Archive pour le 20 juin, 2016

The Valley of Dry Bones – Ezekiel 37: 1-14

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Publié dans:immagini sacre |on 20 juin, 2016 |Pas de commentaires »

« E VOI, CHI DITE CHE IO SIA? » – LA FEDE: UN’UMILISSIMA FIDUCIA IN DIO

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« E VOI, CHI DITE CHE IO SIA? » – LA FEDE: UN’UMILISSIMA FIDUCIA IN DIO

Frère Roger di Taizé

Se fosse possibile sondare un cuore umano, che cosa vi scopriremmo? La sorpresa sarebbe di scoprirvi la silenziosa attesa di una presenza. Ed ecco che nel Vangelo percepiamo una risposta a questa attesa. San Giovanni lo esprime con queste sorprendenti parole: «In mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete». Chi è Colui che sta in mezzo a noi? È il Cristo, il Risorto. Forse noi lo conosciamo poco, ma lui è vicino ad ogni essere umano. Chi è quel Gesù di cui parla il Vangelo, quel Cristo amore di ogni amore? Sin prima dell’inizio dell’universo, da ogni eternità, Cristo era in Dio. Dalla nascita dell’umanità, è la Parola vivente. Poi, come un umile, è venuto tra gli esseri umani. Dal Vangelo di San Giovanni, capiamo che non è venuto sulla terra per condannare il mondo, ma affinché, per mezzo di lui, ogni creatura umana sia salvata, riconciliata e trovi un cammino illuminato da lui. Se Gesù non avesse vissuto in mezzo a noi, Dio sembrerebbe lontano, irraggiungibile. Ma, per mezzo della sua vita, Gesù ha lasciato trasparire chi è Dio. E oggi, risorto, Cristo vive in noi mediante lo Spirito Santo. Ancor di più è unito ad ogni essere umano senza eccezioni. Se non fosse risorto, non sarebbe presente accanto a noi. rimarrebbe come uno dei personaggi che hanno segnato la storia dell’umanità. Ma non sarebbe possibile dialogare con lui nella preghiera. Non oseremmo invocarlo: Gesù Cristo, in ogni momento mi appoggio su di te; anche quando non arrivo a pregare ti dico: tu, tu sei la mia preghiera. Prima di lasciarli, Cristo ha detto ai suoi discepoli che avrebbe mandato loro lo Spirito Santo, come un sostegno e una consolazione. Allora possiamo fare questa scoperta: allo stesso modo che Cristo è stato presente sulla terra accanto ai suoi discepoli, oggi continua ad esserlo per noi mediante lo Spirito Santo. Più comprensibile per gli uni, più velata per gli altri, la sua misteriosa presenza è sempre viva. E’ come se potessimo sentirlo dire: «Non sai che io sono accanto a te e che, mediante lo Spirito Santo, io vivo in te? Io non ti abbandonerò mai». «Dio può solo dare il suo amore», scriveva nel VII secolo un teologo, Sant’Isacco di Ninive. E il suo amore ci rende la fede accessibile. Ma che cos’è la fede? La fede è un’umile realtà, un’umilissima fiducia in Dio. Se la fede diventasse pretesa spirituale, non porterebbe da nessuna parte. Allora capiamo l’intuizione di Sant’Agostino: «Se hai il semplice desiderio di conoscere Dio, hai già la fede». Nessuno arriva a conoscere Cristo da solo. Ognuno può dirsi: in quell’unica comunione che è il Corpo di Cristo, la sua Chiesa, ciò che io non capisco della fede, altri lo comprendono e ne vivono. Quindi, non mi appoggio solamente sulla mia fede, ma su quella dei cristiani di ogni tempo, coloro che ci hanno preceduto, dagli Apostoli e la Vergine Maria fino a quelli di oggi; e, giorno per giorno, mi dispongo interiormente ad avere fiducia nel Mistero della Fede. Non vorremmo mai dimenticarlo: Cristo è anzitutto comunione. Non è venuto sulla terra per creare una nuova religione, ma per suscitare una comunione d’amore nel suo Corpo, la Chiesa. A Taizè, vogliamo ricordare che la Chiesa è un mistero di comunione, anzi è la comunione per eccellenza. In questa comunione, mediante lo Spirito Santo, persino i timori e le notti delle nostre vite possono scoprire un’aurora delle riconciliazioni e il destarsi di una gioia semplicissima. E nei nostri cuori, a volte fragili, si accende una fiamma d’amore e possiamo avanzare dal dubbio verso il chiarore di una comunione.

