Archive pour le 30 mai, 2016

Visitazione delle Beata Vegine Maria

Visitazione delle Beata Vegine Maria dans immagini sacre Magnificat%203

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Publié dans:immagini sacre |on 30 mai, 2016 |Pas de commentaires »

LA VISITAZIONE: L’INCONTRO DI DUE MADRI

http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/feste/06-07/01-Visitazione_di_Maria.html

LA VISITAZIONE: L’INCONTRO DI DUE MADRI

È un gioiello questo piccolo racconto ed è un continuo scoppio di gioia, che ha il suo culmine nel canto del “Magnificat” (1,46-55). Leggiamolo insieme e lasciamoci trasportare dalla fantasia. «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna, in fretta, e si diresse verso una città della Giudea. Entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”». Ci si accorge subito che c’è qualcosa di umano in questo racconto. Luca sa che sta lavorando su eventi realmente accaduti, ma sa anche che il senso di questo evento va ben oltre le apparenze. Anche il lettore più inesperto, leggendo i nomi di Maria ed Elisabetta, sa che si tratta di due madri incinte: Elisabetta da sei mesi, Maria da poco e comprende quella che è la base storica del racconto. Maria salutò Elisabetta e alla voce di Maria rispose subito il bambino che era nel grembo di Elisabetta, ed Elisabetta si sentì colma di Spirito Santo e si mise a lodare Maria riconoscendola come Madre del suo Signore e beata per la sua fede. Questo piccolo racconto non è però dato a noi nella sua nuda realtà, ma è carico della fede pasquale della comunità cristiana. Non un racconto a sé stante ma viene inserito in un preciso contesto. Infatti, fa da transizione tra i racconti delle due annunciazioni e quello delle due nascite, rispettivamente di Giovanni e di Gesù. Si aggiunga un’altra lettura della comunità cristiana, convinta che Gesù è la pienezza della Legge e il compimento di tutte le profezie. Nel nostro caso però questa lettura non appare direttamente: è soggiacente, tra le righe. Farla emergere significa vedere l’evento dell’incontro delle due madri in tutta la cornice della storia di Israele. Facciamo solo un esempio. Noi sappiamo dal racconto precedente che Maria è l’Arca dell’Alleanza, il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Ora all’inizio del nostro racconto si dice che Maria si mette in viaggio verso la montagna e poi che rimase tre mesi nella casa di Elisabetta e quindi riprende il suo cammino. Questo dato non può non ricordare quello che avvenne ai tempi di Davide (2 Sam 6) quando il re volle trasportare l’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme nel luogo dove Salomone costruirà il tempio. L’Arca si trovava allora a Baalè di Giuda, una cittadina verso l’occidente, Davide la stava trasportando verso Gerusalemme quando un tale si azzardò a toccarla e fu fulminato. Davide ebbe paura del Signore e non volle più portare l’Arca in città, perciò la fece portare nella casa di Obed-Edom a Gat. Dio benedisse quella casa. Allora Davide “dopo tre mesi” si decise a portarla nel luogo del futuro tempio. «Maria rimase tre mesi nella casa di Elisabetta» (1,36) e dalla lettura del testo sappiamo che la casa di Elisabetta fu benedetta dalla presenza di Maria che con Gesù era il segno della presenza di Dio. Poi il giorno della «Presentazione al Tempio» andrà a Gerusalemme. È una meta dove Maria deve giungere e, quando ne parleremo, torneremo a richiamare i tre mesi trascorsi da Elisabetta e sentiremo risuonare altre profezie. È in questo contesto delle profezie che dobbiamo esaminare il nostro testo, vedendo Maria come l’Arca dell’Alleanza, segno della presenza di Dio.

