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QUATTRO CATECHESI SULLA PREGHIERA – DEL VESCOVO TEOFANE IL RECLUSO
http://oodegr.co/italiano/tradizione_index/insegnamenti/catechesisullapregteofane.htm
QUATTRO CATECHESI SULLA PREGHIERA – DEL VESCOVO TEOFANE IL RECLUSO
(questa è la prima)
21 novembre 1864
In occasione della festività della Presentazione al Tempio della Vergine Santissima trovo opportuno presentarvi quattro catechesi sulla preghiera giacché in essa consiste la nostra attività principale in chiesa. Questa è il luogo della preghiera ed il terreno in cui essa si sviluppa. Perciò, per noi, entrare in chiesa significa avviarci allo spirito della preghiera. Il Signore si è compiaciuto di chiamare suo tempio il cuore dell’uomo. Entrandovi spiritualmente, noi ci presentiamo a Dio e suscitiamo in noi un moto di ascesa verso di Lui, simile al profumo che si leva dall’incenso. Cercheremo di apprendere come ciò si raggiunge. Raccogliendovi in chiesa, naturalmente, voi pregate, sebbene, compiendo in essa le vostre devozioni, certamente non le trascuriate a casa. Perciò potrebbe sembrare superfluo parlarvi del dovere che abbiamo di pregare, visto che voi pregate. Ma la realtà è ben diversa. Penso che non sia inutile indicarvi due o tre regole sul modo di pregare, che vi siano, se non d’insegnamento, almeno di avvertimento. Quello della preghiera è il primo dovere di un cristiano. Se nella vita quotidiana è valido il principio: “Lo studio dura per tutta la vita”, esso si può applicare a maggior ragione alla preghiera, la cui azione non ammette discontinuità ed i cui gradi non conoscono limiti. Ricordo a questo proposito la saggia usanza degli antichi santi Padri, i quali, in occasione dei loro incontri, salutandosi s’informavano non della loro salute, né di altre cose, ma della preghiera. Si chiedevano a vicenda: “Come va, o, come procede la preghiera?”. L’attività della preghiera era per loro segno della vita spirituale ed essi chiamavano l’orazione respiro dello spirito. C’è il respiro fisico che prova che l’uomo vive, poiché quando viene meno il respiro, viene meno anche la vita. Così avviene anche nella vita spirituale: se c’è la preghiera, vive lo spirito; se questa è assente, non c’è neppure vita spirituale. Tuttavia non sempre preghiamo quando recitiamo una preghiera o compiamo una devozione. Ad esempio, sostare davanti ad un’immagine sacra ed inginocchiarsi dinanzi ad essa non è ancora una preghiera, ma qualcosa di accessorio ad essa. Recitare a memoria le preghiere o leggerle da un libricino o ascoltarne la lettura fatta da un altro non significa pregare, ma è solo un modo o un mezzo per manifestare o far sorgere la preghiera. Essa, in sé, consiste nello sbocciare continuo nel nostro cuore di sentimenti di devozione a Dio, di sentimenti di umiltà, di dedizione, di gratitudine, di lode, di perdono, di intima adesione, di penitenza, di sottomissione alla volontà di Dio, ecc… Noi dobbiamo preoccuparci insomma che durante le nostre preghiere questi sentimenti, o altri ad essi analoghi, penetrino nella nostra anima, affinché, mentre leggiamo le preghiere o ne ascoltiamo la lettura e compiamo prosternazioni, il cuore non sia vuoto, ma sia informato da qualsiasi sentimento rivolto a Dio. Allorché sono presenti questi sentimenti, la nostra preghiera è veramente tale, mentre quando mancano, la preghiera non sussiste ancora. Sembrerebbe che non ci sia cosa più semplice e più naturale per noi della preghiera o del volgere a Dio il nostro cuore. Eppure né in tutti né sempre si verifica questa condizione. Dobbiamo farla sorgere in noi e rafforzarla, oppure, il che è lo stesso, dobbiamo educare in noi lo spirito della preghiera. Il primo metodo da seguire consiste nel leggere o ascoltare una preghiera letta da altri. Compi le devozioni in modo conveniente e sicuramente risveglierai e rafforzerai l’elevazione del tuo cuore a Dio, o entrerai nello spirito della preghiera. I nostri libri di devozione contengono le orazioni dei Santi Padri, Efrem Siro, Macario l’Egiziano, Basilio il Grande, Giovanni Crisostomo e di altri grandi maestri della preghiera. Poiché costoro erano pervasi dallo spirito della preghiera, essi esposero con parole ciò che questo spirito suggeriva loro e l’hanno trasmesso a noi. Dalle loro parole promana una grande forza di preghiera e chi con attenzione ed impegno interiore penetra in esse, per effetto della legge della reciprocità, inevitabilmente diviene partecipe di questa forza nella misura in cui il suo stato d’animo si avvicina al contenuto della preghiera. Per fare delle nostre devozioni uno strumento effettivo dell’educazione alla preghiera, è necessario che sia la mente che il cuore ne accolgano il contenuto. A questo proposito indicherò tre semplicissimi metodi: non iniziare le tue devozioni senza una, sia pur breve, preparazione; non compierle in qualsiasi modo, ma con attenzione e sentimento; infine non passare subito, dopo aver terminato le preghiere, alle occupazioni normali. Ammesso pure che per noi la preghiera sia un’attività del tutto abituale, tuttavia ad essa deve precedere una preparazione. Che cosa c’è di più abituale della lettura e della scrittura per coloro che sanno leggere e scrivere? Ciononostante, quando ci sediamo per leggere o per scrivere, non iniziamo immediatamente questo genere di attività, ma indugiamo qualche minuto, per lo meno quanto basta per metterci in una posizione comoda. A maggior ragione è necessaria prima della preghiera una preparazione adatta ad essa, specialmente quando l’attività precedente era di un genere del tutto diverso. Pertanto, accingendoti alla preghiera, sia di mattina che di sera, fa una breve sosta, sedendoti o camminando, e sforzandoti in questo lasso di tempo di allontanare la mente da tutti i pensieri e da tutte le occupazioni di questa terra. Pensa poi chi è Colui al quale stai per rivolgerti con la preghiera e chi sei tu che stai per iniziarla, in modo che la tua anima stia davanti a Dio in uno stato di volontaria umiliazione e di rispettosa paura. In questo atteggiamento rispettoso di fronte a Dio consiste la preparazione; è poca cosa, ma non priva d’importanza. È questo il principio della preghiera ed un buon principio è già metà dell’opera. Dopo aver assunto questo atteggiamento interiore, mettiti dinanzi ad un’immagine sacra e, dopo esserti inchinato alcune volte di fronte ad essa, comincia la solita preghiera: “Gloria a te, Dio nostro, Gloria a te” – “Re del Cielo, Paraclito, Spirito di verità, vieni e prendi dimora in noi…”, ecc… Non leggere in fretta, penetra in ogni parola e porta al cuore il significato di ogni termine, accompagnando la lettura con inchini. In questo consiste la lettura della preghiera, gradita a Dio ed apportatrice di frutti. Penetra in ogni parola e porta sino al cuore il senso di ogni termine, insomma cerca di comprendere quello che leggi e di sentire quello che comprendi. Non c’è alcun bisogno di altre regole. Questi due criteri – l’intelligenza ed il sentimento –, quando si realizzano nel modo dovuto, rendono la preghiera pienamente degna e le comunicano un effetto fecondo. Se leggi le parole della preghiera: “purificaci da ogni turpitudine”, sforzati di sentire la tua miseria, desidera la purezza e, pieno di speranza, chiedila al Signore. Quando leggi le parole: “E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, perdona nel tuo intimo a tutti e, con il cuore che ha perdonato tutto a tutti, chiedi a Dio perdono per te. Se leggi: “Sia fatta la tua volontà”, nel tuo cuore affida al Signore la tua sorte e manifesta la tua incondizionata prontezza di accettare tutto ciò che al Signore piacerà di mandarti. Se procederai così con ogni frase delle tue preghiere, queste saranno recitate in forma conveniente. Per compiere le tue devozioni con maggior frutto, eccoti alcuni consigli: 1. Proponiti un determinato numero di preghiere[1], con l’approvazione del tuo padre spirituale, che non sia grande, ma tale che lo possa recitare senza fretta nell’ambito dei tuoi impegni quotidiani; 2. Prima di pregare, nei momenti liberi getta uno sguardo alle tue preghiere giornaliere, afferra con la mente il pieno significato di ogni parola e sforzati di sentirla, in modo da sapere precedentemente ciò che devi avere nell’anima ad ogni parola e sforzati di sentirla, in modo da sapere precedentemente ciò che devi avere nell’anima ad ogni parola. Sarà ancor meglio, se imparerai a memoria le preghiere fissate per ogni giorno. Se farai ciò, ti sarà ancora più facile comprendere e penetrare nel senso delle preghiere. Rimane una difficoltà: il pensiero distratto volerà sempre ad altri argomenti. Perciò è necessario questo terzo consiglio: 3. Dobbiamo sforzarci di mantenere desta l’attenzione, sapendo in precedenza che il pensiero cercherà di sfuggire. Poi quando durante la preghiera esso si distrarrà, richiamalo; sfuggirà di nuovo, di nuovo richiamalo. E così ogni volta. Ma allorché la