Archive pour le 22 avril, 2016

Holy Apostle and Evangelist John

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VI DO UN COMANDAMENTO NUOVO: CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI

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VI DO UN COMANDAMENTO NUOVO: CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI

Vangelo Gv 13, 31-33a. 34-35 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni agli altri. Dal vangelo secondo Giovanni Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».   Commento di mons. Antonio Riboldi C’è un momento prezioso della vita di tutti; quello in cui consegniamo ai figli, ai parenti o agli amici, le ultime nostre volontà, ossia il testamento. In effetti consegniamo ‘la continuità di come abbiamo vissuto e di quello che abbiamo messo insieme’. Peccato che tante volte per testamento si intende la consegna degli interessi materiali, spesso poi motivo di profonde divisioni, mandando così in frantumi la fatica, l’amore con cui si sono lasciati i beni.   C’è chi, per esempio, decide di lasciare tutto per testamento a opere di carità, a fondazioni. E quei testamenti, davvero benedetti, a favore della carità sono ‘il prezioso testamento’ che sarà la nostra difesa agli occhi di Dio. Quante opere buone ci sono nel mondo, frutto di testamenti che, per la carità che svolgono, sono continua benedizione per chi ha donato: ora e sempre. Posso testimoniare la generosità di una persona che ha voluto che i suoi beni passassero nelle mie mani e, con questi, fra le altre realtà (e sono tante) ho edificato una chiesa parrocchiale. E quante necessità missionarie ho potuto portare a termine. I nomi di questi benefattori sono scritti nel libro della vita eterna e ‘quaggiù’ sono continua lode al Padre. Il Vangelo di oggi narra del testamento che Gesù lasciò ai Suoi discepoli, prima di andare verso l’orto del Getsemani, in quell’Ultima Cena, che è davvero la ‘divina carta della carità di Dio verso di noi e la carità nostra verso tutti’. Così racconta l’apostolo Giovanni: « Quando Giuda fu uscito dal Cenacolo, Gesù disse: ?Ora il Figlio dell’Uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora un poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » (Gv. 15, 31-35) Meraviglioso testamento! E non poteva che essere così, essendo stato Gesù, Figlio di Dio, il grande Dono di Amore e la testimonianza dell’Amore tra noi e per noi. Se noi, che siamo discepoli del Signore e quindi Suoi amici, dovessimo fare di questo testamento la regola della nostra vita, tutti dovrebbero riconoscerci proprio perché il nostro ‘dirci’ cristiani non sarebbe parola vuota, ma testimonianza di amore e di vita. Affermava il grande Paolo VI, che sapeva veramente leggere il cuore degli uomini e della Chiesa, in tempi difficili, come oggi: « Chi è senza fede, è senza luce. Chi è senza religione, è senza speranza. Invece la fede e la speranza assicurano che la vita nostra continua aldilà del terribile episodio che si chiama morte. E ancora chi è senza contatto con Dio, è privo di amore. Dio è amore. Se non siamo uniti a Lui ci viene meno il sentimento più nobile. Non abbiamo più ragione di chiamare gli uomini nostri fratelli, nessun motivo di sacrificarci per loro, né ragione di vedere in ogni faccia umana lo specchio del volto di Cristo. Se non abbiamo la fede, la speranza, la carità – le tre virtù teologiche che sono i tre vincoli che ci uniscono a Dio – siamo gente cieca, costretta ad essere schiava della terra, gente turbata dalle passioni, che la fanno infelice e che pongono la fiducia degli uomini nelle cose più terribili, come le armi, le lotte, le guerre, gli odi, i vizi. » (30 marzo 1960) Sembrano parole per oggi. E la sola e vera ragione è che si preferisce seguire le orme di satana, che è l’egoismo che si tramuta in superbia