Archive pour le 11 avril, 2016

Icona dei Santi Quaranta Martiri di Sebaste

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SANTO STANISLAO VESCOVO E MARTIRE – 11 APRILE

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SANTO STANISLAO VESCOVO E MARTIRE – 11 APRILE                                 

Szczepanowski, Polonia, c. 1030 – Cracovia, Polonia, 11 aprile 1079

Vescovo di Cracovia, fu pastore sapiente e sollecito. Succedette al vescovo Lamberto nel 1072. Intrepido sostenitore della libertà della Chiesa e della dignità dell’uomo, difensore dei piccoli e dei poveri, subì il martirio sotto il re Boleslao II? Canonizzato da Innocenzo IV ad Assisi nel 1253, è patrono della Polonia. Le sue spoglie, custodite nella cattedrale di Cracovia, sono mèta di pellegrinaggio attraverso i secoli. (Mess. Rom.)

Etimologia: Stanislao = la gloria dello stato, dal polacco

                                                                                                             

Martirologio Romano: Memoria di san Stanislao, vescovo e martire, che fu strenuo difensore della civiltà e dei valori cristiani tra le ingiustizie del suo tempo; resse come buon pastore la Chiesa di Cracovia, prestando soccorso ai poveri e visitando ogni anno il suo clero; mentre celebrava i divini misteri, fu ucciso dal re di Polonia Boleslao, che aveva severamente rimproverato. I buoni esempi dei genitori esercitarono una profonda impressione sul figlio che imparò presto a darsi alla preghiera, ad evitare i frivoli divertimenti, a imporsi delle piccole privazioni e a soffrire volentieri le incomodità della vita. Dopo i primi studi, egli fu inviato a completarli dapprima a Gniezno, celebre università della Polonia, poi a Parigi, dove per sette anni si applicò allo studio dei diritto canonico e della teologia. Per umiltà rifiutò il grado accademico di dottore. Quando ritornò in patria e divenne, per la morte dei genitori, possessore di una considerevole fortuna, Stanislao potè disporre dei beni in favore dei poveri e servire Dio con maggiore libertà. Il vescovo di Cracovia, Lamberto Zurla, conoscendo quanto grande fosse la sapienza e la virtù di lui, lo ordinò sacerdote e lo fece canonico della cattedrale. Stanislao fu il modello del capitolo per le penitenze con cui affliggeva il proprio corpo, la lettura e la meditazione continua della Sacra Scrittura, le vigilie e l’assiduità ai divini uffici. Incaricato della predicazione, si acquistò in breve una così grande reputazione che parecchi ecclesiastici e laici accorsero da tutte le parti della Polonia a consultarlo per la tranquillità della loro coscienza. Dopo la morte di Lamberto, tutti, ad una voce, elessero Stanislao suo successore. Egli, che si riteneva indegno e incapace di tanto ufficio, rifiutò energicamente. Dovette tuttavia piegarsi all’ordine formale di Alessandro II e lasciarsi consacrare vescovo nel 1072. Costretto a compiere le funzioni degli apostoli, egli cercò di praticarne le virtù. Per tenere sottomessa la carne portò il cilicio fino alla morte e per distaccarsi sempre di più dai beni della terra soccorse i bisognosi con generosità. Per non dimenticare nessuno ne fece compilare un elenco completo. La sua casa era sempre aperta a quanti ricorrevano a lui per consiglio e aiuto. Ogni anno visitava la diocesi per togliere gli abusi ed esigere dal clero una vita che fosse di edificazione per i fedeli. Dimentico delle ingiurie, trattava tutti con la dolcezza e la bontà di un padre, e prediligeva i deboli e gli oppressi, che difendeva sempre e ovunque con invincibile fermezza. La Polonia in quel tempo era governata da Boleslao II l’Ardito. Costui si era dimostrato valoroso nella guerra contro i Russi, ma nella vita privata non rifuggiva dalle orge, e in quella pubblica dalla tirannia. I rapimenti e le violenze erano i crimini che quotidianamente