Archive pour le 13 mai, 2016

Pentecoste, discesa dello Spirito Santo

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BENEDETTO XVI – OMELIA NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE (2010)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2010/documents/hf_ben-xvi_hom_20100523_pentecoste.html

CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Domenica, 23 maggio 2010

Cari fratelli e sorelle,

nella celebrazione solenne della Pentecoste siamo invitati a professare la nostra fede nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo e a invocarne l’effusione su di noi, sulla Chiesa e sul mondo intero. Facciamo nostra, dunque, e con particolare intensità, l’invocazione della Chiesa stessa: Veni, Sancte Spiritus! Un’invocazione tanto semplice e immediata, ma insieme straordinariamente profonda, sgorgata prima di tutto dal cuore di Cristo. Lo Spirito Santo, infatti, è il dono che Gesù ha chiesto e continuamente chiede al Padre per i suoi amici; il primo e principale dono che ci ha ottenuto con la sua Risurrezione e Ascensione al Cielo. Di questa preghiera di Cristo ci parla il brano evangelico odierno, che ha come contesto l’Ultima Cena. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,15-16). Qui ci viene svelato il cuore orante di Gesù, il suo cuore filiale e fraterno. Questa preghiera raggiunge il suo vertice e il suo compimento sulla croce, dove l’invocazione di Cristo fa tutt’uno con il dono totale che Egli fa di se stesso, e così il suo pregare diventa per così dire il sigillo stesso del suo donarsi in pienezza per amore del Padre e dell’umanità: invocazione e donazione dello Spirito s’incontrano, si compenetrano, diventano un’unica realtà. «E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre». In realtà, la preghiera di Gesù – quella dell’Ultima Cena e quella sulla croce – è una preghiera che permane anche in Cielo, dove Cristo siede alla destra del Padre. Gesù, infatti, vive sempre il suo sacerdozio d’intercessione a favore del popolo di Dio e dell’umanità e quindi prega per tutti noi chiedendo al Padre il dono dello Spirito Santo. Il racconto della Pentecoste nel libro degli Atti degli Apostoli – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr At 2,1-11) – presenta il “nuovo corso” dell’opera di Dio iniziato con la risurrezione di Cristo, opera che coinvolge l’uomo, la storia e il cosmo. Dal Figlio di Dio morto e risorto e ritornato al Padre spira ora sull’umanità, con inedita energia, il soffio divino, lo Spirito Santo. E cosa produce questa nuova e potente auto-comunicazione di Dio? Là dove ci sono lacerazioni ed estraneità, essa crea unità e comprensione. Si innesca un processo di riunificazione tra le parti della famiglia umana, divise e disperse; le persone, spesso ridotte a individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte dallo Spirito di Cristo, si aprono all’esperienza della comunione, che può coinvolgerle a tal punto da fare di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa. Questo è l’effetto dell’opera di Dio: l’unità; perciò l’unità è il segno di riconoscimento, il “biglietto da visita” della Chiesa nel corso della sua storia universale. Fin dall’inizio, dal giorno di Pentecoste, essa parla tutte le lingue. La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità. La Chiesa non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane. Da questo, cari fratelli, deriva un criterio pratico di discernimento per la vita cristiana: quando una persona, o una comunità, si chiude nel proprio modo di pensare e di agire, è segno che si è allontanata dallo Spirito Santo. Il cammino dei cristiani e delle Chiese particolari deve sempre confrontarsi con quello della Chiesa una e cattolica, e armonizzarsi con esso. Ciò non significa che l’unità creata dallo Spirito Santo sia una specie di egualitarismo. Al contrario, questo è piuttosto il modello di Babele, cioè l’imposizione di una cultura dell’unità che potremmo definire “tecnica”. La Bibbia, infatti, ci dice (cfr Gen 11,1-9) che a Babele tutti parlavano una sola lingua. A Pentecoste, invece, gli Apostoli parlano lingue diverse in modo che ciascuno comprenda il messaggio nel proprio idioma. L’unità dello Spirito si manifesta nella pluralità della comprensione. La Chiesa è per sua natura una e molteplice, destinata com’è a vivere presso tutte le nazioni, tutti i popoli, e nei più diversi contesti sociali. Essa risponde alla sua vocazione, di essere segno e strumento di unità di tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1), solo se rimane autonoma da ogni Stato e da ogni cultura particolare. Sempre e in ogni luogo la Chiesa dev’essere veramente, cattolica e universale, la casa di tutti in cui ciascuno si può ritrovare. Il racconto