e che non accetta fratelli, nella casa del proprio cuore: tutti considera ‘estranei’ e così si condanna all’inferno della solitudine. È davvero insopportabile questa solitudine. La sentiamo tutti la mancanza di ‘atmosfera di vita’, che è l’amore tra di noi. La sentiamo tutti questa sete di amore, ma non troviamo ‘il pozzo dove dissetarci’. E sembrano ‘fantasia dei sogni dell’anima’ o ‘ali per conoscere la bellezza del volo’ le parole di Gesù, oggi: « Amatevi come io ho amato voi ». Quando rifletto su questo meraviglioso ‘testamento’, che Gesù ci ha donato, prima di attuarlo sulla Croce, mi convinco sempre di più che, quando non si è sudditi di un gretto egoismo, amare ed essere amati, in famiglia, nella chiesa, nella società è contribuire a creare la vera aria che fa respirare, soprattutto nei momenti difficili. Ma si può vivere senza amare e sentirsi amati? Credo che sia un inferno insopportabile. Ascoltiamo ciò che scriveva il nostro Papa emerito, Benedetto XVI, nella sua prima enciclica, che ha voluto intitolare ‘Dio è amore’, come indicazione a raccogliere il testamento di Gesù: « L’amore è gratuito: non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba per così dire lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la migliore testimonianza di Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare…. Egli sa che il vilipendio dell’amore è vilipendio di Dio e dell’uomo, è il tentativo di fare a meno di Dio. Di conseguenza la miglior difesa di Dio e dell’uomo consiste proprio nell’amore. » (Deus charitas est n. 31) Allora viene da chiederci: come mai l’amore di cui Dio ci ha fatto dono ed è il testamento di Gesù, è preferito, a volte, all’egoismo che genera ingiustizie, solitudini e insopportabili sofferenze. Mistero dell’animo umano… Per me, rosminiano, figlio della Carità, è un grande dono che voi mi fate ogni settimana leggendomi. Ho come l’impressione di respirare con voi una tale atmosfera di amore che, per me, è incredibile gioia. Gioia di potervi dire: vi amo come Gesù vi ama, anche se non vi conosco ad uno ad uno, ma è come se foste tutti vicino a me quando celebro il grande sacramento dell’amore, che è l’Eucarestia. E vi sono immensamente grato. Davvero siete miei amici e credo lo sappiate perché tante volte mi scrivete come fra amici. Poteva Gesù lasciarci un testamento più bello di questo? Per chi ama la felicità certamente no, ma bisogna ‘entrare nel cuore dell’amore e farci riempire il cuore dalla gioia’. Scriveva il grande Follereau in un messaggio ai giovani, nel 1962: « Siate intransigenti nel dovere di amare. Non venite a compromessi, non retrocedete. Ridete in faccia a coloro che vi parleranno di prudenza, di convenienza, che vi consiglieranno di il giusto equilibrio’: questi poveri campioni del ‘giusto mezzo’! E poi soprattutto credete nella bontà del mondo. Nel cuore di ogni uomo vi sono tesori prodigiosi e voi scovateli. La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a nessuno, che la vostra vita non serva a nulla. Siate invece forti ed esigenti, coscienti di dover costruire la felicità per tutti gli uomini, vostri fratelli, e non lasciatevi sommergere dalle sabbie mobili degli incapaci. Lottate a viso aperto. Non permettete l’inganno attorno a voi. Siate voi stessi e sarete vittoriosi. » E come dimenticare le parole di Papa Francesco: « Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore. Lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore ». Non ci resta, allora, che raccogliere a piene mani il grande testamento di Gesù e vivere facendo della vita un donare sorrisi a tutti: sorrisi che siano come gettare fiori a chi ci accosta, al posto del silenzio indifferente o delle parole che, come ‘sassate’, fanno male. Ci aiuti Gesù…ma, intanto, ripeto la mia gioia che voi siete miei amici. Grazie.  

