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La peccatrice perdonata

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IL PROFUMO DELLA PECCATRICE ( LC 7, 36-50) – PAPA FRANCESCO

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IL PROFUMO DELLA PECCATRICE ( LC 7, 36-50) – PAPA FRANCESCO

Il Signore salva «solamente chi sa aprire il cuore e riconoscersi peccatore». È l’insegnamento che Papa Francesco ha tratto dal brano liturgico del Vangelo di Luca (7, 36-50) durante la messa celebrata giovedì mattina, 18 settembre, a Santa Marta. Si tratta del racconto della peccatrice che, durante un pranzo in casa di un fariseo, senza nemmeno essere invitata si avvicina a Cristo con «un vaso di profumo» e «stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo», comincia «a bagnarli di lacrime», poi li asciuga «con i suoi capelli», li bacia e li cosparge di profumo. Il Pontefice ha spiegato che proprio «riconoscere i peccati, la nostra miseria, riconoscere quello che siamo e che siamo capaci di fare o abbiamo fatto è la porta che si apre alla carezza di Gesù, al perdono di Gesù, alla parola di Gesù: Vai in pace, la tua fede ti salva, perché sei stato coraggioso, sei stata coraggiosa ad aprire il tuo cuore a colui che soltanto può salvarti». In proposito il Papa ha ripetuto un’espressione a lui particolarmente cara: «il posto privilegiato dell’incontro con Cristo sono i propri peccati». A un orecchio poco attento questa «sembrerebbe quasi un’eresia — ha commentato — ma lo diceva anche San Paolo» quando nella seconda Lettera ai Corinti (12, 9) affermava di vantarsi «di due cose soltanto: dei propri peccati e di Cristo Risorto che lo ha salvato». Colui «che aveva invitato Gesù a pranzo — ha fatto notare — era una persona di un certo livello, di cultura, forse un universitario. Voleva sentire la dottrina di Gesù, perché come buona persona di cultura era inquieto», cercava di «conoscere di più». E «non sembra che fosse una persona cattiva», come non lo sembrano neanche «gli altri che erano a tavola». Finché non irrompe nel banchetto una figura femminile: in fondo «una maleducata» che «entra proprio dove non era invitata. Una che non aveva cultura o se l’aveva, qui non l’ha mostrato». Difatti «entra e fa quello che vuol fare: senza chiedere scusa, senza chiedere permesso». E in tutto questo, ha osservato il Papa, «Gesù lascia fare». È allora che la realtà si svela dietro la facciata delle buone maniere, con il fariseo che comincia a pensare tra sé: «Se costui fosse un profeta saprebbe chi è e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice». Quest’uomo «non era cattivo», eppure «non riesce a capire quel gesto della donna. Non riesce a capire i gesti elementari della gente». Forse, ha sottolineato Francesco, «quest’uomo aveva dimenticato come si carezza un bambino, come si consola una nonna. Nelle sue teorie, nei suoi pensieri, nella sua vita di governo — perché forse era un consigliere dei farisei — aveva dimenticato i primi gesti della vita che noi tutti, appena nati, abbiamo incominciato a ricevere dai nostri genitori». Insomma, «era lontano dalla realtà». Solo così, ha proseguito il Papa, si spiega «l’accusa» mossa a Gesù: «Questo è un santone! Ci parla di cose belle, fa un po’ di magia; è un guaritore; ma alla fine non conosce la gente, perché se sapesse di che genere è questa avrebbe detto qualcosa». Ecco