lettura sarà fatta con distrazione – cioè senza attenzione e sentimento –, non dimenticare di ripeterla. Finché il tuo pensiero non si sarà concentrato su un passo, rileggilo più volte e così riuscirai a penetrarvi con la mente ed il sentimento. Se supererai una volta questa difficoltà, essa forse non si presenterà successivamente, oppure non si presenterà con tale forza. Così dobbiamo comportarci, quando il pensiero sfugge o si distrae. Ma può verificarsi il caso che una parola talmente influisca sull’anima, che questa non si senta di andare oltre nella preghiera e, sebbene la lingua continui a leggere, il pensiero ritorna a quel passo che ha esercitato un effetto così profondo sull’anima. In questo caso vale questo quarto consiglio: 4. fermati e non leggere oltre; trattieni l’attenzione e il sentimento su quel passo, nutri con esso la tua anima o con quei pensieri che esso farà sorgere in te. E non allontanarti da questo stato; anzi, se ti mancasse il tempo, è meglio lasciare incomplete le preghiere, ma non distruggere questo stato d’animo. Esso ti accompagnerà e proteggerà forse anche per tutto il giorno come l’Angelo Custode! Effetti benefici di questo genere sull’anima durante la preghiera indicano che il suo spirito comincia a mettere radici in noi, per cui la conservazione di questo stato è il mezzo più utile per educare e rafforzare in noi lo spirito della preghiera. Infine, quando termini le tue preghiere, non passare subito a qualsiasi altra occupazione, ma, sia pur brevemente, trattienti e pensa che cosa è avvenuto in te ed a che ti obbliga. Cerca di conservare anche per il tempo successivo, se ti è stato concesso di sentire qualcosa nel tuo animo durante la preghiera. Del resto, se uno ha recitato le sue preghiere con cura, non vorrà egli stesso passare subito ad altre occupazioni. Questa è la caratteristica propria della preghiera! Ciò che i nostri antenati dissero di ritorno da Costantinopoli: “Chi ha gustato il dolce, non vorrà l’amaro”, si verifica anche in quanti hanno bene pregato. Né si deve dimenticare che il gustare la dolcezza della preghiera è il fine della preghiera e che se le orazioni educano lo spirito della preghiera, ciò avviene proprio grazie a questo gusto. Se metterete in pratica questi brevi consigli, ben presto vedrete il frutto dei vostri sforzi, nella preghiera. E chi ad essi si attiene anche senza seguire questa indicazione, naturalmente già gusta di questo frutto. Ogni preghiera lascia una traccia nell’anima; la sua continuazione ininterrotta nello stesso ordine la radicherà, mentre la sopportazione di questo sforzo produrrà anche lo spirito della preghiera. Che il Signore ce lo conceda per le preghiere della purissima nostra Signora Madre di Dio! Io vi ho così indicato il primo, ed iniziale, metodo con cui educare lo spirito nella preghiera, cioè il compimento della preghiera conformemente al suo fine, a casa di mattina e di sera e qui in chiesa. Ma non è ancor tutto. C’è un altro metodo ed io, se Dio lo vorrà, ve lo indicherò domani.
GLI ASSIRI
http://www.tuttostoria.net/storia-antica.aspx?code=98
GLI ASSIRI
Gli Assiri erano una popolazione semita appartenente al gruppo degli Amorriti, che giunse nella Mesopotamia settentrionale verso il 2500 a.C.. Il loro nome deriva dalla loro città-Stato più importante: Assur. Essi godevano della fama di essere guerrieri feroci e sanguinari, e dopo innumerevoli battaglie riuscirono ad estendere il proprio dominio su tutto il territorio di Babilonia, sconfiggendo i Sumeri, i Caldei e gli Aramei, dei quali adottarono poi le civiltà, utilizzando come lingua ufficiale l’Aramaico. L’impero Assiro (1115-606 a.C.) comprese nel periodo della sua massima espansione le coste del Mar Nero, la Siria, la Mesopotamia, la Media, la Fenicia, la Palestina e l’Egitto. La loro ultima capitale, Ninive, cadde nel 612 a.C. per mano della coalizione composta da Caldei e Medi, assieme a tutte le altre principali città: Assur, Kalkhu, Kharranu, Nimrud e Khorsabad. Gli eserciti della coalizione distrussero i centri del potere assiro ma lasciarono integra la loro cultura e le loro divinità. La storia del popolo Assiro si divide in tre periodi distinti: l’Antico Assiro (2500-1115 a.C.), durante il quale il principale centro di potere fu la città di Assur; il Medio Assiro (1115-721 a.C) segnò la nascita, l’espansione e la decadenza dell’Impero Assiro; infine il Neo Assiro (721-606 a.C.), che fu il periodo della rinascita sotto il regno dei Sargonidi nella nuova capitale Ninive. Intorno al 2500 a.C. essi edificarono le due roccaforti di Assur e Ninive, espandendosi nelle terre confinanti per circa due secoli. Successivamente gli Accadi, guidati dal loro re Sargon, riuscirono a sconfiggere l’esercito assiro ottenedo il controllo del territorio fino al 2100 a.C.. Seguì un secolo circa di dominazione da parte dei Sumeri, interrotta da una rivolta capeggiata dal re Assiro Puzur-Assur I°, che fu il primo re della sua dinastia che durerà dal 2000 a.C. fino al 1813 a.C., data di inizio del regno di Shamshi-Adad (1813-1781 a.C.). La pressione esercitata dai Babilonesi di re Hammurabi ebbe il sopravvento nel 1764 a.C, mentre il popolo dei Mitanniinfluenzerà l’intera area dal 1605 al 1365 a.C.. Gli Assiri riprenderanno l’offensiva con l’avvento del feroce re Assurubalit I° (1365-1330 a.C.); egli ordinò terribili stragi e deportazioni in massa di popolazioni inermi, crudeli soluzioni che cambiarono il modo di fare la guerra, consolidando nel contempo le nuove ideologie sulla purezza della razza. Il grande paradosso che distinse gli Assiri da altri popoli dell’epoca, fu che, se da una parte a svilupparono una strategia militare estremamente feroce, dall’altra curarono molto lo sviluppo della matematica, lo studio degli astri, le scienze, la letteratura e lo studio dei testi sacri; . Gli Assiri vollero elevarsi a stirpe prioritaria, toccando i vertici estremi tra l’intelletto divino e la crudeltà del soldato perfetto. Questi terribili guerrieri si spinsero verso meridione in direzione di Babilonia, guidati dai loro re Adad-Ninari I° (1307-1275 a.C.), Salmanassar (1274-1245 a.C.), Tukulti-Ninurta (1244-1208 a.C.), riuscendo a conquistarla e Tiglat-Pileser I° (1115-1074 a.C), assunse il titolo di primo imperatore assiro regnando sull’intera Mesopotamia e la Siria fine a raggiungere le coste del Mar Nero. La sua morte segnò l’inizio della decadenza dell’Impero che si protrasse fino al periodo Neo Assiro, interrotta solo per poco tempo dal regno di re Assurnasirpal II (884-858 a.C.), che conquistò nuovi territori consolidando il vacillante Impero. A lui fece seguito Salmanassar III (859-824 a.C.), che soffocò le rivolte scoppiate in Palestina e nei territori Fenici; il suo successore Adad-Ninari III (810-782 a.C.), conquistò Damasco e riprese l’assedio delle città Fenicie. Il re Tiglat-Pileser III (744-727 a.C.) riconquistò in parte i territori perduti dai sovrani precedenti, riprendendo tutta la Siria e la Palestina. Nel corso del periodo Neo Assiro, il re Sorgon II (721-705 a.C.) fu il primo re di una nuova dinastia detta dei Sargonidi, il cui figlio Sennacherib (680-669 a.C) pose fine alle continue rivolte in Palestina e nell’Elam, spostando la capitale dell’Impero Assiro nella città di Ninive. Il re Asarhaddon (680-669 a.C.) riprese la penetrazione in Egitto; al momento della sua morte, la sua opera di conquista venne completata dal suo successore Assurbanipal (668-627 a.C.); questi sconfisse in seguito il fratello rivale, re di Babilonia, favorendo un nuovo periodo di splendore, seppur effimero dell’Impero Assiro. Dopo la sua morte ebbe inizio la fase finale della decadenza del Regno, che si concluse con la sconfitta definitiva dell’esercito Assiro ad opera della coalizione formata dai Caldei e dei Medi. Le loro monumentali città risentivano molto dell’influenza architettonica babilonese; veramente notevoli risultavano i giganteschi rilievi decorativi rappresentanti scene di caccia al leone o scene di guerra, nelle quali si tendeva ad esaltare la potenza dei guerrieri Assiri. L’amministrazione e l’economia dello Stato si reggevano sui commerci e soprattutto sul saccheggio delle città sconfitte. Ogni città dell’Impero Assiro possedeva un centro amministrativo-commerciale dipendente in modo diretto dal palazzo reale situato nella capitale; le merci più scambiate erano in buona parte costituite da piombo, stagno, rame, tessuti e pietre preziose; i pagamenti avvenivano per mezzo di piccoli lingotti d’oro o d’argento, oppure con un controvalore in rame o stagno. Tra gli dei venerati dagli Assiri, il più adorato fu il dio Assur, protettore del popolo assiro; in seguito si svilupparono culti derivati da altri popoli, come quello della dea babilonese Ishtar, patrona dell’amore e della guerra, Anu, il dio del cielo, Adad, il dio dei fenomeni metereologici, Nabu, patrono degli scribi, Shamash, dio della giustizia, Sin, dea della luna e molti altri.