Maria strumento di Dio Introduciamoci richiamando l’immediato contesto. L’Angelo del Signore disse a Maria: «Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra». Questo avvenne quando Maria accettò con gioia la missione di madre che Dio le affidava. Come nell’Antico Testamento (Es 40,35), quando la nube coprì con la sua ombra il tabernacolo, la gloria del Signore, cioè la presenza di Dio, riempì la dimora. Maria con il suo «sì» divenne segno della presenza di Dio e perciò realizza in modo pieno l’abitazione del Signore tra gli uomini. Perciò «Maria che si mette in cammino verso la montagna» è segno della presenza di Dio che cammina con il suo popolo nel deserto (Es 40,36). Il suo andare da Elisabetta non è un voler comprovare la verità di quello che l’Angelo le ha detto, sia perché lei non ha chiesto un segno come invece fece Zaccaria. Lei ha creduto alla parola dell’Angelo e va per gioire con la sua parente del dono del Signore. Entra inattesa nella casa di Elisabetta e la saluta, un’espressione narrativa senza un’esplicita parola. Eppure subito avvenne qualcosa di meraviglioso: «Appena Elisabetta sentì il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo». Questo evento lo descrive il narratore con le sue parole (1,41), ma poi verrà interpretato da Elisabetta che vi aggiunge due note: «Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (1,44). Ciò che conta è quanto realizza la voce di Maria. Sembra proprio che sia per mezzo della sua voce che si faccia sentire la presenza del Signore, del Figlio che porta nel grembo. Sembra che ci sia un’analogia con la presenza di Dio che parlava con Mosè. Il Signore parlava tra i due Cherubini che erano sopra l’Arca (Es 25,22). Lì la presenza del Signore si rivelava con la sua voce, ora per mezzo della voce di Maria. Maria è come l’Arca dell’Alleanza davanti alla quale si ascolta la voce di Dio. Il saluto è udito nel suo vero significato innanzitutto da Giovanni che subito si sentì colmo di Spirito Santo. Si realizza quanto è stato detto a Zaccaria: «Sarà colmo di Spirito Santo sin dal seno materno» (1,15). Egli saltò di gioia all’udire la voce di Maria ed Elisabetta, dal sussulto del bambino capì il significato profondo della voce di Maria perché anche a lei viene comunicato lo Spirito. È il dono dello Spirito che porta Elisabetta a chiedersi: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?».

Sorpresi dalla gioia Questa domanda dice che Elisabetta si sente indegna della visita di Maria e allo stesso tempo onorata della sua dignità: «È la Madre del mio Signore», un riconoscimento che il narratore fa proprio intendendolo però in modo diverso. Sulla bocca di Elisabetta il termine «Signore» poteva avere un senso puramente messianico e indicava il Messia davidico. E anche Maria la pensava così perché l’Angelo le aveva detto che Dio darà a suo Figlio il trono di Davide, suo padre (1,32). Ben diverso il significato che il termine assume nella predicazione apostolica: «Gesù è il Signore, il Figlio di Dio», come noi continuiamo a pensare. Torniamo ad Elisabetta: appena ha detto: «A che debbo che la Madre del Signore venga a me», di nuovo ricorda la reazione di Giovanni usando due verbi che le traduzioni non rendono bene: «Si mise a saltare e a rallegrarsi». Quando questi due verbi nella Bibbia in greco si trovano insieme, indicano la gioia che annunzia che stanno irrompendo nella storia i tempi messianici. Qui anticipano quello che un giorno dirà Giovanni il Precursore. Parlando di Gesù come sposo dice: «L’amico dello sposo che è presente, lo ascolta e gioisce alla voce dello sposo» (Gv 3,29). Veniamo alle lodi che Elisabetta, colma di Spirito Santo, rivolge a Maria. È impossibile distinguerle dalle lodi che la stessa comunità cristiana innalza a Maria. Elisabetta esclamò a gran voce: «Benedetta sei tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo (noi aggiungiamo: Gesù)». La comunità cristiana ha imparato questo tipo di lode dalla sua tradizione ebraica, nella quale quando si loda un uomo o un’eroina, subito dopo si loda Dio (Gn 14,9; Gdc 5,24; Gdt 13,13-19). Nel nostro caso si loda Maria e poi il figlio che porta nel grembo, subito dopo chiamato da Elisabetta: «il mio Signore». Per Elisabetta in un senso puramente messianico, per la comunità come il Signore, il Figlio di Dio, Dio. Ma quello che conta è che la lode data ai portatori di salvezza ha il suo termine in Dio. Ascoltiamo quella rivolta a Giuditta, la più simile a quella di Elisabetta: «Benedetta sei tu, o figlia, tra tutte le donne e benedetto sia il Signore che ha creato cielo e terra». Nei due casi si celebra la salvezza, ma nel nostro caso è significativo che la comunità cristiana non loda la Madre senza lodare il Signore. Il cammino è da Maria a Gesù. Il contesto in cui questa benedizione risuona prima della nascita di Gesù e dopo il suo concepimento, non è privo di significato. Qui è chiaro che la grandezza di Maria è dovuta al frutto che porta nel grembo. Maria è vista come il Tabernacolo di Dio, come l’Arca dell’Alleanza, cioè come un segno della fedeltà di Dio, per questo dev’essere benedetta.

