Archive pour juin, 2016

Sacred Heart of Jesus

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Publié dans:immagini sacre |on 28 juin, 2016 |Pas de commentaires »

PRIMA LA BONTÀ ERA NASCOSTA (DA SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE)

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PRIMA LA BONTÀ ERA NASCOSTA (DA SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE)  

dai « Discorsi » di san Bernardo, abate (Disc. 1 per l’Epifania, 1-2; PL 133, 141-143)

Si sono manifestate la bontà e l’umanità di Dio Salvatore nostro (cfr. Tt 2, 11). Ringraziamo Dio che ci fa godere di una consolazione così grande in questo nostro pellegrinaggio di esuli, in questa nostra miseria. Prima che apparisse l’umanità, la bontà era nascosta: eppure c’era anche prima, perché la misericordia di Dio è dall’eternità. Ma come si poteva sapere che è così grande? Era promessa, ma non si faceva sentire, e quindi da molti non era creduta. Molte volte e in diversi modi il Signore parlava nei profeti (cfr. Eb 1, 1). Io – diceva – nutro pensieri di pace, non di afflizione (cfr. Ger 29, 11). Ma che cosa rispondeva l’uomo, sentendo l’afflizione e non conoscendo la pace? Per questo gli annunziatori di pace piangevano amaramente (cfr. Is 33, 7) dicendo: Signore, chi ha creduto al nostro annunzio? (cfr. Is 53, 1). Ma ora almeno gli uomini credono dopo che hanno visto, perché la testimonianza di Dio è diventata pienamente credibile (cfr. Salmo 92, 5). Per non restare nascosto neppure all’occhio torbido, Egli ha posto nel sole il suo tabernacolo (cfr. Salmo 18, 6). Ecco la pace: non promessa, ma inviata; non differita, ma donata; non profetata, ma presente. Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto; un sacco certo piccolo, ma pieno, se ci è stato dato un Piccolo (cfr. Is 9, 5) in cui però « abita corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2, 9). Quando venne la pienezza dei tempi, venne anche la pienezza della divinità. Venne Dio nella carne per rivelarsi anche agli uomini che sono di carne, e perché fosse riconosciuta la sua bontà manifestandosi nell’umanità. Manifestandosi Dio nell’uomo, non può più esserne nascosta la bontà. Quale prova migliore della sua bontà poteva dare se non assumendo la mia carne? Proprio la mia, non la carne che Adamo ebbe prima della colpa. Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver egli assunto la nostra stessa miseria. Signore, che è quest’uomo perché ti curi di lui e a lui rivolga la tua attenzione? (cfr. Salmo 8, 5; Eb 2, 6). Da questo sappia l’uomo quanto Dio si curi di lui, e conosca che cosa pensi e senta nei suoi riguardi. Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto lui. Da quello a cui egli giunse per te, riconosci quanto tu valga per lui, e capirai la sua bontà attraverso la sua umanità. Come si è fatto piccolo incarnandosi, così si è mostrato grande nella bontà; e mi è tanto più caro quanto più per me si è abbassato. Si sono manifestate – dice l’Apostolo – la bontà e l’umanità di Dio nostro Salvatore (cfr. Tt 3, 4). Grande certo è la bontà di Dio e certo una grande prova di bontà egli ha dato congiungendo la divinità con l’umanità.

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN ARMENIA (24-26 GIUGNO 2016)

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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN ARMENIA (24-26 GIUGNO 2016)