LO PSEUDO-MACARIO – CONSIGLI SPIRITUALI
LO PSEUDO-MACARIO – CONSIGLI SPIRITUALI
Breve nota biografica
Il monachesimo egiziano ha conosciuto non meno di sei o sette asceti sotto il nome di Macario, Macario d’Egitto, Macario d’Alessandria, Macario di Pispir, ecc… menzionati nella Historia Lausiaca (Cfr. Butler II p. 193). A Macario di Egitto sono attribuiti numerosi scritti. Essi sono numerose lettere, cinquanta omelie spirituali, sette opuscoli ascetici, la Grande Lettera ad Filios Dei.
CONSIGLI SPIRITUALI 1. Quando l’Apostolo ci dice: « Spogliatevi del vecchio uomo » (Efes. 4, 22), intende l’uomo totale, quello che aderisce ai nostri occhi, alle nostre mani e ai nostri sensi. Il maligno inquinò e fece deviare tutto l’uomo, anima e corpo, e lo ricoprì con la realtà dell’uomo vecchio, cioè con quella dell’uomo profanato, contaminato, ostile a Dio e ribelle alla sua legge; in questo consiste il primo peccato. Cosicchè l’uomo non vede più in modo conforme alla sua natura, ma il suo vedere, udire, camminare, agire e sentire sono legati al male. Preghiamo Dio che ci renda nudi dell’uomo vecchio; Lui solo può liberarci dal peccato. Le forze del male che ci tengono schiavi nel regno del maligno sono più forti di noi; ma il Signore ci ha promesso di liberarci da questa schiavitù (Migne 34, 464 C). 2. L’anima si volge dalle maligne divagazioni conservando la vigilanza del cuore; ciò impedisce ai sensi ed ai pensieri di vagare nel mondo esteriore (Migne 34, 473 D). 3. Il fondamento vero della preghiera è questo: vigilare sui pensieri, e abbandonarsi all’orazione in grande quiete e pace così da non turbare gli altri. Sicuramente chi porta avanti al suo pieno sviluppo la grazia di Dio ricevuta, con un modo silenzioso di ascesa orante, è di maggior aiuto agli altri, perchè il nostro Dio, non è un Dio di confusione ma di pace (1 Cor. 14, 33).
Chi è solito pregare ad alta voce è simile ai banditori, e non può pregare ovunque, certo non nelle adunanze e nei luoghi abitati, ma solo nei posti solitari a sua scelta. Chi prega in silenziosa compostezza, lo può fare ovunque con edificazione di tutti. Costui deve portare tutto il suo sforzo sui pensieri, spezzare la turma dei pensieri maligni che l’attorniano, mettersi davanti a Dio; non eseguire le velleità di essi (pensieri), cercare invece di raccoglierli dalla dispersione separando i pensieri conformi alla natura da quelli malvagi (Migne 34, 520 B). 4. Alle volte basta che uno pieghi le ginocchia per pregare e subito il suo corpo si trova inondato dalla divina energia e gioisce l’anima della presenza del Signore come di quella dello Sposo. Altre volte invece, dopo un giorno intero di impegni laboriosi e dissipatori, uno, in una breve ora di preghiera, trova il suo io interiore rapito nell’orazione e immerso nello sconfinato mare dell’eterno; con dolcezza grande la sua mente, assorta e sospesa, dimora in quella regione ineffabile. In quel momento tacciono tutte le preoccupazioni esteriori, le forze mentali attratte dalle incommensurabili e inesprimibili realtà celesti, ricolme di stupore indicibile, riescono solo a formulare questa preghiera: Possa l’anima mia insieme alla preghiera emigrare all’altra sponda! (Migne 34, 528c). 5. L’anima, quando vien ritenuta degna di aver parte alla chiarità luminosa dello Spirito, venendo illuminata da questo splendore ineffabile si trasforma nella dimora adatta a riceverlo. Essa è allora tutta luce e nessuna parte in lei è priva dello spirituale occhio della luce. Niente è tenebroso in lei, essa è luce, spirito e capacità visiva. Tutto in lei è chiaro e semplice, essendo accesa dalla luce di Cristo che in lei ha stabilito la sua dimora. (Migne 34, 451 a). 6. Se uno, dopo aver rinunciato alle realtà esteriori, non ha sostituito, in tutta la sua pienezza, la comunione carnale propria degli esseri terreni con la comunione delle realtà celesti, e non ha avvicendato la gioia illusoria del mondo con quella interiore dello Spirito, conforto derivante dalla grazia celeste e placazione interiore che nasce dalla contemplazione della chiarità luminosa del Signore… Costui è un sale che ha perduto il sapore. (Migne 812 d). 7. Segno della presenza del Cristianesimo è questo: dopo aver affrontato ogni sorta di travagli e aver compiuto opere di verità, il riconoscersi incapace di alcunchè di bene. Ed anche se uno è giusto davanti a Dio la sua coscienza deve dirgli: « ogni giorno incomincio di nuovo ». Ogni giorno sia accompagnato dalla speranza, dalla gioia, dalla fiducia di giungere al regno futuro della salvezza. Ripetersi spesso: « Se oggi non ho raggiunto la liberazione, vi riuscirò domani ! ». Chi ha intenzione di piantare una vigna, avanti di accingersi al lavoro è nutrito dalla speranza e dalla gioia, e nella sua mente sogna la vendemmia e calcola i guadagni prima che il vino sia fatto; con questo animo può affrontare la fatica. (Migne 34, 681 b). 8. Il Cristianesimo è cibo e bevanda; quanto più uno se ne nutre, tanto più dalla sua dolcezza la mente è attratta trovandosene sempre insaziabilmente bisognosa. in verità lo Spirito è cibo e bevanda che mai dà sazietà. (Migne 34, 682 c). 9. Una cosa è parlare del cibo e della tavola imbandita, altra cosa è prendere e mangiare il pane saporoso e dar vigore a tutte le membra del corpo. Una cosa è discorrere della più soave bevanda, altra è andare ad attingere alla fonte e saziarsi col bere il soave liquore… Una cosa è rimuginare discorsi nella mente con una certa conoscenza, altra è portare la grazia, il sapore e la forza dello Spirito Santo in una partecipazione personale viva e fattiva, così da mostrare di possedere il tesoro delle realtà spirituali con pienezza nella mente e in tutto l’uomo interiore. (Migne, 34, 701 b). 10. Quando il pittore è intento a fare il ritratto del re ne deve avere davanti Il volto, cosicchè quando il re posa davanti a lui con abilità e grazia lo ritrae: ma se il re è girato dalla parte opposta, il pittore non può compiere l’opera sua, perchè il suo occhio non ne vede il volto. Così Cristo, pittore perfetto, dipinge i lineamenti del suo volto di uomo celeste su quei fedeli che sono verso di Lui costantemente orientati. Se qualcuno non lo fissa di continuo, disprezzando ogni cosa a Lui contraria, non avrà in se stesso l’immagine del Signore disegnata dalla sua luce. Il nostro volto sia sempre in Lui fisso, con fede e amore, trascurando tutto per essere solo in Lui intenti, affinchè nel nostro intimo si imprima la sua immagine, e così portando in noi Cristo possiamo giungere alla vita senza fine (Migne 34 724a).