degli Atti degli Apostoli ci offre anche un altro spunto molto concreto. L’universalità della Chiesa viene espressa dall’elenco dei popoli, secondo l’antica tradizione: “Siamo Parti, Medi, Elamiti…”, eccetera. Si può osservare qui che san Luca va oltre il numero 12, che già esprime sempre un’universalità. Egli guarda oltre gli orizzonti dell’Asia e dell’Africa nord-occidentale, e aggiunge altri tre elementi: i “Romani”, cioè il mondo occidentale; i “Giudei e prosèliti”, comprendendo in modo nuovo l’unità tra Israele e il mondo; e infine “Cretesi e Arabi”, che rappresentano Occidente e Oriente, isole e terra ferma. Questa apertura di orizzonti conferma ulteriormente la novità di Cristo nella dimensione dello spazio umano, della storia delle genti: lo Spirito Santo coinvolge uomini e popoli e, attraverso di essi, supera muri e barriere. A Pentecoste lo Spirito Santo si manifesta come fuoco. La sua fiamma è discesa sui discepoli riuniti, si è accesa in essi e ha donato loro il nuovo ardore di Dio. Si realizza così ciò che aveva predetto il Signore Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Gli Apostoli, insieme ai fedeli delle diverse comunità, hanno portato questa fiamma divina fino agli estremi confini della Terra; hanno aperto così una strada per l’umanità, una strada luminosa, e hanno collaborato con Dio che con il suo fuoco vuole rinnovare la faccia della terra. Com’è diverso questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! Com’è diverso l’incendio di Cristo, propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni epoca, anche del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata. Il fuoco di Dio, il fuoco dello Spirito Santo, è quello del roveto che divampa senza bruciare (cfr Es 3,2). E’ una fiamma che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere la parte migliore e più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma interiore, la sua vocazione alla verità e all’amore. Un Padre della Chiesa, Origene, in una delle sue Omelie su Geremia, riporta un detto attribuito a Gesù, non contenuto nelle Sacre Scritture ma forse autentico, che recita così: «Chi è presso di me è presso il fuoco» (Omelia su Geremia L. I [III]). In Cristo, infatti, abita la pienezza di Dio, che nella Bibbia è paragonato al fuoco. Abbiamo osservato poco fa che la fiamma dello Spirito Santo arde ma non brucia. E tuttavia essa opera una trasformazione, e perciò deve consumare qualcosa nell’uomo, le scorie che lo corrompono e lo ostacolano nelle sue relazioni con Dio e con il prossimo. Questo effetto del fuoco divino però ci spaventa, abbiamo paura di essere “scottati”, preferiremmo rimanere così come siamo. Ciò dipende dal fatto che molte volte la nostra vita è impostata secondo la logica dell’avere, del possedere e non del donarsi. Molte persone credono in Dio e ammirano la figura di Gesù Cristo, ma quando viene chiesto loro di perdere qualcosa di se stessi, allora si tirano indietro, hanno paura delle esigenze della fede. C’è il timore di dover rinunciare a qualcosa di bello, a cui siamo attaccati; il timore che seguire Cristo ci privi della libertà, di certe esperienze, di una parte di noi stessi. Da un lato vogliamo stare con Gesù, seguirlo da vicino, e dall’altro abbiamo paura delle conseguenze che ciò comporta. Cari fratelli e sorelle, abbiamo sempre bisogno di sentirci dire dal Signore Gesù quello che spesso ripeteva ai suoi amici: “Non abbiate paura”. Come Simon Pietro e gli altri, dobbiamo lasciare che la sua presenza e la sua grazia trasformino il nostro cuore, sempre soggetto alle debolezze umane. Dobbiamo saper riconoscere che perdere qualcosa, anzi, se stessi per il vero Dio, il Dio dell’amore e della vita, è in realtà guadagnare, ritrovarsi più pienamente. Chi si affida a Gesù sperimenta già in questa vita la pace e la gioia del cuore, che il mondo non può dare, e non può nemmeno togliere una volta che Dio ce le ha donate. Vale dunque la pena di lasciarsi toccare dal fuoco dello Spirito Santo! Il dolore che ci procura è necessario alla nostra trasformazione. E’ la realtà della croce: non per nulla nel linguaggio di Gesù il “fuoco” è soprattutto una rappresentazione del mistero della croce, senza il quale non esiste cristianesimo. Perciò, illuminati e confortati da queste parole di vita, eleviamo la nostra invocazione: Vieni, Spirito Santo! Accendi in noi il fuoco del tuo amore! Sappiamo che questa è una preghiera audace, con la quale chiediamo di essere toccati dalla fiamma di Dio; ma sappiamo soprattutto che questa fiamma – e solo essa – ha il potere di salvarci. Non vogliamo, per difendere la nostra vita, perdere quella eterna che Dio ci vuole donare. Abbiamo bisogno del fuoco dello Spirito Santo, perché solo l’Amore redime. Amen.