SANTA MESSA

OMELIA DEL SANTO PADRE

Gyumri, Piazza Vartanants

Sabato, 25 giugno 2016

«Riedificheranno le rovine antiche, restaureranno le città desolate» (Is 61,4). In questi luoghi, cari fratelli e sorelle, possiamo dire che si sono realizzate le parole del profeta Isaia che abbiamo ascoltato. Dopo le terribili devastazioni del terremoto, ci troviamo oggi qui a rendere grazie a Dio per tutto quanto è stato ricostruito. Potremmo però anche domandarci: che cosa il Signore ci invita a costruire oggi nella vita, e soprattutto: su che cosa ci chiama a costruire la nostra vita? Vorrei proporvi, nel cercare di rispondere a questa domanda, tre basi stabili cu cui possiamo edificare e riedificare la vita cristiana, senza stancarci. Il primo fondamento è la memoria. Una grazia da chiedere è quella di saper recuperare la memoria, la memoria di quello che il Signore ha compiuto in noi e per noi: richiamare alla mente che, come dice il Vangelo odierno, Egli non ci ha dimenticato, ma «si è ricordato» (Lc 1,72) di noi: ci ha scelti, amati, chiamati e perdonati; ci sono stati grandi avvenimenti nella nostra personale storia di amore con Lui, che vanno ravvivati con la mente e con il cuore. Ma c’è anche un’altra memoria da custodire: la memoria del popolo. I popoli hanno infatti una memoria, come le persone. E la memoria del vostro popolo è molto antica e preziosa. Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli. Anche fra tremende avversità, potremmo dire con il Vangelo di oggi, il Signore ha visitato il vostro popolo (cfr Lc 1,68): si è ricordato della vostra fedeltà al Vangelo, della primizia della vostra fede, di tutti coloro che hanno testimoniato, anche a costo del sangue, che l’amore di Dio vale più della vita (cfr Sal 63,4). È bello per voi poter ricordare con gratitudine che la fede cristiana è diventata il respiro del vostro popolo e il cuore della sua memoria.La fede è anche la speranza per il vostro avvenire, la luce nel cammino della vita, ed è il secondo fondamento di cui vorrei parlarvi. C’è sempre un pericolo, che può far sbiadire la luce della fede: è la tentazione di ridurla a qualcosa del passato, a qualcosa di importante ma che appartiene ad altri tempi, come se la fede fosse un bel libro di miniature da conservare in un museo. Tuttavia, se rinchiusa negli archivi della storia, la fede perde la sua forza trasformante, la sua bellezza vivace, la sua positiva apertura verso tutti. La fede, invece, nasce e rinasce dall’incontro vivificante con Gesù, dall’esperienza della sua misericordia che dà luce a tutte le situazioni della vita. Ci farà bene ravvivare ogni giorno questo incontro vivo con il Signore. Ci farà bene leggere la Parola di Dio e aprirci nella preghiera silenziosa al suo amore. Ci farà bene lasciare che l’incontro con la tenerezza del Signore accenda la gioia nel cuore: una gioia più grande della tristezza, una gioia che resiste anche di fronte al dolore, trasformandosi in pace. Tutto questo rinnova la vita, la rende libera e docile alle sorprese, pronta e disponibile per il Signore e per gli altri. Può succedere anche che Gesù chiami a seguirlo più da vicino, a donare la vita a Lui e ai fratelli: quando invita, specialmente voi giovani, non abbiate paura, ditegli di “sì”! Egli ci conosce, ci ama davvero, e desidera liberare il cuore dai pesi del timore e dell’orgoglio. Facendo spazio a Lui, diventiamo capaci di irradiare amore. Potrete in questo modo dar seguito alla vostra grande storia di evangelizzazione, di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno in questi tempi tribolati, che sono però anche i tempi della misericordia. Il terzo fondamento, dopo la memoria e la fede, è proprio l’amore misericordioso: è su questa roccia, sulla roccia dell’amore ricevuto da Dio e offerto al prossimo, che si basa la vita del discepolo di Gesù. Ed è vivendo la carità che il volto della Chiesa ringiovanisce e diventa attraente. L’amore concreto è il biglietto da visita del cristiano: altri modi di presentarsi possono essere fuorvianti e persino inutili, perché da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli: se abbiamo amore gli uni