consumava con grande scandalo dei sudditi. Nessuno di coloro che lo avvicinavano osava fargliene la minima rimostranza. Soltanto Stanislao ogni tanto lo andava a trovare per indurlo a riflettere sulla enormità dei propri crimini e le funeste conseguenze degli scandali che dava. Boleslao II in principio cercò di scusarsene, poi parve dare segni di pentimento e promise di emendarsi. Le buone risoluzioni del re non durarono a lungo. Nella provincia di Siradia un giorno Boleslao fece rapire a viva forza Cristina, la moglie del signore Miecislao, famosa per la sua bellezza. L’atto tirannico e immorale provocò l’indignazione di tutta la nobiltà polacca. L’arcivescovo di Gniezno, primate del regno, e i vescovi della corte furono pregati d’intervenire, ma essi, timorosi di dispiacere al sovrano, rimasero dei cani muti. Soltanto Stanislao, dopo avere a lungo pregato, osò affrontare il re per la seconda volta e minacciargli le censure ecclesiastiche se non poneva termine alla sua vita disordinata e prepotente. Alla minaccia di scomunica Boleslao uscì dai gangheri e ingiuriò grossolanamente il coraggioso prelato dicendogli: « Quando uno osa parlare con tanto poco rispetto ad un monarca, converrebbe che facesse il porcaio, non il vescovo ». Il santo, senza lasciarsi intimidire, rinnovò le sue istanze e disse al sovrano: « Non stabilite nessun paragone tra la dignità regale e quella episcopale perché la prima sta alla seconda come la luna al sole o il piombo all’oro ». Boleslao II, risoluto a vendicarsi a costo di ricorrere alla calunnia, si ritirò bruscamente senza neppure congedare lo sconcertante visitatore. Il santo vescovo aveva comperato da un signore, chiamato Pietro, la terra di Piotrawin, ne aveva pagato il prezzo alla presenza di testimoni, poi ne aveva dotata la chiesa di Cracovia. Nell’atto di vendita nessuna formalità era stata omessa, tuttavia Stanislao, confidando nella buona fede dei testimoni, non aveva richiesto dal venditore una quietanza. Essendo costui morto, il re chiamò a sé i nipoti di Pietro, li esortò a richiederne l’eredità come un bene usurpato dal vescovo, e li assicurò che avrebbe saputo intimidire i testimoni al punto da chiudere loro la bocca. Gli eredi, seguendo le istruzioni di Boleslao II, intentarono un processo al vescovo, lo citarono a comparire davanti ad un’assemblea di giudici presieduta dal re e lo accusarono di avere usurpato la loro proprietà. Il santo sostenne di averla pagata, ma essi negarono. Allegò allora dei testimoni, ma essi non ebbero il coraggio di dire la verità. Stanislao stava per essere condannato quando, in seguito ad una improvvisa ispirazione, chiese ai giudici una dilazione di tre giorni, promettendo di fare comparire in persona Pietro, morto da tre anni. La richiesta fu accolta con uno sprezzante sogghigno. Dopo aver digiunato, pregato e vegliato, Stanislao il terzo giorno si recò al luogo in cui Pietro era stato seppellito, fece aprire la tomba e, toccandone con il pastorale la salma, gli ordinò di alzarsi nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il defunto ubbidì e il santo lo condusse con sé al tribunale dov’era ad attenderlo il re, la corte e una grande folla di curiosi. « Ecco – disse Stanislao ai giudici entrando con Pietro nella sala – colui che mi ha venduto la terra di Piotrawin; egli è risuscitato per rendervene testimonianza. Domandategli se non è vero che gli ho pagato il prezzo di quella terra. Lo conoscete e la sua tomba è aperta ». I presenti rimasero allibiti. Il risorto dichiarò che il vescovo gli aveva pagato quella terra davanti ai due testimoni che pochi giorni prima avevano tradito la verità, rimproverò i suoi nipoti per avere osato perseguitare ingiustamente il vescovo di Cracovia e li esortò a farne la penitenza. Dopo di che egli ritornò alla tomba da cui era uscito scongiurando il santo di