Gesù appare a Pietro e Paolo

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LA STORIA DELLA SALVEZZA NELLA CATECHESI. RILEGGENDO SOFIA CAVALLETTI, DI ANDREA LONARDO
(ho conosciuto Sofia Cavalletti quando avevo 16 anni, una grande persona)
Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /09 /2011 -
Il 23 agosto 2011 il Signore ha chiamato a sé Sofia Cavalletti all’età di 94 anni. Con questo articolo vogliamo ancora una volta renderle omaggio. Per ulteriori riflessioni sul prezioso contributo di Sofia Cavalletti alla catechesi vedi su questo stesso sito Come pesci nell’acqua di Dio: la potenzialità e l’esigenza religiosa del bambino. La catechesi del “buon pastore”. Per approfondimenti, vedi anche la sezione Catechesi e pastorale e la sezione Sacra Scrittura. Il Centro culturale Gli scritti (3/9/2011)
Le pagine di Heschel sulla differenza tra spazio e tempo sono ormai un classico. La creatura umana può dominare lo spazio, sia muovendosi in esso, sia occupandolo; in contrapposizione a questo, il tempo è «al di là della nostra portata, al di là del nostro potere. È contemporaneamente vicino e lontano, intrinseco a ogni nostra esperienza, eppure trascendente»[1]. Nel suo volume Il potenziale religioso dei bambini tra i 6 e i 12 anni. Descrizione di una esperienza, così Sofia Cavalletti, ripropone nella catechesi le puntuali osservazioni di A. Heschel[2]. La storia della salvezza è così posta immediatamente nell’ordine della grazia ed, insieme, con essa è reso comprensibile il dramma dell’esistenza umana. La Cavalletti sottolinea così che la catechesi è chiamata a mostrare come la storia della salvezza rende la vita dell’uomo intellegibile, quella vita che altrimenti non avrebbe capo e coda[3]: Il messaggio biblico dicevamo – è particolarmente legato al tempo, e al tempo nella concretezza degli eventi della storia. È proprio il senso storico che distingue Israele dagli altri popoli dell’antichità. Per senso storico intendiamo la percezione del concatenamento degli eventi, e quindi di un pensiero che soggiace ad essi; il senso storico è «una forma speciale del pensiero causale, applicato a una successione di eventi politici di una certa estensione»[4]. In Israele non troviamo una filosofia della storia, ma «una intelligenza della storia»[5], cioè una penetrazione sapienziale in essa, una capacità di scrutarne i dati in profondità, per scoprirvi un livello che va oltre i dati. Il profeta, che è l’esponente della spiritualità ebraica, è interprete della storia[6]. E la storia della salvezza opera questa unificazione della storia proprio a partire dalla rivelazione del Dio unico[7]: La storia biblica conserva la necessaria globalità perché in essa gli avvenimenti sono legati insieme dalla costante presenza del Dio unico; è il Dio uno che fa «una» la storia. Le generazioni si susseguono; ma oltre la moltitudine di personaggi maggiori e minori che popolano in folla la scena d’Israele, c’è in essa sempre la presenza costante del Signore della storia. Egli è già presente all’origine di essa e anche prima, perché è l’artefice della creazione, e l’accompagna nel suo fortunoso svolgersi, proiettando la sua presenza alla conclusione di essa. La Cavalletti sottolinea come la “storia della salvezza” acquisisce significato ancor più oggi quando taluni vorrebbero misconoscere le cosiddette “grandi narrazioni” per ritenere plausibili solo micro-narrazioni di frammenti di vita personale. La catechesi è chiamata a custodire tutta l’ampiezza della prospettiva biblica[8]: Il messaggio biblico è un messaggio di speranza. Non si tratta di un progressismo consolatorio, né di un ottimismo preconcetto, che il pensiero post-moderno rifiuta. Lyotard si domanda se oggi sia più possibile «organizzare la folla degli avvenimenti che ci vengono dal mondo, umano e non umano, mettendoli sotto l’Idea di una storia universale dell’umanità»[9]. Vattimo lo nega; per lui «il rendersi conto dell’universalità della storia ha reso impossibile la storia universale»[10]. Perché noi lo affermiamo? Il messaggio biblico si basa su una sapienza, che è così grande da essere considerata rivelata, e su un avvenimento: la risurrezione di Cristo. In lui la vittoria sul male e sulla morte è già una realtà del nostro mondo; ma è limitata alla sua persona. Il progetto di Dio riguarda l’universo. Noi viviamo nel tempo dell’attesa e della speranza. La catechesi del Buon pastore, ideata dalla Cavalletti, non si sofferma così innanzitutto sui singoli episodi della storia biblica, ma prima ancora