La fede di Maria «Beata te che hai creduto nell’adempimento di ciò che Dio ti ha detto» (1,45). Tutto quello che Elisabetta finora ha detto è stata una risposta al saluto di Maria. Ora però con una beatitudine fa risaltare la cooperazione personale di Maria nell’evento che ha motivato la beatitudine. Forse Elisabetta ha detto: «Beata tu…», ma il narratore e la prima predicazione cristiana hanno preferito, secondo lo stile delle beatitudini ricorrere alla terza persona. Le beatitudini infatti riflettono quella gioia e quella felicità che si manifesta in chiunque vive o ha vissuto quello che si dice. Le parole di Elisabetta hanno un valore universale, si possono applicare a chiunque crede. Ciò non toglie nulla al fatto che qui si voglia far risaltare quell’aspetto che caratterizza in modo particolare Maria: la sua fede. Vi sono altri due passi del Vangelo che mettono in evidenza la fede di Maria. Secondo Luca 11,27-28 una donna tra la folla esclamò: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato». Gesù rispose: «Ancor più beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano». Maria ha ascoltato Dio e ha dato il suo personale contributo all’opera della salvezza accogliendo la sua missione di Madre. Alla stessa conclusione si arriva ascoltando Gesù che dice: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,19-21). Maria l’ha ascoltata, per questo è diventata Madre del suo Signore. Forse ha ragione Agostino quando dice: «La fede nel cuore, Cristo nel grembo. La sua fede ha preceduto il concepimento del Signore e in lui tutte le cose che il Signore compirà. Come Abramo con la sua fede diede inizio al popolo di Dio ed è chiamato “il Padre dei credenti” così Maria per la sua fede è “la Madre dei credenti”. La vera grandezza di Maria sta qui. Infatti, vale di più per Maria essere stata discepola della Parola, anziché Madre di Cristo”». Infatti, è madre perché ha accolto la Parola ed è discepola perché ha creduto a quanto le è stato detto dal Signore. C’è una bella differenza tra la sua fede e quella di Zaccaria. Questi ha creduto dopo il compimento del segno (1,21). Maria ha creduto prima di vedere il segno nella casa di Zaccaria. Per la sua fede Maria è sulla linea di Abramo. Il Patriarca credette alle promesse di Dio, ma non ne vide il compimento: tutte erano sul futuro della sua discendenza. Eppure è in lui che ha inizio sulla terra la fede nel Dio dell’Alleanza e Salvatore. Con Maria ha inizio nella storia la fede in Gesù Cristo. Essa precede tutti i credenti. Abramo divenne per la sua fede il Padre di molte nazioni, Maria è la Madre di tutti i credenti in Cristo e la sua beatitudine è un invito al lettore del Vangelo a continuare il cammino a cui essa ha dato inizio con la sua fede. Maria-credenti: il binomio dà un carattere ecclesiologico a tutto il racconto. E il fatto che la beatitudine sia collocata alla fine del racconto ha lo scopo di offrire a tutti i credenti un modello di vita. Essi sono invitati a credere nella Parola del Signore e nel suo Vangelo e, partendo dalla fede, a vivere la speranza che si compirà quanto ha detto il Signore. In questo modo la Chiesa che storicamente cammina nella fede in Gesù Cristo, può guardare Maria come colei che li ha preceduti, come colei che cammina davanti a noi e nel suo cammino ci indica dove e come si offre un segno della presenza del Signore, in modo simile a come lo faceva in altri tempi l’Arca dell’Alleanza.