PAPA FRANCESCO – 16. VA E ANCHE TU FA COSI (CFR LC 10,25-37)
PAPA FRANCESCO – 16. VA E ANCHE TU FA COSI (CFR LC 10,25-37)
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 27 aprile 2016
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi riflettiamo sulla parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37). Un dottore della Legge mette alla prova Gesù con questa domanda: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (v. 25). Gesù gli chiede di dare lui stesso la risposta, e quello la dà perfettamente: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» (v. 27). Gesù allora conclude: «Fa’ questo e vivrai» (v. 28). Allora quell’uomo pone un’altra domanda, che diventa molto preziosa per noi: «Chi è mio prossimo?» (v. 29), e sottintende: “i miei parenti? I miei connazionali? Quelli della mia religione?…”. Insomma, vuole una regola chiara che gli permetta di classificare gli altri in “prossimo” e “non-prossimo”, in quelli che possono diventare prossimi e in quelli che non possono diventare prossimi. E Gesù risponde con una parabola, che mette in scena un sacerdote, un levita e un samaritano. I primi due sono figure legate al culto del tempio; il terzo è un ebreo scismatico, considerato come uno straniero, pagano e impuro, cioè il samaritano. Sulla strada da Gerusalemme a Gerico il sacerdote e il levita si imbattono in un uomo moribondo, che i briganti hanno assalito, derubato e abbandonato. La Legge del Signore in situazioni simili prevedeva l’obbligo di soccorrerlo, ma entrambi passano oltre senza fermarsi. Erano di fretta… Il sacerdote, forse, ha guardato l’orologio e ha detto: “Ma, arrivo tardi alla Messa… Devo dire Messa”. E l’altro ha detto: “Ma, non so se la Legge me lo permette, perché c’è il sangue lì e io sarò impuro…”. Vanno per un’altra strada e non si avvicinano. E qui la parabola ci offre un primo insegnamento: non è automatico che chi frequenta la casa di Dio e conosce la sua misericordia sappia amare il prossimo. Non è automatico! Tu puoi conoscere tutta la Bibbia, tu puoi conoscere tutte le rubriche liturgiche, tu puoi conoscere tutta la teologia, ma dal conoscere non è automatico l’amare: l’amare ha un’altra strada, occorre l’ intelligenza, ma anche qualcosa di più… Il sacerdote e il levita vedono, ma ignorano; guardano, ma non provvedono. Eppure non esiste vero culto se esso non si traduce in servizio al prossimo. Non dimentichiamolo mai: di fronte alla sofferenza di così tanta gente sfinita dalla fame, dalla violenza e dalle ingiustizie, non possiamo rimanere spettatori. Ignorare la sofferenza dell’uomo, cosa significa? Significa ignorare Dio! Se io non mi avvicino a quell’uomo, a quella donna, a quel bambino, a quell’anziano o a quell’anziana che soffre, non mi avvicino a Dio. Ma veniamo al centro della parabola: il samaritano, cioè proprio quello disprezzato, quello sul quale nessuno avrebbe scommesso nulla, e che comunque aveva anche lui i suoi impegni e le sue cose da fare, quando vide l’uomo ferito, non passò oltre come gli altri due, che erano legati al Tempio, ma «ne ebbe compassione» (v. 33). Così dice il Vangelo: “Ne ebbe compassione”, cioè il cuore, le viscere, si sono commosse! Ecco la differenza. Gli altri due “videro”, ma i loro cuori rimasero chiusi, freddi. Invece il cuore del samaritano era sintonizzato con il cuore stesso di Dio. Infatti, la “compassione” è una caratteristica essenziale della misericordia di Dio. Dio ha compassione di noi. Cosa vuol dire? Patisce con noi, le nostre sofferenze Lui le sente. Compassione significa “compartire con”. Il verbo indica che le viscere si muovono e fremono alla vista del male dell’uomo. E nei gesti e nelle azioni del buon samaritano riconosciamo l’agire misericordioso di Dio in tutta la storia della salvezza. E’ la stessa compassione con cui il Signore viene incontro a ciascuno di noi: Lui non ci ignora, conosce i nostri dolori, sa quanto abbiamo bisogno di aiuto e di consolazione. Ci viene vicino e non ci abbandona mai. Ognuno di noi, farsi la domanda e rispondere nel cuore: “Io ci credo? Io credo che il Signore ha compassione di me, così come sono, peccatore, con tanti problemi e tanti cose?”. Pensare a quello e la risposta è: “Sì!”. Ma ognuno deve guardare nel cuore se ha la fede in questa compassione di Dio, di Dio buono che si avvicina, ci guarisce, ci accarezza. E se noi lo rifiutiamo, Lui aspetta: è paziente ed è sempre accanto a noi. Il samaritano si comporta con vera misericordia: fascia le ferite di quell’uomo, lo trasporta in un albergo, se ne prende cura personalmente e provvede alla sua assistenza. Tutto questo ci insegna che la compassione, l’amore, non è un sentimento vago, ma significa prendersi cura dell’altro fino a pagare di persona. Significa compromettersi compiendo tutti i passi necessari per “avvicinarsi” all’altro fino a immedesimarsi con lui: «amerai il tuo prossimo come te stesso». Ecco il Comandamento del Signore. Conclusa la parabola, Gesù ribalta la domanda del dottore della Legge e gli chiede: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» (v. 36). La risposta è finalmente inequivocabile: «Chi ha avuto compassione di lui» (v. 27). All’inizio della parabola per il sacerdote e il levita il prossimo era il moribondo; al termine il prossimo è il samaritano che si è fatto vicino. Gesù ribalta la prospettiva: non stare a classificare gli altri per vedere chi è prossimo e chi no. Tu puoi diventare prossimo di chiunque incontri nel bisogno, e lo sarai se nel tuo cuore hai compassione, cioè se hai quella capacità di patire con l’altro. Questa parabola è uno stupendo regalo per tutti noi, e anche un impegno! A ciascuno di noi Gesù ripete ciò che disse al dottore della Legge: «Va’ e anche tu fa’ così» (v. 37). Siamo tutti chiamati a percorrere lo stesso cammino del buon samaritano, che è figura di Cristo: Gesù si è chinato su di noi, si è fatto nostro servo, e così ci ha salvati, perché anche noi possiamo amarci come Lui ci ha amato, allo stesso modo.