24 APRILE 2016 | 5A DOMENICA DI PASQUA – ANNO C | OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/2016/04-Pasqua_C/Omelie/05a-Domenica-di-Pasqua-C-2016/12-05a-Domenica-C_2016-UD.htm

24 APRILE 2016 | 5A DOMENICA DI PASQUA – ANNO C | OMELIA

Per cominciare Gesù lascia agli apostoli il suo « comandamento nuovo », quello dell’amore. Lo dichiara nel momento in cui Giuda sta per tradirlo. Sarà l’amore il segno di riconoscimento dei suoi veri discepoli.

La parola di Dio Atti 14, 21b-27. È la conclusione del primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba. I due infaticabili apostoli sono passati da una città all’altra rianimando ed esortando i fedeli. E hanno costituito i primi responsabili delle comunità. Poi hanno fatto ritorno ad Antiochia, dove rendono conto dei loro viaggi e di come i pagani si sono aperti alla fede. Apocalisse 21,1-5a. Siamo al penultimo capitolo dell’Apocalisse, all’ultima rivelazione, e viene prospettata la nuova Gerusalemme quale dono di Dio. Un nuovo cielo e una nuova terra attende l’umanità fedele, in cammino verso la sua pienezza. Allora cesserà ogni sofferenza e ogni motivo di tristezza. Giovanni 13,31-33a.34-35. Dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, e quando Giuda esce dal cenacolo per consegnare Gesù alla sinagoga, Gesù usa espressioni di tenerezza verso i suoi e lascia in dono agli apostoli il suo comandamento « nuovo », quello dell’amore.

Riflettere Ritornare, attraversare, raggiungere, scendere, fare vela… molti sono i verbi di movimento che, assieme agli altri (rianimare, esortare, costituire, predicare, affidare, riferire…) fanno capire quale sia stato il dinamismo degli apostoli Paolo e Barnaba e in generale quello dei primi apostoli. Assistiamo al sorgere della prima comunità cristiana. Da un piccolo manipolo di persone piuttosto comuni, sta nascendo la chiesa. Paolo e Barnaba, dopo aver digiunato e pregato, stabiliscono per ogni comunità i primi responsabili, i primi vescovi e sacerdoti, e li affidano al Signore. C’è anche un’altra parola che viene ripetuta più volte in queste letture, ed è l’aggettivo nuovo: « Ecco, io faccio nuove tutte le cose », « Io, Giovanni, vidi un nuovo cielo e una nuova terra », « Vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo… »; e poi Gesù che lascia il suo comandamento « nuovo ». Le immagini del capitolo 21 dell’Apocalisse sono suggestive ed esaltanti e presentano la nuova Gerusalemme, la dimora che Dio prepara al nuovo popolo messianico, che vive nell’amore. Tutto appare immaginifico, suggestivo, affascinante e consolatorio nel momento in cui la chiesa vive già momenti difficili di persecuzione. Il passo evangelico ci presenta Gesù nel cenacolo che vive il momento drammatico in cui Giuda si allontana dal gruppo per tradirlo. Ma Gesù pare avere un momento di liberazione e di consapevolezza di tutto ciò che sta per capitargli. Gesù parla della sua glorificazione proprio nel momento più drammatico, alla vigilia di essere consegnato: « Quando sarò elevato da terra attirerò tutto a me », dice, sapendo a che cosa andava incontro e quale sarebbe stata la sua sorte finale (Gv 12,32). Gesù ha appena lavato i piedi ai suoi discepoli e comincia quel lungo parlare confidenziale e amichevole che precede la passione. Ha lavato i piedi anche a Giuda, questo apostolo difficile, che il vangelo definisce « ladro » (Gv 12,6), e che ha tradito Gesù chissà per quali motivi. Vedendo Gesù nel gesto così umile di lavargli i piedi, avrà pensato: « È questo il messia? Colui che deve liberare Israele dai Romani e instaurare il regno di Davide? ». È in questo momento che Gesù lascia ai suoi il suo comandamento « nuovo » dell’amore, quasi come un solenne testamento, come un « addio » che non vuole chiudere i rapporti, ma mantenerli vivi. Un comandamento che era già presente nella tradizione ebraica, ma quello di Gesù è « nuovo », perché ora ci si deve amare « come lui ci ha amati », cioè fino alla croce. Perché solo ora, con lui, questo comandamento diventa possibile. Certo, anche prima c’erano stati uomini che si erano amati anche prima di Cristo, ma perché erano parenti tra loro, perché erano alleati, amici, appartenevano allo stesso clan o allo stesso popolo… Ora bisogna andare al di là: amare chi ci perseguita, amare i nemici, anche quelli che non ci salutano e non ci amano. Si tratta inoltre di amore « reciproco »: ci si deve amare « gli uni gli altri », perché solo così, se l’amore non è a una sola direzione, ci può essere comunità e vita fraterna.