sulla sua vastità e sulla sua unità[11]: La Bibbia [...] ci permette di parlare dei singoli eventi senza che questi perdano di tensione, a condizione di non perdere d’occhio, nelle singole narrazioni, la globalità della storia in cui esse si realizzano. A nostro avviso la narrazione delle singole bellissime storie bibliche va fatta in riferimento costante al tempo colto nella sua globalità come pure nelle scansioni fondamentali di passato, presente e futuro. È su questa base globale che potranno poi porsi tutte le successive considerazioni sui vari aspetti della storia e sui singoli eventi. La prima considerazione verterà dunque sulla vastità della storia biblica, vastità che va insieme al suo carattere unitario. Il racconto iniziale si appoggia su un materiale che tende a colpire l’immaginazione, guidando alla presa di coscienza della lunghezza della storia[12]: una striscia, lunga oltre 50 metri, viene svolta insieme ai bambini, dicendo che in essa ogni filo rappresenta oltre mille anni. Un filo non è nemmeno un millimetro; quanti fili ci saranno in tutta la storia? Quanti milioni di anni passano fra le nostre mani, mentre svolgiamo la striscia? Il racconto che accompagna questa presentazione parte dalla creazione e dal lunghissimo tempo in cui essa viene realizzata, prima che nel mondo ci sia la presenza della creatura umana. Quando questa appare trova il suo ambiente vitale già pronto; c’è nel mondo tutto quello che può essergli necessario per viverci. Queste sono constatazioni che emergono dall’osservazione stessa della realtà. Da esse può sorgere spontanea la domanda: chi può aver preparato tutto questo per me? La Bibbia fornisce la risposta a questo interrogativo: è Dio che ha creato il mondo, l’uomo e la donna. La Bibbia dà il nome all’artefice della realtà che ci circonda. Tutto è stato fatto per la creatura umana e per questo essa arriva ultima nell’opera della creazione, come l’invitato al banchetto arriva quando la mensa è stata posta e imbandita. Dall’inizio Dio accompagna l’umanità, che, una generazione dopo l’altra, viene a popolare la storia nel suo svolgersi per tappe successive, fino ad entrare egli stesso nella vicenda umana, nella persona di Gesù Cristo. È il momento che chiamiamo redenzione[13]. La presenza costante di Dio dà un senso alla storia e la guida verso una meta: quella di accogliere in pienezza la pienezza di Dio, «Dio tutto in tutto». È quel momento che chiamiamo parusia. Ritroviamo le scansioni fondamentali del tempo – passato, presente e futuro – tenute insieme dalla presenza costante di Dio. Alla percezione di esse – esperienza umana fondamentale – il messaggio biblico aggiunge la presenza di una Persona: quella del Dio della storia. Non siamo soli nel fluire del tempo; c’è Dio che guida la storia con sapienza e amore. La storia si presenta così unitaria e acquista significato: oggi riceviamo l’eredità del passato e conosciamo il traguardo verso cui ci muoviamo. L’incognita del futuro si riempie di speranza. Da questo passaggio emerge la centralità dei tre grandi capisaldi della storia biblica: la creazione, la redenzione che si realizza con l’incarnazione e la parusia. La storia tutta diviene significativa e non è più il regno del caso e della morte di tutto. Proprio questo sguardo ampio come la storia intera permette al bambino di accogliere la propria piccolezza, senza perdere fiducia, anzi maturando la grande speranza[14]: Queste considerazioni si svolgono in un continuo gioco tra piccolo e grande ed educano a prendere il giusto atteggiamento nella realtà. Si dà allora uno strano paradosso: più piccoli ci si sente e più grande è la gioia. La piccolezza diventa in certo modo il «metro» per misurare la grandezza dell’amore di Dio. La piccolezza della creatura, lungi dall’essere coscienza mortificante, dà ali allo spirito, aprendo la persona alla relazione nello stupore e nella gratitudine, in un inno di gioia e di lode. La Cavalletti sottolinea che questa visione unitaria che nasce dall’orizzonte biblico è pienamente confacente alle necessità di un’educazione piena[15]: A nostro avviso ogni opera educativa per essere costruttiva deve essere unitaria, condurre cioè a un punto di convergenza da cui tutto prende significato. Il frammentario non educa nel profondo. Il punto di convergenza però deve essere tale da far spaziare lo sguardo verso l’illimitato. In particolare, proprio la “storia della salvezza” spalanca al bambino orizzonti grandi e non miseri ed ottusi. La Cavalletti si richiama qui alla sua grande