Publié dans:meditazioni, TAIZÉ |on 20 juin, 2016 |Pas de commentaires »

DAI « SERMONI »DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (SERM.20/A,2-7. 8) – IL CALICE DELL’UMILIAZIONE

 

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DAI « SERMONI »DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO  (SERM.20/A,2-7. 8) – IL CALICE DELL’UMILIAZIONE

Nessuna cosa è più cara a Dio di colui che è l’immagine di Dio.

Iddio ha posto tutto al di sotto dell’uomo, e l’uomo al di sotto di sé. Vuoi che sia sotto di te tutto ciò che Dio ha fatto? Sii tu sotto di Dio. Sarebbe grande impudenza che tu pretenda che le creature inferiori stiano sotto di te e intanto tu non riconosci sopra di te colui che le ha create. Iddio dunque ha disposto quel che ha creato ponendo sotto di sé colui che è sua immagine e tutto il resto sotto di questa. Accogli lui e ti innalzerai sull’umano. [...] Anche Cristo fu disprezzato. Lui al quale vien detto: In te mi rifugio (Sal 56, 1), è venuto ad esser disprezzato per te, e ti ha redento proprio perché disprezzato. Tu non saresti salvato, se egli non fosse stato disprezzato. Disprezzato in che senso? Perché ha preso la veste di servo, la tua stessa forma. Altro era infatti quel che si nascondeva, altro quel che si vedeva. Si nascondeva Dio, si vedeva l’uomo (cf. At 3, 13). Così l’uomo fu disprezzato, ma da Dio fu glorificato. Tutto dunque, egli che per noi si fece via, tutto ciò che gli uomini quaggiù ambiscono come qualcosa di grande, egli lo rifiutò; egli che tutto aveva, a cui apparteneva il cielo e la terra, per mezzo del quale erano stati fatti il cielo e la terra, al quale nei cieli e nel più alto dei cieli servivano gli angeli, egli che sfugava i demoni, che scacciava le febbri, che apriva gli orecchi ai sordi e gli occhi ai ciechi, che comandava al mare, ai venti e alle tempeste, che risuscitava i morti. Egli tanto poteva, eppure contro di lui tanto poté colui che egli aveva creato. Benché creatore dell’uomo, si sottomise all’uomo, quando apparve come uomo per liberare l’uomo. Si sottomise all’uomo, ma nelle vesti di uomo, nascondendo la divinità; manifestatosi come uomo, come uomo fu disprezzato, riconosciuto più tardi come Dio; ma riconosciuto proprio perché prima era stato disprezzato. E anche a te non volle dare la gloria, se non dopo averti insegnato l’umiltà. Ogni uomo desidera cose sublimi. Ma sulla terra che c’è di sublime? Se dunque desideri cose sublimi, il cielo desidera, le cose celesti desidera, desidera le cose sopracelesti. Brama di essere concittadino degli angeli, anela verso quella città, verso di essa sospira, là dove non perderai l’amico e non dovrai soffrire il nemico, dove non troverai nessuno liberato, perché da quaggiù nessuno vi può portare il suo schiavo. Quella infatti è città eterna, dove nessuno nasce, nessuno muore, dove è perpetua e perfetta sanità, perché la sanità si chiama immortalità. Se tu brami di essere lassù, veramente aspiri a cose sublimi. Questo è il dove; ma considera anche il come. Perché non c’è nessuno che non brami di essere concittadino degli angeli, di godere in Dio, di Dio, sotto Dio, di restare per sempre, di non essere afflitto da nessuna piaga, raggiunto da nessuna vecchiezza, debilitato da nessuna stanchezza, consumato da nessuna malattia e da nessuna morte. Grande cosa, sublime cosa, desiderabile cosa. Tu desideri di arrivarci; ma guarda per dove ci si arriva. Ecco, quei due discepoli di nostro Signore, i santi e grandi fratelli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, come