PREGHIERE DEI PADRI DELLA CHIESA
http://orantidistrada.blogspot.it/2012/03/preghiere-dei-padri-della-chiesa.html
PREGHIERE DEI PADRI DELLA CHIESA
La nostra preghiera non deve consistere in atteggiamenti del nostro corpo: gridare, rimanere in silenzio, oppure piegare le ginocchia; dobbiamo piuttosto attendere con un cuore sobrio e vigilante che Dio venga e visiti l’anima introducendosi per tutte le sue vie d’accesso, i suoi sentieri e i suoi sensi. (S. Macario il Grande – 300-390 ca. – « Dall’Omelia 33″)
Signore, amico degli uomini, a Te ricorro al mio risveglio, cominciando il compito assegnatomi nella tua misericordia: assistimi in ogni tempo ed in ogni cosa; preservami da ogni seduzione mondana, da ogni influenza del demonio; salvami e introducimi nel tuo Regno eterno. Tu sei infatti il mio Creatore, la fonte ed il dispensatore di ogni bene: in te riposa tutta la mia speranza, ed io ti rendo gloria ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen. (S. Macario il Grande « Preghiere »)
Mio Dio, purifica me, peccatore, che non ho mai fatto il bene davanti a Te; liberami dal male e fa che si compia in me la tua volontà: affinché senza timore di condanna, apra le mie labbra indegne e celebri il tuo Santo Nome: Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen. (S. Macario il Grande « Preghiere »)
Abbi pietà di noi, Signore, abbi pietà di noi, privi di ogni giustificazione, noi peccatori ti rivolgiamo, o nostro Sovrano, questa supplica: abbi pietà di noi. Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, abbi pietà di noi: in te infatti, abbiamo riposto la nostra fiducia; non ti adirare oltremodo con noi, né ricordare i nostri peccati; ma misericordioso come sei, volgi su di noi il tuo sguardo benigno e liberaci dai nostri nemici. Tu infatti sei il nostro Dio e noi siamo il tuo popolo; tutti siamo opera delle tue mani ed abbiamo invocato il tuo nome. Ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen. (S. Macario il Grande « Preghiere »)
Tutti gli esseri ti rendono omaggio, o Dio, quelli che parlano e quelli che non parlano, quelli che pensano e quelli che non pensano. Il desiderio dell’universo, il gemito di tutte le cose, salgono verso di te. Tutto quanto esiste, Te prega e a Te ogni essere che sa vedere dentro la tua creazione, un silenzioso inno fa salire a te. (S. Gregorio di Nazianzo « Poesie dogmatiche »)
Ti ringrazio, Signore; te ringrazio, solo conoscitore dei cuori, giusto re, pieno di misericordia. Ti ringrazio, o senza principio, Verbo onnipotente, tu che sei sceso sulla terra e ti sei incarnato, Dio mio, e sei divenuto – ciò che non eri – uomo simile a me, senza mutazione, senza venir meno, senza qualsivoglia peccato. Al fine, tu impassibile soffrendo ingiustamente da parte di empi, di concedere a me condannato l’impassibilità nell’imitare i tuoi patimenti, o Cristo mio. (S. Simeone il Nuovo Teologo « Inni e Preghiere »)
Ora in noi senza indugio discendi, o Spirito Santo, unità sola col Padre e col Figlio: benigno ancora nei cuori effonditi. Bocca, lingua, intelletto, sensi e forze cantino la tua lode. Divampi in noi la fiamma del tuo amore, fino ad accendere chi ci è vicino. (S. Ambrogio di Milano « Inni »)
Preghiamo che Gesù regni su di noi, che la nostra terra sia liberata dalle guerre e dagli assalti dei desideri carnali e che allora, quando questi saranno cessati, ognuno riposi all’ombra della sua vite, del suo fico, del suo olivo. Sotto la protezione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo riposa l’anima che ha ritrovato in sé la pace della carne e dello spirito. A Dio eterno gloria nei secoli dei secoli. Amen. (Origene « Omelia XXII sul libro dei Numeri »)
Non ricordare più i miei peccati; se ho mancato, per la debolezza della mia natura, in parole, opere e pensieri. Tu perdonami, tu che hai il potere di rimettere i peccati. Deponendo l’abito del corpo, la mia anima sia trovata senza colpa. Più ancora: degnati, o mio Dio, di ricevere nelle tue mani l’anima mia senza colpa e senza macchia quale una gradita offerta. (S. Gregorio di Nissa « Vita di Santa Macrina »)
Dal cielo è sceso come la luce, da Maria è nato come un germe divino, dalla croce è caduto come un frutto, al cielo è salito come una primizia. Benedetta sia la tua volontà! Tu sei l’offerta del cielo e della terra, ora immolato e ora adorato. Sei disceso in terra per essere vittima, sei salito come offerta unica, sei salito portando il tuo sacrificio, o Signore. (S. Efrem il Siro « Inni »)
NUOVI PRODIGI DELLA NATURA
http://www.tanogabo.it/Religione/Creazione_Prodigi.htm
NUOVI PRODIGI DELLA NATURA
«Le meraviglie della nostra tecnica sono al livello di giocattoli infantili, se vengono confrontate con quelle della Natura». prof. George Wald, Premio Nobel
«II più piccolo e più semplice di tutti i viventi, un microrganismo costituito da una sola cellula, è immensamente più complesso e meglio organizzato di qualsiasi nostro « cervello elettronico », o di una qualsiasi altra apparecchiatura, sia pure un’astronave. Sarebbe paragonabile soltanto ad una prodigiosa fabbrica ultraautomatizzata e cibernetica, capace di dirigere e controllare tutta la propria attività, e quindi in grado di funzionare completamente da sola, e per di più di provvedere a riparare gli eventuali guasti, se ci fosse possibile progettarla e costruirla. Un sommergibile atomico o l’impianto di teleselezione di un’intera nazione sono ben poca cosa di fronte ad un’ameba, e sono quasi niente al cospetto di un organismo pluricellulare, ad esempio un vermiciattolo o un filo d’erba». È quanto oggi affermano tutti gli scienziati, tutti indistintamente, a qualsiasi paese appartengano. «Il corpo umano, essendo formato da 60 mila miliardi di cellule viventi, ciascuna delle quali è favolosamente complessa, è una Galassia vivente. Riesce a costruirsi da sé, partendo da una cellula sola, in base alla programmazione di tutto quanto deve venir eseguito, registrata sui nastri DNA, riuniti nel suo centro direzionale. Quel centro provvede a fornire tutti i « piani costruttivi », a pianificare la costruzione dei vari organi, a coordinare la loro attività ed a rendere efficiente tutto quell’immenso sistema biologico». Gli scienziati sono giunti a queste sorprendenti e sconcertanti conclusioni, dopo l’avvento del supermicroscopio elettronico. Con quel nuovo formidabile strumento di osservazione, una microscopica cellula vivente diventa grande quanto un bue, una foglia assume le dimensioni di una città. Visto invece al microscopio ottico, ingrandito 1000 o al massimo 2000 volte, un microbo è sempre un microbo, un filo d’erba è sempre un filo d’erba. Ma visti al supermicroscopio elettronico, ingranditi 200.000 volte, sino a 800.000 volte, il microbo e il filo d’erba sono qualche cosa di completamente diverso, qualcosa che ha assolutamente nulla a che fare con essi.
Un mondo nuovo Ciò che si vede, poggiando gli occhi sul binocolo del supermicroscopio, è qualche cosa di mai visto, è un mondo nuovo che sbalordisce e mozza il respiro. Il supermicroscopio elettronico è il nuovo occhio della Scienza. La sua potenza è pari a quella di un grande telescopio. Per tutto quanto esiste sotto un certo ordine di grandezze, la luce non è più luce. Non illumina ciò che è piccolo oltre un certo limite. Non illumina un virus e non illumina una proteina. I raggi elettronici, quelli usati per la televisione e per il radar, hanno lunghezze d’onda più corte di quelle della luce, e riescono perciò ad « illuminare » anche un vasto mondo submicroscopico, impenetrabile per la luce. Con i raggi elettronici è necessario lo schermo fluorescente, ed è perciò che il supermicroscopio si basa sullo stesso principio del televisore, pur essendo del tutto diverso, e di dimensioni molto maggiori. Alcuni secoli or sono, prima dell’invenzione del microscopio ottico, era impossibile immaginare che tutti i viventi fossero formati da microscopiche cellule funzionanti per proprio conto. Una simile idea sarebbe apparsa del tutto assurda. Dopo l’invenzione del microscopio ottico, risultò evidente che la vita si basa sulle cellule. Ma che le cellule viventi fossero delle prodigiose fabbriche ultraautomatizzate, programmate con la registrazione su nastri e provviste di inverosimili reti cibernetiche di controllo, non poteva passare nella mente di nessuno. I grandi telescopi ci mostrano le immense Galassie sparse nell’Universo. Con essi abbiamo acquisito la conoscenza dell’infinitamente grande. I supermicroscopi elettronici hanno spalancato innanzi ai nostri occhi un universo nuovo, insospettato, quello dell’infinitamente organizzato, l’universo della cellula vivente. Di fronte a quanto esiste in quel nuovo universo, tutto ciò che ci può dare la nostra tecnica è sul livello di giocattoli infantili. Questa costatazione ha messo in crisi la Scienza stessa.