allora «due atteggiamenti» molto differenti tra loro: da una parte quello dell’«uomo che vede e qualifica», giudica; e dall’altro quello della «donna che piange e fa cose che sembrano pazzie», perché utilizza un profumo che «è caro, è costoso». In particolare il Pontefice si è soffermato sul fatto che nel Vangelo si utilizzi la parola «unzione» per significare che il «profumo della donna unge: ha la capacità di diventare un’unzione», al contrario delle parole del fariseo che «non arrivano al cuore, non arrivano al corpo, non arrivano alla realtà». In mezzo a queste due figure così antitetiche c’è Gesù, con «la sua pazienza, il suo amore», la sua «voglia di salvare tutti», che «lo porta a spiegare al fariseo cosa significa quello che fa questa donna» e a rimproverarlo, sia pure «con umiltà e tenerezza», per aver mancato di «cortesia» nei suoi confronti. «Sono entrato in casa tua — gli dice — e non mi hai dato l’acqua per i piedi; non mi hai dato un bacio; non hai unto con olio il mio capo. Invece lei fa tutto questo: con le sue lacrime, con i suoi capelli, col suo profumo». Il Vangelo non dice «com’è finita la storia per quest’uomo», ma dice chiaramente «come è finita per la donna: « I tuoi peccati sono perdonati! »». Una frase, questa, che scandalizza i commensali, i quali cominciano a confabulare tra loro chiedendosi: «Ma chi è costui che perdona i peccati?». Mentre Gesù prosegue dritto per la sua strada e «dice quella frase tanto ripetuta nel Vangelo: « Vai in pace, la tua fede ti ha salvata! »». Insomma, «a lei si dice che i peccati sono perdonati, agli altri Gesù fa vedere soltanto i gesti e spiega i gesti, anche i gesti non fatti, ossia quello che non hanno fatto con lui». È una differenza che Francesco ha voluto rimarcare: nel comportamento della donna «c’è molto, tanto amore», mentre riguardo a quello dei commensali Gesù «non dice che manca» l’amore, «ma lo fa capire». Di conseguenza «la parola salvezza — « La tua fede ti ha salvata! » — la dice soltanto alla donna, che è una peccatrice. E la dice perché lei è riuscita a piangere i suoi peccati, a confessare i suoi peccati, a dire: « Io sono una peccatrice »». Al contrario, «non la dice a quella gente», che pure «non era cattiva», anche perché queste persone «si credevano non peccatori». Per loro «i peccatori erano gli altri: i pubblicani, le prostitute». Ecco allora l’insegnamento del Vangelo: «La salvezza entra nel cuore soltanto quando noi apriamo il cuore nella verità dei nostri peccati». Certo, ha argomentato il vescovo di Roma, «nessuno di noi andrà a fare il gesto che ha fatto questa donna», perché si tratta di «un gesto culturale dell’epoca; ma tutti noi abbiamo la possibilità di piangere, tutti noi abbiamo la possibilità di aprirci e dire: Signore, salvami! Tutti noi abbiamo la possibilità di incontrarci col Signore». Anche perché, ha affermato, «a quell’altra gente, in questo passo del Vangelo, Gesù non dice niente. Ma in un altro passo dirà quella parola terribile: « Ipocriti, perché vi siete staccati dalla realtà, della verità! ». E ancora, riferendosi all’esempio di questa peccatrice, ammonirà: «Pensate bene, saranno le prostitute e i pubblicani che vi precederanno nel regno dei cieli!». Perché loro — ha concluso — «si sentono peccatori» e «aprono il loro cuore nella confessione dei peccati, all’incontro con Gesù, che ha dato il sangue per tutti noi».