abbiamo letto nel Vangelo, desiderarono dal Signore Dio nostro di poter sedere nel regno uno alla destra e l’altro alla sinistra (cf. Mt 20-23). Essi dunque non desiderarono di esser dei re sulla terra, non ambirono dal Signore Iddio onori caduchi, non di essere ornati di ricchezze, non di avere una famiglia gloriosa, non di essere onorati di clientela, non di essere ingannati da adulatori, ma chiesero veramente qualcosa di grande e di solido, cioè di avere dei seggi nel regno di Dio, in cui si rimane per sempre. È grande cosa quella che desiderarono, ed essi non vengono rimproverati per il desiderio, ma vengono richiamati nell’ordine. In essi il Signore vide il desiderio delle cose grandi e colse l’occasione per insegnare la via dell’umiltà; come se dicesse: « Vedete dove voi aspirate, vedete chi sono io per voi: io che vi ho fatto sono disceso fino a voi, per voi io mi sono umiliato ». Queste parole che sto dicendo veramente non sono nel Vangelo, io però dico la sostanza delle parole che si leggono nel Vangelo. E le parole che sono nel Vangelo adesso ve le rammento, perché vi rendiate conto che quelle che ho detto io sono nate lì, come se quelle fossero le radici e le nostre i rami (cf. Mt 20, 26-27). Quando dunque il Signore ebbe ascoltato il loro desiderio, disse loro: Voi potete bere il calice che io sto per bere? (Mt 20, 22). Voi desiderate di sedere al mio fianco; prima rispondetemi su quanto vi chiedo: Potete bere il calice che io sto per bere? Voi che cercate dei seggi così sublimi, non sarà per voi amaro il calice dell’umiltà? Però quando il precetto è pesante, grande ne è la ricompensa. Il calice della passione, il calice dell’umiliazione non vogliono, non vogliono berlo gli uomini. Desiderano cose sublimi? Amino quelle umili. Per salire in alto bisogna infatti partire dal basso. Nessuno può costruire una fabbrica alta se prima non ha impiantato in basso le fondamenta. Considerate tutte queste cose, fratelli miei, e da qui partite, da qui costruitevi nella fede, per capire la strada per la quale potrete arrivare dove desiderate. Io lo so, lo riconosco: non c’è alcuno tra voi che non desideri l’immortalità, l’eterna gloria e di avere l’amicizia con Dio. Queste cose tutti le desideriamo. Ma dobbiamo conoscere la strada per arrivare, dato che arrivare è desiderio di tutti. Tu, uomo avevi paura di affrontare l’oltraggio dell’umiliazione. Ma è utile per te bere il calice così amaro della passione. Le tue viscere sono tumide, il petto ti si è gonfiato. Bevi l’amaro, per ritrovare la salute. Lo beve anche il medico sano; non vorrà berlo il malato indebolito? Così infatti disse ai figli di Zebedeo: Potete bere il calice? (Mt 20, 22) Però non disse: « Potete bere il calice degli oltraggi, il calice del fiele, il calice dell’aceto, il calice delle amarezze, il calice pieno di veleno, il calice di tutte le sofferenze? ». Se avesse detto così, più olle incoraggiarli li avrebbe spaventati. Ma quando si è in compagnia si ha anche più spinta. E allora che paura hai, o servo? Quel calice lo beve anche il Signore. Che paura hai, o infermo? Lo beve anche il medico. Che paura hai, o infiacchito? Lo beve anche il sano.

IN BREVE… È facile pensare a cose eccelse, è facile compiacersi degli onori, è facile dare ascolto a chi dà assenso e a chi adula. Tollerare la riprensione, udire con pazienza l’ingiuria, pregare per chi oltraggia: ecco il calice del Signore, ecco il convito del Signore. (Serm. 340/A, 5)

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