Realtà favolosa Come è possibile che la cellula vivente sia una prodigiosa fabbrica ultraautomatizzata e cibernetica? Come è possibile che sia favolosamente complessa, tanto complessa da declassare al livello di giocattolo infantile un’astronave o un impianto nazionale di teleselezione? Lo è per molte ragioni. Una di esse è che si comporta come una fabbrica automatizzata capace di approntare tutti gli ingegneri, tutti i tecnici, tutti gli operai che le occorrono… Chi ascolterebbe, diversamente, gli ordini che i suoi nastri DNA impartiscono continuamente? Chi si incaricherebbe di leggere le informazioni tecniche trascritte su di essi? Chi eseguirebbe il lavoro in base alla pianificazione predisposta in anticipo? Chi si occuperebbe dei «piani costruttivi» trascritti sui meravigliosi nastri DNA? Per prodigiosi che siano, da soli quei nastri DNA con la trascrizione in codice di come deve venir costruito e di come deve funzionare un organismo vivente, non servirebbero a nulla di nulla. Sarebbero simili a pacchi di disegni tecnici relativi alla costruzione di un aviogetto, lanciati in pieno deserto; la sabbia li sommergerebbe. Poteva, la Creazione, predisporre ogni progetto in anticipo, programmarlo e registrarlo su appositi nastri, per poi trascurare tutto il resto? Ecco la ragione per cui la cellula vivente — la base di ogni forma di vita — è una fabbrica automatizzata funzionante con ingegneri, tecnici e operai anch’essi automatizzati. Funziona con dei robot… Quei robot sono designati con la sigla internazionale RNA. Sono i robotRNA della cellula. Sono gli stessi in tutti i viventi. I robotRNA di un microbo sono del tutto eguali a quelli di un elefante. Quelli di un topo sono esattamente gli stessi di quelli di un uomo. Come c’è un solo nastro DNA per tutti i viventi sulla Terra così c’è una moltitudine degli stessi robotRNA per tutti, microbi, piante, animali e uomini. Essendo uno solo il nastro DNA, una sola la registrazione e uno solo il codice usato per la trascrizione, anche gli esecutori non possono essere se non gli stessi per tutti. E di più, è lo stesso nastro DNA che genera i robotRNA. Mentre il nastro magnetico dei nostri registratori produce segnali elettrici, il nastro DNA produce robot. Nei nostri registratori quei segnali elettrici fluiscono lungo fili conduttori, circuiti e transistor; infine giungono alla bobina mobile dell’altoparlante. Nella cellula vivente sono invece in corsa, in attività, i robotRNA. Sono essi ad approntare tutto quanto occorre a far funzionare le apparecchiature biologiche, a costruire attrezzi di lavoro e macchineutensili. Sembra un’assurda fantasticheria. È una realtà che stentiamo ad accogliere. Ma come potrebbe funzionare quella prodigiosa fabbrica che è la cellula vivente senza i suoi robotRNA?
RobotRNA Quell’altra fabbrica del tutto automatizzata, in grado di funzionare completamente da sola che abbiamo immaginato nel capitolo precedente, faceva a meno dei robot. In realtà i robot erano costituiti dai servomeccanismi, dai relé, dai congegni di comando azionati dai segnali elettrici provenienti dagli elaboratori elettronici. Ma i segnali elettrici richiedono fili conduttori, un’immensa rete di collegamenti. La cellula vivente ne fa a meno. Genera robot invece di segnali elettrici. I robot si comportano come se fossero intelligenti, inseriti come sono nella sua organizzazione. Quando non sono più necessari, vengono demoliti. È il sistema produttivo più razionale che si possa immaginare. C’è da eseguire un dato lavoro, ad esempio approntare una delle migliaia di proteine di cui la cellula ha necessità? Può essere costituita a sua volta da un migliaio di parti componenti minori. Come fa la cellula vivente a far eseguire il montaggio di tutti quei componenti? Parte da un « piano costruttivo » registrato su uno dei nastri DNA. Esso indica l’esatta sequenza lineare del collegamento dei componenti. Viene generato un RNA tecnico capace di portare in cantiere quel « piano costruttivo ». E una specie di caporeparto, in grado di far lavorare RNAoperai. Il nastro DNA e il cromosoma che lo contiene sono organizzati in modo da generare quel RNAtecnico con tutta facilità. Dispongono del materiale necessario ed anche degli adatti mezzi operativi. L’RNAtecnico porta l’impronta esatta del « piano costruttivo » presente sul nastro DNA. Un accorgimento consente di evitare che venga confuso con il DNA stesso. Tutto è meticolosamente previsto. L’RNAtecnico esce dal centro direzionale e va in cantiere, per far approntare quella proteina. È indicato con il termine internazionale di messengerRNA. La sigla usata è mRNA. È il robot messaggero. I robotoperai vengono anch’essi approntati dal centro direttivo, generati in numero adeguato dai nastri DNA, a seconda dell’entità della produzione complessiva, dell’intera cellula. Solo gli mRNA vengono prodotti uno per uno. Per il montaggio di una proteina è sufficiente un RNAtecnico e una o più squadre di RNAoperai. Gli RNAingegneri vengono messi in azione solo quando si tratta di costruzioni più complesse, come si vedrà in seguito.
Un prodigioso cantiere Ma che cosa potrebbero fare i robotRNA da soli? Niente di niente. Come potrebbero eseguire il lavoro ad essi affidato? Sono meravigliosi, ma la cellula in cui lavorano non lo è meno. Tutte le strutture di quella prodigiosa « fabbrica » sono funzionanti, tutte sono automatizzate, tutte sono sotto gli ordini e sotto il controllo del centro direzionale. Quelle strutture sono in realtà delle apparecchiature, di forma tale da sostituire tutte le macchine e tutte le opere murarie di una nostra fabbrica. La cellula vivente tipica è di forma sferoidale. È simile ad un complesso industriale costruito nell’interno di una sfera con il nucleo direzionale al centro. Intorno al nucleo, c’è il cantiere. Lunghe e vaste pareti, poste una di seguito all’altra, costituiscono i siti di lavoro dei robotRNA. Ritorniamo alla proteina da approntare. L’mRNA con il « piano costruttivo » è pronto. Esce dal centro. Il cantiere è in piena attività. Una specie di « cervello elettronico » tiene tutto sottocchio, sa dove c’è un posto libero. Invia l’mRNA su quella tale parete, in quel tal punto, dove c’è quel posto. L’mRNA giunge al posto designato. Immediatamente la parete lo afferra e lo svolge su tutta la sua lunghezza. La parete deve necessariamente svolgerlo e trattenerlo solidamente. Tutta la costruzione della proteina avviene sopra di esso. È la base su cui effettua il lavoro. Accorrono immediatamente i robotoperai. Per prima cosa è necessario andare in magazzino per prelevare le prime parti componenti, con le quali iniziare il montaggio della proteina. I robot che provvedono al trasporto sono designati con il termine transfertRNA. La loro sigla è tRNA. Altri robot devono provvedere a riunire insieme le varie parti componenti, ed a saldarle, in modo da formare un unico complesso. Sono i ribosomialRNA, gli rRNA. L’mRNA disteso è simile alla catena di montaggio di una nostra fabbrica di automobili. E molto lungo, può essere lunghissimo. Un aspetto sorprendente dell’immensa organizzazione in atto in qualsiasi cellula vivente, è che l’mRNA si comporta anche come una monorotaia rettilinea. La parete sulla quale è fissato provvede ad innestare su quella monorotaia un veicolo a tre posti. Non è una fiaba. II centro direzionale non appronta soltanto tutti gli operai che gli necessitano, appronta anche delle vetturette, adatte per trasportare gli operai, mentre lavorano lungo la catena di montaggio. Le pareti del cantiere hanno a loro disposizione i robotoperai e le vetturette triposto, adatte per viaggiare su monorotaia. Quelle vetturette sono anche dei reparti di montaggio. La loro importanza è fondamentale nell’organizzazione produttiva della cellula vivente. Sono designate con il termine ribosomi. Consistono in due parti, una motrice, in contatto con la monorotaia, ed una in funzione di abitacolo per tre tRNA. I ribosomi vengono approntati in una particolare sezione del centro direttivo. È denominata nucleolo. Al supermicroscopio elettronico si vede il cantiere della cellula formato da un gran numero di pareti, e si vedono distintamente i ribosomi, aderenti ad essi. In media, i ribosomi sono una decina di migliaia. Non per nulla gli scienziati, che per primi hanno visto l’interno della cellula vivente ed hanno costatato che è una fabbrica organizzata a quel modo, sono rimasti esterrefatti e sgomenti. Noi non possiamo neppure immaginare meccanismi automatizzati capaci di ordinare la costruzione di robottecnici, di robotoperai, di vetturettereparti di montaggio in corsa su monorotaia. Siamo immensamente lontani da quella frontiera assoluta della tecnica della Natura, parte integrante della Creazione.