per gli altri (cfr Gv 13,35). Siamo chiamati anzitutto a costruire e ricostruire vie di comunione, senza mai stancarci, a edificare ponti di unione e a superare le barriere di separazione. Che i credenti diano sempre l’esempio, collaborando tra di loro nel rispetto reciproco e nel dialogo, sapendo che «l’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande!» (Giovanni Paolo II, Omelia, 27 settembre 2001: Insegnamenti XXIV,2 [2001], 478). Il profeta Isaia, nella prima lettura, ci ha ricordato che lo spirito del Signore è sempre con chi porta il lieto annuncio ai miseri, fascia le piaghe dei cuori spezzati e consola gli afflitti (cfr 61,1-2). Dio dimora nel cuore di chi ama; Dio abita dove si ama, specialmente dove ci si prende cura, con coraggio e compassione, dei deboli e dei poveri. C’è tanto bisogno di questo: c’è bisogno di cristiani che non si lascino abbattere dalle fatiche e non si scoraggino per le avversità, ma siano disponibili e aperti, pronti a servire; c’è bisogno di uomini di buona volontà, che di fatto e non solo a parole aiutino i fratelli e le sorelle in difficoltà; c’è bisogno di società più giuste, nelle quali ciascuno possa avere una vita dignitosa e in primo luogo un lavoro equamente retribuito. Potremmo però chiederci: come si può diventare misericordiosi, con tutti i difetti e le miserie che ciascuno vede dentro di sé e attorno a sé? Vorrei ispirarmi a un esempio concreto, ad un grande araldo della misericordia divina, che ho voluto proporre all’attenzione di tutti annoverandolo tra i Dottori della Chiesa universale: san Gregorio di Narek, parola e voce dell’Armenia. È difficile trovare qualcuno pari a lui nello scandagliare le abissali miserie che si possono annidare nel cuore dell’uomo. Egli, però, ha sempre posto in dialogo le miserie umane e la misericordia di Dio, elevando un’accorata supplica fatta di lacrime e fiducia al Signore, «datore dei doni, bontà per natura […], voce di consolazione, notizia di conforto, slancio di gioia, […] tenerezza impareggiabile, misericordia traboccante, […] bacio salvifico» (Libro delle lamentazioni, 3,1), nella certezza che «mai è adombrata dalle tenebre della rabbia la luce della [sua] misericordia» (ibid., 16,1). Gregorio di Narek è un maestro di vita, perché ci insegna che è anzitutto importante riconoscerci bisognosi di misericordia e poi, di fronte alle miserie e alle ferite che percepiamo, non chiuderci in noi stessi, ma aprirci con sincerità e fiducia al Signore, «Dio vicino, tenerezza di bontà» (ibid., 17,2), «pieno d’amore per l’uomo, […] fuoco che consuma la sterpaglia del peccato» (ibid., 16,2). Con le sue parole vorrei infine invocare la misericordia divina e il dono di non stancarci mai di amare: Spirito Santo, «potente protettore, intercessore e pacificatore, noi ti rivolgiamo le nostre suppliche […] Accordaci la grazia di incoraggiarci alla carità e alle opere buone […] Spirito di dolcezza, di compassione, di amore per l’uomo e di misericordia, […] Tu che non sei altro che misericordia, […] abbi pietà di noi, Signore nostro Dio, secondo la tua grande misericordia» (Inno di Pentecoste). Al termine di questa Celebrazione desidero esprimere viva gratitudine al Catholicos Karekin II e all’Arcivescovo Minassian per le cortesi parole che mi hanno rivolto, come pure al Patriarca Ghabroyan e ai Vescovi presenti, ai sacerdoti e alle Autorità che ci hanno accolto. Ringrazio tutti voi che avete partecipato, giungendo a Gyumri anche da diverse regioni e dalla vicina Georgia. Vorrei in particolare salutare chi, con tanta generosità e amore concreto, aiuta quanti si trovano nel bisogno. Penso soprattutto all’ospedale di Ashotsk, inaugurato venticinque anni fa e conosciuto come l’“Ospedale del Papa”: nato dal cuore di san Giovanni Paolo II, è ancora una presenza tanto importante e vicina a chi soffre; penso alle opere portate avanti dalla comunità cattolica locale, dalle Suore Armene dell’Immacolata Concezione e delle Missionarie della Carità della beata Madre Teresa di Calcutta. La Vergine Maria, nostra Madre, vi accompagni sempre e guidi i passi di tutti sulla via della fraternità e della pace.

