Archive pour le 19 avril, 2016

Fresco at the Holy Monastery of Dionysiou (c. 1545), Mt. Athos, Greece / Six-winged Seraphim; Greece .; XVI century

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IL PECCATO ORIGINALE SECONDO IL CARD. RAVASI –

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IL PECCATO ORIGINALE SECONDO IL CARD. RAVASI –

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Il Card. Gianfranco Ravasi è oggi uno dei membri più in vista del Sacro Collegio, uomo di vasta cultura, brillante scrittore ed oratore, particolarmente impegnato, come sappiamo, nel dialogo con non-cattolici, non-cristiani e non credenti, sensibile ai temi di fondo della ragione e della fede, temperamento di poeta che però non dimentica le esigenze del rigore scientifico che si addice alla teologia. Di recente ha pubblicato per i tipi della Mondadori un libro dal titolo Guida ai naviganti. Le risposte della fede: una guida, scritta con stile sciolto e avvincente, per affrontare con serietà le questioni più profonde dell’esistenza e della vita. Viene un po’ in mente la famosa Guida dei perplessi del grande filosofo ebreo medioevale Mosè Maimonide, ammirato da S. Tommaso d’Aquino. Non intendo qui fare un recensione del libro. Voglio solo fermarmi su di un punto dottrinale di capitale importanza trattato dall’illustre e dinamico Porporato: la questione del racconto biblico della creazione dell’uomo e del peccato originale. Devo dire con tutta franchezza che grande è stata la mia sorpresa, sia detto ciò con tutto il rispetto dovuto a un Principe della Chiesa, quando ho letto, a proposito di questo famosissimo racconto, che esso “è un’apparente narrazione storica, con eventi e una trama, che hanno però un valore simbolico, filosofico-teologico, quindi ‘sapienziale’ ed esistenziale” (p.45). Si tratterebbe, come dice anche Karl Rahner, di un’“eziologia metastorica”, ossia di un genere letterario antico, che per mezzo del racconto di un mito riferito al passato, intende istruirci su di una condizione dell’uomo che riguarda il presente, anzi una condizione “metastorica”, quindi qualcosa che riguarda l’uomo come tale, indipendentemente dai tempi e dal corso della storia. Insomma, un modo di far filosofia ricorrendo alla narrazione, anziché a concetti speculativi. Lo scritto del Cardinale prosegue poi sullo stesso tono: “lo scopo” (del racconto biblico)  “non è tanto quello di spiegare cosa sia successo alle origini, ma di individuare chi è l’uomo nel contesto della creazione: è, allora, una ‘metastoria’, ossia è il filo costante sotteso a eventi, tempi e vicende storiche umane. Si risale all’archetipo … non per narrare  cosa sia accaduto nel processo di ominizzazione in senso scientifico o per scoprire gli atti di un singolo individuo primordiale, ma per identificare nella sua radice iniziale lo statuto permanente di ogni creatura umana” (ibid.). Sono rimasto molto sorpreso davanti a simili affermazioni, anche se so che oggi sono condivise da molti. Ma, come sappiamo, la verità di fede non dipende dal consenso della maggioranza, ma dalla retta interpretazione della Parola di Dio che ci è garantita dal Magistero della Chiesa. Che il racconto genesiaco faccia riferimento a una condizione dell’uomo che copre tutto il corso della storia, non c’è alcun dubbio, come pure non c’è dubbio che alcuni elementi sono evidentemente ingenuamente mitologici, come c’è da aspettarsi da una cultura primitiva come quella dell’agiografo. Ma la Chiesa ha sempre insegnato che in questa congerie di fatti, di immagini, di quadri e di elementi occorre saper discernere con somma saggezza, sotto la guida dello stesso Magistero, ciò