Dio? A chi puoi chiedere Dio, così come chiedi il pane, l’acqua, l’oro, l’argento, il grano? A chi ti rivolgerai per avere Dio, se non a Dio? Si chiede Dio a Dio, che ha promesso se stesso. Si dilati la tua anima per il grande desiderio, si protenda in avanti e sempre più si renda capace di accogliere ciò che l’occhio non vede, ciò che l’orecchio non ode, e di cui il cuore umano non ha esperienza (cf. 1 Cor 2, 9). Dio puoi desiderarlo, puoi appassionatamente cercarlo, puoi anelare a lui con tutta l’anima; ma non puoi concepirlo in maniera adeguata e tanto meno esprimerlo a parole. 8. Dunque, fratelli miei, dato che il Signore dice in breve: Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nella tenebra, ma avrà la luce della vita, e con queste brevi parole comanda una cosa e ne promette un’altra, facciamo ciò che comanda in modo da non far cattiva figura quando desideriamo ciò che promette, e non dover temere che nel giudizio debba dirci: Hai fatto ciò che ti ho comandato, per esigere ciò che ti ho promesso? Cosa mi hai dunque comandato, Signore Dio nostro? Di seguirmi, ti risponde. Tu hai chiesto un consiglio per avere la vita; ma quale vita, se non quella di cui è stato detto: Presso di te è la fonte della vita? Un tale si sentì dire: Va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi (Mt 19, 21). Quel tale se ne andò triste e non lo seguì. Era andato a cercare il maestro buono, lo aveva interrogato come dottore e non lo ascoltò come maestro. Si allontanò triste, legato ancora alle sue cupidigie, carico del pesante fardello della sua avarizia. Era affaticato, non ce la faceva più; ma anziché seguire colui che voleva liberarlo dal suo pesante fardello, preferì allontanarsi e abbandonarlo. Ma dopo che il Signore fece sentire la sua voce per mezzo del Vangelo: Venite a me voi tutti che siete stanchi e aggravati, e io vi ristorerò; prendete sopra di voi il mio giogo, e imparate da me che sono mite ed umile di cuore (Mt 11, 28-29), quanti, ascoltando il Vangelo, si misero a fare ciò che non fece quel ricco che aveva raccolto l’invito direttamente dalle labbra del Signore? Mettiamoci a farlo anche noi adesso, seguiamo il Signore, liberandoci dalle catene che ci impediscono di seguirlo. Ma chi potrà liberarsi da tali catene senza l’aiuto di colui al quale è detto: Hai spezzato le mie catene (Sal 115, 16)?, del quale un altro salmo dice: Il Signore scioglie i prigionieri, il Signore raddrizza i curvati (Sal 145, 8)? 9. Cosa seguono coloro che sono stati liberati e raddrizzati, se non la luce dalla quale si sentono dire: Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nella tenebra? Sì, perché il Signore illumina i ciechi. Noi veniamo ora illuminati, o fratelli, con il collirio della fede. Egli dapprima mescolò la sua saliva con la terra per ungere colui che era nato cieco (cf. Gv 9, 6). Anche noi siamo nati ciechi da Adamo, e abbiamo bisogno di essere da lui illuminati. Egli mescolò la saliva con la terra: Il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi (Gv 1, 14). Mescolò la saliva con la terra, perché era stato predetto: La verità è uscita dalla terra (Sal 84, 12), ed egli dice: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Noi godremo pienamente della verità quando lo vedremo faccia a faccia. Anche questo, infatti, ci è stato promesso. E chi oserebbe sperare ciò che Dio non si fosse degnato promettere o dare? Lo vedremo faccia a faccia. Dice l’Apostolo: Adesso conosco in parte, adesso vedo in modo enigmatico come in uno specchio, allora invece faccia a faccia (1 Cor 13, 12). E l’apostolo Giovanni nella sua epistola aggiunge: Carissimi, già adesso noi siamo figli di Dio, ma ancora non si è manifestato ciò che saremo; sappiamo infatti che quando egli si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è (1 Io 3, 2). Che grande promessa è questa! Se lo ami, seguilo! Io lo amo, – tu dici – ma per quale via debbo seguirlo? Vedi, se il Signore tuo Dio ti avesse detto soltanto: Io sono la verità e la vita, il tuo desiderio della verità e il tuo anelito per la vita ti spingerebbero a cercare la via per poter giungere all’una e all’altra, o diresti a te stesso: che grande cosa la verità, che grande cosa la vita, oh se l’anima mia