26 GIUGNO 2016 | 13A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA

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26 GIUGNO 2016 | 13A DOMENICA T. ORDINARIO – ANNO C | OMELIA

Per cominciare Questa domenica si parla di « vocazione ». Quella di Eliseo, che il Signore chiama a succedere al profeta Elia nella sua stessa missione. E quella di alcuni anonimi che incontrano Gesù, che si sta dirigendo verso Gerusalemme, e gli chiedono di mettersi al suo seguito.

La parola di Dio 1 Re 19,16b.19-21. Il Signore dice a Elia di chiamare Eliseo, perché prenda il suo posto nella missione di profeta in Israele. Eliseo risponde positivamente e organizza una festa per congedarsi dai suoi. Galati 5,1.13-18. Ritornano in questo brano i temi cari a Paolo: la chiamata alla libertà dei cristiani, la centralità dell’amore come pienezza della legge e il camminare nello spirito e non nella carne. Luca 9,51-62. Gesù si avvia verso Gerusalemme e lo fa « a muso duro », pur sapendo che lo aspetta la prova suprema. I suoi lo precedono e Gesù lungo la strada viene avvicinato da alcuni che chiedono di seguirlo.

Riflettere Per il vangelo di Luca questo è un capitolo chiave. Gesù lascia la Galilea e sale a Gerusalemme. Si tratta di superare un dislivello di 800 metri, ma è una salita più spirituale e simbolica, che fisica. Gesù si dirige « con ferma decisione » verso la grande città: sa perché ci va e ci vuole andare. Là morirà e risorgerà, là si compirà fino in fondo la missione per cui è venuto. Gesù e i suoi passano attraverso il territorio dei samaritani, ma essi non vogliono accoglierlo, proprio perché va a Gerusalemme. Gesù non si indigna, come fanno i due fratelli Giacomo e Giovanni (« figli del tuono », secondo Marco 3,17), che non hanno la stessa tolleranza e vorrebbero punire severamente la città. Così come ha fatto Elia, che ha fatto scendere il fuoco sui falsi profeti di Baal. Gesù invece passa altrove. Quasi a dire che in fondo sono i samaritani a perdere un’opportunità. Lo stesso comportamento lo consiglierà ai suoi discepoli: « Se qualcuno non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi » (Mt 10,14). Tutte le letture parlano di chiamate vocazionali: Paolo invita i Galati a una vita vissuta nello spirito e nella libertà; Elia chiama Eliseo alla sua successione nel ruolo di profeta; nei tre dialoghi del vangelo, Gesù invita qualcuno a seguirlo. Vengono presentate per così dire in parallelo la chiamata di Eliseo e quelle del vangelo, ma con notevoli differenze. Elia permette a Eliseo di salutare i suoi prima di partire e di fare festa con gli amici. Eliseo distrugge l’aratro e uccide un paio di buoi per far festa con la sua gente, esprimendo con questo gesto la rottura con il passato e la definitività della sua scelta di vita. Gesù appare più esigente di Elia. Chiede a chi vuole seguirlo prima di tutto di abbandonare ogni sicurezza umana, come ha fatto lui. Poi a chi vorrebbe ancora prendere tempo per congedarsi dalla famiglia e dagli amici, dice: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio ». Per indicare in modo quasi brutale la radicalità della sua chiamata e la prontezza che deve avere la risposta. E vuole che lo si faccia senza ripensamenti e pentimenti: « Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio… ».

Attualizzare Le letture ci presentano cinque chiamate, se includiamo quella dei samaritani, che rifiutano Gesù per il suo presunto legame con il tempio giudaico di Gerusalemme. Le chiamate al seguito di Gesù sono sicuramente prima di tutto invito a una vita non banale, a una vita di servizio, al seguito di una missione speciale. A vivere nella libertà e a condurre una vita secondo lo spirito e non secondo la carne, come dice Paolo. Nessun dubbio che la vita cristiana, e qualsiasi vita che si ispiri al vangelo, deve avere queste caratteristiche. Allora la nostra vita trova un senso pieno e la riuscita. Le risposte sono diseguali: Eliseo dà una risposta pronta e definitiva, anche se prende tempo per fare le cose senza traumatizzare i suoi parenti e gli amici. I tre che chiedono di mettersi al seguito di Gesù invece appaiono meno determinati. Fanno un po’ pensare a chi nello stesso tempo vuole e non vuole, o a chi spera di sentirsi di dire di no. È forse questa l’occasione per riflettere con un po’ di serietà (qualcuno ha parlato di « pudore ») sulla vita cristiana. Molti si dicono cristiani, si professano cristiani, ma poi vivono senza coerenza la loro « vocazione » e la loro chiamata al seguito di Gesù. Dobbiamo chiederci una buona volta se ci siamo messi davvero per questa strada difficile verso Gerusalemme, che è la strada percorsa da lui. Gesù chiede ai suoi di essere disponibili, disponibili subito e questo comporta necessariamente distacco, libertà da condizionamenti. È la disponibilità di chi viene afferrato da un amore grande, di chi si innamora senza pentimenti. Di fronte alle conseguenze della chiamata alla vita cristiana siamo invitati a non barare, perché per molte cose – quelle che più ci stanno a cuore, a volte più effimere o molto meno determinanti ai fini di una vita da realizzare questa disponibilità e prontezza l’abbiamo. In realtà, « Sono in molti a dire sì a Dio. Ma dopo gli affari, i soldi, il prestigio; dopo le persone, le cose. Quando c’è tempo. Ma questo è un Dio che sta ai margini della vita. Non entra nel gioco delle scelte quotidiane » (mons. Enrico Masseroni). « È Gesù che ci chiama; non bisogna lasciar cadere il suo invito; è terribile pensare che egli possa chiamarci e poi proseguire senza di noi, perché noi non abbiamo avuto il coraggio di rispondergli: Eccomi! » (Raniero Cantalamessa). Penso che sia inevitabile riflettere anche sui condizionamenti della famiglia, che talvolta diventa impedimento a una vocazione libera, a una disponibilità coraggiosa: per il volontariato, per una vocazione sacerdotale o religiosa, per una chiamata missionaria, per una scelta che comporti dei rischi. Naturalmente le ragioni e gli impedimenti della famiglia possono purificare le intenzioni e mettere alla prova la serietà di una chiamata, e far capire quale sia il livello di libertà di una vocazione. Quando è vera, rende la persona capace di superare molti condizionamenti.