che è mitico da ciò che è storico, ciò che è inventato da ciò che è realmente accaduto, ciò che è simbolico da ciò che va preso alla lettera. Ora non è difficile venire a sapere, per chi voglia informarsi, che il suddetto racconto, nella sua sostanza, non è per nulla un mito inventato per spiegare una situazione attuale, benchè di fatto il racconto spieghi ottimamente tale situazione; ma, come dice lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, erede di una millenaria tradizione dogmatica, “il racconto della caduta (Gn 3) … espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia dell’uomo” (n.390) (in corsivo nel testo, quasi a sottolineare l’importanza dell’affermazione), ossia un fatto che è oggetto della divina Rivelazione, quindi, come tale, verità di fede indispensabile per la salvezza. Inoltre il Catechismo, a più riprese, nei parr. 6 e 7 del cap. I, in perfetta linea con la Tradizione e la Scrittura, fonti della Rivelazione che ci è mediata dalla Chiesa, soprattutto a partire dal Concilio di Trento sino allo stesso Concilio Vaticano II, ricorda come l’umanità ha avuto inizio da una coppia, – Pio XII nella Humani Generis respinge il poligenismo – la quale, caduta nel peccato per istigazione del demonio, ha trasmesso questa colpa – la colpa originale – a tutta l’umanità per via di generazione, colpa dalla quale siamo liberati dalla grazia del Battesimo. Dunque netta distinzione fra il peccato personale – il “peccato” nel senso corrente della parola -, la cui colpa resta nel colpevole, e il peccato originale, la cui colpa è trasmessa ai discendenti. Il peccato dei progenitori è stato un peccato personale, ma nel contempo ha avuto il carattere di una colpa che si è trasmessa ai discendenti: peccato originale (originante). Indubbiamente la Bibbia non è un trattato di paleoantropologia, per cui da essa non possiamo attenderci alcuna informazione su quella che è stata l’evoluzione dell’uomo dalle origini ad oggi e neppure c’è l’ombra di una derivazione dell’uomo dalla scimmia. Anzi, il quadro della coppia edenica, nobilissima, sapientissima, bellissima, sanissima, immortale, perfetta nella virtù, signora del creato, felice, in comunione con Dio, ci fa pensare che fosse stata dotata da Dio di un corpo nobilissimo, ben superiore a quello della scimmia, benchè Pio XII nella medesima Humani Generis non escluda l’ipotesi che quanto al corpo i progenitori possano essere provenuti da un vivente precedente inferiore (ex iam exsistenti ac viventi materia, Denz.3896), salva restando la verità di fede che comunque l’anima spirituale dev’essere considerata come immediatamente creata da Dio, con buona pace di Vito Mancuso. Invece nell’interpretazione del Card.Ravasi il peccato sembra essere spiegato semplicemente col libero arbitrio dell’uomo capace di operare il bene come il male, ma sembra totalmente assente la vera condizione di miseria nella quale ognuno viene al mondo, ossia quello stato di colpa, che si chiama colpa originale o peccato originale originato, derivante per generazione dai nostri progenitori. Nella visione del Cardinale resta quindi inspiegata l’esistenza delle pene della vita presente nelle loro molteplici e tragiche forme, e l’innata, a volte irresistibile, tendenza al peccato esistente in ognuno di noi, anche i più buoni, tendenza dalla quale, come insegna la nostra fede, sono stati esentati solo Gesù Cristo e la Beata Vergine Maria, il primo in quanto Figlio di Dio, la seconda in quanto preservata, come è ben noto, per specialissimo privilegio, dalla macchia della colpa originale. Se tutti nasciamo buoni, dove va a finire il privilegio di Cristo e della Madonna? Se