Preghiamo  Maria, in questa pagina di Vangelo ti presenti a noi come modello di vita. Hai appena concepito Gesù con la potenza dello Spirito Santo e subito senti il bisogno di condividere la tua gioia con altri. Fa’, o Maria, che io sia sempre un diffusore della mia fede e che ci sia tra me e gli altri quella comunicazione dello Spirito che c’è stata tra te ed Elisabetta. O Madre del mio Signore, tu che sei beata per aver creduto, chiedi per me una fede sempre più decisa perché sia un vero testimone di Cristo e un annunciatore della sua Parola. O Maria, invoca su di me il dono dello Spirito Santo. Amen!

 Mario Galizzi SDB

 

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TEOLOGIA SILENZIOSA

http://www.ansdt.it/Testi/CulturaMonastica/Jerome/index.html  

TEOLOGIA  SILENZIOSA

 padre Jérôme (Jean Kiefer) ocso

Che lo si voglia o no, l’unione dell’uomo con Dio, le condizioni e le esigenze di questa unione costituiscono una vera e propria scienza. Dobbiamo pertanto acconsentire a farci insegnare qualche piccolo principio normativo e intangibile circa questa scienza. Non avrebbe alcun senso voler inventare tutto da sé. Inoltre, nella vita spirituale, come nel lavoro manuale o nello sport, il conoscere un po’ di tecnica rende tutto più interessante e dà sicurezza. Non possiamo andare alla ricerca di Dio con mezzi qualsiasi né in una direzione scelta a caso. Oggi la spiritualità come scienza è sottostimata, a favore di uno studio quasi esclusivo della Bibbia. Cerchiamo di ragionarci un po’ sopra. Ho iniziato a leggere ogni giorno la sacra Scrittura molto tempo prima che questa pratica si diffondesse. Per 25 anni, ogni anno, l’ho letta da cima a fondo. Non c’è bisogno di aggiungere che ne ho ricavato benefici, incoraggiamento e conoscenza nella misura delle mie possibilità. Nonostante ciò sono arrivato alle seguenti due conclusioni: per prima cosa, la sacra Scrittura non può fornire da sola il leggero supporto di cui ha bisogno l’orazione non discorsiva; in secondo luogo, la sacra Scrittura non è in grado di insegnarci tutto quanto è necessario sapere circa la vita interiore. Molte nozioni indispensabili possono essere acquisite soltanto per mezzo della teologia dogmatica e della dottrina dei maestri spirituali. Per poter prendere quelle decisioni che si presentano lungo tutta una vita di preghiera e non soltanto ai suoi inizi, il nostro spirito ha bisogno di principi formulati chiaramente, principi a cui sono giunti spiriti più competenti di noi con la loro esperienza e le loro riflessioni. O meglio, i più qualificati tra gli amici di Dio, aiutati senza alcun dubbio da un carisma divino, ci hanno lasciato carte stradali eccellenti e utili libretti di istruzioni per ogni tipo d’auto. Se mancassimo di queste carte e di questi libretti, non conosceremmo mai con sufficiente esattezza il viaggio che Dio vuoi farci fare, né come effettuarlo né per quali sentieri. Rischieremmo di ritardare, di incorrere in incidenti e, quello che è peggio, di rinunciare nel bel mezzo del viaggio. La parola di Dio non vanifica la parola degli amici di Dio, i nostri fratelli maggiori, i nostri maestri. La Rivelazione non sopprime la riflessione su esperienze che si rivelano per tutti uguali. È evidente quanto la preghiera, e soprattutto la preghiera monastica vissuta lungo tutta una vita, abbia bisogno di un impegno metodico. Ora, la Bibbia non contiene informazioni al riguardo. Bisogna quindi che le cerchiamo nella dottrina dei maestri spirituali. Non rinunciamo a questa sostanza e a questa solidità e informiamoci presso coloro che hanno avuto successo. Vuole che le faccia capire di cosa si tratta con qualche esempio? Prendiamo una situazione classica, tipica degli inizi e che per questo motivo riveste una notevole importanza. Un monaco comincia a vivere la sua vita interiore. Gli verranno richiesti sforzi per ridurre i propri difetti, per acquisire delle virtù e per esercitarsi nell’orazione discorsiva. Questo vuol dire che deve già assimilare