pregare Nostro Signore affinché gli abbreviasse le pene del Purgatorio. Quel prodigio fece una grande impressione sopra Boleslao II. Per un certo tempo trovò la forza di reprimere la sua lussuria e di mitigare le sue crudeltà. Compì persino una spedizione contro i Russi e s’impadronì della loro capitale, Kiew. Tuttavia, l’ebrezza della vittoria lo fece ricadere in braccio alle più sregolate passioni. Non contento degli ordinari eccessi, volle abbandonarsi pubblicamente alle abominazioni di Sodoma e Gomorra. Stanislao, quale novello Giovanni Battista, prese la risoluzione di porre un freno alla licenza del novello Erode anche a costo del martirio per la gloria di Dio e la salute della Polonia. Egli chiese al Signore con preghiere e penitenze la conversione del re, lo visitò parecchie volte per fargli aprire gli occhi e sollevarlo dall’abisso in cui era precipitato. La sua fatica fu inutile: il sovrano lo caricò d’ingiurie e lo minacciò di morte se continuava a censurare la condotta come aveva fatto. Stanislao, acceso di sdegno per l’offesa che il re faceva a Dio, dopo avere chiesto il parere di altri vescovi, scomunicò pubblicamente Boleslao II e gl’interdisse l’ingresso in chiesa. Siccome il re continuava, nonostante le pene canoniche in cui era incorso, a prendere parte con i fedeli ai riti liturgici, il vescovo ordinò ai sacerdoti di sospendere i divini uffici ogni volta che lo scomunicato ardiva varcare la soglia delle loro chiese. Per parte sua, allo scopo di non essere turbato dalla presenza di lui nella celebrazione della Santa Messa, andava a dirla nella chiesa di San Michele, fuori Cracovia. Pieno di furore, Boleslao II si recò colà e ordinò ad alcune guardie di entrare in chiesa e di massacrarvi Stanislao. Esse ubbidirono, ma mentre stavano per mettere le mani addosso al santo che celebrava la Messa, furono fatti stramazzare a terra da una forza misteriosa. Il re, irridendo alla loro debolezza, si avvicinò in persona a Stanislao con in mano la spada sguainata, e gli assestò un fendente sulla testa con tale violenza da farne schizzare le cervella contro la parete. Era l’11 aprile del 1079. Per assaporare di più la sua atroce sete di vendetta tagliò il naso e le labbra al martire, e quindi diede ordine che il cadavere fosse trascinato fuori della chiesa, fatto a pezzi e disperso per i campi affinché servisse di cibo agli uccelli e alle bestie selvagge. Tuttavia Iddio fece sì che quattro aquile difendessero per due giorni le reliquie del santo e che durante la notte esse rilucessero di uno strano splendore. Alcuni sacerdoti e pii fedeli, fatti audaci da quei prodigi, osarono, malgrado la proibizione del re, raccogliere quelle membra sparse, emananti un soave profumo, e seppellirle alla porta della chiesa di San Michele. Due anni più tardi il corpo di Stanislao fu trasportato a Cracovia e seppellito prima in mezzo alla chiesa della fortezza e poi nella cattedrale (1088). S. Gregorio VII (+1085) lanciò l’interdetto sul regno di Polonia, scomunicò Boleslao II e lo dichiarò decaduto dalla dignità regale. Il principe, perseguitato esternamente dalla riprovazione dei sudditi, straziato internamente dal rimorso dei crimini commessi, cercò rifugio presso Ladislao I (+1095), re d’Ungheria, che lo accolse con bontà. Il pentimento non tardò ad impossessarsi del suo animo e allora intraprese un pellegrinaggio a Roma per implorare dal papa l’assoluzione dalle censure. Giunto ad Ossiach, nella Carinzia, la grazia lo spinse ad andare a bussare alla porta del monastero dei benedettini e chiedere di potervi passare il restante della vita come un fratello laico. Vi rimase sconosciuto fino alla morte (+1081) dedito alla penitenza e ai lavori più umili. S. Stanislao di Cracovia fu canonizzato da Innocenze IV nel 1253. Sulla sua tomba avvennero dei prodigi, tra cui la risurrezione di tre morti.