Missionaria in Patagonia « Nella solitudine di una vallata alpina ho incontrato un’anziana mamma, provata da una vecchiaia sofferente. La figlia è missionaria laica in Patagonia: ogni quattro anni, quando rientra in visita ai familiari e propone alla mamma di fermarsi più a lungo per assisterla, si sente dire: « Riparti tranquilla, non privarmi della felicità di stare con te nella pampa, fra i tuoi indios che hanno bisogno della tua presenza molto più di me. Da quando tu sei al di là dell’Oceano, ho capito che cosa significa amare veramente. Riesco ad accettare le lunghe ore della mia giornata seguendoti, passo a passo, e parlando con te attraverso la preghiera. Ho scoperto una possibilità di vita che non immaginavo. Anche se dovessi morire, tu mi sarai accanto, molto di più che se avessimo trascorso questi anni insieme »" (Mariapia Bonanate).

Don Umberto DE VANNA sdb

Saints Peter and Paul Cathedral in Kazan, Russia

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Publié dans:immagini sacre |on 23 juin, 2016 |Pas de commentaires »

L’ASCESI, UN MEZZO DA AMARE – Paul Evdokimow

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_d.htm#L’ASCESI, UN MEZZO DA AMARE

L’ASCESI, UN MEZZO DA AMARE

Paul Evdokimow *

Paul Evdokimov è morto il 16 settembre 1970. Nato a Pietroburgo nel 1901, aveva iniziato gli studi di teologia a Kiev. La rivoluzione del 1917 lo costringe all’esilio e termina gli studi in Francia. Intellettuale di gran classe, dottore in filosofia ed in teologia, professore presso l’Istituto Saint-Serge, resta laico, ed è in qualità di laico, cosciente del sacerdozio comune dei fedeli, che mette al servizio della Chiesa una conoscenza profonda della tradizione ed un acuto senso dei segni del tempo e delle sue istanze. Già prima del 1940 è noto come pioniere dell’ecumenismo e, nel 1962, sarà inviato in qualità di ‘osservatore’ al Concilio Vaticano II. Le sue opere, segnatamente sulla teologia dello Spirito Santo, hanno stabilito la convergenza e l’accordo possibili fra le posizioni cattoliche e quelle ortodosse.

Le forme particolari dell’ascesi riflettono l’epoca che attua tale ascesi e si adattano alla sua mentalità. Nelle condizioni della vita moderna, sotto il peso del sovraffaticamento e dell’usura nervosa, la sensibilità si trasforma. La medicina protegge la vita e la prolunga, diminuendone al tempo stesso la resistenza alle sofferenze ed alle privazioni. L’ascesi cristiana non è mai stata fine a se stessa, è soltanto un mezzo, un metodo a servizio della vita, e come tale cercherà di assuefarsi alle nuove necessità. Un tempo l’ascesi dei Padri del deserto imponeva digiuni e privazioni intense ed estenuanti; oggi la lotta si sposta. L’uomo non ha bisogno di un dolorismo supplementare; cilicio, catene, flagellazioni, rischierebbero di sfibrarlo inutilmente. La mortificazione del nostro tempo consisterà nella liberazione dal bisogno di stupefacenti: fretta, rumore, eccitanti, droga, alcoli di tutti i generi. L’ascesi consisterà più che altro nel riposo imposto, nella disciplina della quiete e del silenzio, dove l’uomo ritrova la facoltà di concentrarsi per la preghiera e la contemplazione, perfino in mezzo a tutti i rumori del mondo, nella metropolitana, fra la folla, ai crocicchi di una città; ma più di ogni altra cosa, l’ascesi consisterà nella facoltà di comprendere la presenza degli altri, gli amici di ciascun incontro. Il digiuno, all’opposto della macerazione inflitta, sarà la rinuncia gioiosa al superfluo, la sua spartizione con i poveri, un equilibrio sorridente, spontaneo, pacato. Al di là della ascesi fisica e psicologica del Medio Evo si dovrebbe ricercare l’ascesi escatologica tipica dei primi secoli, cioè quell’atto di fede che faceva dell’essere umano nella sua complessità l’attesa gioiosa della Parusia, l’attesa non tanto cronologica, quanto qualitativa, che sa discernere il termine ultimo ed unico; I quanto, secondo il Vangelo, il tempo è breve e «lo  Spirito e la Sposa dicono: Vieni! ». In questo modo, l’ascesi si trasforma in attenzione ai chiami del Vangelo, alla scala delle beatitudini; cercherà umiltà e la purezza del cuore, al fine di liberare il proprio prossimo e restituirlo a Dio. In un mondo affaticato, schiacciato dalle preoccupazioni e dagli affanni, che vive a ritmi 3mpre più frenetici, il compito è di trovare e vivere «l’iniziativa spirituale» che conduce a sedersi alla tavola dei pec3tori, a benedire ed a spezzare il pane insieme con loro… Nessuna ascesi, priva dell’amore, avvicina a Dio: «Noi saremo giudicati per il male che abbiamo compiuto, ma soprattutto per il bene che abbiamo omesso e perché non amiamo il nostro prossimo», dice san Massimo. Oggi l’ascesi nella vita spirituale protegge lo spirito dal dominio del mondo e raccomanda di «vincere il male creando il bene». Ne consegue che l’ascesi non rimane nient’altro che un mezzo, che una strategia. L’uomo può suscitare un’atmosfera morbosa, allucinante, in cui vede ovunque il male ed il peccato. Ora, l’ascesi evangelica trascina non tanto per eccesso di paura, quanto per eccesso d’amore traboccante di tenerezza cosmica. Santa Dorotea offre una bella immagine della salvezza sotto forma di un cerchio il cui centro è Dio e la cui circonferenza è formata a tutti gli uomini. Più ci si avvicina al centro – Dio – più i raggi del cerchio, il prossimo, si avvicinano gli uni agli altri. Sant’Isacco diceva al suo discepolo: «Ecco, fratello, un comandamento che ti affido: la misericordia trabocchi sempre dalla tua bilancia, fino al momento in cui sentirai in te tesso la misericordia che Dio prova per te e per il mondo».  * L’Orthodoxie, in «Unité chrétienne: Pages Documentaires», Lione, nov. 1970, pp. 34-35 e 41.