 

Publié dans:Papa Benedetto XVI, PENTECOSTE |on 13 mai, 2016 |Pas de commentaires »

15 MAGGIO 2016 | 8A DOMENICA DI PASQUA: PENTECOSTE – ANNO C | OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/2016/04-Pasqua_C/Omelie/08a-Domenica-Pentecoste-C-2016/12-08a-Pentecoste-C_2016-UD.htm

15 MAGGIO 2016 | 8A DOMENICA DI PASQUA: PENTECOSTE – ANNO C | OMELIA

Per cominciare « Se uno mi ama, il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui », dice Gesù, assicurando un’intimità tra l’uomo e Dio finora impensabile. Paolo da parte sua precisa: « lo Spirito di Dio abita in voi… Spirito che attesta che siamo figli di Dio ». Amati da Dio, non siamo più schiavi, ma figli, eredi di Dio, coeredi di Cristo, per cui possiamo gridare « Abbà! Padre! ».

La parola di Dio Atti 2,1-11. Questa prima lettura, comune per i tre anni della liturgia, presenta il misterioso evento della Pentecoste, così come la descrive Luca. L’ »improvviso rombo da cielo, come di vento che si abbatte gagliardo », rimanda al Sinai, quando Dio strinse la prima alleanza con il suo popolo. Ma anche al superamento di Genesi 11: come la torre di Babele ha confuso le lingue e ha disperso le genti, così la Pentecoste crea comunicazione e comunione tra genti diverse per lingue e cultura. Romani 8,8-17. Lo Spirito è principio di vita nuova e di immortalità. Lo Spirito ha risuscitato Gesù dai morti e darà vita anche ai nostri corpi mortali. Figli di Dio nello Spirito, siamo anche noi partecipi della risurrezione di Cristo e coeredi con lui della vita eterna. Giovanni 14,15-16.23b-26. Quando amiamo e siamo fedeli, il Padre e il Figlio prendono dimora presso di noi, in un’intimità che non ha l’eguale in nessun rapporto umano. Sono parole che Gesù dice agli apostoli nel Cenacolo: ma essi le comprenderanno pienamente solo quando scenderà su di loro Spirito.