ispiratrice pedagogica, Maria Montessori[16]: Queste riflessioni dei bambini sembrano essere espressione di quello che la Montessori chiama «educazione dilatatrice»[17], un’educazione cioè che fa affacciare il bambino a finestre aperte verso l’infinito e l’attrae verso orizzonti sconfinati. L’educazione deve essere tale sul piano conoscitivo, per poterlo essere anche sul piano morale dei comportamenti. «Ingrandire il mondo», ella dice, abbattere ogni barriera che possa impedire la respirazione dell’essere umano nella pienezza delle sue capacità; dare a chi è l’immagine di Dio il cibo che gli corrisponde, perché possa esplicare tutte le sue potenzialità. È quanto già i medioevali chiamavano extensio animi ad magna. Il bambino, infatti, come sottolinea tutto il lavoro della Cavalletti, si nutre e gode di un orizzonte di fede. Esso non si sovrappone a lui come una dura imposizione esterna, bensì gli è connaturale poiché anch’egli è uomo[18]: È nostra convinzione, basata sull’osservazione delle reazioni dei fanciulli, che la teologia essenziale è il cibo che il bambino e il fanciullo cercano, per appagare la loro esigenza di trovare il loro posto nella realtà. E ancora[19]: La sete del fanciullo, non meno di quella del bambino, è teologica. La sete dell’essere umano è teologica.
NOTE AL TESTO – SUL SITO, DA CONSULTARE
19 GIUGNO 2016 | 12A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA
Per cominciare Chi è Gesù? La domanda è molto importante ieri come oggi. Ed è una domanda che coinvolge la storia e ogni persona nei suoi orientamenti di fondo. Gesù sorprende gli apostoli con le parole che rivelano la sua identità. È il « messia sofferente », che realizza la parola dei profeti.
La parola di Dio Zaccaria 12,10-11. Pochi versetti dedicati al messia sofferente, discendente di Davide. Altri profeti descriveranno le sue sofferenze in modo ben più dettagliato. Zaccaria viene citato da Giovanni, quando vede morire Gesù sulla croce (19,37). Galati 3,26-29. In Gesù, dice Paolo, vengono abolite tutte le distinzioni ed è riconosciuta a ogni persona la piena dignità, quella unica e identica dei figli di Dio. Luca 9,18-24. Gesù mette gli apostoli di fronte a una domanda che li costringe a schierarsi: dovranno dire quale opinione si sono fatta finora di lui. È Pietro a rispondere per tutti, ma la sua risposta non ha lo stesso significato per lui e per Gesù.
Riflettere « Chi è Gesù? » è una delle domande più impegnative a livello personale, ma è anche una di quelle domande che può cambiare il senso della storia. Se la sono posta miliardi di persone negli ultimi duemila anni. Una domanda che non è nuova e che era già sulla bocca di tanti durante la sua vita pubblica. La domanda la si trova nei tre vangeli sinottici e viene fatta agli apostoli da Gesù stesso. Da sempre Gesù fa discutere. C’è chi ha scelto di vivere come lui ed è disposto a dare la vita per lui. C’è chi vuole difenderlo e mette la sua cultura a servizio delle proprie convinzioni. Montagne di libri hanno analizzato e meditato ogni episodio della sua vita. Qualche tempo fa una rivista underground ha fatto circolare un manifesto con l’identikit di Gesù. Presentava Gesù come un ricercato a piede libero: in alto la scritta Wanted, al fondo l’elenco delle sue scelte controcorrente e libere. Perché Gesù è stato insieme un profeta itinerante, apparentemente un po’ anarchico, ma anche il Figlio di Dio che parla con autorità, affascina e manda in crisi. « Mai un uomo ha parlato così! » (Gv 7,46). Perdona i peccati come solo Dio può fare e fa miracoli. Alla domanda di Gesù seguono le risposte degli apostoli: la gente lo considera un grande profeta, il Battista o Elia ritornati in vita. Gesù però li incalza e rende personalissima la sua domanda: « Ma voi, chi dite che io sia? ». Pietro esprime il suo atto di fede pieno a nome di tutti: « Tu sei il Cristo di Dio ». Altrove Gesù fa l’elogio delle parole di Pietro, qui invece, l’evangelista Luca precisa che Gesù immediatamente corregge l’idea che Pietro e gli altri potevano avere del messia: « Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno ». La parola di Gesù scende su di loro come una doccia fredda. Morivano qui le loro ambizioni, anche se l’idea di un messia glorioso e vittorioso rimarrà ancora in loro ben radicata. Lo scandalo della croce rivelerà la fragilità della loro fede. Si riveleranno delusi, traditori e codardi. Eppure alla fine, nonostante tutto, gli apostoli lo seguiranno e conosceranno anch’essi il travaglio e l’umiliazione del martirio.