 

12 GIUGNO 2016 | 11A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA

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12 GIUGNO 2016 | 11A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA

Per cominciare Gesù si trova tra due fronti, da una parte i rigorosi farisei, che lo contestano; dall’altra una peccatrice pubblica, che si presenta davanti a lui a sorpresa. Ma Gesù perdona la peccatrice « poiché ha molto amato ». Molti secoli prima, Iahvè perdona Davide, nonostante il suo terribile peccato. Agli occhi di Dio è sempre possibile rifarsi una vita, pentirsi, ricominciare a vivere e ad amare.

La parola di Dio 2 Samuele 12,7-10.13. Davide si è macchiato di adulterio, e nella necessità di nasconderlo, si rende traditore e assassino. Eppure, nonostante l’abisso di peccato in cui è caduto, spinto dalle dure parole del profeta Natan che lo accusa a nome di Dio, si pente e ottiene il perdono. Galati 2,16.19-21. Non è la legge che giustifica l’uomo, ma la fede in Gesù Cristo. È questo uno dei messaggi centrali della predicazione di Paolo: se fosse bastata l’osservanza della legge a salvare l’uomo, non c’era bisogno della croce di Gesù. Luca 7,36 8,3. Gesù fa riflettere un fariseo che lo invita a pranzo, e che lo osserva con una certa diffidenza, soprattutto quando vede che Gesù accoglie e perdona una peccatrice.

Riflettere Davide si prende Betsabea con l’autorità di un sovrano a cui tutto è lecito. E poi pensa di dover difendere la propria onorabilità pubblica commettendo un atroce delitto contro un uomo fedele e indifeso. Davide ha tutto, ma non gli basta. Si prende quella donna e si sbarazza con violenza e cinismo del marito. Com’è diverso ora da quell’umile e coraggioso pastorello che Samuele ha consacrato per servire il suo popolo! Ma il « Miserere », che è uno dei salmi penitenziali più significativi, tuttora in uso nella preghiera della chiesa, ci parla della sincerità del suo pentimento e della fragilità dell’uomo, anche di chi si è reso glorioso per le sue imprese. Salomone, il figlio del peccato, succederà a Davide e renderà stabile la sua discendenza. Paolo nel brano della sua lettera ai Galati sembra già anticipare il tema di questa domenica e rispondere al fariseo che ha ospitato Gesù. Non è il formalismo di una legge accolta e osservata con scrupolo, ma senza amore, che salva l’uomo. Solo la capacità di accogliere l’altro e le situazioni con amore, apertura e disponibilità salva e dà un senso pieno alla vita. L’episodio è uno dei più belli, se si possono fare delle classificazioni sul vangelo, ed è dedicato proprio per quelle persone maledettamente « per bene » come il fariseo, abituate a condotte di vita irreprensibili, ma che si rivelano chiuse nei confronti di persone e situazioni problematiche. Chi è questa donna? Il vangelo dice che « era una peccatrice di quella città ». Forse il suo animo era stato colpito nel profondo dalla predicazione di Gesù, dalle sue parole e dal suo sguardo buono e accogliente. Ha capito il cuore di Gesù e si prende la libertà di entrare non invitata nella casa di un fariseo osservante per incontrarlo e manifestargli il suo amore e il suo pentimento. Il fariseo ha avuto certamente una buona dose di coraggio ad accogliere Gesù. Non ha temuto di staccarsi dal gruppo di chi andava ad ascoltare Gesù solo per poterlo accusare e trovarlo in errore. Ma cerca di non sbilanciarsi troppo, e sorride ironico, quando vede Gesù che sembra non capire chi è la donna che lo avvicina. Una donna che verso Gesù si direbbe che compia i gesti tipici di una prostituta: bacia i suoi piedi, li cosparge di profumo, li asciuga con i suoi capelli. Ma versa anche tante lacrime, lacrime di pentimento. Un altro avrebbe provato sicuramente imbarazzo di fronte a questi gesti, forse addirittura ribrezzo; ma non Gesù, che distingue il peccato dal peccatore. « Chi è senza peccato, scagli la prima pietra », aveva detto in un’altra circostanza, ricordando a quei farisei la situazione di peccato che ci accomuna tutti. Quella donna versa lacrime di pentimento e di dolore per la sua vita sbagliata. « Ho conosciuto persone che avevano solcato il loro viso di lacrime, avevano scavato solchi nelle loro guance a forza di piangere », dice sant’Ambrogio, sottolineando che il dono delle lacrime è importante per trasformare in profondità un peccatore, per indicare la sincerità del loro pentimento. Certo questa donna non poteva rendere la scena più imbarazzante e più trasparente il solco che divideva i rigidi farisei, difensori strenui della legge, da lei, una peccatrice pubblica, e il suo mondo. Gesù aiuta però il fariseo a riflettere sul senso del perdono. A chi molto è stato perdonato, molto ama, dice. L’amore cancella una moltitudine di peccati, trasforma in profondità una persona dal suo passato di errori, e le restituisce piena la dignità. Questa donna di fede riprende la sua esistenza come se uscisse ancora una volta dalle mani del Creatore. Gesù ripete per lei le parole: « Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza ». La donna ha ferito profondamente la sua umanità, è stata vinta dalla sua debolezza, ma ora vive con gioia questo nuovo inizio: « La tua fede ti ha salvata », dice Gesù: « Ti sono rimessi i tuoi peccati ».