Riflettere Il dono dello Spirito scende sugli apostoli e la chiesa nascente proprio il giorno di Pentecoste, giorno in cui gli ebrei commemoravano il dono della legge ricevuta sul monte Sinai. Chiaro il significato: nel giorno in cui fu data la legge antica, era conveniente, come dicono i padri, che fosse data la grazia dello Spirito, la legge nuova. L’antico testamento, specialmente attraverso la voce dei profeti, parla dei tempi messianici come di un periodo di grande effusione dello Spirito di Dio. Soprattutto Geremia ed Ezechiele vedono lo Spirito che opera nel cuore di ognuno, principio di rinnovamento personale profondo, che rende capaci di osservare la legge, scrivendola nei loro cuori. È questa la liberazione dalla legge di cui parla molte volte Paolo nelle sue lettere. La legge infatti rivela all’uomo il suo peccato, ma anche la sua impotenza di potersene liberare. È lo Spirito che rende nuovo l’uomo, capace di amare di Dio e gli dà « per grazia » la capacità di essergli fedele. Lo Spirito infonde l’amore e l’amore rende possibile, facile, piacevole l’osservanza dei comandamenti. Anzi, chi è guidato dalla Spirito supera la legge, entrando nel cuore di ciò che viene comandato, realizzando il fine ultimo di ogni legge. Una legge nuova che è un dono dello Spirito. Non è data solo dalla parola di Gesù. « Se fosse bastato proclamare la nuova volontà di Dio attraverso il vangelo, non si spiegherebbe che bisogno c’era che Gesù morisse e che venisse lo Spirito Santo » (Raniero Cantalamessa). Ricordiamo che ancora alla vigilia dell’Ascensione di Gesù, le tante parole pubbliche e private ricevute in tre anni di vita insieme con lui sembravano non aver lasciato segno nella vita degli apostoli. Quando Gesù risorge, essi sono presi da paura, si disperdono, tornano a pescare. Era necessario lo Spirito, « doveva crescere anche la santità di vita degli apostoli, perché cessasse la loro incredulità » (mons. Giovanni Benedetti). Infatti quegli undici uomini, chiusi per la paura dentro il cenacolo, sono trasformati dall’effusione dello Spirito: scende il fuoco dal cielo, si spalancano le porte, vanno a convertire il mondo. Lo stesso Spirito, che ha rinnovato profondamente questa prima piccola comunità cristiana, è sempre all’opera e rinnova nei secoli la chiesa. Lo fa suscitando tra i cristiani nuovi carismi e ministeri, destinati lungo i secoli a portare aria nuova e fresca nelle comunità. Lo fa suscitando nuovi credenti, favorendo un continuo processo di conversione e di purificazione nella comunità. È la parola di Dio la fonte della nostra conoscenza intorno allo Spirito Santo. Conosciamo infatti lo Spirito indirettamente, attraverso i suoi interventi nella storia della salvezza. Ecco una spigolatura di espressioni che ci possono orientare per conoscerlo meglio. Lo Spirito opera attivamente nei momenti centrali della vicenda di Gesù. All’Annunciazione: « Le rispose l’angelo: lo Spirito Santo scenderà su di te… » (Lc 1,34); al battesimo: « Vidi aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui, come una colomba » (Mc 1,9). Lo Spirito anima la vita pubblica di Gesù: « Lo Spirito del Signore è sopra di me… » (Lc 4,18); « Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto… » (Lc 4,1); « Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo » (Lc 4,14). Lo Spirito scende sui nuovi cristiani: « Pietro disse: « Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo »" (At 2,37). Lo Spirito rende testimoni: « Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni fino agli estremo confini della terra » (At 1,8,ss); « Non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo » (Mc 13,9). Lo Spirito dà alla chiesa il compito di perdonare i peccati: « Poi soffiò su di loro e disse: « Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi non li perdonerete, non saranno perdonati »" (Gv 20,22). Lo Spirito è principio di vita nuova: « Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne » (Gal 5, 16); « Lo Spirito produce amore, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di sé » (Gal 5,22). Lo Spirito guida alla preghiera: « Lo Spirito viene in auto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi » (Rm 8,26). Lo Spirito rivela il mistero dell’uomo e il mistero di Dio: « Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio… Noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato » (1Cor 2, 9ss).