Attualizzare « Una mattina di primavera dell’anno 30 circa dell’Era Volgare, tre uomini furono giustiziati in Giudea dalle autorità romane. Due erano briganti, cioè predoni, banditi o assassini interessati solo al profitto personale, o forse ribelli le cui azioni di brigantaggio avevano un fine politico. Il terzo fu giustiziato come criminale politico di altro tipo. Non si era reso responsabile di razzie, non aveva depredato, assassinato o magari accumulato armi. Era stato invece condannato per aver preteso di essere re dei Giudei » (E.P. Sanders). In quella mattina di primavera, i Romani, senza saperlo, avevano messo in croce l’uomo più libero della storia. Un ebreo che si era consegnato alla morte per non rimangiarsi nessuna delle parole che aveva pronunciato nella sia vita. « Chi è Gesù? » ci domandiamo ancora oggi, dopo duemila anni. Ma la domanda non è nuova ed era sulla bocca di tanti già durante la sua vita pubblica. È originario di Nazaret di Galilea (Mc 1, 9), a quel tempo poco più di un villaggio. Tutti si conoscono sin da bambini tra quelle case, dove non avviene mai niente di straordinario. Ma Gesù, raggiunti i trent’anni, cambia vita, si presenta in piena libertà e autorità, provoca tra i suoi compaesani sorpresa, scandalo e indignazione (Lc 4, 14 30). Gesù porta con sé tutte le caratteristiche di chi è nato in campagna, in un ambiente agreste e famigliare, ed è probabile che non abbia mai avuto l’occasione di spingersi fuori dai confini della sua regione. Eppure dimostra di avere una conoscenza profonda delle persone e della storia, di conoscere le grandi culture del suo tempo. Ha trent’anni, ma non ha messo su famiglia. Sceglie invece di darsi alla predicazione e alla vita itinerante, attirando l’attenzione di molte persone. E il suo modo di agire suscita reazioni divergenti. « C’è gioia per le aperture che offre, ma genera anche confusione. Per alcuni provoca addirittura scandalo perché non ha peli sulla lingua e perché si muove in ambienti ritenuti poco raccomandabili dalla gente osservante del suo tempo. Gesù dispone di poteri straordinari. I malati sono guariti e gli indemoniati sono liberati dagli spiriti che li tormentano. La gente lo ammira. Ma egli incontra anche opposizione ed entra in conflitto con i capi religiosi » (Cees J. den Heyer). La vita di Gesù non finirà mai di sorprenderci. Risponde pienamente alle attese della storia e nello stesso tempo scandalizza chi lo avrebbe voluto diverso, e soprattutto chi non si è rassegnato a vederlo uomo indifeso, umanissimo, sconfitto. Inchiodato a una croce. Carlo Carretto parlando di Gesù, dice che gli ebrei in lui si aspettavano « un Dio potente, un Dio che risolvesse tutti i problemi, un Dio che eliminasse i cattivi, che vincesse i nemici in modo visibile a tutti ». Invece Gesù apparve come un bambino, fu un semplice artigiano, e non si servì dei suoi poteri per trovare il pane. Non si alleò coi potenti per dominare, non si buttò giù dal tempio per fare un miracolo e far crescere le nostre sicurezze. E quando venne la prova non scappò. « Come uomo, uomo vero, uomo uomo, accettò il processo e la condanna, prese la croce sulle spalle, marciò piangendo verso il luogo dei cranio dove sarebbe stato crocifisso ». Di fronte a questo Gesù così umano e così vicino a noi, difficilmente rimaniamo indifferenti. L’importante è metterci davanti a lui con una curiosità nuova, rifiutando l’idea che sono cose che conosciamo già fin dalla prima comunione.
Gesù è così « Gesù è strano, perché non è farina dei nostro mulino… La fede è come l’amore. Ti incanti e ti butti senza avere la prova, la certezza matematica che ci stai azzeccando. Davvero Gesù è strano. Se avesse voluto che tutti credessero senza dubbio alla sua risurrezione, avrebbe potuto apparire sulla piazza di Gerusalemme, o nel palazzo di Pilato! Macché! Ha affidato la notizia della sua risurrezione alle donne, che erano ritenute bugiarde per natura… » (Tonino Lasconi) Don Umberto DE VANNA sdb