sapesse come giungervi! Cerchi la via? Ascolta il Signore; è la prima cosa che egli ti dice. Ti dice: Io sono la via; la via per arrivare dove? e sono la verità e la vita. Prima ti dice che via devi prendere, poi dove devi arrivare: Io sono la via, io sono la verità, io sono la vita. Dimorando presso il Padre, egli è la verità e la vita; rivestendosi di carne, è diventato la via. Non ti è detto: sforzati di cercare la via per giungere alla verità e alla vita; non ti è stato detto questo. Pigro, alzati! la via stessa è venuta a te e ti ha scosso dal sonno; e se è riuscita a scuoterti, alzati e cammina! Forse tenti di camminare e non riesci perché ti dolgono i piedi; e ti dolgono perché, forse spinto dall’avarizia, hai percorso duri sentieri. Ma il Verbo di Dio è venuto a guarire anche gli storpi. Ecco, dici, io ho i piedi sani, ma non riesco a vedere la via. Ebbene, egli ha anche illuminato i ciechi. 10. Fintantoché, dimorando nel corpo, siamo esuli dal Signore, ci tocca camminare nella fede; ma quando avremo percorso la via e saremo giunti in patria, gusteremo la più grande letizia, godremo la più completa beatitudine. Sarà perfetta pace, perché cesserà ogni contrasto. Frattanto, o fratelli, è difficile che riusciamo a vivere senza contesa. Siamo chiamati a vivere nella concordia, ci è comandato di essere in pace con tutti; dobbiamo sforzarci e impegnare tutte le nostre energie nell’intento di giungere finalmente alla pace più completa; e tuttavia litighiamo per lo più con quelli stessi che sono oggetto delle nostre premure. C’è chi sbaglia e tu vuoi ricondurlo sulla retta via; egli ti oppone resistenza e tu litighi; ti oppone resistenza il pagano, e tu polemizzi contro gli errori degli idoli e dei demoni; ti oppone resistenza l’eretico, e tu attacchi altre dottrine diaboliche; il cattivo cattolico non vuole vivere bene e tu rimproveri anche questo tuo fratello che vive con te: è con te sotto il medesimo tetto ed è sulla via della perdizione; ti struggi nel tentativo di correggerlo, dovendo rendere conto di lui al Signore tuo e suo. Quanti motivi di contese d’ogni parte! Qualche volta, stanco di lottare, uno dice: chi me lo fa fare, di continuare a sopportare quelli che mi contrariano e quelli che mi rendono male per bene? Io voglio aiutarli, ma essi vogliono perdersi; passo la mia vita a litigare, non sono mai in pace; inoltre mi faccio nemici quelli stessi che dovrei avere amici, se tenessero conto della mia premura per loro; perché devo sopportare tutto questo? Voglio ritirarmi da tutto, starmene solo, badare a me stesso e invocare il mio Dio. Sì, rifugiati dentro di te, e anche in te troverai la lotta. Se hai cominciato a seguire Dio, in te ci sarà la lotta. Quale lotta? La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito, e lo spirito desideri contrari a quelli della carne (cf. Gal 5, 17). Ora eccoti, sei solo, solo con te stesso; non devi sopportare nessuno; ma vedi nelle tue membra un’altra legge in contrasto con la legge del tuo spirito, e che tende a renderti schiavo della legge del peccato che è nelle tue membra. Alza, dunque, la tua voce e, in mezzo alla lotta che è dentro di te, grida verso Dio, affinché egli ti metta in pace con te stesso: Infelice uomo che io sono! Chi mi libererà da questo corpo che mi vota alla morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (Rm 7, 24-25). Perché chi segue me – dice il Signore – non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. Una volta risolto ogni contrasto, si conseguirà l’immortalità, perché la morte, ultima nemica, sarà distrutta (1 Cor 15, 26). E quale pace sarà? E’ necessario che questo corpo corruttibile rivesta l’incorruttibilità, e questo corpo mortale rivesta l’immortalità (1 Cor 15, 53). Per giungere a questo, che sarà allora una realtà posseduta, seguiamo ora nella speranza colui che dice: Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.

St Antony Reading by Marco Antonio Bassetti

St Antony Reading by Marco Antonio Bassetti dans immagini sacre Marcantonio_Bassetti_-_St_Antony_Reading_-_WGA01483

https://en.wikipedia.org/wiki/Anthony_of_Padua

Publié dans:immagini sacre |on 13 juin, 2016 |Pas de commentaires »
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