Publié dans:Ortodossia, Paul Evdokimow |on 23 juin, 2016 |Pas de commentaires »

SAN GIUSEPPE NEI QUATTRO VANGELI CANONICI

 http://digilander.libero.it/davide.arpe/GiuseppeVangeli.htm
 
SAN GIUSEPPE NEI QUATTRO VANGELI CANONICI
 
Vangelo di Matteo
 1,[1]Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. [16]Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. [18]Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. [19]Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. [20]Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: <<Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. [21]Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati>>. [22]Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: [23]Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi (Isaia 7,14). [24]Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, [25]la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù.
 2,[13]Essi (I Magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: <<Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo>>. [14]Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, [15]dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio (Esodo 4,22). [16]Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. [17]Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia (31,15): [18]Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più (Genesi 35,19). [19]Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto [20]e gli disse: <<Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino>>. [21]Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’Israele. [22]Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea [23]e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: <<Sarà chiamato Nazareno (Nezer=germoglio Isaia 11,1=Libro dell’Emmanuele: Isaia 6-12)>>.
13,[55]Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 
 
Vangelo di Marco
 6,[3]Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?>>. E si scandalizzavano di lui.
 
Vangelo di Luca
 1,[26]Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, [27]a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
 2,[1]In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. [2]Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. [3]Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. [4]Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, [5]per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. [6]Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. [7]Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.[15]Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: <<Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere>>. [16]Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. [17]E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. [18]Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. [19]Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. [20]I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. [21]Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù (Matteo 1,21), come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre. [22]Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, [23]come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; [24]e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
[39]Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. [40]Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. [41]I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. [42]Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; [43]ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. [44]Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; [45]non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. [46]Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. [47]E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. [48]Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: <<Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo>>. [49]Ed egli rispose: <<Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?>>. [50]Ma essi non compresero le sue parole. [51]Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. [52]E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
3,[23]Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli, …[31]figlio di Melèa, figlio di Menna, figlio di Mattatà, figlio di Natàm, figlio di Davide, [32]figlio di Iesse,… [33]figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di Arni, figlio di Esrom, figlio di Fares, figlio di Giuda… [34]figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo…[38]figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio.
 4,[21]Allora cominciò a dire: <<Oggi si è adempiuta questa Scrittura (Isaia 61,1-2: Vocazione di un profeta ndr) che voi avete udita con i vostri orecchi>>. [22]Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: <<Non è il figlio di Giuseppe?>>. [23]Ma egli rispose: <<Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!>>. [24]Poi aggiunse: <<Nessun profeta è bene accetto in patria>>.
 
Vangelo di Giovanni
 1,[45]Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: <<Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth>>.
 6,[42]E dicevano: <<Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?>>.
 