RobotRNA al lavoro II montaggio della proteina ha inizio. Il ribosoma è stato sistemato sulla monorotaia dell’mRNA. Si tratta di collocare a posto il primo dei mille componenti. Accorre subito un tRNA, quello adibito al trasporto in quel primo componente. C’è un tRNA per ciascuno di essi. Quel tRNA entra nel ribosoma. Vi si sistema. Lo può fare poiché è quello richiesto dal « piano costruttivo ». Tiene il componente all’esterno del ribosoma. Entra immediatamente un seconda tRNA, quello che porta il secondo componente richiesto dal « piano costruttivo ». Anch’esso tiene il proprio componente al di fuori del ribosoma. Interviene subito un rRNA; provvede a saldare i due componenti. Per far ciò utilizza un adatto utensile da saldatura. Quell’utensile è uno dei molti enzimi adoperati in cantiere. È designato con il termine peptiditransferasi. Non basta un utensile per fare una saldatura, è necessaria dell’energia, della forza. L’rRNA, oltre a quell’utensile, adopera anche l’energia organica contenuta in un apposito contenitore. Quel contenitore di energia è indicato con la sigla internazionale ATP. È il contenitore universale di energia organica. Come in tutti i viventi sulla Terra, tanto in quelli della nostra epoca, quanto in quelli delle lontane epoche preistoriche, vi sono gli stessi DNA, gli stessi RNA, gli stessi ribosomi, così vi sono gli stessi ATP. Mentre viene effettuata la saldatura dei due componenti, nel ribosoma entra il terzo tRNA, con il terzo componente richiesto. Non appena la saldatura è ultimata, il primo tRNA è libero; esce dal ribosoma e va in magazzino a prelevare un altro carico. In quello stesso istante, il ribosoma scatta. Fa un passo innanzi sulla monorotaia della catena di montaggio. Mentre l’rRNA effettua la seconda saldatura, entra un altro tRNA con il quarto componente. Il ribosoma ha un altro scatto, fa un altro passo. Si forma così un primo tratto della proteina. È sostenuto dall’ultimo tRNA di turno, con l’aiuto della parete. Quel tratto di proteina è denominato catena peptidica.
Tutto ultraautomatizzato Nelle nostre fabbriche il tempo viene scandito in minuti; nella cellula vivente viene scandito in modo estremamente più rapido, in microsecondi. Osservata da noi, l’attività della cellula risulterebbe fulminea. Eppure, il montaggio di una lunga proteina, con un migliaio di componenti, viene effettuato da più squadre di RNA. La parete provvede a sistemare sulla monorotaia dell’mRNA, quattro, cinque o più ribosomi, ad intervalli regolari, in modo da ottenere più catene peptidiche simultaneamente. È la stessa parete che poi provvede al collegamento di esse, con rRNA adatti, in modo da ottenere una unica catena. La proteina non è ancora pronta. Deve passare in un altro reparto per assumere la forma necessaria. Anche a tale trasferimento provvede la parete. Non si può non rimanere sbalorditi quando, al supermicroscopio elettronico, si osserva tutto l’enorme sviluppo di quelle pareti del cantiere. Con termine antiquato, sono dette membrane. Consistono di una parte esterna, sopra la quale avvengono le lavorazioni, e di una interna, in funzione di deposito dei materiali e degli attrezzi di lavoro. Tra una membrana e l’altra vi è una specie di vescichetta schiacciata, riempita di liquido citoplasmatico. L’insieme delle vescichette forma la rete di comunicazione del cantiere. Essa raggiunge il nucleo direzionale da un lato, e l’esterno della cellula dall’altro. In più, lungo tale rete, sono disposti i magazzini di materie prime e quelli del « carburante », ossia glucosio. Sono denominati vacuoli. Il liquido fluisce in un solo senso, per cui è stata avanzata l’ipotesi che esso agisca da sistema circolatorio, partecipando all’assunzione dall’ambiente esterno di svariate sostanze, al trasporto interno dei semilavorati e dei prodotti finiti, nonché all’espulsione dei rifiuti dalla cellula. L’insieme è denominato sistema vacuolare. Tutto il cantiere, pulsante e dinamico, è detto reticolo endoplasmatico. L’abbreviazione internazionale è ER. Quell’enorme rete di membrane, di canalicoli e di vacuoli apparve, con i primi microscopi, simile ad un reticolo. Il termine rimase. Le attivissime membrane vanno soggette ad usura, e devono venir sostituite. Sono collegate con un’apposita zona del cantiere, nella quale vengono continuamente approntate nuove membrane. Al supermicroscopio si vedono quelle in attività cosparse di ribosomi, mentre le nuove, in attesa, ne sono prive. Il gruppo delle membrane nuove forma il complesso di Golgi. Apposite squadre di RNA provvedono alla demolizione immediata di tutto ciò che va fuori uso nel cantiere. Anche quell’mRNA che ha portato nell’ER il « piano di montaggio » della nostra proteina, è stato subito demolito, distrutto, non appena ultimata, affinché la sua presenza non causasse confusione. Apposite reti cibernetiche controllano tutto quanto avviene nella cellula. Migliaia di proteine, di svariati tipi, vengono allestite contemporaneamente lungo le membrane dell’ER, sui piani di costruzione, forniti da altrettanti robottenici, gli mRNA. Altrettante migliaia di squadre di tRNA e di rRNA provvedono ad eseguire il lavoro, entro i ribosomi scattanti sulle monorotaie delle catene di montaggio. Intanto, in altre zone, .vengono riuniti atomi per ottenere le parti componenti da inviare ai magazzini. Tutto procede rapidamente ed esattamente, sotto la direzione del centro e la sorveglianza dei congegni cibernetici di controllo. Che cosa dire di tutto ciò, se si tiene conto che l’ultraautomatizzata e favolosamente complessa cellula vivente misura, in media, 10 centesimi di millimetro?
Organizers Quando si tratta di una qualsiasi « costruzione » complessa, i robotRNA non sono più sufficienti. Essi « lavorano » nell’interno della cellula vivente, nella sua « zona industriale », il reticolo endoplasmatico, ed ovunque sia necessario, ma non oltre i confini della cellula. Possono approntare complesse molecole proteiche, ma non possono venir adibiti alla « costruzione » di imponenti sistemi biologici, come può essere un filo d’erba o, su un livello molto più alto, un pulcino. È allora che entrano in attività gli ingegneri del DNA, gli organizers. Sono essi a provvedere al « montaggio » delle cellule specializzate, in modo da ottenere degli organi funzionanti. È curioso che gli organizers siano stati scoperti circa quarantenni prima degli RNA, quando ancora non si sapeva nulla neppure dei nastri DNA. Sono più voluminosi e si muovono all’esterno delle cellule, per cui risultano meglio visibili. A scoprirli fu il biologo tedesco Hans Spemann, nel 1918. Spemann ebbe il premio Nobel. Non ci è ancora dato di sapere che, cosa siano gli organizers e come agiscono. Indubbiamente vengono diretti dai nastri DNA, visto che su di essi è registrata tutta la programmazione al completo. E probabile che vengano anche prodotti dai DNA.
Costruzione di un vivente Nastri DNA, robotRNA e organizers, con il ritmo preciso di un cronometro, stanno costruendo quello che sarà un pulcino, nell’interno di un uovo. Riescono a compiere un prodigio impensabile: convertono le sostanze organiche presenti nel tuorlo e nell’albume, nelle innumerevoli piccole parti componenti il pulcino, e le collocano esattamente al loro posto. Con quelle sostanze costruiscono ossicine, fibre nervose e fibre muscolari, alveoli polmonari, cellule epiteliali e così via. Poi le utilizzano automaticamente, in base agli ordini dati dai nastri DNA, riportati dagli organizers. Con le fibre muscolari costruiscono un cuore, con il suo complesso e ingegnoso meccanismo di ventricoli e con il suo mirabile gioco di valvole, affinché possa dilatarsi e contrarsi armoniosamente. Quanto avviene per opera di quegli invisibili artefici, nell’interno dell’uovo, è simile ad un’esplosione vista al rallentatore. Milioni di passaggi si susseguono in base a sequenze rigorosamente prestabilite. Vi sono sempre le sostanze giuste, nel posto giusto, al momento giusto. Al dodicesimo giorno di lavoro senza sosta, tutte le parti principali del pulcino sono già pronte. Le sue ossicine sono state costruite e collocate in un’unica struttura bene ordinata. Dopo altri due giorni spunta la peluria gialla sulla sua pelle. Al diciottesimo giorno, con la testolina piegata sul petto, il pulcino riesce a pigolare flebilmente. Ciascuno dei suoi occhietti è a posto. È formato esattamente come necessario per poter captare i raggi di luce, consentire alle immagini di formarsi sulla sua retina e di venir trasmesse. Come avranno fatto i robotRNA e gli organizers ad approntare tutto il necessario e ad effettuare la costruzione? «Un pulcino — affermano gli scienziati — è più complesso di un aviogetto». Tutto ciò è al di là del limite entro il quale i paragoni hanno significato, ed oltre i gradi che corrispondono alle nostre idee di progressione.