Attualizzare A volte il cristiano cerca distintivi, divise, croci, tau o colombe per farsi riconoscere e sentire l’appartenenza a un’associazione cattolica o alla stessa chiesa. Ma il vero distintivo del cristiano è soltanto l’amore. « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri ». Questo è il nostro vero distintivo, il segno di riconoscimento. La storia della chiesa è ricca di esempi: la vita dei santi è ricchissima di gesti di amore. E il cristiano ogni giorno si misura nei suoi gesti di amore: il saluto, l’accoglienza, il perdono, la disponibilità… Amore che è vissuto spesso anche da molti altri generosi, che non hanno la nostra fede. Ma amore che non può non caratterizzare la vita del cristiano. L’amore rende presente Gesù Risorto, che lo si incontra quando ci si imbatte in un uomo che vive l’amore come lo ha vissuto lui. I santi hanno fatto « vedere » l’amore e sono diventati trasparenti di Dio. L’amore trasforma il mondo. Ma un mondo d’amore è possibile? Gesù si è incarnato ed è morto in croce per questo. L’amore realizza i progetti evangelici di Gesù, i sogni di Dio sull’umanità. Gesù sa che il mondo cambierà soltanto se regnerà l’amore nella chiesa e nel mondo. L’amore è l’unico strumento che può fare il miracolo di trasformare i rapporti umani, ma anche i rapporti nella società, i rapporti di potere e di forza. Guardando al comportamento di Gesù (« Amatevi come io vi ho amati ») si capisce che l’amore cristiano non nasce dalla simpatia o da una visione comune delle cose: Gesù ha avuto amore di predilezione per i meno amabili, per i più lontani, per chi non avrebbe mai potuto restituire quei gesti di amore. « Amatevi gli uni gli altri », dice Gesù, rendendo non solo reciproco l’amore, ma anche estremamente concreto. Perché si può amare in generale, si possono amare i lontani e quelli che sono nel bisogno. Ma il difficile è amare chi ci sta vicino e ci è diventato forse insopportabile; amarsi nelle situazioni più concrete e quotidiane, in famiglia, tra amici, tra compagni di lavoro e di vita.

« Go, see and do » Così diceva alle sue suore Madre Teresa. Lei e le sue suore non hanno mai avuto tanti mezzi per soccorrere gli ammalati e spesso non hanno potuto contare sugli strumenti più adatti per curare i più gravi. Ma Madre Teresa esortava le sue suore a prodigarsi così come potevano, usando le proprie mani per venire in aiuto, per fare ciò che era loro consentito con i poveri mezzi di cui disponevano. « Go, see and do »: va’, guarda, renditi conto della situazione e poi fa’ ciò che ti è possibile, per dimostrare tutto l’amore a quella persona. Così facendo non si sono negate a nessuno, hanno aiutato migliaia di persone a guarire e molti sventurati a morire con dignità.

Un cristiano: padre Ollivier « Perché siete tanto interessato alla sorte dei carcerati? », chiedono spesso a padre Jean-Marie Ollivier, un oblato di Maria Immacolata. « Perché sono stato anch’io in carcere e so che cosa vuol dire vivere in una cella. E sono persuaso che le carceri nel mondo sono piene o nascondono vittime innocenti indifese. Ne volete la prova? ». E racconta di aver trovato in carcere ad Haiti un bambino di 12 anni che aveva rubato per fame. « Passai la mattinata seduto sul prato della casa del colonnello per far liberare Toto il giorno stesso. E il colonnello mi ha ringraziato. Lo avevo aiutato a compiere un gesto di umanità e di giustizia ».

Don Umberto DE VANNA sdb

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