Publié dans:San Giuseppe |on 23 juin, 2016 |Pas de commentaires »

The Altar of the Crucifixion

The Altar of the Crucifixion dans immagini sacre 1280px-Altar_of_the_Crucifixion_l
https://en.wikipedia.org/wiki/Church_of_the_Holy_Sepulchre#/media/File:Altar_of_the_Crucifixion_l.jpg

Publié dans:immagini sacre |on 22 juin, 2016 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – LA MISERICORDIA PURIFICA IL CUORE (CFR LC 5,12-16)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2016/documents/papa-francesco_20160622_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – LA MISERICORDIA PURIFICA IL CUORE (CFR LC 5,12-16)

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 22 giugno 2016

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

«Signore, se vuoi, puoi purificarmi!» (Lc 5,12): è la richiesta che abbiamo sentito rivolgere a Gesù da un lebbroso. Quest’uomo non chiede solamente di essere guarito, ma di essere “purificato”, cioè risanato integralmente, nel corpo e nel cuore. Infatti, la lebbra era considerata una forma di maledizione di Dio, di impurità profonda. Il lebbroso doveva tenersi lontano da tutti; non poteva accedere al tempio e a nessun servizio divino. Lontano da Dio e lontano dagli uomini. Triste vita faceva questa gente! Nonostante ciò, quel lebbroso non si rassegna né alla malattia né alle disposizioni che fanno di lui un escluso. Per raggiungere Gesù, non temette di infrangere la legge ed entra in città – cosa che non doveva fare, gli era vietato -, e quando lo trovò «gli si gettò dinanzi, pregandolo: Signore, se vuoi, puoi purificarmi» (v. 12). Tutto ciò che quest’uomo considerato impuro fa e dice è l’espressione della sua fede! Riconosce la potenza di Gesù: è sicuro che abbia il potere di sanarlo e che tutto dipenda dalla sua volontà. Questa fede è la forza che gli ha permesso di rompere ogni convenzione e di cercare l’incontro con Gesù e, inginocchiandosi davanti a Lui, lo chiama “Signore”. La supplica del lebbroso mostra che quando ci presentiamo a Gesù non è necessario fare lunghi discorsi. Bastano poche parole, purché accompagnate dalla piena fiducia nella sua onnipotenza e nella sua bontà. Affidarci alla volontà di Dio significa infatti rimetterci alla sua infinita misericordia. Anche io vi farò una confidenza personale. La sera, prima di andare a letto, io prego questa breve preghiera: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi!”. E prego cinque “Padre nostro”, uno per ogni piaga di Gesù, perché Gesù ci ha purificato con le piaghe. Ma se questo lo faccio io, potete farlo anche voi, a casa vostra, e dire: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi!” e pensare alle piaghe di Gesù e dire un “Padre nostro” per ognuna di esse. E Gesù ci ascolta sempre. Gesù è profondamente colpito da quest’uomo. Il Vangelo di Marco sottolinea che «ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!» (1,41). Il gesto di Gesù accompagna le sue parole e ne rende più esplicito l’insegnamento. Contro le disposizioni della Legge di Mosè, che proibiva di avvicinarsi a un lebbroso (cfr Lv 13,45-46), Gesù stende la mano e persino lo tocca. Quante volte noi incontriamo un povero che ci viene incontro! Possiamo essere anche generosi, possiamo avere compassione, però di solito non lo tocchiamo. Gli offriamo la moneta, la buttiamo lì, ma evitiamo di toccare la mano. E dimentichiamo che quello è il corpo di Cristo! Gesù ci insegna a non avere timore di toccare il povero e l’escluso, perché Lui è in essi. Toccare il povero può purificarci dall’ipocrisia e renderci inquieti per la sua condizione. Toccare gli esclusi. Oggi mi accompagnano qui questi ragazzi. Tanti pensano di loro che sarebbe stato meglio che fossero rimasti nella loro terra, ma lì soffrivano tanto. Sono i nostri rifugiati, ma tanti li considerano esclusi. Per favore, sono i nostri fratelli! Il cristiano non esclude nessuno, dà posto a tutti, lascia venire tutti. Dopo aver guarito il lebbroso, Gesù gli comanda di non parlarne con nessuno, ma gli dice: «Va’ a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua purificazione come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro» (v. 14). Questa disposizione di Gesù mostra almeno tre cose. La prima: la grazia che agisce in noi non ricerca il sensazionalismo. Di solito essa si muove con discrezione e senza clamore. Per medicare le nostre ferite e guidarci sulla via della santità essa lavora modellando pazientemente il nostro cuore sul Cuore del Signore, così da assumerne sempre più i pensieri e i sentimenti. La seconda: facendo verificare ufficialmente l’avvenuta guarigione ai sacerdoti e celebrando un sacrificio espiatorio, il lebbroso viene riammesso nella comunità dei credenti e nella vita sociale. Il suo reintegro completa la guarigione. Come aveva lui stesso supplicato, ora è completamente purificato! Infine, presentandosi ai sacerdoti il lebbroso rende loro testimonianza riguardo a Gesù e alla sua autorità messianica. La forza della compassione con cui Gesù ha guarito il lebbroso ha portato la fede di quest’uomo ad aprirsi alla missione. Era un escluso, adesso è uno di noi. Pensiamo a noi, alle nostre miserie… Ognuno ha le proprie. Pensiamo con sincerità. Quante volte le copriamo con la ipocrisia delle “buone maniere”. E proprio allora è necessario stare da soli, mettersi in ginocchio davanti a Dio e pregare: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi!». E fatelo, fatelo prima di andare a letto, tutte le sere. E adesso diciamo insieme questa bella preghiera: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi!”.