tutti siamo originariamente, necessariamente, sempre e inevitabilmente in grazia, dove va a finire il privilegio di Maria? E che ne è del peccato come assenza o perdita della grazia? Invece la Scrittura è chiarissima nel raccontare come il peccato dei progenitori li ha esclusi dal paradiso terrestre privandoli di quei preziosi beni che possedevano nello stato d’innocenza e nel farci comprendere come la serie infinita di pene che da allora affligge l’umanità sia causata, nella sua prima radice, dall’avverarsi di quel castigo che Dio aveva minacciato ai progenitori e alla loro progenie nel caso avessero disobbedito al comando divino di non “mangiare dell’albero del bene e del male”. E’ chiaro che tantissimi mali sono poi causati dai peccati personali dei singoli, eventualmente ancora sotto l’istigazione di Satana, ma anche questi peccati sono resi possibili dal fatto storico del peccato originale dei nostri progenitori all’origine della storia dell’uomo. “La morte – come dice S.Paolo – è entrata nel mondo a causa del peccato”. Nella concezione di Ravasi sembra invece che ognuno di noi sia creato naturalmente buono ed innocente, come nella concezione di Jean-Jacques Rousseau, e che possa corrompersi soltanto per una sua volontaria malizia o per l’influsso negativo della società. Ma allora a questo punto ci si chiede: a che serve la grazia cristiana della remissione dei peccati, a che serve il Battesimo, se ognuno di noi ha in sé la forza e la possibilità di osservare la legge divina e di conseguire la virtù, purchè lo voglia? O forse che ognuno possiede la grazia sin dalla nascita senza mai perderla, come crede Rahner? O forse la grazia è Dio, sicchè l’uomo in grazia in fin dei conti è Dio? Oppure l’uomo, essere sostanzialmente divino, come insegna la filosofia indiana, prende coscienza di tale sua divinità al termine di un opportuno cammino sapienziale di autopurificazione (yoga)? Dove egli allora si distingue da Gesù Cristo? Forse che egli diventa identico a Cristo, come pensava appunto Meister Eckhart che concepiva così la vita di grazia? Bisogna dire con tutta franchezza che questa concezione è in contrasto con la visione cristiana e combacia invece con le concezioni razionalistiche o naturalistiche o gnostiche, come per esempio la massoneria, il laicismo, il liberalismo, l’idealismo, l’esoterismo, il marxismo o il positivismo, dove il problema del male non è risolto per un intervento sanante della grazia di un Dio trascendente, ma per il fatto che l’uomo o è un essere originariamente divino o per il semplice moto dialettico della ragione o per la forza della volontà o le risorse della scienza, della tecnica e della politica. Ma se l’uomo nasce già buono e volto verso Dio e il peccato è un semplice incidente di percorso o è sempre e comunque perdonato o può convivere benissimo con la grazia o è il polo dialettico della dinamica della storia, a che la predicazione del Vangelo? A che l’esortazione alla penitenza e alla conversione? Che senso ha la Redenzione di Cristo? E la preghiera? E la Chiesa? E i sacramenti? E come e perché raggiungere la resurrezione e la vita eterna? Che cosa diventa la santità? Non è sufficiente per ogni evenienza il “dialogo” e la buona volontà? Da qui vediamo che la negazione o la deformazione o la decurtazione della dottrina cattolica della creazione della coppia primitiva e la dottrina del peccato originale, crea un processo a catena di negazioni, per le quali alla fine del cristianesimo non resta più nulla se non un’illusoria autodivinizzazione dell’uomo o un vago umanesimo, utopistico, relativista ed incapace di condurre gli uomini alla giustizia ed alla felicità.