modesti ma ben precisi elementi dottrinali. Se il nostro monaco mostra di essere fedele in queste pratiche, Dio può decidere di prendere la situazione in mano: per mezzo di prove chiaramente provvidenziali, deciderà di organizzare Egli stesso gli sforzi che il nostro monaco faceva in precedenza, e sospenderà l’orazione discorsiva per sostituirvi un’orazione contemplativa. Se l’interessato non vuole ostacolare questi cambiamenti, bisognerà di nuovo che possegga al riguardo insegnamenti sicuri. Infine, se Dio non intraprende queste iniziative, non è certo possibile costringervelo, né fare alcunché per meritarle, ma solo offrirsi ad esse in umile dipendenza. Il monaco, infatti, non deve accontentarsi di aspettare queste grazie, ma può fare realmente qualcosa per prepararvisi. Ciò richiede ancora una volta svariate precise conoscenze, molto più particolareggiate che le precedenti. Forse lei troverà nella sacra Scrittura qualche direttiva circa la prima di queste tre tappe, ma certamente nulla di preciso riguardo alle altre due. Di conseguenza, deve prima conoscere la dottrina spirituale se vuole trovare nella Scrittura un qualche aiuto per la vita della sua anima. Ecco perché le auguro di aspirare a far suo questo bel sapere, questa bella scienza dell’avvicinarsi a Dio e alla sua amicizia. Le auguro prima di tutto il sapere dottrinale. Mi dica, per esempio, che cosa significa « i differenti modi di innaffiare un giardino » oppure « l’acquisito, l’infuso, il sentito e il non sentito » o ancora « le quarte dimore ». È capace di associare o di distinguere appropriatamente queste tre nozioni? Non è che l’inizio dell’arte! Mi risponderà: « Io prego spontaneamente, senza tecnica né dottrina, e questo mi basta ». In effetti le basta se si accontenta di volare raso terra tutta la vita. Ma il volo raso terra pone le condizioni di una fine prematura del viaggio a causa di un accidente del terreno del tutto banale. Perciò è meglio volare un tantino al di sopra degli ostacoli. Le grazie d’unione a Dio sono dei mezzi e pertanto bisogna sapersene servire non appena ci vengono offerte. Mediti sulla parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte, perché in questo caso trova una diretta applicazione. Bisogna avere la propria lampada accesa e provvista di olio quando sopravviene la grazia o l’autore della grazia. Ne va delle nostre possibilità. Questa scienza, che raccoglie le regole dell’amicizia divina, mi pare possa essere denominata « teologia silenziosa » e distinta dalla « teologia predicabile ». Prendo in prestito entrambe le espressioni dal cardinale Charles Journet (Connaissance et inconnaissance de Dieu, L.U.F.-Egloff, 1943, p. 109).  Chi cerca prima di tutto l’intimità con Dio troverà meno verità e amore, in una parola meno possibilità, nella teologia predicabile che in quella silenziosa. Ma quest’ultima, ovviamente, bisogna che meriti il nome di teologia e ne soddisfaccia le esigenze. E non si comporti nel momento del bisogno come la ghiaietta sotto le ruote in una curva un po’ stretta. Sintesi allo stesso tempo di saggezza e di scienza, deve essere ampia, tranquilla, orientata alla pratica e in più: sicura, precisa, speculativa, definita e capace di definire. Pensate alla vocazione di un monaco: il monaco deve acquisire questa teologia silenziosa in base al tempo che dedica alla vita interiore. Ora, questa teologia esige più rigore, lavoro e continuità che la teologia predicabile, per la quale è sufficiente che, una volta riempita, la pentola sia rimessa sul fuoco con una certa frequenza. Della teologia silenziosa l’anima invece deve vivere, poiché essa è, nella certezza e nella verità, la base dell’unione con Dio. E detta delle scelte, educa il cuore, suscita e guida le aspirazioni, influenza l’orazione. Il monaco ha dunque bisogno di questa scienza che l’esegesi da sola non può rimpiazzare  

 

Publié dans:RIFLESSIONI, Teologia |on 30 mai, 2016 |Pas de commentaires »

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