Attualizzare Lo Spirito Santo viene donato in pienezza nel giorno della cresima, che conferma il dono del battesimo ricevuto. Non basta aver celebrato il battesimo, come ricordava con decisione un esperto a un gruppo di catechisti: « Nessuno è davvero cristiano se non ha ricevuto anche la cresima e l’eucaristia, cioè se non ha completato l’iniziazione cristiana di base ». Il liturgista Ildebrando Scicolone afferma che chi non ha ricevuto la cresima non dovrebbe svolgere nessun ministero ecclesiale nemmeno piccolo, come quello di lettore, tanto meno sposarsi in chiesa, dal momento che i due sposi sono addirittura i ministri del sacramento, Oggi assistiamo a una diminuzione drastica del numero dei cresimandi. Si perde così anche l’ultima occasione di sentire parlare dello Spirito Santo con una certa ampiezza. « Ma perché non vogliono ricevere la cresima? », si domanda qualcuno. In realtà è da tempo che i ragazzi la ricevono come per saldare il conto con gli anni di catechismo vissuti senza entusiasmo. Tanti di loro pensano: « Va bene, ricevo ancora la cresima, ma dopo non mi vedrete più ». « Che cosa si può fare per cambiare questa tendenza? Che fare per chi non richiede più il sacramento? », si domandano gli operatori pastorali. « Dobbiamo prendere coscienza di una cosa molto facile a dirsi e molto difficile a farsi: che non basta più suonare le campane e invitare i ragazzi a venire da noi a catechismo », dice un parroco. Ma in concreto? Si deve fare la rivoluzione, quella animata dallo Spirito, che è vita e ci spinge a presentare con uno stile nuovo e dinamico la realtà dell’essere cristiani. Dire anche noi, con i fatti più che con le parole, che non si deve avere paura della fede, perché essa, come ha detto Benedetto XVI, « non toglie nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande ». Ogni cresimato viene invitato a unire la sua piccola fiamma a quella dello Spirito Santo, diventando protagonista nella chiesa, elemento di novità nel mondo. « Come è avvenuto per Pietro, che è stato giudicato ubriaco di buon mattino, io penso che un cristiano vero dovrebbe essere segnato a dito, gli dovrebbe essere dato del pazzo o del rivoluzionario », dice una ragazza. E un’altra: « Voglio fare qualcosa che non sia banale nella mia vita, ma nella realtà mi trovo incastrata in un modello di vita che non vorrei. Dovrei osare, infrangere queste regole, differenziarmi dagli altri, dal gregge ». Aprendo le braccia allo Spirito, diventa possibile.

Lo Spirito della cresima Un bel libretto di Tonino Lasconi per i ragazzi che si preparano alla cresima (La Cresima e oltre, Paoline) presenta in modo dinamico le caratteristiche dello Spirito Santo. Anche i ragazzi possono sentirsi affascinati dalla terza persona divina, se viene presentata in questo modo. Eccone una breve sintesi. Lo Spirito è come una colomba: da sempre la colomba, sin dai tempi di Noè, è simbolo di pace. Ed è simbolo di bellezza: l’hai mai vista una colomba? È poi simbolo dell’amore (« Sembrano due colombi! », si dice degli innamorati). Lo Spirito è sceso su Gesù nel battesimo proprio per questo: tutto l’amore del Padre si posa sul Figlio. Lo Spirito è come vento: il vento arriva all’improvviso, rovescia tutto ciò che non è solido, che non è attaccato bene, che è provvisorio. Ciò che non ha peso, che è leggero. Il vento purifica l’aria, caccia lo smog, agita le acque e le riempie di ossigeno. Il vento scompiglia ciò che hai messo a posto con tanta cura e ti costringe a ricominciare. Il vento è dispettoso: fa volare i cappelli, alza le gonne, rovescia gli ombrelli… Lo Spirito è come fuoco: il fuoco prima di tutto illumina. E dà gioia, perché la luce è gioia. Non c’è festa senza luci e luminarie. Il fuoco riscalda, unisce i metalli più duri e più preziosi. Il fuoco purifica: se vuoi togliere le scorie devi servirti del fuoco. Il fuoco ammazza i microbi più pericolosi. Se vuoi rendere potabile l’acqua devi metterla sul fuoco. Il fuoco dà coraggio e forza. Gli atleti prima di una gara « si scaldano » per cacciar via la paura e dare il meglio di sé.

Don Umberto DE VANNA sdb Fonte autorizzata in: Umberto DE VANNA: Giorno di Festa, Editrice Ancora, Milano

 

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