Attualizzare Il fariseo sembra offrire a Gesù un’ospitalità sincera, ma poi non vuole sbilanciarsi troppo, evita i gesti tradizionali dell’ospitalità e lo osserva come per giudicarlo. D’altra parte si sente giusto, non cerca il perdono. È un arrivato, fa parte di una categoria di fedelissimi, di chi fa dell’osservanza della legge la propria bandiera. L’improvvisa e non prevista comparsa della donna scombussola le cose, e rivela l’animo dei due. Gesù fa l’elogio di quella donna e della sua trasformazione (quante volte Luca parla bene delle donne nel suo vangelo e negli Atti!). Molti di noi, presenti alla messa della domenica e che forse collaboriamo in parrocchia, siamo sicuramente persone per bene, oneste, magari irreprensibili. Eppure oggi siamo chiamati (o costretti) a un severo esame di coscienza, per chiederci quanto fariseismo ci può essere nella nostra vita. Perché è quasi inevitabile classificare le persone per categorie, magari considerare persone di secondo livello quelli che non vengono a messa, tenere per bene le distanze con chi si comporta in modo discutibile e fa scelte che non sono le nostre. Mentre sarebbe nostro compito comportarci come Gesù (ci diciamo cristiani per questo!) aprirci alla misericordia, all’accoglienza, al perdono. Ma qui si può aprire una finestra sul sacramento della riconciliazione. Perché anche noi abbiamo peccato, anche noi abbiamo bisogno di essere accolti per rifarci l’anima. Per questo quella donna perdonata da Gesù in qualche modo ci rappresenta tutti. Abbiamo tutti bisogno di comunicare a qualcuno il nostro peccato e il nostro pentimento, e di incontrare chi sia in grado di liberarci. Lungo i secoli la chiesa ha usato modi diversi di donare il perdono a nome di Gesù. Da molti secoli amministra il sacramento attraverso la mediazione del sacerdote. Ma quando sono ben disposto, il sacerdote praticamente riconosce un perdono che è già scattato tra me e Dio, e l’assoluzione sancisce un perdono già avvenuto. Prende atto del mio pentimento. Vede che l’amore mi ha già profondamente rinnovato e reso nuovo.

Anche il testa rapata ha un cuore Metropolitana. Non è l’ora di punta, ma quasi. Le facce sono chiuse, distratte, indifferenti. Sale un ragazzo che inizia una tiritera sul suo paese in guerra, i fratelli, la mancanza di lavoro, la fame. Poi allunga la mano e comincia girare chiedendo l’elemosina. « Di nuovo », « Non è possibile », « È il terzo oggi », « Finché trovano qualcuno che gli dà qualcosa non la smetteranno mai! ». L’aria è piena di questo brusio iroso e ostile. Il ragazzo è ormai a metà vettura e non ha raccolto praticamente nulla. Si ferma davanti a una testa rapata, un duro, occhi di ghiaccio, giubbotto, calzoni e stivaletti neri. Penso che sia meglio che si tolga di lì, altrimenti si becca una spinta o peggio. Ma il ragazzo ha fegato, resta fermo e con la mano aperta aspetta, guardando l’altro negli occhi. Nella vettura non vola una mosca. Lentamente, senza mai staccare lo sguardo dal ragazzo, il testa rapata cerca in tasca una moneta e gliela mette in mano.

Don Umberto DE VANNA sdb

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