COSÌ RIDEVANO I PRIMI CRISTIANI..DI GIANFRANCO RAVASI

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COSÌ RIDEVANO I PRIMI CRISTIANI..DI GIANFRANCO RAVASI

È vero che la parola «ridere» occorre pochissime volte nelle Scritture e la tradizione vuole che Gesù non avesse mai sorriso. Ma gli studi curati da Clementina Mazzucco smentiscono la versione e indagano sull’umorismo biblico

Dominum numquam risisse, sed flevisse legimus: lapidario e sostanzialmente indiscutibile questo asserto sul Cristo che nei Vangeli piange ma non ride mai, asserto attribuito falsamente ad Agostino, ma di origine medievale (Patrologia Latina XL, 1290). Qualche secolo dopo, nella sua Disputatio de taedio et pavore Christi, Erasmo da Rotterdam ribadiva la tesi: «In tutta la vita di Gesù dopo la culla incontrerai parecchie testimonianze di dolcezza e di pazienza, nessuna di allegria ». Se si sta alla mera rilevazione statistica il « ridere » ( gheláo) e il « riso » ( ghélôs) totalizzano solo una triplice presenza evangelica: nelle « beatitudinimaledizioni » di Luca (6, 21.25) si dichiarano, infatti, beati coloro che piangono perché rideranno e, al contrario, nel Regno di Dio coloro che hanno riso saranno in lutto e piangeranno, mentre Giacomo nella sua Lettera ammonisce i cristiani ricchi e gaudenti che «il loro riso si trasformerà in lutto» (4, 9). Nel 2005, presso l’universitàdi Torino, Clementina Mazzucco ha organizzato un convegno proprio sul riso e la comicità nel cristianesimo antico e ora ne possiamo leggere, naturalmente con gusto, gli atti. In quelle pagine si deve riconoscere alla stessa curatrice la migliore trattazione finora apparsa sul riso, l’ironia e l’umorismo nel Nuovo Testamento. Certo, materia più abbondante è reperibile nell’Antico Testamento ove si ha persino lo sghignazzare di Dio (si veda, ad esempio, il Salmo 2, 4), seguendo i canoni di un robusto antropomorfismo. Tuttavia il saggio di Daniele Garrone, presente nel volume, assomiglia più a una raccolta di materiali di base che attendono ancora una vera e propria elaborazione tematica. L’analisi della Mazzucco riesce, invece, a convincerci che andando oltre la rigida gabbia lessicale e rivolgendo l’attenzione anche a detti, battute, dialoghi, situazioni, personaggi, scene e a termini periferici o di contorno si può ricostruire, nel Nuovo Testamento, un orizzonte decisamente più popolato di sorrisi, di gioia, di ironia (quest’ultima, talora, può diventare anche un sofisticato strumento teologico, come accade per il quarto evangelista Giovanni). È, quindi, probabile che il profilo di un Gesù serio, alla maniera del Vangelo secondo Matteo di Pasolini ma anche di un’inesausta tradizione iconografica, sia da connettere «con l’immagine di un Gesù fatto oggetto di scherni, soprattutto nella passione, e quindi con l’immagine, misteriosa e ostica da un punto di vista umano, di un Messia sof-ferente: un tratto non psicologico ma teologico». Non si deve, infatti, dimenticare senza voler allegare la messe suggestiva di dati elaborati dalla studiosa torinese che l’evangelista Luca evoca, ad esempio, la felicità messianica che avvolge la nascita di Gesù, ci ricorda che egli prega «esultando nello Spirito Santo» (10, 21) e, con gli altri evangelisti, esalta la gioia pasquale che pervade gli apostoli, a tal punto che, soprattutto nel Medio Evo, le celebrazioni della Risurrezione degeneravano talvolta in un’allegria fin sgangherata con mimi, scenette e interludi liturgici venati persino di oscenità (di questo ha scritto Maria Caterina Jacobelli nel suo Risus paschalis, Queriniana 1991). Non si può, per altro, dimenticare che fu assegnato all’annunzio e alla Scrittura neotestamentaria il titolo di « vangelo »,che in greco significa una notizia buona, bella, gioiosa. Il volume poderoso naturalmente riserva tanti altri percorsi testuali: essi partono sia dallo spazio comico pagano, sia dalla « dinamica del riso » che affiora nell’etimologia popolare biblica del nome stesso di « Isacco », il figlio della promessa divina (« il Signore ha riso », ridendo da ultimo nei confronti del riso scettico della madre del bimbo, Sara, in menopausa al momento della sua gestazione). La rete degli itinerari analitici è fitta: Clemente Alessandrino, Tertulliano, Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo («Voi ridete, a me invece viene da piangere!»), Ambrogio, Girolamo,l’Agostino vero,Gregorio Magno, Venanzio Fortunato con le curiose «confessioni di un vescovo goloso», Romano il Melodo, Gregorio di Tours e altri ancora. Ma si ha anche un’interessante incursione in una sorta di teatro comico sui vizi capitali, col monaco parassita o fanfarone o lussurioso o misogino e persino stercorario! Così come non si dimentica quella categoria sorprendente della spiritualità russa che presenta il « folle per Cristo » i cui albori sono da cercare nella miniera di detti e atti legati ai padri eremiti e ai monaci del deserto, ma che procederà fino all’Idiota dostoevskiano, quel principe Myakin spiritualmente superiore proprio per la sua disarmante e disarmata ingenuità e serenità. Un’opera corale, quindi, suggestiva che,pur nella paludata livrea dell’accademia, riserva un vero godimento, non di rado sconfinante nell’ilarità, come nel caso degli sberleffi destinati al diavolo beffato. Un teologo abbastanza serioso quale Karl Barth di cui celebriamo quest’anno il 40Údella morte non esitava a scrivere: «Un cristiano fa buona teologia quando, in fondo, è lieto, sì, quando si accosta alle cose con umorismo. Bisogna guardarsi dai teologi di cattivo umore e noiosi! Certo, lo so: siamocircondati da ogni parte da tanta tristezza e noi stessi siamo spesso compagni poco piacevoli. Ma dato che un cristiano non serve se stesso bensì il Padre di Gesù Cristo, può guardare al suo prossimo, amato da Dio, e a se stesso con gioia e speranza; può ridere, nonostante tutto, di cuore».

1 «Riso e comicità nel cristianesimo antico. Atti del Convegno di Torino, 14-16 febbraio 2005 e altri studi», a cura di C. Mazzucco, Alessandria, Edizioni dell’Orso, pagg. 860,

Publié dans : CAR. GIANFRANCO RAVASI |le 3 mai, 2016 |Pas de Commentaires »

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