Autore: Guido Pettinati

DIETRICH BONHOEFFER – IL 9 APRILE 1945 VENNE IMPICCATO NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI FLOSSEBÜRG.

http://www.giovaniemissione.it/testimoni/bonhoeff.htm

DIETRICH BONHOEFFER – IL 9 APRILE 1945 VENNE IMPICCATO NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI FLOSSEBÜRG.

Nato a Breslavia (Germania) nel 1906 con la sorella gemella Sabine, Dietrich fu il sesto degli otto figli di Karl e Paula Bonhoeffer. Il padre era un importante professore di psichiatria e neurologia; la madre una delle poche donne laureate della sua generazione. Bonoheffer sceglie di studiare teologia, una scelta « strana » per la sua famiglia che frequentava sì la Chiesa luterana , ma guardava con ironia la Chiesa e la teologia, gente convinta cioè che la vera cultura moderna sia la cultura laica e la scienza. Laureatosi in teologia a Berlino nel 1927, Bonhoeffer iniziò l’attività di pastore in una chiesa tedesca a Barcellona nel 1928. Nel 1930 andò a studiare a New York presso l’Union Theological Seminary; nel 1931 iniziò ad insegnare alla facoltà teologica di Berlino e fu consacrato pastore. In quel periodo iniziò l’attività nel nascente movimento ecumenico, stabilendo contatti internazionali che in seguito avrebbero avuto grande importanza per il suo impegno nella resistenza. Nel 1931 fu eletto segretario giovanile dell’Unione mondiale per la collaborazione tra le chiese e nel 1933 entrò a far parte del Consiglio cristiano universale “Life and Work” (da cui sarebbe nato in seguito il Consiglio ecumenico delle chiese). Molto importanti nella sua vita sono stati anche i periodi di residenza all’estero. Passa quasi un anno a Barcellona, in Spagna, e poi parecchi mesi a New York sempre studiando teologia ma cercando di conoscere altre tradizioni, altri aspetti di problemi che venivano messi in evidenza a Berlino, e questo è un aspetto, una dimensione molto importante della sua personalità: l’apertura e la curiosità verso tradizioni diverse. Entra infatti in contatto con il Social Gospel e celebra funzioni religiose nei ghetti neri Dal ’31 al ’33 insegna (e quella è la sua vera professione) a Berlino. Nel suo insegnamento mostra una carica innovativa, coinolgendo gli studenti in iniziative non legate solo all-ambito accademico ma anche alla situazione politica esistente. Con l’ascesa di Hitler al potere alla fine del gennaio 1933, la Chiesa evangelica tedesca, cui Bonhoeffer apparteneva, entrò in una fase difficile e delicata. Molti protestanti tedeschi accolsero favorevolmente l’avvento del nazismo; in particolare il gruppo dei cosiddetti “cristiano-tedeschi” (Deutsche Christen) si fece portavoce dell’ideologia nazista all’interno della chiesa, giungendo perfino a chiedere l’eliminazione dell’Antico Testamento dalla Bibbia. Nell’estate 1933 costoro, ispirandosi alle leggi ariane dello Stato, proposero un “paragrafo ariano” per la chiesa, che impedisse ai “non-ariani” di diventare ministri di culto o insegnanti di religione. La disputa che ne seguì provocò una profonda divisione all’interno della chiesa: l’idea della “missione agli ebrei” era molto diffusa, ma adesso i cristiano-tedeschi sostenevano che gli ebrei fossero una razza separata che non poteva diventare “ariana” neanche tramite il battesimo, negando così la validità del Vangelo. Bonhoeffer si oppose fermamente al « paragrafo ariano », affermando che la sua ratifica avrebbe sottomesso gli insegnamenti cristiani all’ideologia politica: se ai “non-ariani” fosse impedito l’accesso al ministero, allora i pastori avrebbero dovuto dimettersi in segno di solidarietà, anche al costo di fondare una nuova chiesa, libera dall’influenza del regime. Nel saggio dell’aprile 1933, “La chiesa davanti al problema degli ebrei”, Bonhoeffer fu il primo ad affrontare il tema del rapporto tra la chiesa e la dittatura nazista, sostenendo con forza che la chiesa aveva il dovere di opporsi all’ingiustizia politica. Quando, nel settembre 1933, il « paragrafo ariano » fu approvato dal sinodo nazionale della Chiesa evangelica, Bonhoeffer si impegnò per informare e sensibilizzare il movimento ecumenico internazionale sulla gravità della questione. Rifiutò inoltre un posto di pastore a Berlino, per solidarietà con coloro che venivano esclusi dal ministero per ragioni razziali, e decise di trasferirsi in una congregazione di lingua tedesca a Londra. Nel maggio 1934 nacque la cosiddetta “Chiesa confessante” per opera di una minoranza interna alla Chiesa evangelica tedesca, che adottò la dichiarazione di Barmen in opposizione al nazismo. Nell’aprile 1935 Bonhoeffer tornò in Germania per dirigere, prima a Zingst e poi a Finkenwalde, un seminario clandestino per la formazione dei pastori della Chiesa confessante, che stava subendo crescenti pressioni da parte della Gestapo, culminate nell’agosto 1937 nel decreto di Himmler che dichiarava illegale la formazione di candidati pastori per la Chiesa confessante. In settembre il seminario di Finkenwalde fu chiuso dalla Gestapo, nei due anni seguenti Bonhoeffer continuò l’attività di insegnante in clandestinità; nel gennaio 1938 la Gestapo lo bandì da Berlino e nel settembre 1940 gli vietò di