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI |on 19 avril, 2016 |Pas de commentaires »

L’UOMO, FATTO A IMMAGINE DI DIO

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L’UOMO, FATTO A IMMAGINE DI DIO

La contraddizione presente in ogni uomo, fra le sue meravigliose caratteristiche fisiche e le sue infime qualità morali, trova spiegazione soltanto nella rivelazione biblica che ci rivela che cosa accadde all’uomo, dopo essere stato creato “a immagine e somiglianza di Dio”. Ma la stessa rivelazione ci comunica anche come Dio ha operato per far sì che l’uomo possa godere per l’eternità la gloria delle perfezioni divine. Che cos’è l’uomo?  Nell’articolo precedente abbiamo visto che Dio preparò il pianeta terra. Le caratteristiche di questo pianeta, in particolare la biosfera, sono assolutamente uniche, come hanno dimostrato tutte le esplorazioni dell’uomo nello spazio compiute fino a questo momento.  Ma che tipo di creatura è questo uomo posto come custode del pianeta terra? Il Salmista, dopo aver contemplato il creato, in particolare i cieli, per poi considerare sé stesso in questo contesto maestoso, rimase meravigliato. Ecco le parole che rivolse a Dio: “Quando io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos’è l’uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne prenda cura?” (Sl 8:3-4). Già: che cos’è l’uomo? Il Salmista si sentiva significativo per il semplice motivo che riusciva a contemplare il resto del creato. Ma la sua riflessione nasceva da qualcos’altro. Sapeva che Dio è dietro ogni cosa creata. Infatti aveva iniziato questo Salmo, scrivendo: “O Signore, Signore nostro, quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra! Tu hai posto la tua maestà nei cieli” (v. 1). Secondo la Bibbia Dio ha creato l’uomo come l’apice della sua opera creatrice, con la capacità di contemplare il resto del creato, dominarlo e di percepire oltre il creato stesso il suo Creatore (Ge 1:28; Sl 19:1-6).  Di conseguenza l’uomo trova il suo supremo significato nel lodare il Creatore e glorificarlo con la propria vita. Secondo Stephen Hawking, il noto scienziato inglese, invece, che non concepisce niente e nessuno oltre l’universo fisico, ogni persona crea un significato per la propria vita in base al proprio modo di concepire l’universo intorno a sé. In questo caso non ci sarebbe nessuno rapporto intrinsecamente significativo fra l’indi- viduo e il resto della realtà.  L’uomo, un essere contraddittorio  Prima di investigare ulteriormente il significato dell’uomo, dando ascolto alla Parola del Creatore, vale la pena osservare ciò che sembra essere un vero e proprio paradosso. Mentre sul piano fisico, l’uomo è l’insieme di numerosi sistemi sofisticatissimi, compresi i cinque sensi, che rendono possibile la vita in questo mondo, a livello morale è un vero e proprio disastro. In qualsiasi momento della storia ci sono innumerevoli esempi di questo fatto. Ad esempio, mentre alle Olimpiadi di Londra (2012) centinaia di persone manifestavano la propria destrezza in gare con un alto grado di difficoltà come il salto con l’asta, in Siria la popolazione si stava sparando in una guerra civile, distruggendo in modo indiscriminato tutto ciò che era stato costruito in molti anni.  Tale è l’uomo, così come lo conosciamo: un essere contraddittorio, da una parte un capolavoro, dall’altra invece un disastro sul piano morale e sociale. La teoria che l’uomo sia il prodotto di un processo di selezione non può spiegare questo paradosso, perché non può giustificare il contrasto fra l’incredibile raffinatezza biologica e intellettuale dell’uomo da una parte e la sua persistente incapacità di comportarsi in modo socialmente accettabile dall’altra. L’origine del paradosso  La Parola di Dio getta luce sulla natura enigmatica dell’uomo.  L’Ecclesiaste lo spiega in questi termini: “Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi” (Ec 7:29). L’evangelista Giovanni offre un’analisi simile quando definisce i termini del giudizio di Dio: “La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3:19).  