Funzioniamo con l’energia della luce Tutto vien fatto funzionare con un’apposita energia, predisposta esattamente alle necessità della cellula vivente. Ma la cellula, in quanto vivente, non dovrebbe fare a meno di energie. È forse un motore? È un altro immenso prodigio della Natura, messo in evidenza dalla Scienza dei giorni nostri. A nulla servirebbero gli efficientissimi nastri DNA e i robot RNA; immobili rimarrebbero i ribosomi; paralizzato risulterebbe tutto il « cantiere » della cellula vivente, il suo reticolo endoplasmatico, senza un’energia adeguata, predisposta per farli funzionare. Senza quell’energia, la cellula vivente non potrebbe essere quella prodigiosa fabbrica ultra automatizzata che è. Non potrebbe esistere. Ma chi la rifornisce di energia? Lo sappiamo benissimo: è il Sole stesso a dar energia a tutta la vita sulla Terra. Le piante captano l’energia contenuta nei raggi solari, e la inseriscono in un apposito contenitore: la molecola di zucchero glucosio. È quella la « benzina » dei viventi. Non si può vivere sulla Terra, se non si viene riforniti di quella « benzina » e se non si è in grado di utilizzarla. L’energia della luce solare è alla base di ogni forma di vita. Dal microbo sino all’uomo, tutti utilizziamo quell’energia per vivere, tutti «andiamo con la forza della luce solare»; tutti siamo alquanto più fantascientifici di quanto non immaginiamo. Ma come si fa a mettere l’energia della luce in un contenitore? I plastidi clorofilliani delle foglie sono delle apparecchiature capaci di compiere quel prodigio. Sono contenuti in apposite cellule viventi, « organizzate a quello scopo, e sistemate nella parte superiore, esposte alla luce. Scindono le molecole d’acqua nei loro componenti: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. I raggi di luce energizzano l’elettrone degli atomi di idrogeno. Così energizzati, quegli atomi vanno a formare lo zucchero glucosio, in unione con l’anidride carbonica prelevata dall’aria. È il processo della fotosintesi. I plastidi clorifilliani sono delle complicatissime apparecchiature chimicoelettroniche. Per essere riusciti ad intravederne il funzionamento, parzialmente, Hans Krebs e Melvin Calvin ebbero il premio Nobel. L’energia della luce viene convertita, dunque, in energia elettronica. Quell’elettronica di cui noi andiamo tanto orgogliosi, viene utilizzata dai viventi da quando ebbero inizio sulla Terra, da 2,2 miliardi di anni or sono. Con quell’energia, le piante funzionano; con essa funzionano anche tutti gli animali e tutti gli uomini. A noi giunge insieme con i farinacei, e più o meno con tutti gli altri elementi.
L’energia della vita Ma sono forse elettronici i viventi? Non lo sono. L’energia elettronica non sarebbe adatta per farli funzionare. È necessaria un’energia molto più « fine », esattamente predisposta per le microscopiche apparecchiature biologiche. E l’energia organica, vitale, metabolica. È contenuta in appositi serbatoi, quelli ai quali è stato accennato, le molecole di ATP. Le stesse cellule viventi, che captano i raggi di luce e ne prelevano l’energia, per funzionare devono convertire quell’energia nell’altra, quella organica. Anch’esse la prelevano dalle molecole di ATP, quelle che esse stesse hanno caricato. Ma per convertire l’energia elettronica nell’energia vitale dell’ATP, sono necessarie delle « centrali energetiche ». Sono dette mitocondri . Ve ne sono in tutte le cellule viventi. Non si è trovato nessuna di esse con meno di 50 mitocondri, e nessuna con più di 2000. Il loro numero è adeguato alle necessità energetiche di ciascuna cellula. Ora, quelle « centrali energetiche », viste sullo schermo del supermicroscopio, appaiono incredibilmente complesse. Ciascuna di esse ha l’aspetto di un « sommergibile ». Ma sullo scafo vi sono migliaia di sferette, ciascuna delle quali è un laboratorio. Apre la molecola di glucosio, utilizzando l’ossigeno che noi preleviamo dall’aria con la respirazione . Nell’interno delle « centrali » entrano soltanto gli elettroni energizzati, prelevati dal glucosio. Non entrano da soli, vengono trasportati da un apposito contenitore, denominato coenzima DPN. Simultaneamente e continuamente migliaia di elettroni energizzati entrano in ciascun mitocondrio. Come avvenga la traduzione dell’energia è ancora un mistero. Evidente è soltanto che gli elettroni escono scarichi dai mitocondri, mentre carichi escono gli ATP. Si è calcolato che con una molecola di glucosio vengono caricate 36 molecole di ATP. Nella cellula vivente, in assenza di conduttori elettrici il trasporto dell’energia è affidato al viavai degli ATP. Portano energia ovunque sia necessario, energizzano tutta la microscopica fabbrica ultraautomatizzata, e poi ritornano alla « centrale », per venire ricaricati. Se ci chiediamo che cosa sia in realtà l’energia organica, quella ottenuta dall’energia elettronica del glucosio, ci troviamo subito di fronte ad uno dei tanti enigmi di quell’immensità organizzata che è la vita. Evidente è soltanto che è la luce a energizzare tutti i viventi, a far funzionare tutti quanti siamo sulla Terra, con la potenza del Sole.
Una visione nuova Ora, se supponiamo che ciascuna delle nostre cellule funzioni con 100 « centrali energetiche » soltanto, risulta che il nostro corpo vive con l’energia che gli viene approntata da 100 volte 60 mila miliardi, ossia sei milioni di miliardi di quelle « centrali ». Unite insieme formerebbero uno degli organi più importanti e voluminosi, quello adibito a dar forza vitale e calore a tutto il nostro organismo, nonché a far funzionare tutto il sistema nervoso centrale e i sensi ad esso collegati. Essendo suddiviso in quei 6 milioni di miliardi di « centrali », sparse in tutto il corpo, sembra inesistente. Nessuno, in passato, si è sorpreso per l’evidente mancanza di un organo tanto importante. Non lo si vedeva, per cui sembrava chiaro, indiscutibile, che il corpo umano non ne avesse necessità. E questo per tutti i viventi, microbi compresi. Fu soltanto negli anni cinquanta, quando il supermicroscopio elettronico consentì di vedere quelle « centrali » in ogni cellula vivente, che si comprese quale enorme importanza abbia l’energia organica per il « funzionamento » di qualsiasi vivente. Prima di quella scoperta, si credeva che i viventi ricavassero energia dalla combustione degli alimenti glucidici, si pensava ad essi come a delle macchine a vapore, provviste di focolaio. I materialisti esultavano costatando che la Scienza del secolo scorso consentiva loro di degradare qualsiasi organismo vivente al livello di un meccanismo. Oggi, la situazione è capovolta. Non si riesce a comprendere come la cellula vivente possa essere così favolosamente complessa, pur essendo tanto piccola da riuscire invisibilmente ad occhio nudo. Sembra del tutto inverosimile che possa essere provvista di un proprio centro direzionale automatizzato, con la programmazione registrata su nastri DNA, e che possa contenere moltissime apparecchiature attivate da robotRNA. Sembra impossibile che quel centro direzionale possa tutto controllare e coordinare, utilizzando una fittissima rete cibernetica. Sembra assurdo che riesca a captare l’energia della luce solare, accumularla sotto forma di energia elettronica, per poi utilizzarla, dopo averla convertita in energia organica. E sembra fiabesco che quell’energia venga distribuita nell’interno della cellula vivente mediante i contenitori ATP, continuamente ricaricati da apposite « centrali energetiche « . Ieri l’uomo rimaneva costernato di fronte all’immensità del cosmo; gli sembravano eccessive le Galassie maestosamente roteanti a milioni di anni luce di distanza. Oggi rimane costernato di fronte a quei 60 mila miliardi di prodigiose « fabbriche » ultra automatizzate, perfettamente programmate ed esattamente cibernetiche, funzionanti con DNA e RNA, che formano il suo corpo. Le scoperte della Scienza ci pongono di fronte ad una nuova visione del mondo, ad un livello forse troppo alto per coloro che vivono in questo secolo. Si dilegua invece quella visione materialista del mondo che è stata impostata per ragioni di comodo, e che ancora viene imposta alle grandi masse ignare.