 

DAL TRATTATO «L’AMICIZIA SPIRITUALE» DEL BEATO AELREDO, ABATE (LIB. III; PL 195, 692-693)

http://www.maranatha.it/Ore/ord/LetMer/12MERpage.htm

XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – MERCOLEDÌ – UFFICIO DELLE LETTURE

SECONDA LETTURA

DAL TRATTATO «L’AMICIZIA SPIRITUALE» DEL BEATO AELREDO, ABATE (LIB. III; PL 195, 692-693)  

La vera, perfetta ed eterna amicizia Quel nobilissimo fra i giovani, Giònata, non badando al blasone regale, né alla successione del regno, strinse amicizia con Davide e, mettendo sullo stesso piano dell’amore il servo al suo sovrano, preferì a se stesso lui, scacciato dal padre, latitante nel deserto, condannato a morte, destinato ad essere trucidato, a tal punto che, umiliando se stesso ed esaltando l’altro, gli disse: «Tu sarai re ed io sarò secondo dopo di te» (1Sam 23,17). O specchio grande e sublime di vera amicizia! Mirabile cosa! Il re era furibondo contro il servo e gli eccitava contro, come ad un emulo del regno, tutta la nazione. Accusando i sacerdoti di tradimento, li fa ammazzare per un solo sospetto. S’aggira per boschi, si inoltra in vallate, attraversa montagne e dirupi con bande armate. Tutti promettono di farsi vendicatori dell’indignazione del re. Solo Giònata, che unico avrebbe potuto, a maggior diritto, portargli invidia, ritenne di doversi opporre al re, di favorire l’amico, di dargli consiglio tra tante avversità e, preferendo l’amicizia al regno, dice: «Tu sarai re ed io sarò secondo dopo di te». Ed osserva come il padre del giovanetto ne eccitasse la gelosia contro l’amico, insistendo con invettive, spaventandolo con le minacce di spogliarlo del regno, ricordandogli che sarebbe stato privato dell’onore. Avendo infatti quegli pronunziato la sentenza di morte contro Davide, Giònata non abbandonò l’amico. «Perché dovrà morire Davide? Cos’ha commesso, cos’ha fatto? Egli mise a repentaglio la sua vita ed abbatté il Filisteo e tu ne fosti felice. Perché dunque dovrebbe morire?» (1Sam 20,32; 19,3). A queste parole il re, montato in furia, cercò di trafiggere Giònata alla parete con la lancia e, aggiungendo invettive e minacce, gli fece questo oltraggio: Figlio di una donna di malaffare. Io so che tu lo ami per disonore tuo e vergogna della tua madre svergognata (cfr. 1Sam 20,30). Poi vomitò tutto il suo veleno sul volto del giovane, ma non trascurò le parole d’incitamento alla sua ambizione, per fomentarne l’invidia e per suscitarne la gelosia e l’amarezza. Fino a quando vivrà il figlio di Iesse, disse, il tuo regno non avrà sicurezza (cfr. 1Sam 20,31). Chi non sarebbe rimasto scosso a queste parole, chi non si sarebbe acceso di odio? Non avrebbe forse ciò corroso, sminuito e cancellato qualsiasi amore, qualsiasi stima e amicizia? Invece quel giovane affezionatissimo, mantenendo i patti dell’amicizia, forte davanti alle minacce, paziente di fronte alle invettive, spregiando il regno per la fedeltà all’amico, dimentico della gloria, ma memore della stima, disse: «Tu sarai re ed io sarò secondo dopo di te». Questa è la vera, perfetta, salda ed eterna amicizia, che l’invidia non intacca, il sospetto non sminuisce, l’ambizione non riesce a rompere. Messa alla prova non vacillò, bersagliata non cadde, battuta in breccia da tanti insulti rimase inflessibile, provocata da tante ingiurie restò incrollabile. «Va’, dunque, e fa’ anche tu lo stesso» (Lc 10,37).

Publié dans:STUDI |on 22 juin, 2016 |Pas de commentaires »
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