Lungi dal trovarsi in una traiettoria ascendente che si muove verso un punto omega, come ipotizzato dal paleontologo evoluzionista e sacerdote cattolico Pierre Teilhard de Chardin SJ (1881–1955), tanto a livello intellettuale quanto a livello pratico “l’andazzo di questo mondo” rispecchia la grave caduta, avvenuta all’inizio della storia. Infatti è impossibile comprendere la natura contraddittoria dell’uomo se non si tiene conto dei fatti riferiti nei primi tre capitoli della Bibbia e ribaditi ripetutamente nella rivelazione speciale. Il racconto della creazione caratterizza l’uomo così: “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina” (Ge 1:27). La duplice origine dell’uomo, essendo un prodotto sia della polvere della terra sia del soffio di Dio (Ge 2:7), determinò una nobiltà e uno scopo eccezionali. Quale agente di Dio e vice-re sulla terra, ad Adamo fu dato il compito di dare un nome alle creature nonché di curare il resto del creato (2:15-20).  Sempre i primi capitoli della Bibbia raccontano perché l’uomo, dall’essere stato creato retto, cominciò a seguireuna traiettoria verso il basso. Questo dipese dalla sua decisione di disubbidire al suo Creatore (Ge 3). Così la specie umana, dopo che Adamo ed Eva ebbero cominciato a riprodurre la specie (1:28; 4:1-2), un processo anche questo altamente sofisticato, vide il primo frutto della loro unione mostrare assoluta incapacità di vivere in modo pacifico con altri della medesima specie, arrivando, per gelosia, a porre fine alla vita del suo fratello (4:3-24).  Tutto il resto della storia, per quanto dipende dall’uomo, è un susseguirsi di peccato, sofferenza e morte. Ma proprio nel contesto in cui si consumò il dramma primordiale della morte spirituale della prima coppia, aveva avuto inizio un’altra storia, che vede Dio promettere e poi intervenire per la restaurazione dell’uomo, contro le forze della malvagità (Ge 3:15).  Ci si domanda se, dopo la disubbidienza di Adamo e Eva, l’umanità abbia conservato la propria nobiltà di persone fatte a immagine di Dio o se gli siano rimasti soltanto quegli aspetti dell’immagine di Dio che lo accomunano a ogni cosa creata, che manifesta la sua gloria (Ro 1:19-21). Tre considerazioni ci portano a rispondere che l’immagine rimane integra, sebbene compromessa dal peccato.  In primo luogo, nel descrivere la colpa dell’omicida, dopo il diluvio universale, Dio pronunciò le seguenti parole: “Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine” (Ge 9:6). Uccidendo un’altra persona, l’omicida offende Dio stesso perché la persona uccisa è portatrice dell’immagine di Dio. Né qui né altrove nella Scrittura quest’immagine viene scissa in diversi aspetti (quali “morale” e“naturale”). In secondo luogo, in tutta la storia biblica, Dio si rivolge all’uomo con istruzioni e ordini, pretendendol’ubbidienza della fede. La serie di inviti che Dio rivolge all’uomo continua fino all’ultimo brano della Bibbia (Ap 22:17). L’uso dell’imperativo da parte di Dio non è una finzione, bensì la conferma che l’uomo, in quanto fatto a immagine di Dio, è considerato come responsabile delle proprie decisioni e azioni. Ciò che manca nell’uomo separato da Dio è la santità e la giustizia, non l’immagine che lo rende responsabile per la scelta di dare ascolto o meno al suo Creatore.  In terzo luogo appare significativo che, nel riassumere le responsabilità etiche dell’uomo, Pietro inizia con questa direttiva: “Onorate tutti” (1P 2:17). Ogni persona, non importa quanto sia caduta in basso, va onorata in quanto portatrice dell’immagine di Dio.   Il destino dell’uomo Chi si lascia orientare dalla Parola di Dio non ha problemi a sottoscrivere la seguente dichiarazione: Dio ha creato ogni cosa “per la manifestazione della gloria della sua eterna potenza, sapienza e bontà” (“Confessione di Westminster, 1646; cap. IV, I).  