parlare in pubblico. Nel 1939 Bonhoeffer si avvicinò ad un gruppo di resistenza e cospirazione contro Hitler, costituito tra gli altri dall’avvocato Hans von Dohnanyi (suo cognato), dall’ammiraglio Wilhelm Canaris e dal generale Hans Oster. Il teologo costituì un legame fondamentale tra il movimento ecumenico internazionale e la cospirazione tedesca contro il nazismo. Nel 39, verso la fine del periodo di pace tra luglio e agosto, poco prima dello scoppio della guerra che avviene in settembre. Emigra in America di nuovo perché la sua posizione era già compromessa, aveva già ricevuto vari provvedimenti di polizia: non poteva spostarsi liberamente, non poteva parlare in pubblico, gli era stato ritirato il permesso di abilitazione alla docenza non poteva scrivere. Quindi era abbastanza chiaro a lui e ai suoi amici che una volta scoppiata la guerra avrebbe corso seri pericoli. Gli viene trovata una sistemazione in vari istituti universitari americani e lui resta in America per circa un mese ma gli scrupoli di coscienza per aver abbandonato il suo popolo nel momento del pericolo sono tali che nel giro di poche settimane ritorna nella sua decisione e a ritorno in patria sapendo benissimo a che cosa andava incontro. Qui c’è un altro aspetto da mettere in evidenza. Se Bonoheffer è morto come un martire, non è morto perché si è trovato all’interno di un meccanismo infernale che l’ha schiacciato, ma anche perché in qualche modo ha liberamente voluto assumersi la responsabilità di condividere la sorte del suo popolo. Torna in Germania e nel 40 comincia ad avere i primi contatti con gli ambienti della resistenza. La resistenza tedesca non ha avuto dimensione popolare . La resistenza in Germania non ha avuto una dimensione popolare, non è stata neanche prevalentemente una resistenza di sinistra perché dopo lo scoppio della guerra le organizzazioni clandestine della sinistra erano state quasi tutte e quasi completamente eliminate dalla misura di repressione della polizia e della GESTAPO e quindi stranamente alcuni centri di resistenza più attivi si costituiscono all’interno dell’esercito per vari motivi, qualche volta semplicemente per gelosia tra l’esercito e l’organizzazione nazista; l’esercito si sentiva estraneo all’organizzazione nazista, alle SS. alla GESTAPO e anche il fatto che Hitler fosse divenuto ad un certo punto capo dell’esercito era stato considerato un affronto alla relativa autonomia dell’esercito stesso, la grande tradizione prussiana dietro e per questi motivi e in alcuni casi anche per motivi morali più elevati, per una sorta di rigetto davanti alle barbarie delle misure che venivano attuate durante la guerra, per esempio l’ordine dato, una volta incominciata la campagna di Russia di uccidere i civili che avessero un qualche ruolo all’interno dell’organizzazione del partito comunista, senza processo, anche se non avevano partecipato ad attività belliche, uccidere i civili se era difficile trasportarli, i prigionieri se era difficile trasportarli e via dicendo… Davanti a queste motivazioni c’è una serie di generali incomincia a dire che bisogna fermare quel pazzo, che forse poi tanto pazzo non era (perché non è il caso di semplificare la figura di Hitler in questo senso). Incominciano a costituirsi dei gruppi e all’interno di uno di questo opera Bonhoeffer, finché nel 43 viene arrestato perché viene scoperta la rete del complotto. Viene internato nel carcere militare di Tegel.  Viene internato in un carcere militare non perché fosse un teologo che in nome della fede combatteva il nazismo ma perché era entrato a far parte di una organizzazione dell’esercito con una motivazione prettamente laica come tanti altri ufficiali e soldati. Durante i due anni di prigionia che precedettero la sua morte, nelle lettere all’amico Eberhard Bethge, Bonhoeffer esplorò il significato della fede cristiana in un « mondo diventato adulto », chiedendosi: « Chi è Cristo per noi oggi? » Il cristianesimo è troppo spesso fuggito dal mondo, cercando di trovare un ultimo rifugio per Dio in un angolo « religioso », al sicuro dalla scienza e dal pensiero critico. Ma Bonhoeffer affermò che è proprio l’umanità nella sua forza e maturità che Dio reclama e trasforma in Gesù Cristo, « la persona per gli altri ». Dopo un fallito attentato contro Hitler il 20 luglio 1944, Bonhoeffer fu trasferito nella prigione di Berlino, poi nel campo di concentramento di Buchenwald e infine in quello di Flossenbürg, dove fu impiccato insieme ad altri cospiratori. Durante la sua vita, Bonhoeffer pubblicò nel 1930 Sanctorum communio, nel 1931 Atto ed essere, nel 1937 Sequela, nel 1938 La vita comune. Le lettere e gli appunti scritti durante la prigionia e inviati all’amico Eberhard Bethge vennero da questi pubblicati postumi nel 1951, insieme alle lettere ai genitori e ad alcune poesie, sotto il titolo di Resistenza e resa. Postume apparvero le opere che, secondo l’autore, dovevano costituire il suo contributo maggiore: Etica (1949); Tentazione (1953); Il mondo maggiorenne (1955-66) (eva/febbario 2006). Il 9 aprile 1945 venne impiccato nel campo di concentramento di Flossebürg.

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