Ad esempio il salmista scrive: “Tutte le nazioni che hai fatte verranno a prostrarsi davanti a te, Signore, e glorificheranno il tuo nome. Poiché tu sei grande e operi meraviglie; tu solo sei Dio. O SIGNORE, insegnami la tua via; io camminerò nelle tua verità; unisci il mio cuore al timor del tuo nome. Io ti loderò Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo nome in eterno” (Sl 86:9-12). Anche l’agire dei discepoli di Cristo dovrebbe mirare a portare gli uomini a glorificare Dio (Mt 5:16; cfr. 1P 2:12).  Similmente lo scopo di avere, nell’ambito delle chiese locali, “un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù” è:“affinché di un solo animo e d’una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio” (Ro 15:5-6). Ma lo scopo di glorificare Dio è soltanto un lato delle finalità per cui Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. L’altro lato, su cui la Bibbia insiste molto, è che il destino dell’umanità è di godere la gloria di Dio, contemplarla e gustarla. La vera crisi sperimentata da Israele al tempo del sommo sacerdote Eli era che la gloria di Dio, che aveva riempito il tabernacolo al tempo di Mosè e aveva accompagnato Israele durante le loro peregrinazioni nel deserto, si era allontanata (Es 40:35; Nu 9:15-23; 1 S 4:21-22). Lo stesso dramma si ripeté al tempo di Ezechiele, quando la gloria di Dio abbandonò il tempio (Ez 10:4, 18; 11:22-23). Il vero dramma dell’umanità intera è che: “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Ro 3:23). Essere privi della gloria di Dio significa non avere il diritto di stare nella sua presenza e quindi godere delle sue benedizioni. Senza Dio, l’uomo rimane nella morte e nelle tenebre spirituali. Al contrario, ricevere “vita eterna” significa tornare a conoscere “il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17:3). Il destino di coloro che ottengono questa conoscenza di Dio è di vivere per sempre nella sua presenza.  Gesù aveva glorificato Dio Padre sulla terra, facendo la sua volontà in modo perfetto e completo (Mt 17:5; Gv 12:12:28; 17:4; 19:30). Nel fare questo anche Gesù stesso è stato glorificato, in particolare in virtù della sua vittoria sulla croce (Gv. 12:23-32). Ma nella sua preghiera sacerdotale Gesù non si limita a caratterizzare il proprio operato come un modo per manifestare la gloria di Dio nel mondo.  Esprime anche questo desiderio riguardo al destino dei suoi discepoli:  “Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo” (Gv 17:24). Coloro che sono i beneficiari dell’opera di salvezza che Gesù ha compiuto sulla terra sono “messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” in quanto: “Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Cl 1:12-14).  Non siamo più “privi della gloria di Dio”; al contrario siamo destinati a vedere la gloria di Cristo ed esserne partecipi per l’eternità! Questo è il vero destino di chi è riconciliato con Dio per mezzo di Cristo.  Così Paolo può definire la “ricchezza della gloria” di coloro che fanno parte della chiesa: “Cristo in voi, la speranza della gloria” (Cl 1:24-27). Ecco l’aspetto caratterizzante il cielo: “la presenza gloriosa di Dio”. È questo che Gesù desidera per noi.   Conclusione Per non sentirci condizionati da ciò che succede intorno a noi, giorno per giorno, dobbiamo ricordare qual è la nostra vera natura e qual è il nostro destino. Ricordare che siamo stati creati all’immagine e somiglianza di Dio ci nobilita. Ricordare che l’umanità discesa da Adamo, in quanto ribelle a Dio, è per natura spiritualmente morta e priva della gloria di Dio, spiega il perché dei tanti problemi che affliggono la nostra società. L’uomo vive come essere frustrato, incapace di sentirsi realizzato.  Per coloro che sono stati riconciliati con Dio per mezzo della croce, invece, la presenza di Cristo in loro per mezzo dello Spirito Santo può definirsi “la speranza della gloria” (Cl 1:27). Tale speranza li stimola a manifestare la gloria di Dio in questo mondo e, così facendo, aiutare coloro che non conoscono Dio a intravedere la sua gloria e a sentirne il bisogno.

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